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Il De dialogo liber di Carlo Sigonio

CAPITOLO I: La teoria del dialogo nel Cinquecento

1.4 Il Cinquecento, il secolo del dialogo e della sua teorizzazione

1.4.3 Il De dialogo liber di Carlo Sigonio

L’opera di Carlo Sigonio De dialogo liber si prospetta come un tenace e rigoroso tentativo teorico di analizzare e descrivere la forma dialogica al fine di inquadrarne ogni peculiarità in una precisa compagine letteraria. Elaborata in forma di trattato in latino nel 1562, la dissertazione sigoniana punta a sottrarre il dialogo dal suo incerto habitat letterario per assegnargli una veste teoricamente individuabile e autonoma. L’incipit del trattato esprime la volontà di esaminare tale genere con

82 Cito il passo del Piccolomini da PIGNATTI, Introduzione …, De dialogo liber, cit., p.37. Lo studioso si basa su A. PICCOLOMINI, Annotationi nel libro della Poetica d’Aristotele, Venezia, Giovanni Guarisco, 1575; vedi nota 49 p.92.

83 PRANDI, Scritture …, cit., p.149.

84 Tutti i passi del De dialogo liber presenti in questo paragrafo sono attinti da C. SIGONIO, Del Dialogo, F. PIGNATTI (a cura di), prefazione di G. PATRIZI, Roma, Bulzoni, 1993, in cui si trova una preziosa Introduzione all’opera sigoniana di Pignatti. Per ulteriori commenti e interpretazioni della teoria del dialogo di Sigonio, cfr. R. GIRARDI, «Elegans imitatio et erudita»: Sigonio e la teoria del dialogo, in “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, Vol.CLXIII, 1986, pp. 321-354; S. PRANDI, Scritture al crocevia. Il

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procedimenti interpretativi mutuati da Aristotele, grande e insostituibile maestro nella classificazione delle tipologie letterarie:

«Nunc vero de dialogo sic agemus, ut omnem disputationem ab eius definitione explicanda ducamus, quod in primis divinum hominem facere solitum Aristotelem intelligimus»85.

Sigonio stila una serie di premesse concettuali introduttive alla disamina del dialogo, in particolare, la più importante, quella che definisce la sostanza dell’”imitare” sulla base di un passo della

Repubblica di Platone. Il modenese si allinea alla concertazione del filosofo greco:

«Imitari autem hoc loco dico quemadmodum in tertio De republica optimus totius huius disciplinae auctor definivit Plato: «similem se ei, quem imiteris, aut voce aut figura praestare»86.

Il procedimento dell’imitazione è l’atto fondativo della forma dialogo, ne crea i presupposti, supportato dalla facoltà prettamente umana di ricercare, mediante il raziocinio, la causa degli eventi e l’intima ragione delle cose. La disquisizione umana, concernente le molteplici sfaccettature della realtà, può essere espletata attraverso due modalità:

«Atque haec quidem est ex imitatione ducta dialogi caussa, quam vero nostra ratiocinandi vis ac consuetudo peperit, ea est huiusmodi. Illud sane inter omnes constare video, ad caussas rerum consilio et ratione pervestigandas duplicem nobis a natura viam fuisse munitam: unam, ut secum quisque quid veri esset in rebus exquireret; alteram, ut cum altero. Quorum illud tacita quadam animi agitatione susciperetur, hoc aperta eius quo cum disputaremus percontatione atque responsione.»87

Nello studio teorico di Sigonio la figura di Socrate è l’emblema della seconda via attraverso la quale allestire un’indagine corale sulle più disparate argomentazioni; sia che l’inchiesta raziocinante venga condotta dal singolo, secondo la terminologia greca αύτοπρόσωπον88, oppure con uno scambio

85 C. SIGONIO, Del Dialogo, F. PIGNATTI (a cura di), cit., p.124.

86 C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., p.124. Sigonio si riferisce a PLAT., Rep. III, 393b-c.

87 C. SIGONIO, op. cit., p.133.

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dialogico tra più interlocutori, detto nella lingua ellenica διαλογικήν89, essa si può dipanare in due opposti sistemi ragionativi afferenti alla disciplina della logica:

«Neque vero, dum veritatem rerum quocunque modo ratione venamur, quenquam negaturum esse arbitror, nisi plane omnis sit liberalis eruditionis ignarus, quin id duabus rationibus assequamur: aut a singulis rebus ad universas ascendentes, qui rationis progressus inductio appellatur; aut ab universis ad singulas delabentes, qui syllogismus communi vocabulo nominatur. Omnino autem, sive hanc sive illam officii et muneris huius partem spectemus, duas illas, de quibus diximus, doctrinae tradendae vias inducamus necesse est. Quarum illam Graeci, ut sopra dixi, αύτοπρόσωπον, hanc διαλογικήν appellarunt. Etenim si quis syllogismum ad eam disputandi consuetudinem quae nobiscum instituitur accomodaverit, inductionem ei quae cum altero suscipitur relinquat necesse est, quae dialogus appelatur.90»

Il ragionamento induttivo, procedendo dai singoli enti agli universali, è tipico della situazione conversativa con un interlocutore; mentre il sillogismo, discendendo dagli universali ai particolari, è proprio della riflessione interiore individuale. L’espediente sillogistico non deve tuttavia essere inteso troppo rigidamente come peculiare dell’indagine solitaria, infatti Sigonio distingue fra i sillogismi che si fondano su premesse vere e corrette, dalle quali ha origine la scienza, e quelli basati su premesse opinabili e comuni, dalle quali si origina l’opinione.91 Il teorico articola tale ripartizione sostenendo che la prima tipologia sillogistica è propria della disputa in cui si parteggia per un'unica verità, mentre la seconda pertiene a una discussione condotta dialetticamente secondo l’alternarsi di argomentazioni favorevoli e contrarie alla questione trattata. Il modenese, su quest’ultimo punto, viene supportato dall’autorità di Aristotele:

«Atque hoc ipsum etiam non obscure demonstratum esse ab Aristotele video, qui, cum in Topicis dialecticam ad congressus valere et disputationes dixit, quid aliud quam ad dialogos doctorum hominum intellexit mutuis percontationibus de vi ac natura rerum omnium disquirentium, non necessariis sed probabilibus argumentis.92»

89 Ibid.

90 Ibid.

91 Ibid., p.135. Cfr. ARISTOTELE, Top. I, 1, 100a 25-b 23.

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Il profilo identitario della forma letteraria del dialogo sta progressivamente emergendo nella dissertazione sigoniana; possiamo riconoscerne i primi tratti caratteristici ovvero il configurarsi come un colloquio tra persone dal livello culturale piuttosto elevato, le quali disquisiscono nel campo del probabile mediante reciproche interrogazioni. Più avanti il critico riporta la testimonianza di Ammonio concernente la differenziazione degli scritti aristotelici sulla base delle variegate modalità sfruttate per conseguire il medesimo fine, quello di provare la bontà delle proprie tesi. Il primo gruppo di opere si connota per la complessità degli strumenti teorici adottati che difficilmente potrebbero essere afferrati dalla «moltitudine incolta»93, il secondo, costituito dai dialoghi, usufruisce di espedienti ragionativi più semplici e immediatamente comprensibili rivolti a persone dal bagaglio culturale lacunoso94:

«Itaque cum multa alia Ammonius egregie, tum hoc in primis, Aristotelem in utroque scribendi genere illum quidem evigilasse, verum non eodem modo. Nam in iis scriptis in quibus ipse solus loquitur, quasi cum veris ac legitimis disciplianae suae cultoribus agat, quae sibi quaque de re placeant, ea argumentis firmissimis ac subtilissimis et quae vix ab imperita multitudine intelligantur, confirmare. In dialogis vero, ut qui popularem utilitatem intueantur, easdem res illas rationibus simplicioribus quibusdam et imbecillioribus et quibus vulgus assentiatur imperitorum, probare.»95

