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L’archetipo del processo penale per l’accertamento dell’illecito amministrativo

Prima ancora di soffermarsi sulle motivazioni tecnico-giuridiche insite nella scelta di devolvere al giudice penale la cognizione di un fatto definito come illecito

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Cfr., BELLUTA, Le disposizioni generali sul processo agli enti, cit., p. 48. 75

Deve segnalarsi che sull’applicabilità del principio di obbligatorietà dell’azione penale all’accertamento dell’illecito dell’ente non vi è convergenza di vedute. Si esprime favorevolmente BELLUTA, Le disposizioni generali sul processo agli enti, cit., p. 29 e ID., sub art. 34, in La responsabilità degli enti. Commento articolo per articolo, cit., p. 349 s.; FERRUA, Il processo penale contro gli enti: incoerenze e anomalie nelle regole di accertamento, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 225, il quale dubita, in riferimento all’art. 112 Cost., che la procedura archiviativa prescritta dall’art. 58 d. lgs. n. 231 del 2001 (condotta dal pubblico ministero e svuotata del controllo giurisdizionale) sia costituzionalmente legittima. Di diverso avviso, AMODIO, Prevenzione del rischio penale di impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti, in Cass. pen., 2005, p. 334, che sottolinea la superfluità di richiamare il canone dell’obbligatorietà dato che l’illecito dell’ente presenta una struttura ritagliata su schemi civilistici.

Quanto alla operatività del principio ex art. 27 comma 2 Cost., in relazione alla societas, si esprime in termini dubbiosi MOSCARINI, Le cautele interdittive penali contro gli enti, in Riv. dir. proc., 2003, p. 1124 ss.; ad avviso dell’autore, infatti, tale garanzia va riferita solamente all’essere umano. Contra, PRESUTTI, sub art. 45, cit., p. 412, per la quale la peculiare fisionomia del soggetto coinvolto nella vicenda processuale non rappresenta una controindicazione all’estensione del principio in esame alla situazione dell’ente che, con la decisione di equipararlo all’imputato, lo si è voluto mettere nella condizione di fruire di tutte le garanzie spettanti alla persona fisica.

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Nella prima categoria rientra la quasi totalità delle disposizioni processuali dettate per l’ente visto che il legislatore, nel d. lgs. n. 231 del 2001, non ha optato per la creazione di un modello di accertamento alternativo e autonomo rispetto a quello codicistico; al contrario, ricorrendo alla clausola di compatibilità, si è per lo più affidato alle dinamiche del codice di procedura penale. Ciò nondimeno, è dato ravvisare un gruppo di norme ad altro tasso di specificità, come ad esempio gli artt. 49 e 65, su cui v. infra, cap. III, sez. II.

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amministrativo77, è bene effettuare qualche breve osservazione di carattere politico-culturale.

L’allarme creato a livello globale dalle manifestazioni del corporate crime ha, come si è visto, generato nei diversi ordinamenti giuridici la rincorsa a forme di controllo dell’attività d’impresa allo scopo di prevenire la perpetrazione di reati al suo interno. Alla base di questo atteggiamento, vi è la presa di coscienza dell’imprescindibile necessità di trattare gli enti collettivi come soggetti che, alla stregua delle persone fisiche, possono e devono essere puniti in caso di condotta illecita. Naturalmente la maturazione di questo pensiero prende le mosse dall’analisi del nuovo volto manageriale dell’impresa che, lungi dal presentarsi come fictio contrattuale, possiede una propria condizione di vita ravvisabile nel tipo di strategia commerciale adottata, nella sua tradizione e cultura; di regola impostata secondo scelte aziendali virtuose e, quindi, capace di diffondere al suo interno il valore della legalità, tale condizione potrebbe comunque risentire di disfunzioni idonee ad aprire spazi alla commissione di reati78.

