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CAPITOLO II: I Dialogi di Sperone Speroni

2.2 I Dialogi

2.2.1 Il Dialogo d’Amore

All’inizio di questo capitolo, delineando le principali tappe biografiche della vita intellettuale dello Speroni, abbiamo avuto modo di sottolineare come il 1528 sia un anno cruciale per l’autore; la morte del padre e la ferma volontà di trovare nuovi territori in cui sviluppare il proprio credo letterario portano il Padovano a compiere una scelta di campo: abbandonare la speculazione filosofica per dedicarsi a quella prettamente retorica. Da questo momento in poi si impegna nella composizione dei

44 I testi dei quattro Dialogi che in questa sede ci proponiamo di analizzare sono presi dalla silloge curata da Mario Pozzi in Trattatisti del Cinquecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1978, Vol.I, pp.511-724. Questo intervallo di pagine riguarda i testi del Dialogo d’Amore, della Dignità delle Donne, delle Lingue, della

Rettorica e la prima parte dell’Apologia dei Dialogi. La miscellanea contiene anche la seconda parte del Dialogo della Istoria alle pp.725-784. Pozzi specifica di essersi servito per la sua edizione della princeps,

fondando la sua scelta sul fatto che proprio essa, anche se non riveduta dallo Speroni, ha contribuito a diffonderne le idee in Francia. Il testo dei Trattatisti, risalente alla princeps, si differenzia in alcuni punti rispetto a quello di Opere di M. Sperone Speroni degli Alvarotti, tratte da’ mss. originali, Domenico Occhi, Venezia, 1740 [in ristampa anastatica presso Vecchiarelli, Manziana, 1989: siglata S], perché rappresentando la prima stesura dell’autore non contiene le correzioni attuate in seguito alla denuncia dei Dialogi al Tribunale dell’Inquisizione, presenti invece in S.

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Dialogi; opere che egli interpreta come una sorta di surrogato della ricerca filosofica,45 stilate nei periodi di ozio dall’attività di professore46. Per quanto riguarda la datazione del Dialogo d’Amore, lo Speroni concluse l’opera nel 1537, sebbene i suoi primi abbozzi risalgano a circa una decina di anni prima47. Il Dialogo viene denunciato al Tribunale dell’Inquisizione da un anonimo accusatore nel 1575, nel pieno clima censorio e repressivo scaturito dalla Controriforma; lo Speroni provvede così alla soppressione dei passi più “scabrosi” e alla riscrittura completa dell’opera. Come già specificato in nota, seguiremo nella nostra analisi il testo della princeps, proposto da Mario Pozzi nei suoi

Trattatisti, in quanto ci sembra giusto soffermarci sullo studio della prima volontà creativa

dell’autore, come maggiormente veridica rispetto alle sue intenzioni compositive, avulsa da qualsiasi coercizione esterna.

Il Dialogo d’Amore si inserisce pienamente nella seconda stagione della trattatistica cinquecentesca inerente la tematica erotica; possiamo considerarlo uno scritto pionieristico, precorritore di elementi di rottura rispetto alle opere primo-cinquecentesche48. Rispetto agli Asolani del Bembo e al Libro del

Cortegiano del Castiglione, l’argomentazione amorosa non viene svolta dallo Speroni con l’intento

di inquadrarla esclusivamente nella corrente neoplatonica, sviluppata in seguito alla riscoperta e alla diffusione da parte dell’Accademia Fiorentina delle opere dell’autore greco. Il neoplatonismo ficiano caratterizza considerevolmente l’opera del Bembo, il quale provvede a codificarlo secondo nuovi canoni mutuati dalla tradizione lirica trecentesca, in particolare dal Petrarca. Attraverso gli Asolani, il letterato veneziano si propone come obiettivo quello di saldare il rapporto tra platonismo e lirica volgare,49fornendo così il materiale per escogitare una giustificazione teorica alla poesia volgare, al fine di conferirle dignità letteraria. Gli Asolani si qualificano come l’opera capitale del platonismo amoroso nel primo Trentennio del Cinquecento; primato che viene scalfito dalla produzione dialogistica di Leone Ebreo, comparsa sulla scena letteraria nel 1535. Il Castiglione fa del suo Libro

del Cortegiano una sorta di autorevole cassa di risonanza delle teorie del maestro Bembo; l’ultimo

libro dell’autore mantovano si conclude con l’intervento del veneziano, personaggio interlocutore del dialogo, il quale esalta le lodi dell’amore assoluto. Gli autori della trattatistica erotica della prima fase del Cinquecento indagano, in maniera approfondita, la fenomenologia amorosa: gli effetti della

45 M. POZZI, Sperone Speroni e il genere epidittico, in Sperone Speroni, “Filologia veneta. Lingua letteratura e tradizione”, Padova, Editoriale Programma, 1989, f. 2, p.63.