Sulla scorta del giudizio emesso da Ammonio, Sigonio accetta nel suo De dialogo liber la suddivisione delle opere aristoteliche fra acroamatiche96, dotate di una scrittura e modalità compositiva più sorvegliate e di arguti criteri teorici con cui strutturare le diverse argomentazioni, ed

essoteriche,97alle quali vengono assegnati assetti normativi più semplici e accessibili per un pubblico dalle modeste potenzialità intellettive. In seguito, vengono riportate due difformi schiere di interpreti dell’affermazione di Ammonio: Plutarco, Gellio e Alessandro di Afrodisia, il maggior esegeta di Aristotele, assegnano alle opere essoteriche la trattazione di concetti inerenti alla dottrina civile, morale e oratoria; mentre alle acroamatiche la dissertazione sui principi della natura e di Dio, ovvero dibattiti dal contenuto altamente filosofico. Il secondo grappolo di studiosi, Cicerone, Alessandro ed Eustrazio, ritiene che il discrimine fra i due filoni di scritti aristotelici debba essere rintracciato non

93 C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., p.135.

94 Cfr. AMMONIO, In Cat., p. 4, 17-27 e p.6, 25-7, 4. Per quanto riguarda chiarimenti più puntuali riguardo alla testimonianza di Ammonio sullo stile degli scritti aristotelici rimando a C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., nota 2 pp.265-266 e nota 24 pp.269-270.

95 C. SIGONIO, op. cit., pp.135-136.

96 Ibid., p.137.

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nella diversità degli argomenti trattati, ma nella differente modalità con cui la disquisizione prende forma98. Infatti:

«De iisdem enim rebus bis ab Aristotele disputatum esse significant, in acroamaticis quidem subtilius atque ad limandam veritatem aptius, in exotericis vero probabilius atque ad efficiendam opinionem accomodatius.»99

Questi ultimi interpreti riconoscono che sulla base del modus operandi aristotelico è sorta una duplice modalità con cui sviluppare gli elaborati scritti inerenti le medesime tematiche: nelle opere acroamatiche si discute intorno alla verità con l’impiego di raffinati artifici retorici, nelle essoteriche con uno stile più dimesso dai sobri costrutti logici volto a originare non solide certezze, ma opinioni afferenti alla sfera del probabile. Dalla discussione teorica sviluppata sin qui, Carlo Sigonio ritiene che si possa trarre una conclusione fondamentale, quella secondo cui i dialoghi scritti dallo Stagirita vanno annoverati fra le opere essoteriche, pensate per ospitare dispute probabili:

«Quibus ex rebus, ut ad rem redeamus, illud constituendum videtur, cum dialogos ab Aristotele scriptos inter exoterica eiusdem monumenta esse referendos, tum eos ipsos ad probabiles inducendas disputationes ab eo celebratos fuisse.»100

Indagando le origini della forma dialogica, Sigonio riconosce il merito a Platone, sul versante greco, di averla condotta all’apice delle sue potenzialità letterarie, pur essendo al corrente che i primissimi cultori di essa nell’Ellade sono stati Zenone di Elea e Alessamene di Teo101. Aristotele viene giudicato un fedele seguace dell’eccellente capacità autoriale di Platone nella costruzione di dialoghi; sul versante latino Cicerone si staglia, nella valutazione sigoniana, come magistrale esempio di compositore dialogico per le sue doti di gravità, saggezza e fecondità:

«Neque vero hac laude Romana carere in primis gloriae appetens natio voluit, immo ut multa alia a Graecis sumpta, sic hoc studium ab iis acceptum melius aliquanto atque illustrius reddidit, inter quos

98 Ibid.

99 Ibid., p.136.

100 Ibid., p.138.

38 unus ita Cicero gravitate, prudentia et copia praestitit, ut, cum superioribus magnam laudis partem eripuerit, posteris spem etiam ademerit imitandi.»102

A partire dai suggerimenti aristotelici presenti in apertura della Retorica103, Sigonio specifica che lo statuto teorico del dialogo si delinea grazie alla partecipazione di tre distinte discipline e dei loro rispettivi bagagli precettistici: la poesia, l’oratoria e la dialettica. È necessario usufruire dell’arte dei poeti in quanto il dialogo condivide con essa la prassi imitativa, di quella degli oratori per la comune stesura in prosa e per mutuarne gli artifici dell’eloquenza, infine, della dialettica affinché lo scambio di opinioni fra gli interlocutori sia riprodotto verisimilmente con efficaci strumenti disputativi. A questo proposito, il modenese si esprime così:

«[…] sic perfectam dialogi speciem tum poeticis tum oratoriis institutis absolvi: poeticis ad imitationem cum personarum decoro suscipiendam, oratoriis ad orationem eloquentiae luminibus illustrandam. Quanquam ne hoc quidem est satis: dialectica supellex adiungatur necesse est, sine qua nec acutum ac difficile disputationis munus praeclari scriptor dialogi sustinere, nec idoneam poscendae aut ponendae quaestionis consuetudinem, aut probabilia quae sint ex rebus eliciendi, aut adversarii urgendi, aut ex eius forte insidiis tanquam ex laqueis elabendi, quae omnia ut dialecticae sic dialogorum sunt instrumenta, rationem cognoscere poterit.»104

Sigonio giunge ad un nodo nevralgico della sua dissertazione ovvero il definire precisamente il dialogo, scandagliandone la più intima essenza; si prefigge di anteporre alla sua formulazione quella di alcuni autori antichi al fine di facilitare il lettore nel cogliere analogie e differenze rispetto al suo pensiero. La prima fonte ad essere menzionata è Diogene Laerzio, il quale nella Vita di Platone105 tratteggia il dialogo come l’alternarsi di domande e risposte su assunti relativi alla filosofia o alle discipline civili, in cui viene fedelmente rispettato il decoro dei personaggi introdotti e gli espedienti retorici del discorso dialettico. La norma laerziana viene giudicata sostanzialmente valida ma lacunosa; a questa Sigonio preferisce quanto stabilito da Aristotele nella Poetica:106

102 Ibid., p.140.

103 Cfr. ARIST., Ret. I, 1354a-b.

104 C. SIGONIO, op. cit., p.144.

105 Cfr. LAER. III, 48.

106 Cfr. ARIST., Poet. 1, 1447a 13-18; 1, 1447a 21-23; 2, 1448a 1-5; 3, 1448a 19-24 e si veda, inoltre, C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., nota 51 p.274.

39 «Ille [Aristotele] enim, cum ad singulas poeseos partes definitione aperiendas fundamenta iaceret, universum earum genus imitationem, generis autem eius differentias tripartitas esse constituit: a rebus, ab instrumentis, a modis. Res, quas poetae imitando simularent, aut graviorum aut leviorum hominum, aut qui his interiecti essent, actiones esse invenit; instrumenta, quae ad imitandum afferent, orationem esse, concentum et rhythmum; modos ineundae imitationis, cum iidem aut perpetua uterentur narratione, aut quasi agentes inducerent, aut utrunque. Itaque, cum deinceps ad tractationem tragoediae descendisset, ex his principiis tragoediam imitationem esse conclusit earum actionum, quae a gravibus susciperentur hominibus, versu, concentu, rhythmoque ac sola personarum inductione inita.»107

Il modenese, seguendo le indicazioni aristoteliche, individua nella pratica dell’imitazione il sostrato concettuale comune sia alla poesia che al dialogo; l’arte poetica si propone di imitare attraverso soggetti, mezzi e modalità differenti. Nella concezione dello Stagirita le cose che si prestano all’espediente imitativo sono le azioni degli uomini, le quali possono essere illustri, mediocri oppure trovarsi a metà fra questi due opposti; i mezzi attuati dai poeti per realizzare l’imitazione sono il linguaggio, l’armonia e il ritmo; le modalità imitative sono l’utilizzo della narrazione continua, l’inserimento di personaggi che simulano la recitazione oppure una commistione fra questi due elementi. Da questo armamentario teorico consegue che per Aristotele la tragedia è imitazione di azioni compiute da uomini insigni, con l’impiego del verso, dell’armonia e del ritmo e condotta con l’esclusiva introduzione dei personaggi108. Aristotele è concepito nella veste di autorità somma e imprescindibile a cui riferirsi continuamente per l’inquadramento dei generi letterari:

«Quem putamus, nisi eum quem ducem in omni genere litterarum libenter sequimur, Aristotelem?»109