In questo contesto l’impatto della previsione di una responsabilità degli enti (d. lgs. n. 231 del 2001) che colpisce, quanto alla possibilità stessa di una sua attribuzione79, al cuore dell’organizzazione e della gestione aziendale in sinergia con la minaccia del processo e della sanzione “penale” assume un significato ben preciso80. Nell’ottica dell’impresa che opera in virtù di meccanismi organizzativi, gestionali e decisori improntati alla legalità e alla trasparenza, questo sistema ha, da un lato, l’effetto di confermare il modello culturale intrapreso, dall’altro, quello di allertare l’impresa interessata da vicende modificative (fusione, trasformazione, scissione) circa la necessità di mantenere un assetto comunque volto alla prevenzione di reati; la strategia modificativa, a volte necessitata dalle dinamiche concorrenziali del mercato economico, non paga, infatti, ai fini dell’immunità dalla sanzione poiché la normativa del 2001

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V. infra, § 3, 4 e 5. 78

Per un collegamento tra la disciplina italiana sulla responsabilità degli enti e la moderna realtà aziendale di un impresa manageriale, considerata agli antipodi rispetto a quella imprenditoriale a carattere familiare, cfr., BASTIA, Implicazioni organizzative e gestionali della responsabilità amministrativa delle aziende, cit., p. 35 ss.

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Il riferimento è agli artt. 6 e 7 d. lgs. n. 231 del 2001 su cui v. infra, § 3. 80

In realtà, l’art. 9 d. lgs. n. 231 del 2001 parla di sanzioni amministrative; taluna dottrina, tuttavia, ha messo in evidenza come, al di là della definizione formale, la natura di tali sanzioni sia essenzialmente penale; al riguardo, fra gli altri, PALIERO, Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, cit., p. 845.

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contempla il principio di continuità del procedimento nei confronti dell’ente risultante dalla modifica medesima81.

Viceversa, nei riguardi dell’impresa reticente ad adeguarsi a standards di legalità, la predisposizione di un sistema di responsabilità degli enti assume efficacia dissuasiva se si pone mente alla logica di prevenzione generale e speciale sottostante. L’obiettivo perseguito dall’ordinamento non è infatti quello di punire l’ente ma di prevenire il rischio di commissione di reati82. Per perseguire tale finalità il legislatore induce la persona giuridica a regolamentare la propria struttura attraverso l’adozione e attuazione di idonei modelli organizzativi83 minacciando di azionare un armamentario sanzionatorio piuttosto aggressivo per la sua vita qualora l’invito rimanesse inascoltato84. Nel caso contrario e unitamente ad altre tipizzate forme di riparazione (risarcimento del danno e riparazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato), si garantisce all’ente, in presenza di una condanna, un premio consistente nella riduzione della sanzione pecuniaria (art. 12 comma 2) nonché, se previste e a patto che vengano integrati determinati presupposti (art. 13), nell’inapplicabilità di quelle

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L’art. 42 d. lgs. 231 del 2001 stabilisce che «nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti da tali vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo, nello stato in cui lo stesso si trova, depositando la dichiarazione di cui all’articolo 39, comma 2».

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In questi termini, espressamente la Relazione al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 43. 83

La letteratura sui modelli organizzativi è molto vasta; a titolo esemplificativo, cfr., BASTIA, I modelli organizzativi, in AA.VV., Reati e responsabilità degli enti.Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, a cura di Lattanzi, Milano, 2005, p. 133 ss.; AA.VV., I modelli organizzativi ex d. lgs. 231/2001. Etica d’impresa e punibilità degli enti, a cura di Monesi, Milano, 2005; BERNASCONI, Modelli organizzativi, regole di giudizio e profili probatori, in AA.VV., Il processo penale de societate, cit., p. 55 ss.; RORDORF, La normativa sui modelli di organizzazione dell’ente, in AA.VV., Responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse, cit., p. 79 ss.; ID., I criteri di attribuzione della responsabilità. I modelli organizzativi idonei e gestionali idonei a prevenire i reati, in Le società, 2001, p. 1300 ss. V., ampiamente, infra, cap. III.

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È noto che il sistema sanzionatorio degli enti è di tipo binario; da un lato, infatti, si prevede l’applicazione – indefettibile – della sanzione pecuniaria; dall’altro, e solo nei casi più gravi (art. 13) l’applicazione delle sanzioni interdittive, vale a dire l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi (art. 9 comma 2).

Su di esse influiscono, nei termini specificati nel corpo del testo, le condotte riparatorie che, per converso, non giocano alcun ruolo nei confronti delle restanti sanzioni, cioè a dire la pubblicazione della sentenza (art. 18) e la confisca (art. 19); la prima, per l’ovvia ragione che, essendo accessoria alle sanzioni interdittive, non si applica se neppure queste ultime vengono irrogate, circostanza che richede, come già precisato, comportamenti latu sensu ripristinatori. La seconda, in quanto possiede carattere assoluto, per cui si applica sempre in presenza di una condanna, sussistendone i presupposti. Si noti, peraltro, che tra le condotte “liberatorie” è prevista, all’art. 17 comma 1 lett. c, la messa a disposizione da parte dell’ente del profitto conseguito ai fini della confisca.

