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Gli artigiani manutentori delle pitture

Guardando da vicino il Settecento, sappiamo che fu un secolo particolarmente fervido nel panorama europeo in tema di restauro di dipinti. In quel periodo furono infatti avviate nuove sperimentazioni in campo tecnico, accompagnate al contempo da una fitta circolazione di notizie sugli artefici e i protagonisti di queste attività. Nonostante non manchino studi sulla storia del restauro nel Settecento come abbiamo dimostrato svolgendo questo studio molto deve essere ancora esaminato sulla documentazione, soprattutto per quanto attiene al contesto romano, uno dei più fervidi di avvenimenti. Spesso infatti le tematiche legate al restauro affrontano l’argomento con uno sguardo orientato sulle nuove prospettive che il sapere enciclopedico di origine francese seppe infondere nel restauro, e se ne citano quindi i protagonisti, considerati innovatori delle tradizionali tecniche di restauro. Il grande risalto dato a Robert Picault, e alla sua tecnica di trasporto dei dipinti, è, ad esempio, significativo di questo modo di procedere.

Certamente le nuove scoperte della chimica e della fisica diedero alla sperimentazione di innovativi materiali, utili sia ai fini conservativi nel campo dell’arte, sia alla realizzazione di opere maggiormente durevoli. Per il Settecento si è messa in

d’arte e per gli eruditi per comprare, collocare e conservare le pitture. Cfr. DE BENEDICTIS C., ROANI R.,

evidenza, ad esempio, la ricerca di nuovi leganti, meno soggetti ad alterazioni e danneggiamenti, come la riscoperta, avvenuta in quel periodo, della tecnica ad encausto, creduta al tempo il metodo utilizzato per dipingere nell’antica Roma. La Francia e l’Inghilterra primeggiano nelle pagine della storia del restauro come principali luoghi di sperimentazione dei nuovi materiali e in particolare dell’encausto. Viene enfatizzato a tale scopo la fondamentale trattazione di tale tecnica nella relativa voce curata da Diderot nell’Encyclopédie. Anche la discussione intorno all’uso delle vernici per la protezione dei dipinti, che vide la contrapposizione fra la scuola fiamminga di Philipp Hackert e quella italiana allargarsi dal campo prettamente pittorico a quello del restauro, è ampiamente trattata anche nei recenti studi34.

Nonostante Roma mostrasse forti chiusure rispetto alla riflessione scientifica fiorente nel Settecento anche nelle nuove ricerche sull’encausto e sulle vernici troviamo comunque notizie di un suo ruolo rispetto a questi temi. Goethe racconta infatti che proprio a Roma, presso il consigliere Reiffenstein, aveva visto sperimentare i nuovi sistemi per ricreare l’encausto. Queste notizie verranno ribadite da Lanzi che, trascurando i meriti da attribuire ai chimici in questo settore, loda la scuola pittorica romana per aver sviluppato tale tecnica. Dunque anche se Roma non sviluppò un approccio scientifico intorno a questi argomenti, maturò comunque una particolare attenzione alla materialità delle opere e questo grazie allo studio ininterrotto dell’arte che stimolò appunto una particolare sensibilità anche in merito ai materiali che costituivano un’opera, arrivando anche lei, ma per altre vie, a coniugare immagine e materia secondo la più moderna mentalità del tempo.

Pertanto per un esame completo ed esaustivo della Storia del restauro è necessario dar conto della complessità e della ricchezza di informazioni che si possono rintracciare sulle vicende che si svolgevano in ambito romano, e particolarmente nelle discussioni maturate nei salotti degli amatori dell’arte e nelle botteghe degli artigiani, a quel tempo consegnatari assoluti della cura e della manutenzione dei dipinti. Talvolta, infatti, sono le stesse fonti d’oltralpe che divengono preziose testimonianze per conoscere i nomi di alcuni artigiani romani, dei quali si raccontava delle particolari capacità nel restauro dei

