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I paesi più importanti che compongono l’area moderata dell’onda rosa sono, come detto, in rigoroso ordine alfabetico, l’Argentina, il Brasile e il Cile. Il loro approccio per risolvere i problemi interni derivanti dall’applicazione dell’ortodossia neoliberale non è stato omogeneo. Argentina e Brasile, all’inizio del XXI secolo hanno impostato la loro politica economica su un ritorno prepotente dello stato in economia, il Cile di Bachelet, ha invece deciso di mantenere l’impostazione precedente, pur cercando con misure ad hoc di stemperare i suoi effetti più nocivi per la società, coniando così il termine neoliberismo

pragmatico134.

Spesso il Brasile viene indicato come il riferimento politico e culturale per l’America Latina, il paese per il quale si prospetta un vero e proprio salto di qualità sia dal punto di vista economico che sociale. Agli inizi del XXI secolo, Lula ereditò dal presidente socialdemocratico Cardoso un paese economicamente stabile dopo la crisi del 1998 ma con moltissimi problemi ancora irrisolti dal punto di vista dello sviluppo sociale. I milioni di poveri e gli strati marginalizzati della società brasiliana chiedevano un impegno sostanziale per ridurre le diseguaglianze ed uno sforzo per sanare le troppe inefficienze del sistema politico. Lula era un presidente proveniente dagli ambienti della sinistra radicale, contrario alle politiche di privatizzazione e di modernizzazione del predecessore. Persuaso dalle ragioni della realpolitik, capì ben presto che per governare il paese dovesse tenere un profilo meno intransigente, mostrando un lato moderato, capace di catturare i consensi della popolazione. Rinunciò quindi, assieme al suo partito, il Partido dos Trabalhadores, alle rivendicazioni più radicali, assumendo come linea, quella della socialdemocrazia di stampo europeo. Non solo, il suo governo, promise di portare avanti le soluzioni di rigore economico suggerite da Cardoso, ma senza rinunciare ad una attenzione particolare verso l’agenda sociale. I frutti non sono tardati ad arrivare: oltre ad un sostanziale consolidamento dei consensi nel paese, Lula è riuscito ad ottenere dei risultati economici e sociali di tutto rilievo, nonostante le difficoltà e gli scandali che lo vedevano implicato. Dal punto di vista economico il Brasile si è distinto per una crescita

133 Ibidem, pp.14 134 Ibidem, pp.28-32

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importante e da una elevata credibilità internazionale, che lo ha elevato ad un ruolo di primissimo piano nell’ambito dei paesi in via di sviluppo, addirittura affiancando potenze emergenti come Cina ed India nel cosiddetto gruppo dei BRICS. La politica sociale diede, allo stesso modo, risultati di tutto rispetto: combinando politiche atte alla stabilità e alla sostenibilità della crescita economica con politiche sociali e realmente distributive, per la prima volta, nel 2007, il governo Lula raggiunse il risultato storico di una effettiva diminuzione delle disuguaglianze. In altre parole, la maggior parte de brasiliani non viveva più in condizioni di povertà, facendo ingresso nella cosiddetta classe media135. Gardini, per contro, fa notare che questi risultati hanno messo il Brasile davanti a delle sfide importanti e difficili: dal punto di vista economico la crescita era basata sul settore delle esportazioni, aiutate dal prezzo molto alto delle principali risorse scambiate dai brasiliani e dal tasso di cambio del real molto basso. Come avrebbe reagito l’export a prezzi e condizioni meno favorevoli anche in relazione alla crisi economica mondiale?136. Dato un tasso elevato di corruzione e una altissima frammentazione politica, la governabilità sarebbe stata garantita sul lungo periodo? Il paese avrebbe saputo intraprendere il cammino giusto per conquistare un ruolo internazionale consono alle sue risorse e alle sue possibilità di crescita137? Le risposte a questi interrogativi, anche se poco chiare, sono ormai attualità, come si tratterà successivamente.

L’Argentina, dopo la devastante crisi del corralito del 2001, decise di affidare la guida della

Casa Rosada ad un uomo al di fuori di ogni logica politica tradizionale: il governatore della

remota provincia patagonica di Santa Cruz Néstor Kirchner138, eletto nel 2003 ai danni di Carlos Menem, deciso sostenitore del neoliberismo, già presidente agli inizi degli anni ’90. Così come successe per i “vicini di casa” in Brasile, il nuovo governo argentino procedette a reintrodurre in maniera sistematica lo stato nei meccanismi economici che regolano il mercato. Gli effetti della crisi erano ancora ben visibili ed erano necessari degli interventi per favorire, per mezzo delle esportazioni, la ripresa industriale e l’occupazione, resistendo alle pressioni del FMI, che spingeva per misure di aggiustamento strutturale. Gardini sottolinea il fatto che Kirchner in questo modo riuscì ad alleggerire la zavorra del debito (fortemente rinegoziato) e liberare così le risorse necessarie per lo sviluppo139. Le