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interdittive (art. 17). Ne consegue che, in virtù di questo scambio, la prevenzione del rischio d’impresa diventa obiettivo comune dell’ente e dell’ordinamento e tale corrispondenza viene assicurata proprio dal carattere premiale della giustizia de

societate. Al riguardo, deve precisarsi che la filosofia preventiva, generale e speciale,

del sistema di responsabilità in esame non interessa solamente l’aspetto sanzionatorio ma marchia anche lo stesso processo che, con una sostanziale presa di distanza rispetto a quello della persona fisica, acquisisce innovativi compiti di orientamento dell’attività degli operatori economici85.

Dimostra l’assunto la lettura congiunta degli artt. 17, 49 e 65 d. lgs. n. 231 del 2001, norme da cui emerge chiaramente la fisionomia promozionale del processo agli enti. Gli istituti ivi disciplinati, infatti, offrono alla persona giuridica, incolpata di un illecito amministrativo, la possibilità di evitare l’applicazione di una misura cautelare interdittiva ovvero una condanna alla sanzione interdittiva se durante il procedimento – al limite entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – essa assume condotte risarcitorie, riparatorie e riorganizzative86. Si tratta di momenti processuali che schiudono l’intentio del legislatore di utilizzare lo strumento del rito penale soprattutto come luogo destinato alla catarsi etica dell’impresa.

Allontanandoci dalla prospettiva aziendale e passando invece a valutazioni di ordine sociale, non si può trascurare di notare come la riconduzione dell’accertamento di responsabilità dell’ente nell’ambito del processo penale rifletta la giusta carica di riprovevolezza per comportamenti fortemente pericolosi e nocivi per la salute dell’economia.

Così inquadrato il “ruolo politico” del processo penale nel sistema del d. lgs. n. 231 del 2001, è l’art. 36 di tale decreto che raccoglie normativamente questa opzione processuale stabilendo, al comma primo, che «la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono». Tale norma, se per un verso può apparire scontata poiché il suo contenuto esprime un concetto ovvio, e cioè che ad attrarre nella giurisdizione penale la vicenda dell’ente è il fatto di reato, essa ha comunque il pregio di indicare questo tipo di

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Sulle finalità preventive del sistema sanzionatorio predisposto nei confronti dell’ente, v. PIERGALLINI, Sistema sanzionatorio e reati previsti dal codice penale, cit., p. 1362 ss.

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giurisdizione – e non altra – tanto per l’accertamento dell’illecito quanto per quello del reato87.

A ben vedere non può essere sottaciuta la portata di questa conclusione. Basta riflettere sul fatto che diverse avrebbero potuto essere le strade da percorrere per ottenere l’accertamento dell’illecito dell’ente; ad esempio, trasferire quest’ultimo in sede amministrativa una volta emessa la sentenza concernente il reato nei confronti della persona fisica88. Né si può dire che non vi sia in dottrina un certo scetticismo circa l’opportunità di aver “scomodato” la macchina giudiziaria penale per scopi di responsabilizzazione dell’ente e quindi di prevenzione che non le sono propri e che, viceversa, avrebbero potuto essere più efficacemente raggiunti optando per il procedimento amministrativo89.

In realtà, anche a voler condividere questo tipo di obiezioni, si ritiene che l’approdo di un simile ragionamento, e cioè l’attribuzione dell’illecito amministrativo da reato all’autorità amministrativa, avrebbe sofferto di una certa incuranza del dato giuridico. E cioè che l’incolpazione dell’ente comporta conseguenze sanzionatorie così pesanti – si pensi soltanto all’interdizione dall’esercizio dell’attività, applicabile anche in via definitiva (artt. 9 comma 2 lett. a e 16 comma 1 d. lgs. n. 231 del 2001) – da richiedere l’impianto garantistico offerto dal processo penale90.

3. (Segue). Il reato come presupposto della responsabilità dell’ente.

