Fino a qui, e nel solco del tema della nostra trattazione, abbiamo parlato della riscoperta ottocentesca di Dante Alighieri. Ma se dopo secoli egli entra a far parte del nostro canone letterario, significa che ha spodestato un altro nome. Il canone è così: perché qualcuno viva, altri debbono morire383. E chi non sopravvive, vittima sacrificale, del canone risorgimentale è Francesco Petrarca che fino ad allora da generazioni di intellettuali, a cominciare da Boccaccio che lo ricorda come il suo maestro, è imitato e seguito. Per secoli è il magistero a cui rivolgersi e primo rappresentante di una cultura considerata moderna. Alberto M. Banti nel portare una testimonianza sugli autori di riferimento delle generazioni di risorgimentali, il canone risorgimentale appunto, cita Luigi Settembrini che rievocando nelle Ricordanze della mia vita le letture che gli sono state accanto menziona Dante, anzi di lui dice poco o nulla tanto nella sua mente è scontata la sua superiorità, ma non nomina il Petrarca.
Ci poniamo una domanda allo scopo di indagare la questione da una angolazione diversa rispetto a quella che ci ha portato fino a qui: cosa manca al Petrarca che invece Dante ha? Successivamente vedremo i modi in cui il nostro Ippolito si confronta con il poeta di Avignone; qui si vuole dare una breve introduzione allo scopo di rispondere al quesito che ci siamo appena posti. Qualche amo, nelle pagine precedenti, è stato già lanciato al lettore, qui voglio porre all’attenzione alcuni punti chiave, senza pretesa di essere esaustiva, che possono permettere di comprendere meglio l’atmosfera in cui si costituisce la polarità Petrarca-Dante. La sostituzione non avviene solo nell’ambito letterario e poetico perché Dante diventa anche modello di uomo e cittadino connotando come spiccatamente politica la motivazione della sua riscoperta. Questo aspetto si vede benissimo nelle Confessioni in quanto le memorie dell’ottuagenario hanno lo scopo di mostrare non solo la maturazione di un uomo singolo, ma anche la costituzione di un buon cittadino, amante della patria a cui sente istintivamente, come figlio, di appartenere.
Petrarca pur nascendo in Italia, ad Arezzo, si trasferisce ancora bambino a Carpentras, vicino Avignone. E in questa breve, e banalissima, osservazione c'è una parte consistente del problema:
383 Questa idea traspare soprattutto nel libro di H. Bloom, Il canone occidentale. I libri e le scuole delle età, Milano,
Bur, 1996: nell’ impossibilità del lettore di avere il tempo materiale di leggere tutto ciò che è stato scritto egli fa una scelta ideale di libri che soddisfano delle sue determinate aspettative (come singolo e come “cittadino” di un determinato gruppo letterario).
166 non è un italiano doc, come diremmo noi oggi, e dunque non può aspirare alla candidatura di padre degli italiani.
Perché possa essere compiutamente “patria” c’è, infatti, bisogno […] di un padre che legittimi e certifichi la sia discendenza “patrilineare”: per ridefinire il senso nuovo dell’appartenenza a un luogo di nascita e dell’essere partecipi tutti di una comune “nazione”. C’è bisogno di un padre che sia antico: eroe primogenito, fondatore della stirpe.384
E in questo senso Dante si costituisce come “padre supremo degli italiani e campione unico di autentica italianità”385, mentre il Petrarca è costretto a dimostrarla.386 Non vogliamo banalizzare la questione della riscoperta dantesca facendo credere al lettore che si tratti di sostituzione semplice e immediata, ma:
Basterebbe, a esempio, seguire la significativa vicenda delle edizioni commentate del Canzoniere e della Commedia dal Settecento all’Ottocento […]. Con un dato assolutamente decisivo, che fa la differenza tra il prima e il dopo e connota geneticamente questa sostituzione di rappresentatività simbolica: non è più la vecchia funzione di modello assoluto di lingua e di poesia, di letteratura e di lavoro culturale (rappresentato per secoli da Petrarca), bensì è la nuova funzione di simbolo dell’identità nazionale e quindi dei valori profondi della storia della patria (e ora tocca a Dante).387
E a sostegno di queste parole possiamo riandare a quella parte della nostra trattazione in cui abbiamo ricostruito la storia delle edizioni commentate della Commedia nell’Ottocento.
Ippolito Nievo spesso insiste sul valore popolare della poesia di Dante, non che l'Alighieri scriva per il popolo, e questo francamente non poteva certo comprendere la Commedia, ma nel clima ottocentesco questa idea è mediata dal fatto che scrive il suo poema didattico con la lingua del popolo (fiorentino) e non in latino. Anche Petrarca scrive volgare, ma troppo presi dalla dicitura
Canzoniere dimentichiamo il titolo originale della sua opera: Rerum vulgarium fragmenta cioè
384 A. Quondam, Petrarca, l’italiano dimenticato, Milano, Rizzoli, 2004, pp. 83-84. 385
Ivi, p. 85.