135 Ibidem, pp. 19-20-21 136 Ibidem, pp. 21 137 Ibidem, pp. 21-22 138 Ibidem, pp.28 139 Ibidem, pp.28

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sue politiche poi poterono concentrarsi, come allo stesso tempo stava facendo Lula, sulla lotta alla povertà e la riduzione delle diseguaglianze. Dal punto di vista politico, ebbe il coraggio di portare l’Argentina a fare i conti col proprio passato, dissociandosi moralmente dai governi che lo avevano preceduto e invertendo i provvedimenti di clemenza nei confronti dei militari del regime autoritario, riaprendo così i processi per violazione dei diritti umani. Accanto agli indubbi risultati sul piano economico e sociale, si riscontra nel governo Kirchner una concentrazione del potere nella propria figura che rese davvero poco trasparente la gestione dello stato. Seppur vero che per vincere le resistenze degli strati più restii al cambiamento, il presidente doveva avere la forza per imporsi, il rischio che ciò si fosse potuto trasformare in un neopopulismo autoreferenziale era concreto. Per molti osservatori, tra cui Franklin Ramírez Gallegos, la nazione Sudamericana si trovava già sulla la lista di quelle ricorrenti a pratiche di governo populiste. Secondo lo stesso autore, lo stile di governo di Kirchner è figlio di una concezione peronista del potere, ossia il condurre il cambio politico dal vertice, senza l’ausilio della partecipazione popolare organizzata. Questo “peronismo infinito”, ebbe quindi l’effetto di smobilitare i nuovi attori sociali (anche attraverso la repressione) e rinnovare quindi la tradizione verticistica della gestione politica; a partire dal governo, attraverso le decisioni del proprio leader140.Le accuse in questo senso si acuirono quando, rinunciando alla ricandidatura per un secondo mandato, Néstor appoggiò la moglie Cristina Fernández de Kirchner, vincitrice alle presidenziali del 2007141 implicante una concentrazione impressionante del potere nell’ambito di una sola famiglia, lei presidente e lui a capo del partito di maggioranza relativa (PJ142). Anche per l’Argentina si aprivano una serie di sfide, molte dovute agli equilibri interni, molte altre invece alla situazione internazionale.

Per quanto riguarda la situazione del Cile, Gardini mette l’accento sul fatto che sia stato l’ultimo paese a riabbracciare la democrazia, sebbene, si osservava, di facciata, ma che a differenza di Brasile e Argentina, godesse di una situazione economica e sociale molto più stabile, che ha permesso alla classe politica al governo di dedicarsi al consolidamento in senso democratico senza dover prendere in considerazione in modo primario la

140 Franklin Ramírez Gallegos, Mucho más que dos izquierdas, Nueva Sociedad num. 205, 2006, pp. 37-38 141 Gian Luca Gardini, L’America Latina nel XXI secolo, Carocci, Roma, 2009, pp.29

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situazione in campo economico-sociale143. I governi della Concertación che si susseguirono durante tutti gli anni ’90, crearono a tutti gli effetti una crescita economica reale, virando allo stesso tempo verso una democrazia in senso occidentale, cancellando anche a livello costituzionale, i residui della dittatura di Pinochet. Ciò che dalla presidenza di Patricio Aylwin, la prima in democrazia, a quella di Ricardo Lagos, l’ultima del XX secolo, non riuscì, fu di riuscire a sanare la profonda disuguaglianza socio-economica che ancora attanagliava il Cile. Questa, secondo Gardini, è la ragione per la quale gli effetti dell’onda rosa sono arrivati anche alla Moneda, attraverso l’elezione di Michelle Bachelet. Come si evinceva precedentemente, il suo governo è stato, ed è tutt’ora (dopo la breve parentesi del governo di centro-destra guidato da Sebastián Piñera), caratterizzato sia da elementi di continuità, che da elementi di cambio rispetto alle amministrazioni precedenti144. Di formazione socialista, la Bachelet ha dato il via a misure per perfezionare i meccanismi della democrazia partecipativa, a difendere i diritti delle donne e ad aumentare il grado di

Welfare State, ma dal punto di vista economico ha sostanzialmente seguito i dettami

neoliberali dei suoi predecessori145. I risultati dei suoi due mandati (di cui l’ultimo è in corso) non sono univoci: ha senza dubbio dato il suo contributo al successo del peculiare modello neoliberale applicato nel paese e al consolidamento democratico, ma rimangono ancora da perfezionare i meccanismi di inclusione sociale, specialmente per quanto riguarda il comparto dell’educazione, fonte di scontro da ormai parecchi anni.