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CASTRUCCIO SIGNORE DI LUCCA

1321 - 1325

Regnat in urbe sua probus Et Castrutius audax.1

Nella primavera del 1321, presso Ponte a Cappiano, si verificano scontri di scarsa importanza tra i soldati di Castruccio e quelli di Firenze. Dai premi dati ai militari, sembra che i Fiorentini abbiano prevalso.2Firenze manda ad arruolare in Friuli centosessanta lance friulane e tedesche. La lancia assoldata è una unità di combattimento composta di un cavaliere da elmo, un balestriere a cavallo (o uno scudiere) e un attendente con un cavallo di soma.3

Castruccio ritiene che Pistoia sia un frutto maturo che può cadere in suo potere. Decide di condurre il suo esercito nel piano sotto la città, per attrarre i cittadini a combattimento e, prendendoli alle spalle, batterli. Il vicario di re Roberto a Pistoia, messer Pino della Tosa, viene informato che l’esercito lucchese sta percorrendo il territorio pistoiese. Uomo di bollenti spiriti, messer Pino ordina di far armare tutti i soldati cittadini, «da cavallo e da piè», ed esce dalla città, attestandosi in località Sperone. Castruccio mostra di volerlo assalire e messer Pino, «vedendo la gente grande che Castruccio avea, perché non avrebbe potuto difendersi, si ricolse in Pistoia in grande fretta; e se così non avesse fatto, sarebbono tutti stati o morti o presi». Sembra in queste ultime parole di sentire le giustificazioni del vicario per la sua prudenza.

Castruccio rimane sul territorio e trascorre la notte presso una villa fortificata, di nome Piuvica. Il condottiero lucchese, ordina ai villici che sono

rinchiusi dentro le mura di arrendersi. I poveretti, spaventati, ma rinfrancati dalle solide mura, che credono bastanti a proteggerli, sono restii a rimanere in balia della soldataglia e rifiutano. Mal per loro: Castruccio ordina l’attacco, espugna la piccola fortezza e, a monito di chi in futuro voglia resistere ai suoi voleri, fa tagliare a pezzi tutti gli abitanti. Nessun prigioniero. Cavalca quindi a Serravalle e non trova resistenza alcuna; anzi, gli abitanti dei contadi di Prato e Pistoia si sottomettono a pagare semestralmente una somma di denaro, pur di non avere molestie dalle sue truppe.4

Fallita l'opzione militare, Pino della Tosa prova quella diplomatica, iniziando lunghe trattative con Castruccio, ma non conclude niente per l'opposizione di una parte dei Pistoiesi e si arriva alla scadenza del suo mandato.5

Castruccio Castracani mantiene in suo potere l’importante fortezza di Serravalle e di qui lancia i suoi soldati in incursioni rovinose nel Pistoiese.

L’evidente forza di Castruccio Castracani spinge alcuni Pistoiesi a cercarne il favore. Il più eminente di costoro è messer Ormanno Tedici, abate di Pacciana. Ormanno ha il disegno di insignorirsi della città, facendo leva sull’alleanza con il grande Lucchese. La sua forza politica è il seguito di cui gode nel popolo minuto di Pistoia. Messer Ormanno Tedici e gli altri della sua fazione si adoprano per convincere il consiglio cittadino a ricercare una tregua con il condottiero. La tregua risponde in realtà al desiderio generale, tanto che «quasi ogni uomo ed in città, ed in contado, gridava: «Triegua, triegua!»». Un’ambasceria pistoiese viene a Serravalle, a colloquio con Castruccio, la comanda il vicario Pino della Tosa; il colloquio dura un giorno ed una notte, «tanto che (l’ambasceria) tornoe a Pistoia con lumi di doppieri». Il giorno seguente messer Pino raduna il gran consiglio e riferisce il contenuto delle sue conversazioni, lasciando estremamente scontenti i guelfi oltranzisti della città. I colloqui durano molto ed i Fiorentini hanno tempo di intervenire ed intimare a Pino, il cui incarico sta per scadere, di non concludere; infatti Firenze teme che Castruccio voglia prendersi Pistoia, chiave del vicino Appennino e manda suoi ambasciatori in questa città a fare grandi promesse, purché Pistoia non voglia firmare la tregua con Lucca e Castruccio.

