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L’ASCESA DI CASTRUCCIO

1316

Quantum in rebus humanis possint fata, quibus regi Mundum haud dubium est, Caſtruccii ex vinculis ad Principatum subita mutatio, documento esse potest.1

A Firenze, l’ambasciatore aragonese, Manfredo di Notte, da alcuni mesi cerca di trattare con la Signoria per ottenerne l’alleanza per la spedizione che il suo re ha intenzione di compiere per la conquista della Sardegna. L’eventuale partner è ben scelto: è infatti interesse di Firenze che un nuovo nemico impegni Pisa su altro fronte; finalmente, Manfredo riesce a concludere il trattato dopo la metà di gennaio 1316. Il re si impegna a mettere in acqua la sua flotta il primo di ottobre prossimo per far guerra contro Pisa e contro i Sardi. In cambio, Firenze verserà un contributo alle spese militari di venticinquemila fiorini, la metà all’inizio ed il resto alla fine dell’impresa, ed otterrà che i suoi mercanti possano esercitare i loro affari nell’isola senza dover pagare imposte né gabelle.

Le lettere di Manfredo sono interessanti perché ci riferiscono ciò che i priori di Firenze gli hanno comunicato durante i molti colloqui. In primo luogo, la delusione per la scarsa affidabilità che hanno dimostrato i comandanti spagnoli. Il più esecrato è Diego della Ratta, chiamato «capo, metà e fine di ogni viltà» e messer Ferrando de Luna con altri militi di Catalogna ed Aragona che non vengono nominati. Coloro che riscattano il valore spagnolo sono invece messer Caroccio, Blasco, Simone Bellochi e Bernardo Monsori. In secondo luogo, l’insofferenza per il dominio del re Roberto, principalmente «per l’avarizia che lo domina».2 La terza interessante notizia è che i comuni di

Firenze, Bologna e Siena hanno inviato in Francia una richiesta di arruolamento di mille buoni militi a venti fiorini al mese per milite. Anche i comuni di Città di

Castello, Gubbio e Orvieto ne avrebbero richiesti quattrocento, a spese del re Luigi di Francia, perché siano disponibili in Toscana alla ripresa delle ostilità in primavera.3

Il 4 gennaio del 1316 il castellano ghibellino della fortezza di Cévoli, insieme a ventisette cavalieri, cavalca fino al monastero di Santa Clara con l’intenzione di prendere ed uccidere i guelfi che incontrerà sulla strada. La notizia della cavalcata giunge però a San Miniato, i cui cittadini, insieme ai mercenari stranieri costituenti la guarnigione fiorentina, escono, intercettano i ghibellini e li mettono in fuga uccidendone otto e prendendone due prigionieri. Uno di questi è il figlio di Ciorino di Ildebrandino di Cévoli, che portato dinanzi al podestà Nello Tolomei di Siena, viene impiccato fuori porta Gargozzi l’8 gennaio. A coloro che l’hanno catturato viene dato un premio di cento lire. Ciorino di Ildebrandino si vendica inducendo Uguccione della Faggiuola ad impiccare dieci guelfi di San Miniato prigionieri a Pisa, tra i quali Lone di Lazzarino Manardi. Il padre di questo, Manardo, fa uccidere tre ghibellini di Montarso collegati con i Traini, e fa anche catturare Traino, con l’intenzione di farlo impiccare. Le preghiere di alcuni di Calezano e del presbitero Alessandro Manardi riescono però ad ottenere libertà e vita per Traino il 21 gennaio.4

Uguccione della Faggiuola, il 19 gennaio conduce i suoi soldati di Pisa, un imponente contingente di cavalieri e tremila fanti, a impadronirsi di Fucecchio; alcuni difensori del castello hanno infatti promesso di aprire proditoriamente le porte ai ghibellini. Tutto avviene come concordato e il castello sta per venire in possesso dei Pisani, quando un gruppo di valorosi fanti della guarnigione, disperando di potersi salvare, decide di far pagare cara la loro pelle: i difensori, contrattaccano e riescono a uccidere i traditori e ricacciare gli invasori. Sono impiccati sedici dei traditori; molti Pisani sono caduti.5 Castruccio Castracani,

che ha partecipato all’impresa, è stato colpito da una freccia.6Un conestabile di Siena, Monaldo di Guascogna, cavalca nel territorio di Suvereto, razziando bestiame.7