386 Lo dice chiaramente il De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana. Dante è “senza patria, senza famiglia,
senza un centro sociale in mezzo a cui viva altro che letterario, ritirato nella solitudine dello studio e nell’intimo commercio degli antichi […]. Dante è sbandito da Firenze, ma la sua anima è sempre colà. Il Petrarca è costretto a dimostrare la sua italianità […]”. F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di Niccolò Gallo, Torino, Einaudi, 1858, v. I, p. 301.
167 frammenti di cose volgari, e spesso parlando di questi versi il poeta li definisce anche nugae,
nugellae cioè inezie, sciocchezzuole. Quando studiamo Dante, dal punto linguistico, gli attribuiamo
la caratteristica del plurilinguismo perché, a differenza di Petrarca che riserva solo alla lirica d’amore il volgare, cerca di sperimentarne tutte le possibilità, anche dal punto di vista del registro. L'avignonese non crede certo di sancire la sua immortalità proprio con i frammenti volgari perché è il latino la sua lingua madre, la lingua della sua città e del suo mondo.
Petrarca, come Dante, ha una esistenza piuttosto errabonda perché frequenta le più grandi corti italiane, ma non la trova una pratica disdicevole tanto che si può considerarlo il primo intellettuale che usufruisce del mecenatismo dei signori per poter proseguire in tranquillità, senza problemi finanziari, i suoi studi. “Cortigiani, vil razza dannata” direbbe il Rigoletto (atto secondo, scena quarta) e Dante non è disposto ad un compromesso simile. Questo suo aspetto è notabile nell’epistola IX dove riepiloga ad un amico fiorentino le motivazioni per cui rifiuta di tornare a Firenze: forte della propria innocenza e della propria dignità non si piega, nonostante l’amore per la sua città, alle condizioni fissate per ritornare in Patria (che per lui è la sua città, Firenze). Il suo non è uno sdegnoso rifiuto dettato dalla rabbia, ma una posizione maturata e sostenuta dalla propria rettitudine d’animo. Allo stesso modo i risorgimentali sono poco disposti al compromesso, soprattutto in ambito politico e così si viene a creare l’equazione: Dante-simbolo libertà, Petrarca – simbolo di servitù e decadenza, formula su cui tanto insisteranno letterati come Foscolo o De Sanctis.
Queste brevi informazioni biografiche, e sulla carriera letteraria del Petrarca, non sono compatibili con il clima culturale ottocentesco, su cui si riflettono le aspirazioni e le speranze di una nazione intera che si sente oppressa e perseguitata, e mostrano come la riscoperta di Dante, e il successivo oblio petrarchesco, non nascono da ragioni autonomamente letterarie.
Le opere stesse del Petrarca, comunque, mal si amalgamano con il nuovo concetto di una letteratura che deve essere espressione della vita nazionale fiera di sé stessa e della propria autonomia, autonomia che Petrarca, al servizio del signore, sembra aver svenduto.
Foscolo scrive molti saggi critici su questi due autori, interessantissimo al nostro scopo è il
Parallelo fra Dante e il Petrarca388 che fin dal titolo propone una dicotomia fra i due autori e riassume l’antitesi critica. Vedremo successivamente il saggio in questione perché Nievo sembra
388 Questi saggi, insieme al Parallelo, si possono leggere nel vol. X dell’Edizione Nazionale delle Opere di U. Foscolo,
168 trarne giovamento e spunti per rappresentare la fatalità della scelte letterarie della Morosina, protagonista del romanzo Angelo di Bontà, lettrice appunto del Petrarca.
Oltre a Foscolo altri letterati si interessano alla questione, parlo di Alfieri e Leopardi: gli atteggiamenti sono diversi, ma rimane sempre nel sostrato l’idea di una polarità e contrapposizione tra i due autori (polo positivo: Dante, polo negativo : Petrarca):
[… ]che poi le riflessioni dei tre testimoni sul vecchi padre e sul nuovo trovano strade diverse, di inquieta coabitazione (Alfieri), di compromesso ancora possibile e comunque auspicabile (Leopardi), di netta bipolarizzazione dopo tante illusioni di poter governare gli opposti (Foscolo), è il segno più evidente della tormentata complessità della congiuntura e di quanto difficili siano le scelte che pure s’impongono alle generazioni di questa infinita transizione. 389
Le riflessioni di questi tre grandi si ricollegano all’idea di una letteratura che deve essere utile alla patria, la “letteratura, anzi la poesia, ad assumere la missione di forgiare gli italiani”390e non sarà un caso allora che Ippolito li inserisca tutti nella sua “diversa famiglia di letterati” stimando nelle loro opere proprio questo aspetto.
