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La riscoperta ideologica di Dante

Se lo scopo che si propone la trattazione è quello di indagare l’influenza di Dante nell’opera di Nievo, sarà necessario presentare in modo preliminare l’atmosfera culturale italiana in cui avviene la riscoperta ottocentesca del poeta fiorentino:

Nel 1793 Dante riapparve d’un colpo a tutta Italia, non più come remoto e venerando progenitore, ma come il maestro presente e vivo della nuova poesia e letteratura, nei canti di un poema, la Basvilliana del Monti, che dava anima e voce alla reazione antifrancese e antigiacobina provocata dal Terrore.66

L’importanza del Monti in questo processo, che propone prima l’imitazione e poi lo studio di Dante, è sottolineata nelle stesse Confessioni:

non s’impazziva ancora [nel momento in cui Carlino scopre il dantino] pel Trecento; e (…) né il Monti avea scritto la Bassvilliana, […](CI, X, p. 388).

Aldo Vallone, a cui rimandiamo per ogni discorso sul tema67, divide la critica dantesca dell’Ottocento in tre particolari momenti storici: un primo momento neoclassico, che caratterizza gli anni ultimi del Settecento, che potremmo considerare personificato dal Cesari e da uno logica “scrutinaparole”68 in quanto si tratta di una critica soprattutto, ma non completamente, grammaticale senza particolare interesse per lo sfondo storico, e per ogni altro problema che la

Commedia porta. E la questione non è vuota. Tutt’altro! All’epoca è davvero un tema di grande

portata perché il patrimonio linguistico, e culturale, è considerato uno dei primi legami tra i diversi popoli della penisola,

66

C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, pp. 258-259.

67 A. Vallone, La critica dantesca nell’Ottocento, Firenze, L.s Olschki, 1958. 68 V. B. Berchet, Opere, Milano, Pirotta, 1863, p.210.

34 […] l’idea che ciò che […] legava gli uomini e le donne che vivevano sulla penisola fosse l’esistenza di una tradizione intellettuale italiana che datava da Dante, da Petrarca, da Machiavelli […].69

Si difende la lingua come rappresentazione di questa tradizione in quanto “la semplice esistenza di un popolo non era sufficiente a garantirne l’indipendenza: esso doveva avere la forza di affermarsi Stato fra gli Stati”70, deve essere in grado di dimostrare la propria peculiarità rispetto ai popoli vicini, ciò è possibile solo attraverso la costruzione di una coscienza nazionale. Si sente necessario, dunque, preservare la propria lingua da ogni barbarismo straniero71 e si comprende:

Il successo inimmaginabile prima di un movimento come il Purismo, che non ha riscontro altrove nella cultura europea di quegli anni […]. La causa del Cesari era una sola lingua […]. Quel che gli interessava era appunto la lingua da tutti parlata e scritta naturalmente, senza pensarci su più che tanto, nell’antica Italia semplice e incorrotta, e che da tutti sarebbe stata un giorno parlata e scritta allo stesso modo in un’Italia redenta […]. Rappresentante massimo di quell’antica Italia e lingua era Dante […].72

Ci si avvia verso tempi nuovi: l’età romantica, con Leopardi e Foscolo. Sono personalità uniche ed eccellenti, di mente così esemplare, nella loro diversità, che quelli che seguono difficilmente sono in grado di perpetuare la loro genialità. Dante da Foscolo è trasformato in un “predicatore di idee” ed esteriorizzato dal suo tempo:

Quello che anche oggi più impressiona è la varietà e la molteplicità degli interessi [di Foscolo] […] per cui sarà difficile non notare tra lui e i suoi più devoti od anche avversari, gli uni e gli altri dinnanzi a Dante, un distacco enorme. Lasciando il Foscolo si ha l’impressione che l’orizzonte degli studi danteschi si restringa […]. 73

La figura di Dante non risente più del primato di Petrarca, Ariosto e Tasso, e l’ondata di nazionalismo rende fertile il terreno italiano per la riscoperta del poeta fiorentino principalmente in

69 A. M. Banti, La nazione del Risorgimento…, cit., p. 29. 70

M. Rapport, 1848: L’anno della rivoluzione, Bari, Economica Laterza, 2011, p. 168.

71 Facciamo però notare che: “Il patrimonio linguistico e letterario che diversi indicavano come uno dei principali

legami trai popoli della penisola era una questione che riguardava solo fasce ristrettissime di élites colte. Secondo Tullio De Mauro e Arrigo Castellani, al momento dell’Unità d’Italia gli italofoni, ovvero coloro che parlavano correttamente l’italiano come prima lingua, erano un’infima minoranza sul totale della popolazione del neonato Regno d’Italia” in A. M. Banti, La nazione del Risorgimento…, cit., p. 24.