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V. infra, § 3. 88

Si noti che questa era la soluzione prevista nel d.d.l. n. 3915/S; v. supra, nt. 58. 89

Cfr., RONCO, Responsabilità delle persone giuridiche: I) Diritto penale, cit., p. 2, il quale, criticamente, considera la scelta del paradigma penale operata dal Governo con il d. lgs. n. 231 del 2001 inadeguata a far fronte alle istanze di prevenzione necessarie per garantire il corretto svolgimento dell’attività economica. Per un verso, il sistema penale punta a valorizzare il momento repressivo su quello preventivo e perciò risulta gravato di una serie di garanzie che ostacolano la prontezza della risposta preventiva. Per altro verso, appare incoerente affidare accertamento dell’illecito, l’applicazione delle sanzioni e il controllo di effettività alla giurisdizione penale, strutturalmente inidonea ad affrontare il carico di lavoro implicato dalla riforma in esame.

Esprime forti dubbi sul fatto che il processo penale possa diventare il luogo della rieducazione dell’ente onde prevenire il pericolo della recidiva, anche CERESA-GASTALDO, La responsabilità degli enti: profili di diritto processuale, in Atti del XXV Convegno di studio Enrico de Nicola, Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, tenutosi a Milano 14-15 marzo 2008, dattiloscritto, p. 15.

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Esaustivo al riguardo NUZZO, Primi appunti sugli aspetti probatori e sulle decisioni finali concernenti l’illecito amministrativo dipendente da reato, in Arch. n. proc. pen., 2001, 455, che chiosa in siffatta maniera «la costruzione di un sottosistema, all’interno del quale l’impronta di origine penale emerge con immediatezza, ha reso anche ineludibile una diversa calibratura dei moduli procedimentali, in quanto le disposizioni della L. 24 novembre 1981, n. 689 sull’illecito amministrativo non sarebbero state in grado di assicurare le necessarie esigenze di garanzia in vista dei gravi esiti contemplati dal D.L.vo 231/2001»; v. ampiamente, infra, § 5.

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Proprio l’esistenza di un reato costituisce il primo tassello del mosaico raffigurante la complessa figura dell’illecito amministrativo; non è un caso, quindi, che la scelta del processo penale per accertare la responsabilità dell’ente sia stata motivata insistendo sul fatto che il reato ne costituisce il presupposto91. Si noti, peraltro, che alla base di tale responsabilità vi è un unico evento storico che assurge, da un lato, a reato per la persona fisica che lo ha commesso, dall’altro, in uno con altri elementi normativi, ad illecito amministrativo per gli organismi collettivi92.

È significativo, innanzitutto, sottolineare che il reato matrice della responsabilità dell’ente deve consistere in un fatto tipico e antigiuridico; non occorrerebbe, in altri termini, la realizzazione di un reato completo in tutti i suoi elementi, oggettivo e soggettivo. Ciò, si ricava dall’art. 8 comma 1 lett. a del decreto legislativo in esame, norma che sancisce l’autonomia della responsabilità dell’ente stabilendone la sussistenza anche quando l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile. In questi casi viene, infatti, a mancare l’elemento essenziale della colpevolezza non essendo all’evidenza possibile muovere un rimprovero di tal fatta posto che l’imputabilità è presupposto della colpevolezza stessa mentre l’identificazione costituisce la condizione essenziale per ancorare il reato al suo autore93. Criticata sotto il profilo penalistico del principio di colpevolezza94, tale opzione processuale si spiega

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Sostiene PULITANÒ, La responsabilità “da reato” degli enti: i criteri d’imputazione, cit., p. 417, che «il problema, cui si è ritenuto di rispondere istituendo la nuova forma di responsabilità degli enti, sorge dentro il terreno penalistico: la questione concerne una responsabilità direttamente raccordata al presupposto penalistico della commissione di reati».

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Cfr., MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, cit., p. 8.

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Per DE SIMONE, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 115, non si può parlare di reato ma soltanto di un illecito o forse di un qualcosa di meno «se è vero che non può escludersi che lo stesso giudizio di antigiuridicità richieda in concreto l’individuazione dell’autore del fatto».

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Cfr., MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, cit., p. 9 e VIGNOLI, Societas puniri potest: profili critici di un’autonoma responsabilità dell’ente collettivo, in Dir. proc. pen., 2004, 909 s.