Per fugare ogni dubbio circa l’appropriata cittadinanza del dialogo nel dominio dell’imitazione poetica, Sigonio riporta due passi in cui il Filosofo ribadisce questo concetto. Il modenese è perfettamente conscio della profonda ambiguità che permea quei luoghi aristotelici e del conseguente disagio interpretativo nato nei commentatori i quali si sono cimentati nella loro esegesi. Il teorico ritiene perciò utile riportarli entrambi per intero al fine di infondere alla trattazione maggiore chiarezza; il primo è dall’opera Dei Poeti:

107 C. SIGONIO, op. cit., p.146.

108 Cfr. ARIST., Poet. 6, 1449b 24-34.

40 «Sic enim scribit in libro De poetis primo: «Ergo Sophronis mimos, qui dicuntur, sermones non metricos et imitationes esse negemus, aut Alexameni Teii dialogos, qui ante Socraticos scripti sunt?110»

La seconda citazione, invece, proviene dalla Poetica:

«[…] in Arte autem hoc modo: «Epopoeia sola nudis sermonibus, aut metris, utitur. Neque enim commune nomen haberemus, quo Sophronis et Xenarchi mimos et Socraticos sermones appellaremus»111.

Sigonio afferma l’equivalenza semantica dei rimandi aristotelici, congetturati dal Filosofo per opporsi ai sostenitori del verso come modalità univoca attraverso la quale espletare l’imitazione. Grazie a questi solidi apporti teorici provenienti da autorità indiscutibili, l’assunto che la pratica imitativa sia confacente al dialogo assume le sembianze di un vero e proprio assioma. Il dialogo è un genere letterario eccessivamente ampio e dispersivo. Per circoscriverlo e isolarlo rispetto all’epopea e alla poesia drammatica, occorre trattarne le differenze inerenti all’imitazione dei personaggi, del linguaggio e del modo; quest’ultimo distinto a seconda della prevalenza di narrazione o azione112. Il modenese inizia ad esaminare approfonditamente la tipologia di persone idonea a comparire in opere dialogiche, premettendo una definizione dettagliata del concetto di “disputa”:

«Itaque quoniam disputatio quaedam est disquisitio rationis quae inter eruditos homines percontando et respondendo versatur, quod graece διαλέγεσθαι dicitur, ea de re dialogum antiqui tradiderunt ex interrogatione et responsione compositum113».

La nozione greca del διαλέγεσθαι rispecchia i caratteri della disputa dialogica concepita da Sigonio, ovvero un dibattito collettivo fra interlocutori eruditi, i quali servendosi dell’ausilio della ragione reciprocamente si interrogano ed elaborano delle risposte riguardo le più svariate tematiche. È doveroso sottolineare che l’investigazione ha luogo nell’ambito della probabilità, in cui i dialoganti possono spaziare con le loro argomentazioni, supportati dal loro elevato profilo culturale:

110C. SIGONIO, op. cit., p.146. Il passo aristotelico riportato da Sigonio si riferisce a ARIST., Περι ποιητών, fr. 72 Rose = fr. 3b Laurenti. Cfr. C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., nota 41 p.273 e nota 53 p.275.

111 C. SIGONIO, op. cit., p.146. Per il passo citato cfr. ARIST., Poet. 1, 1447a 28-b 11.

112 Ibid., p.151.

41 «Ex quo apparet germanam dialogi personam vere nullam aliam dici posse, nisi quae optimis imbuta litteris de quacunque proposita re possit dialecticorum more disserere.»114

Luciano di Samosata viene accusato di contravvenire alla norma del decoro richiesto ai personaggi, in quanto colpevole di aver introdotto nelle proprie opere come protagonisti le divinità olimpiche, le cortigiane e i defunti115 con elementi mutuati dalla commedia al fine di “alleggerire” la conversazione letteraria. Il suo obiettivo è di suscitare il riso e il divertimento nei lettori poco avvezzi all’indagine I dialettica condotta rigorosamente; su Luciano ricade, quindi, la colpa di aver contaminato la forma dialogica con la trivialità della commedia.

