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Dell’arte del dialogo di Torquato Tasso

CAPITOLO I: La teoria del dialogo nel Cinquecento

1.4 Il Cinquecento, il secolo del dialogo e della sua teorizzazione

1.4.4 Dell’arte del dialogo di Torquato Tasso

La seconda trattazione teorica che ci proponiamo di affrontare, al fine di enuclearne i principi normativi dominanti, è Dell’arte del dialogo di Torquato Tasso. Lo scrittore elabora il discorso, assieme alla maggior parte della sua produzione dialogica, in un periodo piuttosto critico e travagliato della sua esistenza, la permanenza nell’istituto di cura ferrarese Sant’Anna, tra il 1579 e il 1586165. A proposito, qui di seguito, riportiamo un passo dai Les Essais di Montaigne, in cui il filosofo francese narra lo stato psichico manifestato dal Tassino, in occasione di una sua visita al nosocomio:

«Che salto ha fatto ora, per la propria concitazione e il proprio fervore, un uomo fra i più penetranti, ingegnosi e conformi allo spirito di quell’antica e pura poesia che vi sia stato da lungo tempo tra i poeti italiani? Non lo deve egli a quella sua letale vivacità? A quella chiarezza che l’ha accecato? A quella precisa e tesa comprensione della ragione che gli ha fatto perder la ragione? Alla curiosa e laboriosa indagine delle scienze che l’ha condotto alla stupidità? A quella rara attitudine agli esercizi dell’anima che l’ha ridotto senza esercizi e senz’anima? Io provai ancor più dispetto che compassione vedendolo a Ferrara in uno stato così pietoso, sopravvivere a se stesso, disconoscere e sé e le sue opere che, a sua insaputa, e tuttavia sotto i suoi occhi, son state date alle stampe scorrette e informi.»166

164 Per il testo dell’Arte del dialogo si è fatto riferimento a T. TASSO, Dell’arte del Dialogo, Introduzione di ORDINE N., testo critico e note di BALDASSARRI G., Napoli, Liguori, 1998; il cui testo dell’opera tassiana rimanda a G. BALDASSARRI, Il discorso tassiano «Dell’arte del dialogo», in “La Rassegna della Letteratura Italiana”, a.LXXV, 1971, pp.93-134, che, a sua volta, si basa sulla princeps (Delle Rime et Prose del Sig.

Torquato Tasso. Parte quarta. Di nuovo posta in luce […], In Venezia, MDLXXXVI. Appresso Giulio

Vasalini). L’opera critica di Guido Baldassarri è un riferimento interpretativo imprescindibile non solo del trattato teorico dell’Arte del dialogo, ma anche del poderoso corpus dialogico tassiano, cui si invita a fare riferimento per una puntuale e maggiormente approfondita trattazione. In questa sede, ci si limiterà a delineare i punti salienti dell’Arte del dialogo, al fine di enuclearne i generali nessi teorici, in vista di un confronto sintetico fra Sigonio, Tasso e Speroni che sarà affrontato nel terzo capitolo di questo elaborato. In questo paragrafo si terrà costantemente presente in primis: G. BALDASSARRI, L’arte del dialogo in Torquato Tasso, in “Studi Tassiani”, Vol. CLXIII, 1970, pp.5-46; successivamente gli altri studi inerenti all’argomento, F. PIGNATTI, I «Dialoghi» di Torquato Tasso e la morfologia del dialogo cortigiano rinascimentale, in “Studi Tassiani”, n.36, 1988, pp.7-43; E. RAIMONDI, Il problema filologico e letterario dei «Dialoghi» di Torquato

Tasso, in Rinascimento inquieto, Torino, Einaudi, 1994, pp.189-217; O. ZORZI-PUGLIESE, Il discorso labirintico del dialogo rinascimentale, Roma, Bulzoni, 1995; S. PRANDI, Scritture al crocevia. Il dialogo letterario nei secc. XV e XVI, Vercelli, Edizioni Mercurio, 1999, pp. 159-164. Per una comparazione con il De dialogo liber di Carlo Sigonio, oltre alle opere e articoli succitati, cfr. C. SIGONIO, Del Dialogo, PIGNATTI

F. (a cura di), prefazione di PATRIZI G., Roma, Bulzoni, 1993.

165 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo, Introduzione di ORDINE N., cit., p.8.