46 I motivi ispiratori dei Dialogi sono descritti nella prima parte dell’Apologia dei Dialogi, opera che tratteremo nel terzo capitolo; quindi avremo modo di ritornare sulla genesi della dialogistica speroniana.

47 M. POZZI, Trattatisti del Cinquecento …, cit., p.1185.

48 Per un approfondimento della trattatistica amorosa del Cinquecento e delle differenze che intercorrono tra la prima e la seconda stagione del secolo, nonché per lo studio delle principali opere concepite in questo periodo si veda la preziosa Introduzione di Mario Pozzi presente in Trattati d’amore del Cinquecento, Roma-Bari, Laterza, 1975, [Reprint a cura di Mario Pozzi dell’edizione Zonta, Roma-Bari, Laterza, 1912], pp. V-XL.

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passione amorosa sul comportamento sociale e il ruolo che all’amore si deve assegnare nella vita umana50. Ciò che muove questi intellettuali è principalmente la ferma volontà di classificare nei minimi particolari il sentimento, per inserirlo in una specifica tassonomia, al fine di allontanarne qualsiasi connotazione irrazionale. La ragione è l’elemento irrinunciabile che deve concorrere a sublimare qualsiasi istinto sensuale e incontrollabile in campo amoroso. Il raziocinio è la necessaria precauzione per non incorrere in delusioni e sofferenze tipiche di questo sentimento, ma che i trattatisti neoplatonici mirano ad evitare attraverso una rigorosa precettistica. Pozzi, sulla scorta delle posizioni del Croce, dimostra le contraddizioni insite nel concetto neoplatonico dell’amore: «[…] eppure in quella felicità pura e infinita, priva di irrequietezze e sofferenze, a cui anelavano i neoplatonici, come nella volontà di dare all’amore delle norme che ne dominino gli effetti, si manifesta quell’aspirazione a uno stato paradisiaco, a una serenità assoluta, che, proprio perché contraddittoria e utopistica, nasceva non da un volgare desiderio d’evasione ma da quel fondo di drammatico pessimismo che era pur presente nella splendida civiltà rinascimentale»51. L’amore spirituale vagheggiato da questi eruditi non coincide assolutamente con quello celebrato mediante il vincolo del matrimonio; si tratta di un sentimento di elezione, libero dalla coercizione della legge e dall’obbligo formale di un contratto. La messa in crisi degli ambienti aristocratici e raffinati delle corti e degli ideali propri dell’Umanesimo latino e volgare comporta un cambiamento di rotta per quel che concerne la dialogistica amorosa; il Dialogo d’Amore propone con grande efficacia una situazione conversativa agile e brillante, avulsa da ansie tassonomiche.

I protagonisti del dialogo speroniano sono quattro: Tullia d’Aragona, Bernardo Tasso, Niccolò Grassi, detto il Grazia, e Francesco Maria Molza.

Tullia d’Aragona è una famosa cortigiana romana che anima la scena intellettuale cinquecentesca, autrice del dialogo Della infinità di amore.52La donna esercita la sua professione a Venezia nel 1534, dove incontra il poeta Bernardo Tasso con cui stringe una relazione proprio in quegli anni. La cortigiana è conosciuta e frequentata anche dall’Aretino, il quale però, contrariamente al Tasso, le preferisce meretrici dotate di scarsa cultura ma di una fisicità più florida e più procace. Proprio l’Aretino, nella lettera allo Speroni del 6 giugno 1537, esprime tutta la sua ammirazione per l’opera dialogica del Padovano e per quel che riguarda il ruolo ricoperto da Tullia nel Dialogo d’Amore scrive: «la Tullia ha guadagnato un tesoro che per sempre spenderlo mai non iscemarà, e l’impudicizia

50 M. POZZI, Trattati d’amore del Cinquecento, cit., p. XI.

51 M. POZZI, op. cit., p. XII.

52 Per quanto riguarda le notizie biografiche su Tullia d’Aragona si veda Dialogo d’Amore, in M. POZZI,

Trattatisti del Cinquecento …, cit., nota 1 p.511 e l’Introduzione di M. POZZI, in Trattati d’amore del Cinquecento, cit., pp. XXVI-XXXI, XLVIII-XLIX, LVIII.