Riprendendo la definizione del dialogo fornita da Diogene Laerzio116, Sigonio passa alla disamina della natura argomentativa delle questioni da sviscerare, la quale può essere o prettamente filosofica o civile, quindi afferente alla conoscenza oppure all’azione. Esemplari testimonianze di tale consuetudine compositiva sono i dialoghi di Platone, Senofonte e Cicerone; colui che devia dalla tradizione, affrontando nei propri scritti soggetti disdicevoli, è il solito Luciano di Samosata:

«Hanc ergo consuetudinem ab omnibus ante sancte custoditam primus etiam, ut dixi, Lucianus depravavit atque corrupit, cum de rebus ridiculis, de amoribus ac fallaciis meretriciis dialogum loqui coegerit.»117

Successivamente il modenese esplica con quale mezzo ci si propone di attuare l’imitazione nella forma dialogica. Esso è il discorso declinato in prosa, privato dell’artificio metrico del verso tipico della poesia e modellato secondo uno stile medio e temperato, poiché si riproduce un dibattito intriso di quotidianità:118

114 Ibid.

115 Per quanto riguarda il giudizio negativo di Carlo Sigonio nei confronti di Luciano di Samosata cfr. C. SIGONIO, op. cit., p.152 e note 65-66-67 pp.276. Le opere maggiormente criticate dal modenese sono LUC. DI SAM., A chi gli disse: «Tu sei il Prometeo della parola» e L’accusato di due accuse o i Tribunali.

116 Cfr. nota 106 p.39 di questo elaborato.

117 C. SIGONIO, Del Dialogo …, cit., p.154.

42 «Instrumentum autem est oratio soluta, non numeris poetico more devincta, eademque, quia quotidianam quandam refert sermonis consuetudinem, ita verbis conformata atque composita, ut ad tenue ac subtile propius quam ad mediocre et temperatum dicendi genus accedat.»119

Per quanto concerne l’orientamento retorico, Sigonio cita la testimonianza di Artemone, editore delle lettere di Aristotele, il quale sostiene la parentela stilistica fra genere epistolare e dialogico, essendo la lettera analoga a uno dei due interlocutori del dialogo120. Dall’assunto di Artemone si distanzia tenuemente Demetrio, il quale, nel Dell’interpretazione121, riconosce all’epistola un registro maggiormente sorvegliato e una scrittura frutto di assiduo studio rispetto al dialogo, la cui composizione si connota per uno stile più estemporaneo. Sigonio precisa che l’opera dialogica è una sorta di “ritratto” di una veridica conversazione dialettica e, in quanto tale, esige maggiori ornamenti retorici e una spiccata eleganza nella selezione del lessico rispetto a un ordinario dibattito. L’allestimento formale si differenzia a seconda delle tipologie di dialogo; quello del discorso continuo non è il medesimo della conversazione ripetutamente interrotta. Cicerone, insigne alfiere dello scritto dialogico esteso e di ampio respiro, adotta uno stile più nobile ed elevato rispetto a Platone, antesignano del dialogo maggiormente conciso dal modesto registro:

«Ornatus autem non est idem omnium, non enim iisdem luminibus et figuris orationis illustrari interrupta disputatio atque perpetua potest. Quo fit, ut altius sese efferre ac magnificentius quodammodo disputare Cicero videatur Platone. Hunc enim perpetuitas et amplitudo delectat orationis, illum plerumque brevitas et angustiae. Itaque Cicero temperatum dicendi genus est persequutus, Plato fere summissum ac pressa oratione limatum.»122

In tutto il dipanarsi del De Dialogo liber Cicerone è assurto a modello per la sua superlativa capacità autoriale di comporre dialoghi eccellenti in ogni angolazione tematica, stilistica e formale, mentre Platone è oggetto di critiche più o meno velate. Sigonio non riconosce al filosofo greco l’abilità di aver allestito opere egualmente convincenti per la qualità dello stile; in quelle in cui ricerca la magnificenza retorica non esprime affatto le sue potenzialità creative che invece emergono laddove tende a un eloquio dimesso. Il giudizio del modenese è avvallato dall’autorità di Aristotele che colloca