Sabato 24 gennaio, i guelfi di San Miniato si uniscono ai colleghi di Castel Fiorentino, Filetto ed altre terre circostanti, mettendo insieme cento tra cavalieri e fanti. Prima dell’alba, la modesta forza militare si reca a portare l’assalto a Villa Colleoli, ai confini di San Miniato, difesa da cento ghibellini. Questi si difendono molto bene e respingono l’attacco. Non vi sono caduti, ma alcuni, da ambo le parti, sono rimasti feriti da frecce e verrettoni. A causa delle ferite, qualche giorno dopo muore Sardo di Ugolino Costa tra i ghibellini, e, tra i guelfi, un certo Oga di Montebicchario.8

Uguccione della Faggiuola invia ad Arezzo la vedova di suo figlio Francesco che ha valorosamente perso la vita nella battaglia di Montecatini. Le assegna un’imponente scorta di mille cavalieri e duemila fanti «a gialde9e balestre». Il piccolo esercito arriva a Toranieri il 9 febbraio, assalta il castello, espugnandolo

e uccidendo sedici difensori, e catturandone ventisette. Qui la scorta si divide, e solo quattrocento cavalieri e duecento fanti seguono la vedova, percorrendo Val d’Asso e arrivando a Trequanda. Avendo raggiunto luoghi relativamente più sicuri, ella prosegue conducendo con sé tutti i cavalieri e soli duecento fanti, per raggiungere senza incidenti Arezzo. I fanti che tornano a Toranieri, nel loro percorso, danno alle fiamme case e capanne nella zona di Belsedere. Il presidio che è rimasto a Toranieri inganna il suo tempo ai danni dei guelfi. Incendia le case di Petruccio Bianco e dei figli di messer Roma, di Vergelle Sansedoni, lo stesso Torranieri e Buonconvento, il borgo esterno a Casteruozzi, che appartiene a Sozzo Dei e Celamonte di Mino Giovanni e Mirabello di Nuccio di Pagno. Quando lasciano le rovine fumanti dietro di loro e si incamminano per tornare, portano con sé sessanta prigionieri, e molto bestiame e bottino «e tutte le femine che trovavano belle e giovane vitoperavano e menarne con loro, e quelle che non ne volieno menare le lassaro ignude, e arsero più di seicento case di cittadini e di sottoposti». Si sono distinti per ferocia i Tedeschi, che si giustificano affermando che intendono così vendicare la morte del loro imperatore Arrigo.10

Mercoledì 11 febbraio, prima che sorga il sole, alcuni fanti ghibellini di Pisa e ribelli di San Miniato entrano furtivamente nel castello di Santo Stefano, nel territorio di San Miniato, uccidendone i custodi: venti persone. A giorno fatto, i guelfi di Santo Stefano capitolano, salve le persone, ma abbandonando i loro beni al saccheggio degli aggressori.11 Il 24 febbraio San Miniato si muove a rumore. Il colpevole dei tumulti è Jacopo di messer Tedaldo Ciacconi che colpisce con un colpo di scudo (pelta) Simone Nieri Ficarelli dei Mangiadori, quando questi sta uscendo del consiglio dove si è proceduto all’elezione dei Dodici, ovvero dei rettori della città. Il motivo dello scontro è ignoto.12

Gli avvenimenti che si riferiscono alla stessa giornata potrebbero essere collegati a quanto avvenuto in San Miniato, o meno, non ne abbiamo evidenza nella cronaca. Quelli di Morioro si mettono in agguato nei pressi della Villa di Marzana e prendono quattro lavoranti guelfi. Lo stesso giorno, Feccia de Palaria e Martinello Giovanni da Susinana dei ghibellini di Romagna, sulla strada da Morioro a Bucciano, vengono catturati da alcuni di Leporaria e Montebicchario e consegnati al podestà di San Miniato, messer Donato Donati di Firenze. Questi commina loro la punizione riservata ai traditori, più tenera per Feccia che viene trascinato a coda di cavallo e poi impiccato, molto più dura e terribile quella riservata a Martinello: questi viene portato al luogo dell’esecuzione su di un carro e, durante il tragitto, il carnefice gli strappa le carni con tenaglie arroventate. Giunti al luogo detto Felcine, sia Feccia che Martinello, semivivi, vengono impiccati.13

