• Non ci sono risultati.

Epiloghi: la sentenza ex art. 129 c.p.p., il rigetto dell’accordo, la sentenza di patteggiamento

Nel solco della tradizione, restano tre i possibili esiti della richiesta delle parti di applicazione di una sanzione.

Innanzitutto, il giudice può emettere una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.; come già si è sottolineato, tale epilogo rappresenta una garanzia che viene offerta all’imputato e, in virtù dell’art. 35 d. lgs. n. 231 del 2001, anche all’ente. Naturalmente non si propone come conclusione ordinaria posto che le parti, prima di accordarsi sull’applicazione della sanzione concordata, dovrebbero escludere l’emergenza dagli atti di indagine di prove positive di esclusione della responsabilità amministrativa.

Il richiamo all’art. 129 c.p.p. permette di recuperare, anche nel processo all’ente, l’insieme delle formule terminative ivi contenute, compresa la regola di giudizio di cui al secondo comma che sancisce la prevalenza della formula di merito su quella estintiva, di rito141.

Già si detto dei requisiti formali di tale sentenza; deve essere motivata, a pena di nullità, secondo quanto si evince dagli artt. 125 comma 3 c.p.p. e 546 c.p.p. e deve contenere la formula di proscioglimento adottata con annesse le ragioni che ne hanno determinato la scelta.

140

Cfr., Trib. Pordenone, 4 novembre 2002, Soc. Impresa Coletto, in Foro it., 2004, II, c. 318 ss.; Trib. Milano, 25 luglio 2006, Siemens S.p.a., cit., p. 2693; Trib. Verona, 14 marzo 2007, Soc. G. S.p.a., cit., p. 928 s.

141

Sull’applicazione dell’art. 129 comma 2 c.p.p. nel processo agli enti, cfr., SCALFATI, Le norme in materia di prova e di giudizio, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., p. 366.

136

Il secondo epilogo attiene al vaglio del contenuto dell’accordo. Se il patto si profila illegittimo e/o incongruo, non è omologabile dal giudice e, quindi, si sfocia nel rigetto della richiesta applicativa della sanzione che assume la forma dell’ordinanza inoppugnabile. In applicazione dell’art. 125 comma 3 c.p.p., detta ordinanza va, a pena di nullità, motivata.

Il terzo epilogo concretizza, in positivo, il vaglio summenzionato ed è la sentenza di patteggiamento. Motivata a pena di nullità (artt. 125 comma 3 e 546 c.p.p.) conserva, anche quando si riferisca al soggetto collettivo, il contenuto specificato nell’art. 444 comma 2 c.p.p., vale a dire l’enunciazione «nel dispositivo che vi è stata la richiesta delle parti» (cfr., art. 546 comma 1 lett. f c.p.p.).

Con riguardo a tale sentenza, è noto l’atavica, quanto irrisoluta, questione circa la sua natura e la sussistenza, o meno, in essa di un accertamento di responsabilità. Non sembra questa la sede per riproporre quel dibattito che ancora stenta ad approdare a conclusioni condivise. Resta, tuttavia, da osservare come il tema conservi attualità anche nel patteggiamento dell’ente, nonostante si definisca amministrativa la responsabilità del soggetto collettivo e amministrative le sanzioni che ne conseguono. Anche in questa sede, infatti, l’esigenza a che si abbia nella sentenza di applicazione della sanzione un accertamento completo, o comunque non minore rispetto a quello dibattimentale, potrebbe profilarsi implicazione indefettibile se è vero, come sembra, che in materia di responsabilità degli enti trova applicazione tanto il principio di legalità

ex art. 25 comma 2 Cost. – evidentemente anche sotto il profilo del nulla poena sine iudicio – quanto quello della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 comma 2

Cost.142.

142

Sono questi, fra gli altri, i principali riferimenti costituzionali rispetto ai quali si è cercato di fondare la teorica dell’accertamento giudiziale di responsabilità dell’accusato nel rito patteggiato. Ritiene maggiormente solido l’aggancio all’art. 25 comma 2 Cost., che postula l’irrogazione di una sanzione solo in virtù di un giudizio, e più debole il richiamo alla presunzione di non colpevolezza che, come regola di giudizio, serve ad orientare il giudice dinnanzi al rischio di incertezza probatoria, dando quindi per dimostrata la necessità di un accertamento, MARCOLINI, Il patteggiamento nel sistema della giustizia penale negoziata, cit., p. 156-164.