Sotto la stella del padre Alighieri si forma l’Italia e Francesco De Sanctis (1817-1883) nella sua
Storia della letteratura italiana (in prima edizione nel 1870) interpreta la letteratura come uno
specchio della vita morale, nelle varie epoche letterarie, di questo nuovo popolo italiano che si è costituito, e dei padri che lo hanno sostenuto verso l’Unità. Dante è un uomo di passione e vitalità, la cui opera può confortare e istruire; Petrarca non esercita la sua arte per nessuno, se non per sé stesso. Non racconta una storia di elevazione spirituale perché il Canzoniere è un vagare tra una impressione e l’altra del proprio io, centro della poetica e di tutto l’universo. Ritorna quell’idea foscoliana di Dante simbolo della libertà (anche politica in ambito comunale), e Petrarca emblema della decadenza e della servitù delle corti. Lo stesso impianto dell’opera è costituito per opposti: un lungo capitolo (VII) dedicato alla Commedia segue quello sul Canzoniere (VIII) che sembra essere inserito solo allo scopo di esaltare il precedente se si esordisce così: “Dante morì nel 132. La sua
389 A. Quondam, Petrarca, l’italiano dimenticato, cit., p. 230. Per informazioni più dettagliate riguardo gli atteggiamenti
dei tre scrittori menzionati rimando sempre allo stesso autore: Leopardi (pp. 88- 135), Alfieri (pp. 135-152), Foscolo (pp. 152-227).
169
Commedia riempie di sé tutto il secolo”391; Petrarca non inizia una nuova era, piuttosto ne sancisce la fine perché l’Umanesimo è solo una rinascita illusoria:
[…]sorge la coscienza puramente letteraria, il culto della forma per sé stessa. Gli scrittori non pensarono più a render le loro idee in quella forma più viva e rapida che si offrisse loro innanzi; ma cercarono la bellezza e l’eleganza della forma […]. Intenti più alla forma che al contenuto, poco loro importava la materia, pur che lo stile ritraesse della classica eleganza. Così sorsero i puristi e letterati in Italia, e capi furono Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio.392
Paradossalmente, proprio perché De Sanctis sente che con questo poeta ci si trova in un momento importante di svolta della storia della letteratura, gli riserva molto spazio393. Lui è rappresentante di un’età di transizione tra Dante e Boccaccio che è l’uomo del nuovo secolo, completamente terreno, come lo è il Decameron. Gli ultimi due autori portatori di valori positivi sono Ariosto (cap. XIII) e Machiavelli (cap. XV), poi la caduta diventa sempre più rovinosa e “il mondo teologico-etico del medio evo tocca l’estremo della sua contraddizione […], un mondo puramente umano e naturale, chiuso nell’egoismo individuale, superiore a tutt’i vincoli morali che tengono insieme gli uomini”394. Anche dal punto di vista psicologico De Sanctis, in una valutazione romantica, si sente lontano da Petrarca: quest’ultimo è troppo fiacco, si pone domande perché ha una personalità scissa senza la forza di scioglierne i nodi, mentre Dante ha sempre risposta sicura, perfettamente convinto della sua identità e del posto nel mondo (terreno e ultraterreno) da occupare. In una società italiana incerta il fiorentino diventa l’emblema di un padre sicuro, impegnato, a cui appoggiarsi come modello, con una personalità epurata di ogni debolezza.
La costituzione della nostra identità nazionale è stata possibile anche grazie a queste riflessioni: non hanno semplice valore simbolico della rappresentazione della società che cambia, ma sono la società stessa che parla e che elegge i suoi rappresentanti perché “è la letteratura, anzi la poesia […], il campo primario in cui si elaborano e producono i nuovi valori di patria, nazione, popolo”.395
391
F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, v. I, cit., p. 285.
392 Ivi, pp. 287-288.
393 Al Petrarca ha dedicato un serie di lezioni durante la prima scuola napoletana, che rappresentano un apprendistato
alla successiva critica che viene sviluppata nel 1858 durante una serie di conferenze ( Politecnico di Zurigo). L’esito di queste circonferenze sono riordinate dieci anni più tardi nel volume: Saggio critico sul Petrarca. Nel capitolo della sua
Storia dedicato al poeta, De Sanctis sussume il pensiero del Saggio.
394 F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cit., v. II, p. 621. 395 A. Quondam, Petrarca, l’italiano dimenticato, cit., p. 233.
170 “Leggere è vedere per procura.”
H. Spencer, Studi di sociologia
“La vostra lettura sia moderata. Non sia mai la stanchezza, ma la prudenza a farvela interrompere.” San Girolamo