In Siena si trascina il conflitto, esploso il 16 aprile dell’anno passato, tra le famiglie dei Salimbeni e dei Tolomei. Una contesa feroce che è durata tutto l’anno e che ha procurato un gran numero di morti e feriti. Arezzo è intervenuta

a sostegno dei Tolomei, e Siena ha dovuto far di tutto per cercare di far sì che un conflitto cittadino non si tramutasse in una guerra contro una città ghibellina. Nel marzo di quest’anno Firenze interviene e, inviando due ambasciatori, l’11 marzo riesce a far concludere la pace tra Tolomei e Salimbeni in presenza del podestà Giovanni da Sassoferrato.14In questo periodo, il capo della casata dei Salimbeni è Benuccio di Benuccio, insieme a Giovanni d’Agnolino Bottone ed a Niccolò di Cione di Sandro. Sotto il governo dei Nove e la conduzione di Benuccio i Salimbeni diventano, insieme ai Tolomei, la consorteria più potente di Siena.15 Benuccio verrà ordinato cavaliere il 16 ottobre da Carlo di Calabria, al ritorno del suo matrimonio con Caterina d’Austria.16

Lunedì 22 marzo, arriva notizia a San Miniato che vi sono dei soldati pisani, tre cavalieri e centosessanta fanti, in agguato presso Collegalli. Subito, vengono inviati venti cavalieri e cento fanti a sorprenderli; la missione è coronata da successo. Il giorno stesso Geri Mangiadori raduna centoventicinque cavalieri e molti fanti e con loro si reca a depredare il territorio di Laiatico, ne brucia le case e cattura persone e bestie.17

Sabato 3 aprile, alcuni soldati ghibellini, forse centoventicinque armati, si pongono in agguato tra Montebicchario e Leponaria; lo scopo è quello di sorprendere alcune persone che debbono tornare da San Miniato a Montebicchario. La sfortuna degli insidiatori vuole che il podestà di San Miniato e la sua scorta, quindici cavalieri e cinquanta fanti, stiano accompagnando le persone oggetto dell’agguato. I ghibellini, non avendo cavalieri tra loro, si constatano in netta inferiorità e preferiscono squagliarsela verso Stibbio, lasciando sul campo dieci prigionieri e sette morti.18Il mercoledì successivo, il 7 aprile, ventidue fanti di Marti vengono nel territorio di Montòpoli e si mettono in agguato nel bosco vicino alla fonte di Ricentri. L’insidia viene scoperta e riferita a quelli di Montòpoli che vengono virilmente ad affrontarli, uccidendone nove e mettendo in fuga gli altri. Viene catturato Pancuccio di Muccio Passavanti di Montalto.19

Castruccio Castracani ha servito a Montecatini sotto le insegne di Uguccione e di Ludovico il Bavaro, al comando di quaranta cavalieri e mille fanti arruolati a Sarzana, ovvero nel territorio che gli è stato affidato per l'amministrazione da Gherardino Malaspina, vescovo di Luni-Sarzana, fuggito da Lucca quando i ghibellini hanno preso il potere.20Il guerriero lucchese si è sicuramente portato

bene, anche se gli elogi dei suoi biografi, che assegnano alla sua condotta il successo della battaglia, appaiono esagerati; Manucci arriva a scrivere che «tutta la lode di sì gran vittoria fu data a Castruccio»,21senza che tale lode sia rintracciabile negli storici o cronisti coevi.22

Subito dopo la battaglia di Montecatini, viene notificato a Castruccio che Federico il Bello, su istanza di Guarnieri von Homberg, suo protettore e già vicario

imperiale in Italia di Arrigo VII, il 5 o il 6 agosto, lo ha nominato suo consigliere segreto, suo familiare e vicario per tutti i castelli che Castruccio possiede. Pertanto Castruccio diviene vicario imperiale di Federico il Bello per Luni-Sarzana e questo in totale contrasto con Uguccione, il quale invece parteggia per Ludovico il Bavaro.23

Louis Green, il cui parere appare completamente condivisibile, scrive che Castruccio in questo momento si vede come un signore della guerra, schierato nel campo ghibellino e le cui capacità militari e politiche lo rendono ideale protettore della sua patria e del relativo territorio. Green sottolinea che il documento che gli affida la vicereggenza del vescovato di Sarzana-Luni, lo definisce nobile, potente e vigoroso, cosa che indubbiamente è. Castruccio, secondo Green e secondo logica, è ambizioso e si vede ottimamente collocato per ulteriori guadagni, ma, sempre in sottordine ad Uguccione ed ai suoi comandi, un cittadino di Lucca, anche se oggi tra i più autorevoli. Uguccione invece è geloso delle capacità e dell’indipendenza che Castruccio ha dimostrato con l’affare Luni-Sarzana, ora, comunque, il suo confronto con Firenze non gli lascia tempo per occuparsi di questo fronte interno.24 Inoltre, Castruccio è un uomo che ha un suo seguito in Lucca, un’influenza che non ha nulla a che vedere con Uguccione.25