Il successore di Pino della Tosa è messer Fumo dei Bostoli di Arezzo, «uomo guelfissimo». Questi per il momento non ha altra scelta che continuare i negoziati, perché troppo forte è messer Tedici appoggiato dal popolo minuto. La parte guelfa si lascia convincere: si faccia la tregua, purché con la volontà del comune di Firenze e degli altri di Toscana, cioè si faccia una tregua se questa trova l’accordo degli alleati nostri guelfi. Firenze, timorosa di Castruccio, sospettosissima, investe una delegazione di sei maggiori cittadini che invia a Pistoia come suoi ambasciatori. La missione di questi è convincere il comune di Pistoia a desistere dalla tregua, «sicché Castruccio non li potesse né ingannare, né sforzare». Quando le trattative sull’argomento giungono ad un punto morto, l’abate fa insorgere Pistoia e la violenza riesce dove le parole non sono bastate.

Pistoia firma una tregua di tre anni con Castruccio, ed il vescovo di Pistoia è cacciato dalla città come ribelle, insieme ai suoi partigiani.6

Firenze allora stipula un'innaturale alleanza con Spinetta Malaspina, un signore ghibellino che ha combattuto sotto le insegne di Arrigo VII contro Firenze e, dopo aver visto le proprie terre usurpate dalla Lucca di Castruccio si è rifugiato presso la corte di Cangrande. L'unico motivo di affinità tra Firenze e Spinetta è il comune odio contro Castruccio. Spinetta infatti ha avuto il torto di schierarsi con Uguccione durante il suo effimero tentativo di riconquista di Pisa e, fallita l'iniziativa, Castruccio ha sfruttato l'occasione per impadronirsi di numerosi castelli del Malaspina, che è stato costretto a rifugiarsi alla stessa corte dove riparò Uguccione, da Cangrande.7

Comunque, la ragione strategica di questa alleanza è il tentativo di attaccare Castruccio su due fronti: nella Lunigiana e in Toscana. A tal fine, Firenze invia al marchese Spinetta Malaspina trecento cavalieri e millecinquecento fanti,8 al

comando di Francesco de' Bardi, Niccolò degli Agli e Rossellino Gianfigliazzi. Spinetta riconquista molti suoi castelli, ma vede diminuire le proprie truppe perché è costretto a distaccarle a protezione delle rocche, man mano che le ottiene, e perché Firenze ha richiamato almeno parte di quelle date in dotazione al Malaspina; quindi, quando Castruccio gli si fa incontro, non è in grado di affrontarlo e deve fuggire di fronte a lui, trovando nuovamente riparo presso Cangrande. È evidente da questi episodi come le etichette di guelfo e ghibellino non siano che ripartizioni di comodo, pronte ad essere smesse non appena cozzino con interessi personali; Cangrande campione ghibellino di Lombardia e della Marca non avrebbe motivo di accogliere e proteggere uno come Malaspina, se non vi fosse sotto una sorta di rivalità nei confronti di Castruccio. Comunque, questi non ha difficoltà a riprendersi i suoi castelli in Lunigiana, una volta che il Malaspina è fuggito.9

I Fiorentini intanto aprono un secondo fronte mandando il loro capitano Guido della Petrella con ottocento cavalieri e molti fanti, ad assediare il castello di Montevettolini. Firenze, amministrata da banchieri, ha lesinato sulle spese di guerra: gli ottocento assoldati non sono sufficienti a garantire la superiorità numerica contro i ghibellini, infatti Castruccio neutralizza il problema in Lunigiana alleandosi con un ramo dei Malaspina avversario di Spinetta, che, comunque, è inchiodato dentro le mura delle sue rocche, e chiedendo soccorsi a Matteo Visconti.

Il 27 maggio Castruccio occupa il passo di Pontremoli, per assicurare la via ai rinforzi lombardi che, prontamente accorrono. Pisa gli invia cinquecento cavalieri ed altri gliene fornisce il vescovo guerriero Guido Tarlati, signore di Arezzo. In tutto, Castruccio mette insieme milleseicento cavalieri e una gran massa di fanteria, quindi ha una nettissima superiorità numerica contro le truppe fiorentine. Quando, l'8 di giugno, l'esercito ghibellino si avvicina per attaccare, Guido della Petrella, che comanda i Fiorentini, conscio della propria inferiorità, leva l'assedio a

Montevettolini e ripiega. Guido della Petrella contiene a stento i continui assalti di Castruccio contro i suoi in ritirata. La notte stessa si accampa a Serravalle e Castruccio lo sorveglia, schierandoglisi di fronte. Guido accende grandi falò per testimoniare che nel suo campo si veglia per prepararsi ad uno scontro il giorno successivo, e, nascostamente, aiutato anche da un temporale, si sfila e ripara a Fucecchio e Carmignano. Quando, il mattino dopo, Castruccio si rende conto di essere stato giocato si lancia furiosamente all'inseguimento, ma è troppo tardi e si deve accontentare di spadroneggiare per venti giorni nel contado senza alcuna opposizione. Ammaestrati i Fiorentini, Castruccio si va a riprendere quello che Malaspina ha conquistato.

