Concludiamo la nostra trattazione riservando uno spazio ad un canto dantesco ed a una figura, Francesca da Rimini, che è un vero e proprio mito la cui vitalità è notabile fin dal Trecento, ma particolarmente forte nell’Ottocento.
In linea con la nostra tematica partiamo sempre da Nievo che nella raccolta poetica Gli amori
garibaldini utilizza questa figura per raccontare una sua personale vicenda amorosa che ha alcune
connessioni con l’episodio di cui si vuole trattare. La cosa non dovrebbe stupire perché questa raccolta si costituisce come un diario in versi, un taccuino che Ippolito si porta appresso per registrare non solo quello che sta accadendo, ma anche stati d’animo e pensieri in attesa di un avvenimento che metta in moto il fluire della Storia. Le poesie coprono un anno intero, dall’aprile del 1859 a quello del ‘60; nella notte del 5-6 maggio la Storia gli permetterà di imbarcarsi sul
Lombardo, insieme ai Mille di Giuseppe Garibaldi, e così di sperimentare ancora una volta
l’impegno del vero. Spesso il pensiero, in questi componimenti, corre all’amata, anche se Nievo preferisce tacerne il nome. Ella appare anonima per la prima volta nel componimento Il primo
giorno445 come “quest’altra bella che mi fa tremante”446. Nievo dice quest’altra perché a questo amore, che nella nostra trattazione abbiamo chiamato profano, si contrappone la patria. E’ stato notato come in questa prima menzione della donna amata aleggi l’episodio di Paolo e Francesca rievocato dall’aggettivo tremante, v. 4447, collegato alle labbra amate, del v. 10.448 Questo collegamento è facilmente rilevabile anche nel componimento Una nuvola scura449, che riportiamo interamente perché completamente intessuto non solo di una atmosfera dantesca, ma anche di calchi semantici:
445 Il primo giorno, in Gli Amori Garibaldini, cit., p. 493. 446 Ivi, v. 4, p. 493.
447
Ivi, v. 4, p.493
448 Ivi, v. 10, p. 493.
197 Si, ti sento. Un velen che a poco a poco
L’anima mi corrode, un lampo d’ira Fra tempeste di pianto, un gelo, un foco Che or sù, or giù, di qua, di là, ne aggira; Nè chieder pace, né l’obblio che invoco, Nè la virtù che indarno si sospira,
Né sperar giova! Tutto è fumo e gioco, Tutto nel nulla a riposar m’attira. O Amore, i doni tuoi ben li discerne Chi ricorda di Paolo e Francesca L’orrendo unico vol per l’ombre eterne. Furia, scherno, o viltà, perch’io derido Le tue fole immortali, e perché s’esca Dai tuoi tormenti alfin, con me t’uccido!
La prima impressione che trasmette questa poesia non è certo di positività, eppure il successivo componimento, Una nuvola nera450, indica –con quell’aggettivo che segna un peggioramento rispetto a scura- come la situazione possa farsi ancor più drammatica “nel senso della compatibilità di esso con l’amor di Patria, della capacità di Bice di comprendere le sue scelte”451.
Tornando alla poesia Una nuvola scura notiamo che l’atmosfera psicologica che vi aleggia ricorda le prime sensazioni provate da Dante varcata la porta che conduce all’Inferno:
Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l’aere sanza stelle, per ch’io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche […]
[…] tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo (If III 22-87)
Ma alcuni versi rimandano più nello specifico, anche dal punto di vista degli elementi che agiscono nel componimento, al canto V dell’Inferno, quello dei lussuriosi. Infatti troviamo un’allusione al forte vento che senza fermarsi mai trascina gli spiriti per tutto il secondo girone:
La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina;
450
Una nuvola nera, in Gli Amori garibaldini, cit., p. 500.
