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CASTRUCCIO VERSO LA SIGNORIA DI LUCCA

1316 – 1320

Nella primavera del 1316, i cardinali si ritrovano a Lione per riprendere il Conclave. Il consesso è diviso, vi sono dieci Guasconi, otto Italiani e sei Francesi e Provenzali. I Guasconi sono in numero sufficiente per impedire di raggiungere la maggioranza dei due terzi necessaria per eleggere il nuovo pontefice.

Il 9 giugno 1316 muore il re Luigi X, lasciando la sua sposa Costanza incinta. Il fratello del re, Filippo conte di Poitiers, si dichiara reggente. Egli cederà il trono al figlio di Luigi e Costanza, se sarà maschio, ma reggendo lo stato fino al compimento del 14° anno di età del principe; altrimenti, se femmina, egli assumerà la corona. Comunque sia, egli ha urgenza di lasciare Lione e andare a Parigi. Per suo ordine, il 28 giugno truppe regie circondano il convento dei Domenicani nel quale si tiene il Conclave e vi rinchiudono i cardinali. Viene loro comunicato che non potranno uscire se non quando avranno scelto il papa.

Il 7 agosto, a Carpentras, dopo 27 mesi di vacanza del trono pontificio, viene eletto Jacques di Duèse di Cahors, che prende il nome di Giovanni XXII. Uomo di umili natali,1di bassa statura, scaltro e coltissimo, energico ed attivo, nonostante i 72 anni di età. La sua elezione è dovuta all’influenza del re di Napoli ed alla rottura tra cardinali italiani. Si ritiene che sia un papa di transizione, visto che è anziano. Calcolo errato! Giovanni avrà un pontificato di 18 anni. Fedele agli Angiò, per abbattere il partito guascone nomina subito sette cardinali francesi ed un solo italiano. Ciò rende sempre più improbabile il ritorno a Roma del papato, anche se Napoleone Orsini ha detto all’ambasciatore aragonese Arnaldo de Cumbis che «dominus papa intendit modis omnibus ire Romam», cioè che il papa vuole in ogni modo andare a Roma.2

Il figlio che nasce alla regina Costanza la notte sul 14 novembre è un maschietto cui viene imposto il nome di Jean I, ma il neonato è debole e dopo quattro soli giorni muore. Filippo “il Lungo” non è solo reggente, ora è re di Francia, il quarto di questo nome.3

Finora, il papato non si è veramente trasferito ad Avignone. Clemente V, suddito di re Filippo di Francia e, come arcivescovo di Bordeaux, vassallo del duca d’Aquitania Edoardo I d’Inghilterra, ha scelto di rimanere in Francia per dedicarsi all’opera di pacificazione tra Francia ed Inghilterra. Da allora, una serie di eventi indipendenti dalla sua volontà lo ha trattenuto lontano dall’Italia: nel 1306 una grave malattia lo ha costretto a Bordeaux, forzandolo a rimandare il secondo convegno con Filippo il Bello fino a maggio del 1307. Il re di Francia si è “inventato” la persecuzione contro i Templari, costringendo Clemente a rimanere in Francia; nel 1308, un terzo incontro con Filippo; nel 1310, il primo ottobre, la convocazione di un concilio a Vienne, per affrontare la questione dei Templari. Fin dalla sua elezione, Clemente si è quindi trattenuto nel sud della Francia. L’unico possedimento del papa da questa parte delle Alpi è il Comtat Venaissin, dove il pontefice è infeudato di un certo numero di città e di una sessantina di castelli. Invece di stabilirsi in una delle quattro principali città della contea, Carpentras, Cavaillon, Pernes e Vaison, Clemente decide di stabilirsi ad Avignone, una cittadina facilmente accessibile dal nord, dal sud e da Vienne, sede di un’università, ma, soprattutto, oggetto di protezione da parte del re di Napoli, che è anche conte di Provenza.

Il concilio di Vienne, rimandato all’ottobre dell’11, fa rimanere il papa per due anni ad Avignone. Terminato il concilio, Clemente potrebbe tornare in Italia, ma la discesa di Arrigo VII rende l’aria dell’Italia Settentrionale irrespirabile. La salute del papa peggiora sempre di più, ed egli decide di andare nella sua nativa Guascogna in cerca di serenità e recupero. Appena traversato il Rodano, il papa muore: è 6 aprile 1314. La Provvidenza sceglie come suo candidato Jacques Duèse, Giovanni XXII, che prima di diventare cardinale è stato vescovo di Avignone. Egli ama questa città, il cui attuale vescovo è un suo nipote: Jacques de Via.

Avignone è grande, ben situata su una delle principali strade commerciali d’Europa, ed è in una posizione veramente baricentrica per tutto il papato: a 750 miglia da Otranto, 800 da Lisbona, 825 da Cracovia, 900 da Edimburgo, i limiti della cristianità latina; solo Stoccolma è più lontana: a 1.250 miglia. La vallata del Rodano è eccezionalmente ben situata per unire le due zone economicamente rilevanti dell’occidente medievale, le Fiandre e l’Italia Settentrionale.