Tra i sostenitori della tesi dell’accertamento della responsabilità in seno al patteggiamento, a titolo esemplificativo, LOZZI, Lezioni di procedura penale, 7a ed., Torino, 2006, p. 474; CORDERO, Procedura penale, cit., p. 1036 il quale incisivamente afferma «l’accordo costituisce un presupposto: il resto è accertamento giurisdizionale, secondo i consueti modelli»; PERONI, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999, p. 16 ss.; ANCA, voce Pena. Applicazione su richiesta delle parti, in Dig. disc. pen., vol. IX, Torino, 1995, p. 388.

Contra, nel senso che la richiesta di applicazione della pena esoneri il giudice dall’accertamento di responsabilità dell’accusato, FERRUA, Il ‘giusto processo’, cit., p. 77; ID., No all’appello per chi patteggia la pena, in Dir. giust., 2005, fasc. 39, p. 39; ORLANDI, Procedimenti speciali, cit., p. 604, il quale parla di «semplice accertamento negativo della non punibilità».

137

12. (Segue). Gli effetti della sentenza di patteggiamento.

Quanto agli effetti premiali garantiti all’accusato collettivo per la scelta del rito si ritiene, innanzitutto, doverosa una precisazione. Mentre nel codice di rito, a seguito della riforma del 2003, il paniere dei vantaggi collegati alla scelta del procedimento speciale in esame dipende dal quantitativo di pena che deve in concreto applicarsi, questa diversa distribuzione non esiste nel processo agli enti poiché, alla base, l’ambito operativo del rito non è calibrato sul quantum di sanzione da applicare all’ente. Questo appunto permette, nella definizione dei premi che spettano all’ente patteggiante, di avere come parametro di riferimento i classici effetti della sentenza di patteggiamento, vale a dire l’esonero dalle spese del procedimento (art. 445 comma 1 c.p.p.); la non applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, ad eccezione della confisca ex art. 240 c.p. (art. 445 comma 1 c.p.p.); l’estinzione del reato per mancata commissione, nel termine di cinque anni (in caso di delitto), o di due (in caso di contravvenzione), di un delitto o una contravvenzione della stessa indole (art. 445 comma 2 c.p.p.); la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale; l’inefficacia nei giudizi civili o amministrativi (art. 445 comma 1-bis c.p.p.). Tra questi benefici solo alcuni possono essere riconosciuti all’ente, scontando gli altri un difetto di incompatibilità con il sistema sanzionatorio previsto per la responsabilità delle persone giuridiche (art. 34 d. lgs. n. 231 del 2001).

Procedendo all’analisi dei singoli benefici sopra richiamati, deve ritenersi compatibile con la sentenza di patteggiamento emessa nei riguardi dell’ente l’esonero dalle spese processuali. Per converso, inconciliabile con tale sentenza si rivela la preclusione all’applicazione delle misure di sicurezza143 e delle pene accessorie; trattasi, infatti, di afflizioni sconosciute all’apparato sanzionatorio predisposto per l’illecito da reato (art. 445 comma 1 c.p.p.). Quanto alla confisca ex art. 19 d. lgs. n. 231 del 2001, Vale, tuttavia, sottolineare che la giurisprudenza si è presentata compatta nel ritenere che la sentenza di patteggiamento non contenga un accertamento positivo della responsabilità dell’accusato bensì un accertamento in negativo, consistente nel mancato apprezzamento, allo stato degli atti, di elementi di innocenza; cfr., tra le molte, Cass., sez. I, 12 gennaio 2000, Bellonzi, CED 215811; Cass., sez. V, 15 giugno 1999, Larini, CED 214296; Cass., sez. un., 26 febbraio 1997, Bahrouni, in Dir. pen. proc., 1997, p. 1484; Cass., sez. un., 25 novembre 1998, Messina, in Cass. pen., 1999, p. 1746; Cass., sez. un., 28 maggio 1997, Lisuzzo, in Foro it., 1997, II, c. 670; Cass., sez. un., 4 giugno 1996, De Leo, in Dir. pen. proc., 1996, p. 1227.

Vale riportare un recente orientamento giurisprudenziale, successivo alla legge n. 123 del 2003, in forza del quale la sentenza che applica una pena superiore a due anni ha natura di autentica condanna; ciò per la maggiore vicinanza, a livello di effetti, tra questa pronuncia e quella ordinaria. Cfr., Cass., sez. III, 31 marzo 2005, in Dir. pen. proc., 2005, p. 842.

143

V. supra, § 4, le considerazioni svolte in ordine alla confisca del prezzo o del profitto del reato (art. 19).