Castruccio dimostra di non portare rancore a Cangrande perché, lealmente, dà rifugio a sfortunati signori ghibellini e, in segno di rispetto ed amicizia, gli invia in dono un leone, un'aquila e un cavallo indomito.10

A Firenze regna il malumore ed il dispetto per lo smacco subito, che testimonia l'insipienza e l'avarizia del governo. Per sopperire in qualche modo a quella che viene considerata incapacità dei priori, viene loro affiancato un nuovo consiglio, composto di dodici buoni uomini, due per sesto; i priori non possono assumere nessuna rilevante deliberazione senza il consenso di questo nuovo consiglio.11

In agosto, arrivano a Firenze i cavalieri che sono stati reclutati in Friuli. Sono «160 cavalieri a elmo, con altrettanti balestrieri a cavallo tra Friolani e Tedeschi, molto buona gente d’arme, ond’era capitano Jacopo di Fontanabuona, grande castellano di Frioli». La presenza della nuova – e temibile – forza militare sconsiglia Castruccio dal passare nuovamente la Guisciana.12

Mentre Castruccio è in campagna, gli giunge notizia che il rampollo di una delle importanti casate lucchesi, Stefano di Arrigo di Poggio ha ucciso un suo ufficiale, Lando da Cacchiano. I di Poggio sono una delle famiglie molto vicine al condottiero: insieme ai Mordecastelli, sono una di quelle che più lo hanno aiutato nella conquista del potere, inoltre lo zio di Castruccio, Niccolò Castracani, ha sposato Franceschina di Arrigo di Poggio.13 Castruccio teme che questo sia il segnale di un complotto per strappargli la signoria cittadina ed accorre a Lucca. La famiglia di Poggio dimostra che non sta congiurando, permettendo il libero ingresso del condottiero in città, senza nulla tentare per opporgli resistenza. Castruccio sfrutta comunque l’occasione per mettere in condizione di non nuocere i capi della casata. Convoca a palazzo Colao Porco di Poggio, capo della famiglia, insieme all’omicida Stefano di Arrigo, ed altri eminenti esponenti della consorteria. Questi vanno tranquillamente e disarmati, credendo che si debba decidere quando e come tenere il processo contro Stefano, che sicuramente avrà circostanze da addurre a difesa, e sentendosi protetti dai passati meriti. Ma Castruccio, con estrema determinazione, fa incarcerare tutti i convenuti; ordina l’esecuzione capitale per Stefano e per Bernaduccio di Poggio e fa esiliare gli altri

capi della casata, la loro torre e loggia di riunioni vengono demolite, le proprietà confiscate. Una reazione sicuramente eccessiva che va letta alla luce del timore del potere della famiglia, ma che, comunque, non impedirà ad esponenti della stessa di partecipare successivamente al governo del dominio del Castracani.14

Il 14 aprile 1321 il ghibellino Guido Tarlati viene proclamato signore d'Arezzo per un anno. Il 6 agosto la signoria gli è concessa a vita; la votazione alla quale hanno partecipato quattrocento persone si è conclusa all’unanimità: nel contenitore delle pallottole con cui si vota, non ve n’è nessuna discordante. Il vescovo Guido fa rimuovere la campana dal palazzo del popolo e la fa porre sopra la torre del palazzo del comune, togliendo quella, realizzata nel 1318, che non si poteva decentemente suonare.15

Il vescovo di Luni è Bernabò Malaspina, figlio di Alberto marchese di Filattiera e fratello di quel Niccolò Marchesotto che ha militato con Spinetta come podestà di Parma contro Giberto da Correggio, il vescovo di Luni ha in odio Castruccio perché questi lo ha costretto con la minaccia delle sue armi a rinnovargli l’incarico di vicario del vescovado il 19 agosto 1321. Vedremo perciò il vescovo al fianco di Spinetta.16

«El sole oscurò a dì 28 di giugno in su levare, quasi le due parti o più; e durò per un’ora».17 Questa volta l’eclisse è un reale presagio di malaugurio: infatti il 13 settembre, al ritorno di un'ambasceria a Venezia,18 per conto dei

signori di Polenta, muore a Ravenna Dante Alighieri, all'età di 56 anni. Gli ultimi momenti della vita del poeta sono confortati dalla presenza dei figli, Pietro, il suo primogenito, dottore e giudice, Jacopo, il secondogenito, e Antonia, che poi si farà suora. Dante vuole esser sepolto indossando l’abito di Terziario francescano. Le sue spoglie mortali vengono tumulate con molto onore nella chiesa francescana di San Pietro Maggiore (che nel futuro prenderà il nome di San Francesco).