166 Cito il brano di Montaigne da T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., pp.8-9. A pag.32, Ordine afferma di aver tratto la citazione da Les Essais, par P. Villey, Paris 1988, [1. II, ch. XII], p.492 e la traduzione italiana da Montaigne, Saggi, a cura di F. Garavini, con un saggio di S. Solmi, Milano, 1996, pp.641-642.

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Più precisamente, il Dell’arte del dialogo è composto tra marzo e i primi giorni di aprile del 1585167

ed è fortemente dipendente dalla formulazione teorica del De Dialogo liber, in virtù anche di una non superficiale conoscenza diretta fra Sigonio e Tasso. Quest’ultimo ha modo di entrare in contatto con il filologo modenese prima a Padova, nell’ottobre del 1561, poi a Bologna, in un intervallo di tempo che va dal novembre 1562 all’inizio del 1564.168Per un’ulteriore ragione Tasso non poteva ignorare l’esistenza del trattato sigoniano: esso viene dato alle stampe nel 1562, mentre il poeta veste i panni di devoto scolaro, assistendo proprio alle lezioni del modenese nell’Ateneo di Padova.169La dissertazione di Torquato si inserisce, dunque, sulla scia di quella del maestro Sigonio ma, tuttavia, non deve essere intesa come una mera copia di essa; cercheremo, nella nostra disamina Dell’arte del

dialogo, di isolare i punti nevralgici in qui si annidano le differenze fra le due opere. L’opera si dipana

in una forma piuttosto succinta, una sorta di agile opuscolo in cui Tasso espone la propria prospettiva teorica inerente ad un genere così spiccatamente ibrido, come quello del dialogo. Dall’esegesi di tale dissertazione si evince la sua inadeguatezza a elevarsi a compendio interpretativo dell’intero corpus dialogico di Torquato170; si tratta esclusivamente di una tappa del suo itinerario scritturale, un intervento personale da valutare a sé.

Il Dell’arte del dialogo si apre con una breve dedica al «Padre Molto Reverendo»171Don Angelo Grillo, un religioso dell’ordine benedettino di origine genovese, il quale, in veste di corrispondente del Tasso, gli aveva chiesto lumi riguardo ai criteri normativi necessari per stilare correttamente un’opera dialogica. Il poeta con qualche ritrosia, dovuta all’imbarazzo di trovarsi nella posizione di maestro, afferma di poter fornire al monaco solamente delle opinioni sull’argomento, non certo degli “ammaestramenti”:

«Ma se volete onorarmi con questo nome [maestro], ed ammaestramento chiamate l’opinione, io la scriverò; perché niuna cosa debbo tenervi celata, la qual possa giovar a gli altri, o pur a me stesso […]»172

Tasso non pretende di stilare un prontuario contenente delle regole-guida indiscutibili, ma accetta di condividere le proprie idee, le quali potrebbero essere, sì potenzialmente fallibili, ma contestualmente

167 G. BALDASSARRI, L’arte del dialogo …, cit., p.8.

168 G. BALDASSARRI, op. cit., p.11.

169 Ibid.

170 Ibid., p.17.

171 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p.37.