198 voltando e percotendo li molesta
[…]
così quel fiato li spiriti mali
Di qua, di là, di giù, di su li mena (If V31-43)
La bufera è la pena a cui debbono sottostare, per contrappasso, i lussuriosi: come nella vita si sono abbandonati alla passione dei sensi sovvertendo il loro ordine morale interiore, così ora sono sottomessi a questa tempesta che non si acquieta e non si arresta mai. Due sono i peccatori con cui Dante parla: Paolo e Francesca. In realtà è solo la donna che dialoga con il fiorentino, Paolo si limita a piangere e la menzione specifica delle due figure nel componimento potrebbe essere letta alla luce del rapporto amoroso che Nievo ha instaurato con Bice Melzi. In realtà non è ancora chiaro e dato per assodato l’esistenza di un amore tra i due: la maggior parte della critica lo accetta, altri lo ammettono, ma apponendone una matrice platonica alla luce del fatto che Bice è maritata al cugino di lui, Carlo Gobio452, amico dello scrittore e che alla sua morte si reca in Sicilia per avere sue notizie453. Proprio questa particolare situazione a tre potrebbe andare a spiegare l’uso dell’episodio dantesco. Bice, insieme a Carlo, fratello di Nievo, è l’unica a conoscenza della partenza di Ippolito per il Mezzogiorno e soprattutto è a lei che Ippolito annuncia la fine della stesura delle Confessioni. Il problema nello stabilire la natura di questo rapporto si spiega con la parentela che intercorre tra gli amanti e con il silenzio rispettoso con cui la famiglia di Ippolito ha sempre accolto questa situazione.
Nel canto dantesco viene ricordata la vicenda di Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, che viene data in sposa probabilmente tra il 1275 e il 1282, per motivi politici, a Gian Ciotto (o Gianni Ciotto) Malatesta, signore di Rimini, che pare essere stato un uomo brutto e deforme. Successivamente la donna si innamora di Paolo, suo cognato; i due innamorati vengono sorpresi e uccisi dal marito di lei che “Caina attende” (If V 107). Il racconto di Dante è l’unica notizia che abbiamo di questo dramma adulterino e della relativa morte degli amanti, nessuna menzione dei fatti in documenti o cronache del tempo.
452 Carlo Gobio è per metà cugino di primo grado dello scrittore perché la madre di Carlo, Laura Nievo, è la sorellastra
di Antonio, padre di Ippolito. Dalla parte del padre, Federico Gobio, Carlo è cugino di primo grado di Antonio, e dunque pure cugino di secondo grado di Ippolito (Federico Gobio è fratello di una certa Marianna che sposa Alessandro Nievo diventando nonna paterna del nostro scrittore).
453 Tra i più importanti biografi che sostengono questo amore: troviamo D. Mantovani, Il poeta soldato, cit., pp. 227-
230 e, appunto, M. Gorra. Accetta l’idea, ma ammendo che fosse amore platonico: C. Jorio, Nievo morale, in Atti e memorie dell’Accademia Virgiliana di Mantova, vol. XXXVIII, Mantova, 1970, pp. 162-180. Altri sono convinti che si tratti di una donna diversa: N. Taroni, Ippolito Nievo, Milano, Sonzogno, 1932, pp. 68-75 e U. Gallo, Nievo, Genova, Emiliano degli Orfini, 1932.
199 Francesca racconta la sua storia a Dante anche se non “c’è maggior dolore/ che ricordarsi del tempo felice ne la miseria” (If V 121-123). La citazione di questi versi è presente anche in una lettera che Nievo scrive a Caterina Curti del 7 aprile del 1858:
Intanto il fatto sta ch’io sono tornato com’era quest’Ottobre; anzi peggio di allora per la faccenda del Nessun maggior dolore, che ricordarsi etc. etc. (Che birbone d’un Dante! Come avea preveduto tutto!)454
Che il riferimento vada Bice o no, possiamo comunque trarre dal passo una riflessione: come il protagonista delle Confessioni considera Dante un importante maestro che lo traghetta non solo verso il compimento di sé come uomo politico, ma anche come uomo sensibile, -e infatti Carlino ci ragguaglia sull’importanza dal dantino proprio a partire dai patimenti a cui lo obbliga la Pisana- anche Nievo è legato all’Alighieri dallo stesso sentimento. In ogni caso Ippolito potrebbe provare empatia per questo episodio perché vi ritrova una situazione analoga a quella che vive realmente, sempre dando per buono il rapporto con Bice:
La situazione psicologica narrata da Dante è comparabile a quella che avrebbero vissuto Ippolito, Bice e Carlo, poiché nelle due situazioni a tre gli uomini sono parenti stretti.455
Allora si capisce quell’immagine iniziale dell’Amore come veleno capace di offrire solo la furia, lo scherno e la viltà come doni.