72 C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, cit., pp. 275-276. 73 A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, cit., p. 86.

35 virtù del suo essere stato esule: gli uomini del Risorgimento si sentono novelli esiliati, pronti al sacrificio, all’infamia e nella sua figura percepiscono un loro antenato traendo dalla sua persona “il carattere nazionale” delle loro aspirazioni.

Una visione troppo romantica e forte del potere della letteratura? Non proprio se

[…] dalla memorialistica74 si ricava l’impressione che l’atto dell’illuminazione, nel quale i futuri giovani patrioti del Risorgimento scoprono la nazione italiana, riescono a figurarsela, capiscono che è per lei che è necessario lottare, anche a rischio della propria vita, scatta quando essi si trovano di fronte a testi che proiettano quell’idea su un piano emotivo e simbolico.75

La parola dantesca è investita di significato nazional-patriottico, si fa carico di una missione nazionale e civile. In molti casi abbiamo una vera e propria forzatura: la politica e il patriottismo s’infiltrano nelle questioni di esegetica. In generale è stato notato che:

[…] le immagini e le forme narrative del discorso risorgimentale derivano da modelli preesistenti, opportunamente manipolati e rimontati.76

Lo stesso Nievo negli Studi ricorda Dante come “simbolo e formula parlante dello sviluppo e delle tendenze d’una intera nazionalità” (Studi, p.39). Si arriva dunque ad un “sovraccarico delle intenzioni politiche e civili in Dante confuse con gli insorgenti problemi sociali e con la certezza di singolari annunci profetici”77 dell’unità italiana già ai tempi della Rivoluzione francese, se già allora si trovano accenni a Dante patriota.

Paolo Bellezza78 ha compendiato una ricca gamma di richiami a Dante, sparsi in versi e in prosa e per lo più di personalità oscure, durante il periodo delle insurrezioni italiane che ci mostrano come parole ed azioni dantesche vengono ricalcate con nuovo valore politico ed educativo. Egli cita alcuni passi della Commedia molto fraintesi che “dovevano avere sulle labbra e nel pensiero dei nostri padri una portata e un significato, suscitare nei loro cuori rimpianti, propositi, entusiasmi a

74 Banti ha esaminato un campione di 33 memorie ed epistolari di uomini e donne del Risorgimento, vedi M. Banti, La

nazione del Risorgimento…,cit., p. 32, nota 80.

75 Ivi, pp. 44-45. 76

Ivi, p. 111.

77 A. Vallone, La critica dantesca dell’Ottocento, cit., p. 90. 78 P. Bellezza, Curiosità dantesche, Milano, Hoepli, 1913.

36 noi sconosciuti” 79. E sconosciuto doveva essere anche il vero valore di quei passi che offrivano ottimi riferimenti alla dominazione straniera, alla situazione politica disgregata dell’Italia e alla libertà, a tutte le altre questioni scottanti.

Partiamo dalla questione del Veltro che “è uno del luoghi comuni nella larga fioritura poetica a cui diede occasione l’erezione del monumento al Poeta nel ’65 a Firenze” 80. Dante è prigioniero della selva del peccato, Virgilio gli offre il suo aiuto, inoltre lo mette in guardia dalla cupidigia, vizio grave e torbido che attecchisce all’animo umano tormentandolo bramoso sempre di nuovo denaro. L’unica possibilità di salvezza è rappresentata dalla venuta di un Veltro, simbolo di un riformatore:

Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla,

Eurialo e Turno e Niso di ferute. (If I 106-108)

In questo passo Dante usa il termine Italia accostandole l’aggettivo umile. Questa espressione è di matrice virgiliana

[…] humilemque videmus Italiam […] (En III 522-533)

e nel poema antico ha un valore preminentemente topografico: Enea, dopo aver a lungo navigato, vede la costa bassa e sabbiosa del Salento. Dante riutilizza l’aggettivo, ma con valenza morale per denunciare la condizione di generale decadenza dei tempi.

Torniamo al Veltro: vengono citati Camilla, protagonista femminile dell’Eneide nemica di Enea, Eurialo e Niso troiani e grandi amici tanto che il fato li porta alla morte insieme, e infine Turno latino; Dante menziona mescolando senza distinzione, eroi troiani e eroi latini, per indicare che non esistono vincitori o vinti81, “quei valorosi guerrieri sono morti per una civiltà nuova, nata in parte

79

Ivi, p. 110.