34 Cfr. RINALDI S., Vernici originali..., cit., pp. 45-62; CATALANO M. I., Napoli, Roma, Dresda: il dibattito sulle vernici tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, in «Bollettino ICR», 10-11, 2005, p. 3; ID., La Lettera di Hackert sull’uso della vernice: implicazioni di una fonte nota, ibid., pp. 4-21.

dipinti. Emerge così dai racconti di viaggio di illustri personaggi francesi quali Charles Francois Poerson, Joseph Jerome De la Lande e, anche se non espressamente nominato, nelle lettere familiari di Charles de Brosses, il già nominato Domenico Michelini, coloraro romano, noto al tempo sia in Italia, sia in Francia, appunto per le sue prove di bravura nel restauro dei dipinti e per la sua particolare capacità nel distaccare la pellicola pittorica dal supporto originario per assicurarla su uno nuovo: un’impresa in relazione alla quale, ai nostri giorni è ben più nota la figura Robert Picault, ma in cui, in realtà, Michelini si cimentò con molti anni di anticipo.

Restiamo ancora a Roma e scopriamo che per il trasporto a massello Niccolò Zabaglia35 dava prova di straordinaria bravura con trasporti di dipinti di notevoli

35 La fama di Michelini, era centrata soprattutto sulla sua straordinaria tecnica di trasporto dei

dipinti. Di questa pratica non si possono dare indicazioni precise in merito al suo scopritore, ma sembrerebbe una attività molto diffusa nel Settecento in varie regioni d’Italia. Alcuni studiosi hanno parlato di due diverse tecniche di trasporto praticate in quest’ambito nel XVIII secolo: una riguardante i dipinti su tavola o su tela e l’altra invece praticata sui dipinti murali (GIORDANI G., Cenni sopra diverse

pitture staccate, Bologna 1840; DE DOMINICI B., Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, t. II, Napoli, 1743; BARUFFALDI G., Vite dei pittori e scultori ferraresi, Ferrara 1846). A Napoli, ad esempio, pare vi fosse una importante tradizione, di cui al momento le scarse notizie disponibili sono riferite da De Dominici senza poterne purtroppo accertare l’attendibilità. Egli ritiene infatti che il primo ad aver introdotto entrambe le tecniche fu Nicolò di Simone, il quale avrebbe insegnato questo procedimento anche al genero Alessandro Majello (DE DOMINICI B., op. cit., pp. 195-196). È del tutto impossibile, poi, stabilire una data precisa degli interventi da loro eseguiti, né si conoscono altri dettagli utili a ricostruire la storia di questa pratica in ambito napoletano, ed è noto solo che Nicolò di Simone fu un attivo viaggiatore e che lavorò poco a Napoli, dove sarebbe comunque tornato stabilmente in vecchiaia; è ipotizzabile, in ogni caso, che in questo ultimo periodo della sua vita insegnasse al genero Alessandro la tecnica di trasporto, ma non è possibile dare indicazioni certe sulla cronologia di tale apprendistato. Si può aggiungere, infine, che l’attività di Majello è attestata con sicurezza solo fra il 1702 e il 1720 (ZANI P., Enciclopedia metodico critica ragionata delle belle arti, Parma 1822, vol. XII, p. 260); è probabile quindi che lavorasse principalmente in quel periodo, ma non si possono fornire ulteriori precisazioni. Allo stato dei fatti, parrebbe, comunque, che il primo ad aver utilizzato tale tecnica in ambito napoletano fosse il Di Simone. Spostandosi poi nell’Italia settentrionale, si può citare Antonio Contri come uno dei più abili e noti tra quei restauratori che adottarono la tecnica del trasporto dal muro, anch’egli tuttavia apprese a Napoli tale procedimento, dove si recò nel 1725 circa. Contri adattò la tecnica napoletana, limitata alla pittura ad olio, al trasporto dei dipinti murali ad affresco, dando così un suo personale contributo allo sviluppo di questa pratica. Per un approfondimento sul tema del distacco e strappo delle pitture in ambito romano cfr. CIANCABILLA L., Stacchi e strappi di affreschi tra Settecento e Ottocento, antologia dei testi

dimensioni fra i quali De la Lande ricorda il trasferimento delle pale d’altare da san Pietro a santa Maria degli Angeli.