«Questo Dante fu onorevole e antico cittadino di Firenze di porta San Piero e nostro vicino [parla il Villani]; e ‘l suo esilio di Firenze fu di questa cagione, che quando messer Carlo di Valois della casa di Francia venne in Firenze l'anno 1301 e caccionne la parte bianca, come addietro nei tempi è fatta menzione, il detto Dante era de' maggiori governatori della nostra città, e di quella parte, bene che fosse guelfo; e però sanza altra colpa colla detta parte bianca fu cacciato e sbandito di Firenze e andossene allo studio a Bologna e poi a Parigi e in più parti del mondo. Questi fu grande letterato quasi in ogni scienza, tutto fosse laico; fu sommo poeta e filosafo e rettorico perfetto tanto in dittare e versificare, come in arringa parlare nobilissimo dicitore, in rima sommo, col più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e più innanzi (...). Questo Dante per lo suo savere fu alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co’ laici; ma per l'altre sue virtudi

e scienza e valore di tanto cittadino, ne pare che si convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che le sue nobili opere lasciateci in iscrittura facciano di lui vero testimonio e onorabile fama alla nostra cittade».19

In ottobre, per conto del duca di Calabria, Spinetta Malaspina assolda trecento cavalieri in Lombardia, mentre il legato papale, Bertrando del Poggetto, gliene dà duecento e Cangrande lo dota di cento cavalieri. Spinetta muove da Parma, valica gli Appennini ed assedia Verrucola Bosi, si vede contrastato però non dal solo Castracani, ma anche da suoi congiunti che hanno timore di vedere la potenza del parente aumentare, a loro discapito. Castruccio ha inoltre avuto l’abilità di legarsi al ramo dissidente della famiglia Malaspina: il 5 gennaio dell’anno passato, ha promesso di dare la sua giovanissima figlia Caterina a uno dei giovanissimi figli di Franceschino di Mulazzo Malaspina. Il matrimonio verrà celebrato nel 1326.

Comunque, Spinetta avrebbe da giocarsi le sue carte, se il duca di Calabria Carlo d’Angiò non combinasse un disastro con una sua iniziativa personale, assunta senza consultare Firenze. Egli ha sostenuto ed incitato alcuni fuorusciti di Pistoia a far ribellare due castelli dell’Appennino, Ravignano e Mammiano.20 Non appena ha luogo la ribellione, questa diventa il punto focale del conflitto, distraendo forze sia lucchesi sia fiorentine dal teatro di guerra della Lunigiana. Il duca di Calabria dà a messer Biagio Tornaquinci duecento cavalieri tedeschi e cento cavalieri assoldati, oltre a cinquecento fanti, perché vada sulla montagna pistoiese, mentre il resto dell’esercito, circa duemila cavalieri e molti fanti, si stabilisce a Prato, pronto ad intervenire.

Castruccio non ha perso tempo, è accorso sul luogo ed ha predisposto imponenti misure difensive a protezione dei castelli. Il comandante Fiorentino, Biagio Tornaquinci, malgrado sia stato rinforzato anche dal soccorso di trecento cavalieri e mille fanti comandati da messer Amerigo Donati e messer Giannozzo Cavalcanti, non riesce ad avvicinarsi ai castelli ribelli, sia per le difese apprestate, sia perché la stagione avanzata flagella l’esercito fiorentino con una improvvisa tempesta di neve, sorprendendolo al Montale. I Fiorentini si ritirano in disordine. Anche quelli sui monti si salvano a stento, perdendo però bagaglio e cavalli. Il 20 ottobre i soldati infreddoliti ed abbattuti rientrano a Firenze. Castruccio presidia i castelli di Ravignano e Mammiano e, incurante del maltempo, senza passare per Pistoia, traversa l’Appennino col suo esercito e piomba in Lunigiana e Garfagnana per tagliare la via dei rifornimenti a Spinetta; questi è costretto a ritirarsi. Gli giunge anche voce che Castruccio ha giurato di farlo scorticare vivo se gli cadesse nelle sue mani.21