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di qualche utilità ad un ristretto pubblico e a sè stesso. Il topos modestiae emerge nuovamente al termine del secondo paragrafo, in cui troviamo una giocosa analogia fra la brevità dello scritto e quella della veste di «alcuni dottori cortigiani»173, in contrapposizione alla lunga veste propria dei filosofi: Tasso, con questo espediente retorico, vuole ribadire l’approccio non propriamente scientifico del trattato, il quale si rivolge ad un pubblico di un livello culturale medio-alto, ma non ad un elite di filosofi “professionisti”.174A partire dal terzo paragrafo, Tasso assume a tutti gli effetti l’atteggiamento del teorico; sulla scorta della Poetica di Aristotele, sostrato normativo comune al suo immediato predecessore Sigonio ma anche ai numerosi partecipanti alla querelle sulla celebre “Particula VII”175, individua i tratti specificamente identitari dello statuto letterario del dialogo, innanzitutto sulla base del concetto di imitazione. Infatti, la pratica mimetica contraddistingue sia il dialogo che la poesia drammatica, ma mentre nel primo essa è volta a riprodurre uno scambio interlocutorio, nella seconda mima le concrete azioni “agite” sulla scena dagli attori:

«Due saran dunque i primi generi dell’imitazione; l’un dell’azione, nel quale son rassomigliati gli operanti; l’altro delle parole, nel quale sono introdotti i ragionanti. E ‘l primo genere si divide in altri, che sono la tragedia e la comedia, ciascun delle quali patisce alcune divisioni; e ‘l secondo si può divider parimente.»176

Parallelamente alla ripartizione del genere poetico drammatico in tragedia e commedia, il dialogo è passibile, a sua volta, di essere diviso fra accezione “tragica” e “comica” sulla base dell’autorità di Elio Aristide, celebre retore greco.177Successivamente il Tasso riporta fedelmente una difforme classificazione mutuata dal Castelvetro178, verso cui si pone con atteggiamento antitetico:

«Ma tra’ moderni v’è chi gli divide altramente, facendone tre spezie, «l’una delle quali può montare in palco, e si può nominar rappresentativa, percioch’in essa vi siano persone introdotte a ragionare

δραματικω֮ς, ciò è in atto, com’è usanza di farsi nelle comedie e nelle tragedie; e simil maniera è tenuta

da Platone ne’ suoi ragionamenti e da Luciano ne’ suoi. Ma un’altra ce n’è che non può montare in palco, percioché, conservando l’autore la sua persona, come istorico narra quel che disse il tale e ‘l

173 Ibid., p.38.

174 Ibid., cfr. nota 4 p.38.

175 Cfr. §§ 1.4.1; 1.4.2; 1.4.3 di questo elaborato.

176 T. TASSO, op. cit., p.39.

177 Ibid., cfr. nota 6 p.39.

56 cotale; e questi ragionamenti si possono domandare istorici o narrativi; e tali son per lo più quelli di Cicerone. E c’è ancora la terza maniera; ed è di quelli che son mescolati della prima e della seconda maniera, conservando l’autore la sua prima persona e narrando come istorico; e poi introducendo a favellar δραματικω֮ς, come s’usa di far nelle tragedie e nelle comedie; e può, e non, montare in palco: ciò è non può montarvi, in quanto l’autore conserva la sua persona, ed è come l’istorico; e può montarvi, in quanto s’introducono le persone rappresentativamente a favellare: e Cicerone fece alcuni ragionamenti sì fatti».179

Non deve sorprendere la perizia con cui il Tassino cita la triplice tassonomia castelvetrina del genere dialogico; aveva trascritto in un’opera specifica, negli Estratti180, tutte le annotazioni e, di conseguenza, le obiezioni che il teorico modenese aveva mosso nei confronti di tale categoria letteraria. Castelvetro distanzia le tre tipologie sulla discriminante qualitativa della loro idoneità o meno di “montare in palco”, accostando sostanzialmente le opere teatrali al dialogo rappresentativo; l’unico, nella sua prospettiva, ad avere una qualche pallida validità nel panorama letterario. Torquato riprende la bipartizione del dialogo concepita da Elio Aristide e la connota come «più perfetta»181rispetto alla precedente, in quanto prevede due autentiche sezioni tipologiche anziché tre. La dissertazione prosegue, puntando a mettere in evidenza la continua possibile analogia fra le etichette delle categorie poetiche e quelle del genere dialogico; tuttavia, tale applicazione “traslata” si rivela piuttosto difficoltosa e incerta, in quanto il fondamento distintivo e precipuo del dialogo è il suo essere «imitazione di ragionamento»182. Sulla base delle tematiche afferenti maggiormente al campo della tragedia, il Critone e il Fedone possono essere annoverati tra i dialoghi tragici; il Convito, dai contenuti più esilaranti, si conquista l’accezione di dialogo comico, mentre il Menesseno si considera misto per la mescolanza delle caratteristiche, sia tragiche che comiche.183Tasso giunge ad un passaggio cruciale del trattato:

«Pur questi medesimi dialogi non son vere tragedie o vero comedie; perché nell’une e nell’altre le quistioni e i ragionamenti son descritti per l’azione: ma ne’ dialogi l’azione è quasi per giunta de’ ragionamenti; e s’altri la rimovesse il dialogo non perderebbe la sua forma. Dunque in lui queste

179 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., pp.39-40.

180 Cfr. Estratti della Poetica di Ludovico Castelvetro, in T. TASSO, Le prose diverse, a cura di C. Guasti, Firenze, Le Monnier, 1875, I, pp.275-296; cfr. G. BALDASSARRI, L’arte del dialogo …, cit., pp.6-7.

181 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p.41.

182 T. TASSO, op. cit., p.41; cfr. nota 10 p.41.

57 differenze sono accidentali più tosto ch’altramente; ma le proprie si toranno dal ragionamento istesso, e da’ problemi in lui contenuti, ciò è dalle cose ragionate, non sol dal modo di ragionare […]»184

I dialoghi non sono affatto sovrapponibili alle tragedie e alle commedie; la loro intrinseca personalità letteraria è data dall’imitare il ragionamento nel suo evolversi. Assolutamente accessoria risulta essere la mimesi dell’azione: infatti, se venisse eliminata, il dialogo non ne risulterebbe menomato nel suo statuto. Dal momento che il centro dell’orbita imitativa nel dialogo è il ragionamento, mentre nelle tragedie e nelle commedie l’azione, si evince che le classificazioni mutuate dal genere della poetica si rivelano accidentali e non essenziali. Di conseguenza le differenze tipologiche all’interno della forma dialogo devono essere condotte secondo la variegata natura dei ragionamenti; a questo punto Tasso enuclea una ulteriore suddivisione dipendente dal contenuto, il quale può essere etico oppure scientifico:

«[…] perch’i ragionamenti sono o di cose ch’appartengono alla contemplazione, o pur di quelle che son convenevoli all’azione. E ne gli uni sono i problemi intenti all’elezione ed alla fuga; ne gli altri quelli che risguardano la scienza e la verità: laonde alcuni dialogi debbono esser detti civili e costumati, altri speculativi: e ‘l soggetto de gli uni e de gli altri o sarà la questione infinita: come la virtù si possa insegnare; o la finita: che debba far Socrate condennato alla morte.»185

Tale bipartizione, sulla scorta di quella concepita da Diogene Laerzio nella Vita di Platone186, sussiste sulla base delle diverse tematiche sviluppate; nel primo tipo di dialoghi, gli speculativi, vengono ospitate disamine inerenti questioni generali e assolute, mentre nel secondo, i civili, tematiche maggiormente circostanziate e specifiche. Il Tasso asserisce perentoriamente che la rappresentazione scenica non è adatta a nessun dialogo e questa affermazione decreta, una volta per tutte, una forte avversione rispetto agli assunti teorici del Castelvetro. Viene isolato un altro requisito fondamentale del dialogo:

«Né gli conviene ancora il verso, come hanno detto, ma la prosa, percioché la prosa è parlar conveniente allo speculativo, ed all’uomo civile, il qual ragioni degli uffici e delle virtù. E i sillogismi, e l’induzioni, e gli entimemi, e gli essempi, non potrebbono esser convenevolmente fatti in versi.»187