L’altro campo delle sperimentazioni riguardò invece le vernici per la protezione dei dipinti, che, come premesso, animò sia a Napoli che a Roma una accesa polemica. Philipp Hackert aveva contestato i buoni esiti dell’utilizzo della chiara d’uovo, a favore della vernice mastice in uso presso i fiamminghi. Gli eruditi del tempo in questa circostanza, attraverso il «Giornale romano delle belle arti» e le «Memorie per le belle arti», discussero queste posizioni, proponendo due punti di vista divergenti sull’argomento: a testimonianza dell’eccezionale fermento che c’era nella città di Roma, dove venivano stampati quei giornali36, circa le tematiche del restauro. In particolare i fautori della vernice a chiara d’uovo, una delle sostanze più utilizzate come vernice dei dipinti in ambito romano, ne sostennero l’efficacia nelle suddette riviste ricordando che a Roma i dipinti della collezione Giustiniani godevano di ottimo stato proprio grazie all’impiego di una tale procedimento da parte della già citata Margherita Bernini. Proprio quest’ultima e il defunto marito Carlo Bernini, erano ricordati anche per la particolare tecnica di pulitura dei dipinti eseguita con la non meglio precisata «manteca»: una sostanza della quale i due tennero ben custodito il segreto della sua composizione.

Anche nell’esemplare vicenda veneziana troviamo infine importanti riferimenti a Roma: infatti, in un passo della Dissertazione discussa da Pietro Edwards nel 1786, in merito alla custodia preventiva delle pitture, che solo di recente Giuseppina Perusini ha pubblicato, il noto autore fa emergere Roma dal confronto che propone fra i sistemi di tutela che l’Italia e i vari paesi e città d’Europa adottano in materia di dipinti. Roma, a fondamentali, Firenze 2009; GIACOMINI F., «Questo distaccare le pitture dal muro è una indegna cosa».

Il trasporto dei dipinti murali nell’Ottocento e l’attività di Pellegrino Succi, in Restauri pittorici e allestimenti museali a Roma tra Sette e Ottocento, a cura di RINALDI S., Firenze 2007, pp. 71-98; PAPA M., Cenni sul restauro dei dipinti murali a Roma nel periodo 1770-1790, in «Bollettino telematico dell’arte», 239, 2000; CORBO A. M., Nicola Zabaglia, un geniale analfabeta, Roma 1999; TORRESI A. P.,

Dell’arte di staccar gli affreschi: note sul ferrarese Giuseppe Contri, in «Bollettino della Ferrariae

Ductus», 5, 1994, pp. 53-57; MILIZIA U. M., Notizia sulla vita e sulle opere di Nicola Zabaglia mastro

muratore in Roma ad uso degli studiosi e delle persone colte, Roma ed. 1999; Castelli e ponti di maestro Nicola Zabaglia con alcune ingegnose pratiche, e con la descrizione del trasporto dell’obelisco vaticano, e di altri del cavaliere Domenico Fontana, Roma 1743.

36 Cfr. B

detta di Edwards, era la città che più di ogni altra, Venezia compresa, si era da sempre prodigata nella difesa dei suoi dipinti, restaurando solo nei casi indispensabili37.

Tutto ciò, dunque, indica che Roma era il luogo in cui si fondevano la tradizione e l’innovazione nella discussione dei protagonisti del Grand tour: elementi che davano vita a nuovi ed interessanti stimoli, e che in primo luogo trovavano un punto di rilievo proprio nella creazione dei Musei della città pontificia. Se è vero che a Roma non si sviluppò un approccio realmente scientifico, in senso moderno, intorno a questi argomenti, resta fondamentale lo studio delle fonti documentarie per ritrovare e dare conto di quel fermento culturale e tecnico che le notizie sulla qualità degli interventi compiuti a quel tempo dagli artigiani lasciano percepire e intravedere.

5- La tradizione romana degli artigiani «riparatori» di dipinti: Monti, Michelini e