Quando Spinetta Malaspina rientra alla corte di Cangrande, questi ha per lui una nuova missione, non militare questa volta, bensì diplomatica. L’obiettivo della sua missione è Lodi. Questa città si è arresa a Arrigo VII, che ha fatto imprigionare Antonio Fissiraga e il 30 maggio 1313 ha concesso Lodi in feudo

perpetuo a uno dei suoi principali collaboratori, il conte Enrico di Fiandra. Il conte vi pone come suo vicario Bassano Vistarini che esilia il Fissiraga ed altri eminenti cittadini di casate guelfe, che, una volta esuli, hanno lottato per rientrare. Quando Bertrando è venuto in Italia ha inviato ambasciatori al conte di Fiandra invitandolo a venire presso di lui, facendogli grandi promesse. Intanto i Vistarini sono stati riforniti di armi e denaro da Matteo Visconti e si sono impadroniti del castello e della città, impedendo ai soldati del duca di rientrare a Lodi. Il conte va da Matteo Visconti, che, ipocritamente, dichiara che non lo può aiutare ora impegnato com’è su vari fronti militari. Enrico di Fiandra allora si rivolge a Cangrande che destina Spinetta a trattare l’argomento. La missione è un fiasco e il conte di Fiandra va a raggiungere Bertrando del Poggetto in Monferrato, poi, per qualche tempo, lo segue.22

Il primo di gennaio 1322, alla scadenza dei quattro anni di signoria, Firenze si libera dal dominio di re Roberto d’Angiò. Immediatamente, viene ripristinata la carica di podestà, rieleggendo Ubertino de Solis, Bresciano, un podestà "storico", in quanto aveva ricoperto questa carica nel 1298. Viene anche nominato il capitano del popolo, la funzione è affidata a Bannino dei Polenta di Ravenna.23

Il 13 febbraio 1322 Castruccio Castracani, già padrone del borgo di sotto di Pontremoli, che è la parte della città tradizionalmente abitata da ghibellini, riesce a trattare la sua investitura a signore anche del borgo di sopra, quello guelfo. Castruccio, per assicurarsi il luogo, intraprende la costruzione della rocca che chiama Cacciaguerra.24 Rammentiamo che Pontremoli è la chiave per il

dominio della strada che conduce a Parma. In questo stesso mese, il forte condottiero lucchese dà il suo sostegno a Corrado di Vigonza, potente fuoruscito padovano, per l’occupazione di Este.25Castruccio fa quindi ricostruire

il castello di Latenza, «luogo sul passo e vicino alla marina, assai dilettevole, e vi pose un palazzo di marmo molto bello; quivi molte volte si tratteneva (…) per sua ricreazione, se si può dire ch’egli ricreazione mai conoscesse».26

Giacchino Volpe commenta: «così Castruccio domina la spina dorsale della Lunigiana, da Pontremoli all’Avenza. E come è ben piantato sulla sinistra della Magra, così vuole assicurarsi alla destra. Amelia vien sotto di lui; Lerici segue la stessa sorte, diventando come lo sbocco per la valle sul golfo di La Spezia e verso Genova; Sestri è tolta ai guelfi e messa sotto un suo vicario, ma aperta nel tempo stesso a guelfi e ghibellini che volessero abitarvi. Il capoparte si sta mettendo sopra le parti».27

Il 13 febbraio, mentre è podestà di Pisa Dalmonte della Crisa, un fortunale ed una burrasca fanno naufragare una galea pisana attraccata al molo di Porto Pisano. Altre sventure incidono sul morale dei Pisani: «e furno tremuoti grandissimi; e cadde l’immagine della Vergine Maria, e non fu guasta di nulla, la quale era di marmo di sopra la porta maggiore di Duomo; e molti segni

apparinno di fortuna di venti e di ruina grandissima. Ogni uomo di Pisa dicea: per certo questi son gran segni, Iddio ci aiuti!».28L’immagine della Vergine viene poi posta sul colmo della facciata del duomo, ben assicurata con ferri.29

Non che manchino le sciagure per Pisa, la principale delle quali è la progettata conquista aragonese della Sardegna. Branca Doria, podestà in Bonifacio, nell’inverno, cattura i legati di Pisa, Manno Mangere, Guidone Ismaglia e Gaddo di Castello, la cui liberazione costa cinquecento fiorini d’oro. Per vendicare l’azione, Gherardo Buzzacarini comanda cinque navi in una

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