La città è notevolmente importante perché controlla l’unico ponte in pietra esistente a sud di Lione, il ponte di San Benezet. Avignone sorge alla confluenza tra il Rodano e la Sorgue e ne è protetta dal lato settentrionale ed occidentale. Inoltre, Avignone è molto ben collegata con i principali centri politici: Londra,

Parigi, Napoli e Roma. Da qui, si raggiunge la Lombardia tramite la valle del Rodano, Marsiglia e Genova tramite la valle del Durance; la strada porta in Spagna tramite il passo del Perthus, ed alla costa atlantica e la baia di Biscaglia per le valli di Aude e Garonne, e attraverso Lodève, Cahors e Perigueux. Dai porti di Marsiglia e Montpellier si raggiunge qualsiasi porto della Cristianità. Le lettere papali possono raggiungere Parigi e Metz in 5 giorni, Bruges in 8, Londra in 10, in 13 Venezia e Roma e, con un po’ di fortuna, Napoli. Pertanto Giovanni papa non ha difficoltà alcuna a negoziare da Avignone, contemporaneamente con Inghilterra e Francia, a tenere sotto controllo le iniziative dell’Impero in Germania ed in Italia, a restare in contatto con le città lombarde e toscane. Giovanni XXII sceglie Avignone come sede per il papato.4

È appena passato un anno dalla sconfitta di Montecatini ed i Fiorentini guardano al tempo trascorso constatando che le conseguenze del grave rovescio sono state ben lievi. Il nemico non ha osato assaltare le loro mura, il commercio non ha subito battute d’arresto, l’industria della seta pesante si è, almeno in parte, trasferita in Firenze apportando una nuova capacità manifatturiera, le banche commerciali fiorentine, dopo il fallimento del banco dei Battusi di Lucca e di quelli degli Ammannati e Chiarenti di Pistoia, si trovano ora in possesso del monopolio dei grandi affari commerciali.5

Intanto, in settembre, è arrivata in Italia, scortata da Ugo di Bucheck e Everardo di Kyburg, Caterina d'Austria, per andare in sposa a Carlo di Calabria, l'erede al trono di Napoli. La accolgono Giovanni di Gravina, fratello del re Roberto, e il Conte Novello, Bertrando del Balzo. Il 20 settembre Caterina è a Padova. Poi a Ferrara, dove due distaccamenti di cavalieri le vengono assegnati per scorta fino a Napoli.6 Arriva quindi a Firenze, dove fa il suo ingresso trionfale, scortata da

duecento cavalieri napoletani.

Le alte cariche della corte napoletana constatano la situazione di stallo in cui versa la Signoria, la diffusa ostilità verso la casa d’Angiò, ed allora, forti delle loro truppe, e di quelle del potente conte di Battifolle, fanno deporre il feroce bargello, l’Eugubino ser Lando Bicci, che lascia Firenze a fine ottobre. I nuovi priori, eletti il 15 ottobre, sono quasi tutti favorevoli al re.7Il bargello ha commesso un grave errore: si è messo in urto con l’inquisitore Grimaldo da Prato, che, a sua volta, ha accusato Rolando de’ Galluzzi di aver favorito gli eretici. Il bargello viene scomunicato per eresia, rendendo più facile l’attacco al suo bieco potere.

Carlo d’Angiò, duca di Calabria, alla fine di settembre, sposa Caterina d’Austria.8Giovanni conte di Gravina sposa Matilde d’Hainaut. Matilde è vedova di Guido de la Roche e Luigi di Borgogna. Si è innamorata di Ugo de la Palisse, ma viene condotta a Napoli con la forza e sposata a Giovanni di Gravina. Matilde non gli si concederà mai e vivrà tutta la sua squallida vita, fino al divorzio, prigioniera in Castel dell’Uovo. Morirà nel 1332.9 Ugo de la Palisse tenta di far assassinare re Roberto durante un suo viaggio ad Avignone. Filippo

d’Angiò ottiene il divorzio e nel novembre del 1321 si sposerà con la bellissima Agnese di Périgord, figlia di Bruniselda de Foix, amante di Clemente V.10

L'alleanza tra re Roberto e Federico d'Austria e la pace tra Pisa e Napoli, spinge i guelfi toscani e Bologna ad iniziare trattative di pace con i Pisani. A novembre, a Siena, si tiene un congresso generale dei comuni guelfi toscani, con la partecipazione di re Roberto, per discutere i termini della pacificazione. I guelfi toscani sono molto seccati per il fatto che il re di Napoli abbia ritenuto di concludere la pace con i ghibellini toscani, senza sentire il loro parere.11