184 Ibid.

185 Ibid., pp.42-43.

186 Ibid., cfr. note 12-13 pp.42-43.

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La prosa è la risorsa formale propria del dialogo, mediante la quale è possibile dissertare sia in campo filosofico-scientifico, in cui agisce “l’uomo speculativo”, sia in quello etico, pertinente all’”uomo civile”. Il verso non ha diritto di cittadinanza nella prassi formale dialogica, poiché non si presta a modulare i sillogismi e le induzioni, espedienti logici propri del filosofo, e nemmeno gli entimemi e gli esempi, strumenti dell’”uomo civile”. Il Castelvetro, invece, designa il metro come peculiare del genere dialogico. Quest’ultimo, per essere un’autentica opera poetica, frutto dell’inventio dell’autore, deve condividere gli stessi mezzi formali della poesia, vale a dire i versi e non la prosa, peculiare del racconto storico.188Il Tasso giunge alla riassuntiva concertazione di “dialogo”:

«[…] direm che ‘l dialogo sia imitazione di ragionamento scritto in prosa senza rappresentazione per giovamento de gli uomini civili e speculativi; e ne porrem due spezie, l’una contemplativa, e l’altra costumata; e ‘l soggetto nella prima spezie sarà la quistione infinita; nella seconda può esser l’infinita o la finita […]»189.

Sulla scorta dell’onnipresente Aristotele, Tasso instaura un parallelismo fondamentale fra poema e dialogo: come la favola sta al poema, così proporzionalmente la «quistione»190 sta al dialogo, inoltre essa è «la sua forma e quasi l’anima».191 La «quistione» è l’argomento principale del dibattito ed un suo connotato precipuo deve essere l’unità, sulla base del parallelismo teorico aristotelico inerente il genere poetico. La suddetta formulazione teorica viene declinata, dal Tasso, sul De dialogo liber sigoniano:

«[…] disputatio, quae ut poematis fabula ab Aristotele, sic dialogi a nobis anima iure potest appellari.»192

Il cuore pulsante del dialogo è incarnato, quindi, dalla «quistione»; inoltre concorrono alla strutturazione di questa forma letteraria «la sentenza, e ‘l costume, e l’elocuzione».193Secondo quanto

188 Ibid., cfr. note 17-18 p.44.

189 Ibid., pp. 44-45.

190 Ibid., p.45; per quanto riguarda l’affermazione di Aristotele cfr., Poetica, 6, 1450a 38.

191 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p.45.

192 C. SIGONIO, Del Dialogo, F. PIGNATTI (a cura di), prefazione di G. PATRIZI, Roma, Bulzoni, 1993, p.164.

193 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p. 45; la trattazione del Tasso delle diverse componenti del dialogo riprende da vicino quella del Sigonio: «[…] nec minus recte Aristoteles, qui cum de rebus iis ageret quas poetae

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viene affermato all’inizio della dissertazione, il dialogo si estrinseca attraverso la mimesi di un ragionamento che si caratterizza per la sua accezione disputativa. Di conseguenza, dato l’alternarsi di una domanda e di una risposta intorno alla questione originante lo scambio dialogico, l’autore connaturato alla scrittura del dialogo è il dialettico, il quale deve salvaguardare l’unità della «quistione», in osservanza dei precetti aristotelici inerenti l’omogeneità della favola:194

«[…] e perché ‘l dimandare s’appartiene particolarmente al dialettico, par che lo scrivere il dialogo sia impresa di lui; ma ‘l dialettico non dee richieder più cose d’uno, o pur una cosa di molti […]».195

Il meccanismo dialettico risulta essere quello più confacente al dialogo, in quanto nel percorso binario occupato da argomentazioni favorevoli o contrarie ad un determinato enunciato viene richiesta progressivamente un’univoca scelta di campo. Proprio per questa motivazione il filosofo dimostrativo non è adeguato al compito di dialogista; non glielo consentono gli espedienti logici di cui si avvale. La dimostrazione è un procedimento che scaturisce da premesse certe e progredisce via via mediante il comprovare diverse tesi secondo il rigorismo raziocinante della logica, dove non è contemplato l’intervento costruttivo da parte di una controparte interlocutoria. Tasso sostiene l’ammissibilità di qualsiasi materia ad essere affrontata nel contesto dialogico, pur riconoscendo nuovamente nella sfera dialettica il luogo d’elezione di tale genere letterario. Si giunge ad un assunto importante:

«Al dialettico dunque converrà principalmente di scrivere il dialogo, o a colui che vuol rassomigliarlo. E ‘l dialogo sarà imitazione d’una disputa dialettica.»196

Tasso ribadisce la preminenza della pratica imitativa come modus operandi appropriato al dialogo, in particolare in esso ha pieno diritto di cittadinanza la mimesi di un ragionamento, preferibilmente modulato secondo mezzi attinti dalla dialettica. Nello scritto dialogico l’autore ha facoltà di “ritrarre” il dibattito, ricorrendo così maggiormente all’artificio retorico, stilistico e formale; la risultante sarà

simulando exprimerent, eo disputando delapsus est, ut tria esse dixerit quae imitatione simularentur: actionem, sententiam et mores. Cuius praecepti vis quid prohibet, quin ad hanc dialogi quoque doctrinam traducantur? ut in eo haec etiam tria exprimi statuamus: actionem in ipsa eorum qui colloquuntur sermonis communicatione; sententiam in eorundem argumentatione; mores in istituto et electione.»: cfr., C. SIGONIO, Del dialogo …, p.210.

194 Cfr. ARIST., De interpretatione 11, 20b 12-26.

195 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p.45

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un’opera squisitamente letteraria. Tale concezione tassiana non è molto distante da quanto affermato da Carlo Sigonio nel suo De dialogo liber:

«Quanquam autem dialogus quaedam est dialecticae disputationis imago, ornamentorum tamen ac luminum plus quam ipsa dialecticorum pugna atque altercatio poscit. Nam apud eos nudis pugnatur argumentis, apud hos argumenta verborum copia et elegantia vestiuntur atque ornantur.»197

La disputa viene declinata secondo quattro categorie distinte: la “dialettica”, di cui Tasso tratta abbondantemente fino a questo punto; la “dottrinale”, nella quale c’è un accrescimento di erudizione nell’allievo per merito del maestro; la “tentativa” volta a confutare le tesi avanzate da uno degli interlocutori; la “contenziosa”, di cui si serve, in particolar modo, il sofista per il puro gusto di far vincere le proprie ragioni su quelle dell’avversario piuttosto che tendere al raggiungimento di una qualche verità.198Tasso apprezza i dialoghi di Platone per la loro natura compositiva strutturata secondo le qualità di tutte e quattro le tipologie disputative. Nel corpus platonico predilige, nello specifico, la “dottrinale” e la “dialettica” per l’artificio retorico dell’interrogazione socratica particolarmente riuscito e avulso dalla monotonia di un arido ammaestramento. Non disdegna nemmeno i dialoghi di Senofonte per l’analoga felice fruizione della domanda socratica, produttiva nella conquista della verità; chi devia da tale condotta autoriale è Cicerone. Nelle Partitiones

oratoriae l’atteggiamento interrogatorio è affidato a colui che deve apprendere, non al precettore e

ciò inficia il godimento dell’opera, divenuta così macchinosa e sterile nella prospettiva strettamente letteraria.199A Platone spetta il merito di aver scritto dialoghi esemplari da ogni punto di vista; il filosofo greco si staglia come modello assoluto a cui tendere costantemente. Nella classifica tassiana dei dialogisti della grecità, al secondo posto si trova Senofonte, mentre al terzo Luciano. La chiamata in causa dello scrittore di Samosata come opzione formale qualitativamente adeguata alla scrittura dialogica è antitetica rispetto alle posizioni teoriche sigoniane. Il modenese imputa a Luciano la colpa di aver degradato il dialogo con elementi mutuati dalla commedia e di aver trattato tematiche disdicevoli, volte a suscitare il riso del pubblico. Il giudizio tassiano su Cicerone è il seguente:

197 C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., p.156.

198 T. TASSO, Dell’arte del Dialogo …, cit., p.49; cfr. nota 39 p.49.