80 A. Vallone, La critica dantesca nell’Ottocento, cit., pp. 113 e sgg.

81 Virgilio usa sempre, in tutta l’Eneide, uguali parole onorevoli per entrambi gli schieramenti chiamati dal fato a

compiere insieme il destino di Enea. Si veda, ad esempio, Turno, nemico dei Troiani: se Enea è pius, Turno non è empio. E’ un giovane valoroso, forte, generoso, venera gli dèi, e come Enea è disposto ad ubbidire al loro volere. Entrambi amano e rispettano i loro padri. Come Enea che ha molto amato la moglie, che però le vien strappata per quel fatale volere divino, Turno ama Lavinia. La sua morte è dolorosa e crudele, ma non ingiusta perché da essa nasce qualcosa di superiore.

37 dalle ceneri di Troia, e diversa da quella che avrebbero saputo sviluppare i latini o i troiani da soli.”82: Roma e il suo Impero.

Spiegato questo, si può certo immaginare come tale immagine abbia fortemente attecchito nei nostri patrioti, e nei letterati, che, di volta in volta e secondo la fazione, hanno additato nelle più diverse personalità colui che sarebbe stato capace di fondere i diversi schieramenti, dopo una guerra fatale, ma necessaria (come quella troiana), attraverso una giusta pace. C’è chi vede in Vittorio Emanuele il Veltro, altri non sono affatto d’accordo con questa interpretazione come si evince dalla lettura dell’articolo “Se il Veltro profetato da Dante sia Vittorio Emanuele” de L’unità Cattolica del 10 maggio 1895, n. 115 (ovviamente la risposta è no. E non ci stupisce affatto trattandosi di una rivista cattolica). Eppure le parole di Dante vengono sentite come profetiche:

Ciò che in lui colpiva i nostri padri, desiderosi di rinnovarsi, era la profonda austerità e nobiltà di coscienza, era l’alta moralità, il carattere adamantino, nemico d’ogni debolezza ed ipocrisia, era il largo spirito di umanità che gli faceva sognare una vita più calma, più felice; era la bella fusione della più pura idealità con la massima tensione ad effettuarla: era insomma l’uomo ideale che s’imponeva ad ogni coscienza: era l’ideale e la forza, il pensiero e l’azione83.

A contribuire alla costituzione di questo mito risorgimentale le fazioni più diverse e disparate, dai cattolici ai liberali, perché Dante viene considerato al di sopra, con la sua figurazione di mito, delle diverse parti, in causa. Tutti citano Dante, tutti nelle sue parole trovavano conforto e ispirazione. La sua è la vicenda esemplare dell‘esule come esuli si sentivano i risorgimentali: lontani dalla loro terra o stranieri in patria che fossero.

In queste letture c’è una certa idealizzazione patriottica: si legge Dante in virtù del fatto che è il primo fra gli esuli e martiri, non per l’ingegno delle sue opere. Non è una vera comprensione perché non si considera il gap esistente tra il tempo presente e l’interpretazione del mondo dell’Alighieri, non lo si legge nel suo contesto culturale, ma attraverso la contemporaneità.

Nel dolore dell’esilio si chiede se tornerà mai in patria e non possiamo dubitare che i nostri patrioti al tempo non abbiano sentito le stesse emozioni, ma in Dante questo desiderio è legato alla restaurazione imperiale inscindibile dal pensiero che solo sotto la guida di un imperatore l’uomo

82

F. Bruni, Italia : vita e avventure di un'idea, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 88.

83 G. Gambarin, Per la fortuna di Dante nel Veneto nella prima metà dell’Ottocento, p. 11, estratto dal «Nuovo Archivio

38 può raggiungere appieno la naturale felicità della rettitudine, della pace e della giustizia84; i patrioti vogliono affermare i propri diritti di libertà come gruppo nazionale agendo dunque, sostanzialmente, con fini e logiche che con il poeta hanno poco a che fare. Con queste premesse sembra impossibile credere che gli studi e tutto ciò che è stato scritto, e pensato, riguardo a Dante nel primo Ottocento costituisca la base dei lavori critici che oggi ci permettono di sondare, forse più sinceramente, Dante e il suo tempo, eppure il rinnovamento metodologico ed esegetico che ha portato la critica ad essere davvero nuova e contemporanea parte proprio da qui.