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sua, per sì fatto onore, può meritatamente essere invidiata e da le più pudiche e da le più fortunate»53. Tullia viene apprezzata nel Cinquecento come arguta letterata e impegnata trattatista; nel Dialogo da lei composto emerge la sua personalità sbarazzina, incline a mettere in crisi le più solide convinzioni filosofiche del tempo; atteggiamento che ritroviamo volentieri nel Dialogo d’Amore dello Speroni. Il primo protagonista maschile è Bernardo Tasso, il quale nel Dialogo si trova nelle vesti di amante di Tullia; il suo rapporto con lo Speroni si può collocare in una dimensione di ammirazione e devozione verso il Padovano, da cui ricerca sovente consigli in materia poetica e che definisce «giudice de’ miei scritti accorto e saggio54». Troviamo successivamente Niccolò Grassi, detto il Grazia, un intellettuale gravitante nel circolo di letterati riunitisi attorno a Tullia, a Venezia. Destinatario di alcuni sonetti e di lettere scritti da Bernardo Tasso, il Grazia recitò il Dialogo d’Amore in casa dell’Aretino; un fatto importante che apprendiamo dalla lettera di Pietro allo Speroni del 6 giugno 1537, su cui avremo modo di ritornare più avanti. L’ultimo interlocutore del Dialogo è Francesco Maria Molza, autore di prose volgari e latine, ma famoso soprattutto per la sua competenza “pratica” in relazioni amorose, esercitata alacremente e risaputa all’epoca55.

La conversazione del Dialogo d’Amore irrompe sulla scena ex abrupto, con una modalità del tutto antitetica rispetto ai dialoghi della prima parte del secolo: infatti, non rintracciamo nessuna informazione da parte dell’autore circa le coordinate spazio-temporali in cui si svolge lo scambio interlocutorio. Lo Speroni non contempla la presenza di una cornice introduttiva extra-diegetica e nemmeno l’intervento diretto dell’autore per anticipare le battute fra i protagonisti; questi espedienti contribuiscono ad aumentare la verosimiglianza del dialogo che dà l’impressione al lettore di essere realmente agito, grazie al suo potenziale mimetico.

Inizialmente la situazione conversativa si svolge tra Tullia, Bernardo e il Grazia; quest’ultimo riveste la carica di falso princeps sermonis, in quanto viene interpellato dai due amanti per dirimere delle questioni amorose a cui puntualmente risponde con teorie troppo astratte, dunque inservibili per giungere ad un’effettiva soluzione. Il primo nodo problematico attorno al quale viene imperniata la discussione è quello della gelosia: se sia lecito provare tale sentimento nell’ambito del rapporto amoroso, come testimonianza e prova della sua veridicità, oppure se esso infici la genuinità

53 P. ARETINO, Lettere. Il primo e il secondo libro, a cura di F. Flora, con note storiche di A. Del Vita, Milano, Mondadori, 1960, p.173.

54 B. TASSO, Rime, I, p.6 e cfr., M. POZZI, Trattatisti del Cinquecento …, cit., nota 2 p.511.

55 Per tutti gli approfondimenti inerenti i percorsi biografici dei quattro interlocutori del Dialogo d’Amore, rimandiamo, una volta di più, a M. POZZI, op. cit., note 1-4 pp.511-512.

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dell’amore, contaminandolo con affetti negativi. I due amanti reputano la gelosia un «segno d’amore»,56 ma il Grazia si impegna a sconfessare questa opinione:

GRA.: O triste segno d’amore o vil pegno di cosa sì preziosa. Veramente voi siete offesi ambidue da un gravissimo errore; e dirovvi in qual modo, se mi darete udienzia.

TUL.: Indarno sono le ragioni, ove ha luogo la esperienzia. Io per me mai non amo ch’io non mi muoia di gelosia; né mai sono stata gelosa che io non amassi e ardessi. Onde io credo che tali sieno tra loro la gelosia e lo amore, quale è il raggio e la luce, il baleno e la folgore, lo spirito e la vita57.

Comprendiamo da queste prime battute espresse dalla cortigiana romana il temperamento passionale che ne pervade l’animo; Tullia ammette senza riserve la propria difficoltà ad amare senza provare gelosia, ma non pare esserne troppo rammaricata, poiché nella sua prospettiva tale sentimento ambiguo è indice di un autentico attaccamento all’amato. Tasso si schiera a favore di Tullia, reputando «più ingeniosa che vera»58l’affermazione del Grazia, per cui l’amore avulso da gelosia è «più perfetto»59. Ecco come l’intellettuale delinea la propria concezione di idilliaco sentimento:

GRA: Quello è amore perfetto, il cui nodo lega e congiunge perfettamente due innamorati, in maniera

che, perduto il loro proprio sembiante, diventino amendue un non so che terzo, non altramente che di Salmace e di Ermafrodito si favoleggi. La quale mutua e miracolosa unione in varii modi significarono

i nostri poeti, dicendo già un di loro Laura portar seco il suo cuore nel viso; e altrove quella medesima avergli dato il più e il meglio di sé, e il meno ritenuto. Quindi similemente ebbero origine tutti quanti quei privilegii amorosi, sciolti e diversi (come si dice) da ogni condizion naturale, e specialmente questo uno: vivere in altri, e in sé stesso morire. Ché così come nella vostra armonia col suon del liuto confondete la voce, e ne’ profumi l’ambra, il muschio e il zibeto, alterata la purità loro, tutti insieme rendono odor più soave che essi non fanno separati; così allora è perfetto lo amore, quando ambidue

gli amanti non sono quello che essere soleano una volta, ma mescolati in maniera che né uno né due, e uno e due, si possano con verità nominare; e non sia fallo in grammatica dell’uno e dell’altro dire: tu amate e voi ami. E per certo, se amor vince e sforza essa natura ardendo, agghiacciando, ferendo,

sanando, uccidendo e risuscitando in un punto, ben dovrebbe poter fare a suo modo d’una regola di

grammatica, senza che alcuno ne lo repigliasse. Tale è adunque la perfezzion dell’amore di cui

56 S. SPERONI, Dialogo d’Amore, in M. POZZI, Trattatisti del Cinquecento …, cit., p.513.

57 S. SPERONI, Dialogo d’Amore …, cit., pp.513-514.

58 S. SPERONI, op. cit., p.514.

93 parliamo, la quale malamente puote aver luoco in quel cuore, ove siede la gelosia, monstro orrendo e

pien di paura; cui null’altra cosa produce nel petto all’innamorato, fuor che ‘l trovar lui in sé medesimo

alcun difetto onde sia esente il rivale, dubitando tutt’ora della fede e della constanzia della sua donna60.

Da questo lungo intervento del Grazia si comprende come egli sia il sostenitore di una visione neoplatonica dell’amore, in cui i due amanti, attraverso un’unione tutta spirituale, perdono la propria specifica identità per acquistarne una terza, migliore, caratterizzata dalla mescolanza dei rispettivi tratti. Egli ricorre, per suffragare la sua teoria, all’autorità dei poeti e all’ausilio del mito; notiamo il riferimento alla Laura petrarchesca61. Il suo pensiero è antitetico rispetto a quello di Tullia e di Bernardo; il loro punto di vista è forgiato dal pragmatico esperire, a tratti doloroso. Non ci deve sfuggire il fatto che nella sua definizione di “perfetto amore”, accanto all’esempio illustre dei poeti e delle narrazioni mitologiche, il Grazia accosti un lessico dissonante rispetto all’immaginario erotico vagheggiato dagli altri due protagonisti, accennando a «una regola di grammatica». Da tale indizio si evince come egli sia convinto della necessità di inquadrare il sentimento in una specifica tassonomia, in cui smussare e regolare qualsiasi amorosa devianza irrazionale. Il Grazia prosegue nella sua disquisizione, incalzato da Tullia, enunciando gli effetti negativi della gelosia in campo amoroso; a questo punto l’erudito esplica come la figura dell’ermafrodito amoroso, ovvero della creatura originatasi dalla perfetta unione fra amante e cosa amata, nasca prima dall’intrecciarsi dei sensi, i quali vengono governati e sublimati dal predominio della ragione. Notiamo come la prospettiva del Grazia non sia dipinta dallo Speroni in maniera monolitica: egli è intriso dei precetti teorici neoplatonici, ma è perfettamente consapevole che parte del godimento amoroso scaturisce anche dall’utilizzo dei sensi. Questo aspetto viene sottolineato dallo Speroni con un vivido paragone messo in bocca al Grazia:

GRA: Onde chiunque è così sciocco in amore ch’egli non curi i loro appetiti, ma come semplice intelligenzia cerchi solo di satisfarne la mente, egli è simile a colui il quale, tranguggiando alcun cibo senza toccarlo co’ denti, più s’inferma che si nutrichi62.