L'ostilità latente tra i due grandi campioni ghibellini diventa conflitto quando Castruccio, che ha conquistato Massa in Lunigiana, cavalca a Camaiore per punire alcuni rivoltosi, i quali, presumibilmente, non vogliono riconoscere la validità del vicariato che egli detiene per conto di Federico. Questi si fortificano dentro una chiesa, ma Castruccio la prende combattendo ed uccide tutti i ventidue i ribelli. Questi si sarebbero voluti arrendere a patti, ma Castruccio, inesorabile, ha rifiutato e ha preferito macchiarsi le mani con il loro sangue. L’impressione destata dal condottiero lucchese è pessima, la gente mormora per la sua irragionevole crudeltà e l’eccessiva temerarietà: murmurante plebe de excessus saevicia ac temeritate.26Torna poi tranquillamente a Lucca. Camaiore è tra i dominî che gli

sono stati affidati dal vescovo, ma l’uccisione di tanti uomini, senza neppure informarne Uguccione o Neri, appare come un atto di insubordinazione contro il potere dei Faggiuolani. L’impresa di Castruccio in Massa è deprecabile e deprecata e ad Uguccione sembra che il momento sia adatto per liberarsi dello scomodo e troppo potente collaboratore, Ranieri Sardo così condensa gli avvenimenti: «Ughuccione fece Chastruccio pigliare et fecielo mectere in prigione et chavalcò a lLuccha cholla sua gente per fargli tagliare la testa, a Castruccio».27

Il biografo Tegrimi annuncia gli avvenimenti imminenti con la frase «La virtù grandissima di Castruccio faceva paura ad Uguccione, imperocché vedendolo egli amato a da’ soldati e da’ cittadini già la mente del male indovinatrice gli annunziava costui dover’essere della sua rovina cagione». Sabato primo aprile, mentre Castruccio, a Lucca, va ad un colloquio con Neri, viene arrestato, certamente su ordine di Uguccione, tramite suo figlio. Gli viene imposto di scegliere tra la morte o la rinuncia ai castelli di cui è vicario. Castruccio è Lucchese e gode di vasta popolarità e di forti e decisi alleati entro il cerchio delle mura della

sua città, la famiglia della Faggiuola è invece forestiera ed invisa a Lucca. Vi è da aspettarsi reazioni armate da parte dei sostenitori di Castruccio e le truppe a disposizione non bastano a garantire la certezza di poter impunemente eseguire degli ordini di Nieri. Inoltre, questi dimostra qualche esitazione, ed Uguccione, temendo giustamente reazioni dei partigiani di Castruccio, ritiene indispensabile intervenire di persona; egli, dopo qualche giorno, per vincere le esitazioni di Neri, muove da Pisa con un contingente di cavalieri tedeschi e va a Lucca. Sono trascorsi dieci giorni dalla cattura ed imprigionamento di Castruccio, troppi dal compimento di un’azione così ardita che ha colpito uno dei personaggi più in vista di Lucca, oltretutto uno dei capitani valorosi dell’esercito imperiale. Se viene oggi commesso qualche sopruso nei confronti di un eroe di guerra ed esule da Lucca, lo stesso trattamento può essere riservato in futuro a chiunque getti ombra sui della Faggiuola. L’arresto di Castruccio, per non essere avventato, doveva essere seguito da un’azione immediata, sia essa una sentenza capitale o la traduzione lontano dalla sua città natale, ma Nieri ha esitato, forse spaventato dalla sua stessa azione. I dieci giorni hanno dato modo ai sostenitori del nostro Lucchese di organizzarsi e fare la loro mossa.