Da qui in poi analizzeremo tre vocaboli principalmente desunti dalla Commedia –libertà, patria e

Italia- allo scopo di mostrare in quale modo l’Ottocento li faccia propri.

II.1 LIBERTÀ.

Libertà è un vocabolo molto caro all’Alighieri fin dalle prime opere, e contenuto in uno dei passi

che i risorgimentali hanno più letto e amato, ma anche frainteso, mescolando all’interpretazione interessi di partito. I v. 70-72 nel I canto del Purgatorio sono spesso stati letti in chiave politica dando vita a storture interpretative. Conclusa l’attraversata dell’Inferno, Dante e il poeta mantovano si apprestano a scalare il Purgatorio quando incontrano Catone, guardiano del luogo. Il venerando vecchio si oppone alla venuta dei due pellegrini perché il loro andare è in contrasto con le leggi dell’oltretomba. Virgilio cerca di spiegare le motivazioni per cui un vivo può arrivare al monte, attira la benevolenza del pio uomo ricordandogli due elementi a lui cari: la moglie Marzia e l’amore per la libertà, appunto:

Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cerando, ch’è sí cara,

come sa chi per lei vita rifiuta. (Pg I 70-72)

Le leggi divine non sono infrante: Dante è stato soccorso dal momento che era nel punto di smarrirsi nella selva oscura, ha visitato i dannati dell’Inferno e ora deve purificarsi perché solo percorrendo questa via può salvarsi ed essere libero. E Catone dovrebbe conoscere l’importanza di questo bene considerato che ha sacrificato la sua esistenza in Utica per non cadere nelle mani di

84Vedi Ep VI “[1] agli scelleratissimi Fiorentini: Eterni pia providentia Regis, qui dum celestia sua bonitate perpetuat,

infera nostra despiciendo non deserit, sacrosanto Romanorum Imperio res humanas disposuit gubernandas, ut sub tanti serenitate presidii genus mortale quiesceret, et ubique, natura poscente, civiliter degeretus.”, cit., p. 550. I grassetti sono miei.

39 Cesare! Ma la libertà di cui parla Virgilio è intesa in campo morale: è la libertà del libero arbitrio su cui si basa tutto il rapporto dell’uomo con Dio. E’ il massimo dono che Lui ci ha fatto85, è virtù specifica e unica che ci rende simili al Creatore perché anche Dio è libero e liberamente agisce; Catone ha preservato questo principio nella morte. Il discorso ha dunque una veste spirituale e morale, e il tema della libertà, qui e altrove86, è specificatamente collegato al problema dottrinale del libero arbitrio.

Citiamo altri passi per chiarire. Nell’Inferno, al canto XVII, v. 19 e seguenti viene detto: Come tal volta stanno a riva i burchi,

che parte sono in acqua e parte in terra, e come là tra li Tedeschi lurchi

lo bivero s'assetta a far sua guerra, cosí la fiera pessima si stava

su l'orlo che, di pietra, il sabbion serra. (If XVII 19-24)

Dante paragona Gerione ai tedeschi che nell’ottica medievale, piena di pregiudizi per il diverso e il lontano, sono dipinti come golosi, bevitori e gran mangiatori, ovvero come persone voraci nella loro essenza. Sotto la dominazione austriaca queste parole sembrano profetiche e allora non stupiscono i sentimenti negativi dell’aquila asburgica per la Commedia: il governo austriaco applica la censura nella corrispondenza e nei libri, e uno degli autori proibiti nelle università, insieme a Lucrezio, Boccaccio, Alfieri, Hugo e Goethe è proprio Dante. Addirittura ai prigionieri politici non è consentito leggerlo per paura che tale testo fomenti e ravvivi un odio già radicato.

Ancor più conosciuti, e fraintesi, i versi del canto VI, 76 e seguenti, del Purgatorio: Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave sanza nocchiere in gran tempesta,

non donna di province, ma bordello! (Pg VI 76-78)

“Ov’è sì fiacco italiano che leggendo in Dante le parole di Sordello non adori ad un tempo l’amicizia e la misera Italia?” 87. In effetti l’incontro offre a Dante la possibilità di una invettiva che

85 Lo maggior don che Dio per la sua larghezza

fesse creando, e la sua bontade

più conformato, e quel ch’è più apprezza fu de la volontà la libertate (Pd V 19-22)

86

Dante fa riferimento a questo aspetto in molti passi delle sue opere. Nella Commedia soprattutto in

Pg XVI 64-84, XVIII 61-75; Pd I 131-132.