Nella raccolta poetica amore, come sostantivo o aggettivo, è il lemma che ha più alta frequenza (56), seguito da cuore (47): non è sempre collegabile alla donna, a volte il riferimento è alla patria e all’Italia, e la cosa non ci stupisce più di tanto, anche alla luce di quell’amore di patria di cui abbiamo discusso precedentemente.
In generale l’episodio di Paolo e Francesca è uno dei più amati in assoluto, ma è nell’Ottocento, anche alla luce della nuova sensibilità romantica affascinata dalle donne peccatrici, cadute in rovina sotto il giogo dell’amore, che ha il suo periodo d’oro:
Anche i contemporanei [di Dante] furono attratti da questa vicenda, a partire da Boccaccio, e molti furono, nel periodo romantico, gli imitatori che ne fecero mille imitazioni sempre inferiori al modello.456
454 Lettera a Caterina Curti Melzi, 7 aprile 1858 , n.322, p. 283. 455 E. C. Lesourd, Ippolito Nievo. Uno scrittore politico, cit., p. 127.
200 Il Romanticismo sembra apprezzare dell’episodio la torbida vicenda familiare che offre nell’immaginario una corrispondenza con le lotte tra fratelli italiani di fazione politica diversa. La divisione interna, che favorisce l’oppressione del popolo italiano da parte degli stranieri, è uno degli elementi tipici degli intrecci delle opere letterarie del canone risorgimentale. La divisione della nazione è rottura dei rapporti parentali primari perché la comunità nazionale è, prima di essere comunità politica, di sangue. Dunque spesso gli scrittori insistono sul tema delle lotte tra fratelli per dimostrare “il più grave dei delitti sociali” ovvero la rottura del carattere naturale della comunità che è invece destinata ad essere “una, indivisibile”457.
Il primo critico romantico dell’episodio è Foscolo le cui pagine sono “tanto carenti nell’imprecisa impostazione storica dell’episodio […], quanto grondanti di pregiudiziali e sovrapposizioni autobiografiche e psicologiche, nelle quali si urtano l’idealismo e il realismo romantico-borghese”
458
. E il lavoro di Foscolo “coincide con il lancio […] di una Francesca eroina di un amore travolgente e passionale, interprete psicologizzate delle istanze borghesi, delle rivendicazioni ideologiche del tempo”459. Tutto ciò porta a mitizzare la sua figura forzando la mano a quella critica che invece tende a lavorare con più obiettività storica.
Silvio Pellico, sulle orme di Alfieri che riporta in auge il teatro tragico, scrive il dramma
Francesca da Rimini (rappresentato nel 1815 e pubblicato tre anni dopo) che attesta la vitalità e
l’interesse di questo episodio. Portiamo questo esempio anche perché Pellico nella nostra trattazione è stato menzionato come appartenente alla “diversa famiglia di letterati” nelle
Confessioni. L’intreccio è quello dantesco dei due fratelli, Paolo e Lanciotto, innamorati di
Francesca, ma la caratterizzazione dei personaggi del dramma risente di determinati intenti pedagogici, allontanandosi e interferendo con la vera impostazione psicologica quale è quella del poema. Ciò si vede soprattutto nel personaggio di Paolo, che invece in Dante è muto. Egli è il primo dei fratelli ad incontrare la donna, è inviato a Rimini dal padre per una missione di pace, e il primo ad innamorarsene (non si sono dichiarati reciprocamente solo per una mancanza di tempo).
456 G. Finocchiaro Chimirri, Francesca da Rimini nella fruizione ottocentesca mediata dal Pellico, in «Studi Danteschi
», XLIX, 1972, p. 225.
457 G. Mazzini, Dei dover dell’uomo, in ID., Scritti editi e inediti, Galeati, Imola, 1935, LXIX, pp. 21, 64. 458
V A. E. Quaglio e M. Luberti, Enciclopedia dantesca, s.v. Francesca Bisogna anche ammettere che “affiorano da questa lettura […] alcune felici intuizioni”.