A ben vedere, ulteriori rilievi critici sono stati mossi alla disposizione in commento. Per un verso, questa è stata ritenuta in contrasto con il principio di legalità espresso nell’art. 2 d. lgs. n. 231 del 2001 poiché, in caso di mancata identificazione dell’autore del reato, lascia alla discrezionalità del giudice la scelta circa il regime di responsabilità da adottare, se cioè quello previsto nell’art. 6 (in cui il reato viene commesso dal soggetto apicale) oppure quello delineato nell’art. 7 (ove il soggetto attivo della fattispecie penale è un subordinato). Ciò, naturalmente, con tutte le conseguenze che ne derivano in punto di prova della colpa di organizzazione, stante il diverso regime previsto nelle ipotesi suindicate. Così, PECORELLA, Principi generali e criteri di attribuzione della responsabilità, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, cit., p, 81. Per altro verso, si è sottolineato come la previsione in esame, se giustificabile in presenza di reati matrice di natura colposa, appaia inspiegabile alla luce di reati come la corruzione in cui l’ipotesi di autore ignoto o non imputabile rappresenta un’eventualità assai remota. Cfr., al riguardo, PALIERO, La responsabilità penale della persona giuridica nell’ordinamento italiano:

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nondimeno in ragione dell’efficienza repressiva del corporate crime, spesso manifestazione di condotte anonime. Deve essere valutata in quest’ottica, e cioè nell’esigenza di superare le difficoltà connesse all’individuazione della persona fisica autrice del reato a motivo della complessità organizzativa dell’impresa moderna, l’introduzione nei diversi ordinamenti giuridici di forme di responsabilità penale o amministrativa delle persone giuridiche95.

Al di là del profilo dogmatico, non si possono tralasciare le ripercussioni che la disposizione in questione, siccome «norma di diritto processuale»96, produce sul piano dell’accertamento. Affermare l’autonomia dell’illecito amministrativo dell’ente dal reato presupposto della persona fisica vuol dire che la cognizione del primo non è preclusa da determinati esiti del procedimento penale nei confronti della persona fisica, quali un decreto di archiviazione o una sentenza di proscioglimento. Naturalmente, essendo il fatto di reato una condizione indispensabile ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’ente, non si può prescindere dal suo accertamento che verrà nelle ipotesi suindicate compiuto incidenter tantum dal giudice della responsabilità amministrativa. Conclusione, quest’ultima, confermata anche dall’art. 38 che, dopo aver fissato la regola del cumulo delle regiudicande (penale e amministrativa) ammette la possibilità che esse vengano separate e che il procedimento relativo all’addebito dell’ente prosegua con cognizione incidentale del reato97. Si tratta, tuttavia, di una autonomia processuale che conosce limiti collegati all’insorgere di specifici accadimenti riguardanti l’iter del procedimento penale. In specie, non può esserci accertamento dell’illecito della societas nelle ipotesi contemplate nell’art. 37, di improcedibilità o improseguibilità dell’azione penale98; in caso di reato estinto per prescrizione all’atto di profili sistematici, cit., p. 28. Tale critica, tuttavia, poteva avere un valore pregnante in riferimento al prospetto originario dei reati presupposto previsti nel d. lgs. n. 231 del 2001, prevalentemente a struttura dolosa; tende invece a sfumare se si considera il progressivo allargamento della responsabilità dell’ente a fattispecie di natura colposa come quelle in materia di infortuni sul lavoro (art. 25-septies) che, peraltro, si profilano ricorrenti nella prassi.

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V. la Relazione al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, cit., p. 38. Commenta BERNASCONI, Modelli organizzativi, regole di giudizio e profili probatori, cit., p. 63: «ancora una volta, si assiste, dunque, ad un fenomeno che ci si augurava confinato nelle stagioni della emergenza e delle così dette “necessità di contrasto” della criminalità organizzata ed eversiva: il diritto penale si funzionalizza al diritto processuale, diventa servente rispetto a quest’ultimo».

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AMODIO, Prevenzione del rischio penale di impresa e modelli integrati di responsabilità degli enti, cit., p. 330.

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V., ampiamente, infra, § 7 e seguenti. 98

Secondo una parte della dottrina sarebbe infatti contraddittorio procedere a carico dell’ente quando l’azione penale non può essere esercitata nei confronti della persona fisica, tanto più se l’impedimento deriva dalla mancanza di querela o istanza di procedimento; in questi casi infatti procedere nei confronti dell’ente varrebbe «a rendere inoperante la stessa condizione di procedibilità, per la cui rimozione il legislatore richiede l’intervento del soggetto leso». In questi

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procedere alla contestazione della responsabilità “associativa” (art. 60); infine, in caso