L’11 aprile, la mattina di Pasqua, quando Uguccione ha appena lasciato Pisa, incitata da un popolano, Coscetto del Colle,28la città si ribella ed il presidio di Uguccione non ce la fa a tenere sotto controllo la situazione, che si deteriora fulmineamente, tanto che quando Uguccione è a sole tre miglia da Pisa, viene avvisato che Pisa è perduta. I Monumenta Pisana raccontano così la perdita di Pisa. Ventisette cittadini di Pisa si sono uniti per cacciare Uguccione dalla loro città. Quando Uguccione esce per recarsi a Lucca a risolvere il problema di cosa fare di Castruccio, essi legano un bell’esemplare di toro alla Porta di San Marco in Chinzica. Quando i congiurati si sono armati e sono pronti all’impresa, si coprono con mantelle che nascondono le loro armature, sciolgono il toro, che corre per le vie della contrada San Martino. I congiurati si danno a gridare: «Al toro, al toro!», inducendo la gente a rintanarsi nelle case e botteghe. Quando le vie appaiono deserte, sguainano le spade e, al grido di: «Viva il popolo e muoia Uguccione!», incitano i concittadini ad unirsi armati a loro. Il palazzo del signore della Faggiuola viene espugnato e saccheggiato, la turba corre la città e si scontra con una forte resistenza a Porta Palazzo, dove si combatte aspramente per un’ora. Messer Mariano da Capua, capo di ottocento cavalieri, si prepara a scendere in campo per soccorrere la parte di Uguccione, ma ne viene dissuaso, chiedendogli di non prender parte. Mariano accetta, i congiurati intensificano gli sforzi contro la porta sotto assalto e la conquistano. La città è ora interamente in loro dominio e nessuno può più entrare a prestare soccorso agli armati del Faggiuolano. Quando un messaggero porta l’annunzio ad Uguccione questi è a pranzo e sta gustando una lampreda. Egli ascolta furibondo la sgradita novità, si alza dalla mensa e immediatamente sale a cavallo per cercare di riconquistare Pisa. Quando è a Monte San Giuliano un altro messaggero lo

raggiunge, informandolo che Pisa è definitivamente perduta. Come vedremo tra breve, mentre è sulla strada, anche Lucca si ribella.29Uguccione si precipita a Lucca, dove spera di accordarsi con Castruccio, scarcerandolo. Ma anche Lucca, certo per attuazione di un piano concertato, si è ribellata, gli insorti capeggiati da Pagano Cristofani dei Quartigiani, liberano Castruccio e lo seguono mentre questi cavalca in testa ai suoi gridando: «Viva Castruccio!». Uguccione e Neri della Faggiuola non hanno altra scelta che affidarsi alla protezione del condottiero lucchese, il quale li fa scortare fuori della città. Castruccio viene nominato per sei mesi capitano e difensore della parte imperiale.30Il 4 novembre la carica gli viene confermata per un altro anno; nel 1317, il 7 luglio, per dieci anni, mentre, il 20 aprile 1320, la carica verrà confermata a vita.

Louis Green ha tracciato una ricostruzione degli eventi che sembra ben rappresentare una plausibile verità su quanto accaduto. In breve, egli scrive che, catturato Castruccio, Neri gli dà tre giorni per consegnargli quanto ha ottenuto dal vescovo di Sarzana-Luni, pena la vita. Ma, con tutta evidenza, Castruccio riesce a dilazionare i termini, visto che è ancora vivo dieci giorni dopo la sua cattura e senza aver soddisfatto la richiesta di Neri. Nel frattempo, dopo un primo momento di sgomento, gli alleati del condottiere, che pensano sia stato già ucciso, sono informati che egli è ancora in vita e in catene. Questi alleati sono membri delle potenti famiglie degli Antelminelli, Quartigiani, Poggio e Onesti e, con tutta probabilità, cercano appoggi a Pisa. Gli esponenti più in vista delle casate di Pisa e Lucca considerano che se Uguccione si sente tanto forte da mettere a morte un uomo prestigioso come Castruccio, che può vantare la persecuzione, l’esilio, la gloria militare in patria e all’estero, nessuno di loro è più al sicuro, di qui il colpo di mano sincrono tra Pisa e Lucca e il negoziato con Uguccione che, salva la vita, ottiene di lasciare Pisa e Lucca e liberare Castruccio.31 La credibilità di tale ricostruzione è confermata dal fatto che la

sera stessa nella quale Castruccio viene liberato, la sera di Pasqua dunque, un notaio, ser Rabbito Toringhelli, registra il fidanzamento della giovanissima Dialta, figlia di Castruccio, con Antonio, fratello di Pagano Cristofani della famiglia Quartigiani. Eccezionale che un notaio rediga un atto la sera di Pasqua, ed eccezionale è il momento, segno che un’alleanza si è stabilita tra il condottiero e il Quartigiani. Dialtuccia non è ancora in età di sposarsi e non si mariterà mai con Antonio, finirà invece sposa di Filippo Tedici nel 1325.32

Mentre Lucca sceglie Castruccio, Pisa crea suo signore Gaddo della Gherardesca, «uomo savio e di gran podere», scacciando definitivamente Uguccione della Faggiuola che si è fatto odiare per l'uccisione di Banduccio Buonconti e di suo figlio, uomini di gran credito e senno. Uguccione si rifugia in Lunigiana dal marchese Spinetta Malaspina, poi a Modena da Passerino Bonacolsi,33 infine a Verona dove Cangrande lo fa Capitano Generale delle sue

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