40 analizza la situazione italiana e i patrioti, sotto la dominazione straniera, sentono che questi versi riassumono la situazione di una penisola senza una degna guida, una terra che si prostituisce allo straniero, senza libertà di scelta. Sordello è concittadino di Virgilio perciò i due si abbracciano fraternamente, Dante di fronte a questo reciproco attaccamento alla comune patria prorompe dicendo:

Quell’anima nobile [Sordello] fu così presta, sol per lo dolce suon de la sua terra,

di fare al cittadin suo quivi festa;

e ora in te [cioè nell’Italia] non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode

di quei ch’un muro e una fossa serra. (Pg VI 79-83)

L’Italia è una nave senza pilota perché l’Imperatore Rodolfo (regnante dal 1273 al 1291, e che Dante incontrerà un canto dopo, Pg VII 94-96, nella valletta dei principi a purgare la propria indolenza nell’esercizio delle sue funzioni) e suo figlio Alberto d’Asburgo (regnante dal 1298 al 1308, dunque in carica nel momento in cui l’Alighieri sta compiendo il suo viaggio ultraterreno) sono disinteressati all’Italia. Le speranze che Dante poi pone in Arrigo VII di Lussemburgo derivano proprio dal fatto che lui, a differenza dei predecessori, è interessato a rivendicare pienamente i suoi poteri anche nella penisola, ma la sua incoronazione a Imperatore avverrà solo nel settembre del 1308; per ora il poeta può solo fare questa triste invocazione. All’immagine della nave si aggiunge:

Che val perché ti racconciasse il freno Iustiniano, se la sella è vòta? (Pg VI 88-89)

Giustiniano è imperatore di Costantinopoli dal 527 al 565, redige il Corpus iuris civilis ovvero il diritto pubblico e privato romano che ancora oggi è alla base del nostro diritto: ma a che servono le leggi se non c’è nessuno che le fa rispettare?

I patrioti del Risorgimento s’infiammavano per quest’episodio, nel quale vedevano l’auspicio dell’unità e dell’indipendenza italiana, scivolando sul fatto che vi si nominavano l’imperatore Giustiniano e le leggi romane.88

41 La figura di Giustiniano non è certamente secondaria, infatti ricompare nel canto VI del Paradiso, dove Dante ritorna sul tema della stesura del Codice89, sintesi dell’intero patrimonio giuridico dell’antichità romana. Giustiniano tratteggia inoltre la storia dell’Impero Romano, partendo dal suo troiano fondatore e arrivando al Sacro Romano Impero di Carlo Magno. Il turbamento di fronte a questa dimenticanza deriva dal fatto che il Corpus Iuris Civilis è molto importante per arrivare al diritto dei giorni nostri, è il risultato di una continua opera di sviluppo dei suoi contenuti, ed istituti, per cercare continuamente di adattarlo alle vicissitudini del tempo, essendo considerato il diritto primario per eccellenza. Dante lo conosce bene in quanto l’impulso di questo rinnovamento è vivo, soprattutto, nel periodo medievale in cui il Corpus è oggetto di studio da parte dei Glossatori. Dopo che Dante si è chiesto a cosa servano queste leggi se nessuno si prende l’impegno di farle rispettare, spiega quale sia un altro grave problema che assilla l’Italia:

Ché le città d’Italia tutte piene son di tiranni […] (Pg VI 124-125)

Alcuni tiranni Dante li ha già incontrati nell’Inferno al cerchio VII, nel 1° girone, nominati dal centauro Nesso; nonostante si trovino a purgare la loro pena insieme ad altri violenti sono immersi fino alla fronte nel Flegetonte, un fiume di sangue bollente, segno che loro colpa è considerata maggiore rispetto a quella, per esempio, degli omicidi che emergono invece dalla gola in su. Questo avviene perché i tiranni esercitano il potere, che hanno conquistato in modo illegittimo, con violenza e crudeltà; tiranno è colui che si impadronisce dalla libertà dei suoi sudditi e usa i vantaggi del potere solo a titolo personale ed egoistico (Mn III IV 10). L’orrore che Dante prova verso di essi dipende anche dal fatto che non solo prendono il sopravvento in una città, ma creano guerre fra queste stesse. Per noi è fin troppo facile “osservare che Dante non è patriota dell’Ottocento […]”90, e certamente si riferiva a un ben altro tipo di tiranno, ma la letteratura e il teatro dell’Ottocento si entusiasmano alle parole di questo canto.

Nei risorgimentali le aspirazioni sono di tipo nazionale e costituzionale, quelle di Dante sono