Non mancheremo di evidenziare le immagini particolarmente efficaci e icastiche di cui il Padovano si serve per esemplificare certi concetti che potrebbero risultare complessi al lettore; oltretutto

60 Ibid., pp.514-515.

61 Cfr. PETRARCA, Rime, CXI, I e Trionfo della Morte, II, 151-153.

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attraverso tale espediente retorico l’autore aumenta il grado di godibilità dell’opera e il diletto che ne deriva, non abbandonando mai completamente una certa intenzione divulgativa. La battuta del Grazia è foriera, dunque, della sua non completa adesione ad un ideale prettamente “intellettuale” dell’amore; lo Speroni riesce abilmente a tratteggiare dei personaggi dalle molteplici sfaccettature, i quali non sono irremovibili nelle loro posizioni, ma tendono positivamente ad entrare in contatto con apporti ideologici variegati in un terreno comune, quello, appunto, del dialogo.

Tullia prega il Grazia di illuminarla su come la ragione possa avere diritto di cittadinanza in amore, in quanto il raziocinio, nella sua prospettiva, inficia la passione amorosa e ne diminuisce l’intensità. La cortigiana è una donna percorsa da preoccupazioni prepotentemente veraci e umane; esprime il proprio patimento per l’imminente partenza del suo amato Bernardo. Si tratta di un avvenimento veramente accaduto nella carriera del poeta: nel 1532, il Tasso abbandona il servizio della principessa Renata d’Este e assume l’incarico di segretario di Ferdinando Sanseverino, principe di Salerno63. L’argomento è doloroso per entrambi gli amanti:

TAS: Per grazia, non si ragioni del mio partire, che il rio tempo futuro turba e oscura molto la mia presente felicità.

TUL.: Veramente la vostra partita è materia non da parlare ma da piagnere. Però è buono il tacere; ma s’io ne fossi cagione, come voi siete, giusto mi parrebbe il dolore in ch’ella mi devesse recare. TAS.: Cagione ne è la mia sorte che, essendo altrove ubligato, mi vi fece vedere e, preso una volta dalla carità del mio Prence, mi diede nelle mani d’amore, il quale con nuovi lacci stringesse e legasse in Vinegia la già donata mia libertà; tuttavia io non rifiuto, ma volentieri dentro da me darò luogo al dolore. Così foss’io solo a dolermi, che io non sentirei la metà della pena; ché più m’affliggerà il vedervi dolere per mia cagione, che non farà il male ch’io patirò nel partire64.

Lo Speroni, introducendo il particolare inerente la partenza del Tasso per Salerno, permette al reale di fare irruzione sulla scena dialogica, coadiuvando così la credibilità della conversazione, i cui interlocutori confidano timori verosimili. Tullia si rivolge nuovamente al Grazia con un altro interrogativo: in che modo lei e Tasso potranno formare, attraverso la loro unione, l’ermafrodito amoroso, essendo imminente il loro distacco? L’erudito cerca di consolare la cortigiana distinguendo

63 Daniele Barbaro dedica l’edizione del 1542 dei Dialogi speroniani a Ferdinando Sanseverino (1507-1568), in quanto il Padovano aveva indirizzato al principe di Salerno molti dei suoi trattati. Su questo cfr. M. POZZI,

op. cit., nota 3 p.518.

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la natura degli impegni che legano il poeta rispettivamente a lei e al Principe di Salerno: Bernardo è unito alla donna da un sentimento vero e proprio, il quale si innesca fra persone di pari dignità sociale, mentre è dipendente dal Principe per ossequiare un patto d’onore, esistente fra l’intellettuale cortigiano e il suo signore. A riprova della sua tesi, il Grazia non manca di interpellare Petrarca:

GRA.: Chi amò e più si mutò nella cosa amata che facesse il Petrarca? Tuttavia uno istesso suo cuore non meno riverì il Colonna che egli ardesse per Laura65.

Il Grazia aggiunge che non solamente la devozione al Principe non comporta la messa in crisi del rapporto amoroso, ma neanche il matrimonio; quindi assistiamo ad una sua vera e propria esaltazione dell’amore extra-coniugale:

GRA: […] Più vi vo’ dire, che l’amor degl’innamorati non solamente non è diverso dalla servitù del Signore, ma egli comporta con esso seco la compagnia del marito e della mogliera; e non è vero che ogni mogliera che s’innamori, odii il marito, né al marito, amando sommamente la moglie, non si disdice l’innamorarsi: conciosia cosa che ad altro fine e da miglior legge ci sia imposto l’amare, che non si ordinarono le nostre nozze66.

Nella costruzione del dialogo, lo Speroni decide di affidare l’esternazione entusiastica della possibilità di intrattenere più relazioni sentimentali su un piano di reciproca armonia proprio al Grazia, e non a Tullia, come sarebbe stato logico aspettarsi. La regia compositiva dello Speroni si pone come obiettivo precipuo quello di suscitare nel lettore il diletto, il quale deve essere perseguito