Dalla discesa di Arrigo VII e anche dopo il suo decesso, le armi non hanno cessato di cantare in Lombardia. Il conflitto oppone la lega guelfa, comandata da re Roberto di Napoli, e con il contributo dei guelfi di Toscana, Firenze in testa, ai forti signori ghibellini di Lombardia. Una Lombardia intesa in senso molto lato, che si estende fino al Veneto. L’obiettivo della campagna militare che si prolunga da diversi anni è lo spodestamento del signore di Milano: Matteo Visconti. Gli sono alleati gli altri signori di animo imperiale del nord, Cangrande della Scala, che però ora è molto impegnato nella sua contesa con Padova, e Passerino Bonacolsi, signore di Mantova. È anche alleato di Matteo l’abile marchese Teodoro di Monferrato. Non solo in questo lungo conflitto i guelfi non riescono a cacciare Matteo Visconti da Milano e da Como, ma anzi questi, aiutato dal suo valente figlio Galeazzo, con alterne e complesse vicende, riesce a conquistare e tenere prima Bergamo, poi Pavia, Tortona, Piacenza, Cremona, Alessandria, Parma. La città più difficile è Brescia, quella che ha fermato Arrigo imperatore. Sia i ghibellini che i guelfi trovano molti alleati locali, che sperano nel loro tornaconto dal felice esito del conflitto. Per i guelfi si distinguono Jacopo Cavalcabò a Cremona e il doppio Giberto da Correggio a Parma. La guerra dura molti anni e le sue vicende qui non ci interessano, dal punto di vista di Castruccio ciò che vale è il fatto che richiama molte energie da Firenze e dai suoi alleati di Toscana, distogliendoli da eventuali aggressioni a Lucca e Pisa.12 Quando poi, dal 1318, inizia l’assedio di Genova, Castruccio può contare sempre più sulla distrazione dei suoi avversari.

Il 4 novembre 1316, prima che il suo incarico di capitano di guerra di Lucca scada, Castruccio viene riconfermato in questo incarico per un altro anno a partire dal 14 dicembre 1316.13Castruccio da solo e non più in coppia con Pagano, ma questo deve essere avvenuto senza alcun contrasto, per mutuo accordo, visto che non abbiamo notizia di dissapori. Nei sei mesi nei quali Castruccio è stato capitano e Difensore della parte imperiale, favorito dal fatto che la guerra tace, egli si è cimentato con l’amministrazione del comune. Non basta farsi signore di un comune con qualsiasi mezzo per mantenere il proprio potere: in questo periodo storico si è molto rispettosi della legalità, almeno formale. Occorre dunque mettere mano alla riorganizzazione degli organismi comunali; il primo passo è ripristinare la magistratura degli Anziani, che debbono costituire un nuovo

Consiglio generale. Quest’ultimo è formato dagli Anziani, cui si aggiungono i Savi, cioé due abitanti scelti tra i quartieri che sono definiti dalle quattro porte cittadine e dal borgo, dieci persone in totale. I due rappresentanti scelti debbono esserlo in una lista di cinquanta che abbiano almeno vent’anni di età, 25 lire di estimo e siano ghibellini. Inoltre debbono essere nativi della città o del suo territorio. Poiché lo statuto nuovo del 1316 non ci è giunto, ignoriamo se gli Anziani siano stati eletti o scelti da Castruccio e Pagano. La scelta di Castruccio e Pagano avvenuta il 17 aprile 1316 è stata fatta dagli Anziani e dai dieci Savi, senza chiedere ulteriori ratifiche a nessuno. Lo stesso avviene con questa nuova nomina del 4 novembre e, come vedremo, anche le nomine future.

Castruccio non commette l’errore di Uguccione, e fa partecipare al potere, cioè alle magistrature, i membri della nobiltà e delle principali famiglie di mercanti della città. Anche se i registri completi con i nomi di coloro che hanno ricoperto le magistrature a Lucca in questo periodo non ci sono pervenuti, vi è comunque la possibilità di ricostruirla, almeno in parte, usando altre fonti. Louis Green lo ha fatto,14e le sue conclusioni sono tratteggiate qui di seguito. Tra gli Anziani e i Savi vi sono i membri delle principali famiglie mercantili di Lucca, che appaiono ricoprire la carica ruotando nel tempo,15vi sono sia i membri di casate esiliate nel 1301, che di quelle rimaste in città ed incluse nell’elenco dei “potenti o casastici” dello Statuto del 1308, i nobili ed i mercanti che potremmo assimilare ai Grandi o Magnati di Firenze.16Tra i nomi degli Anziani o Savi pervenutici, poco più di un

terzo sono quelli delle famiglie esiliate nel 1301, un altro terzo da guelfi tra i Potenti, e un quinto da membri delle altre casate attivamente cooperanti col regime castrucciano. Il rimanente non è definibile e probabilmente è composto da membri scelti tra coloro particolarmente legati da lealtà verso il Lucchese.17Nel tempo poi, progredendo verso il 1320 quando Castruccio diventa Dominus Generalis di Lucca, aumenta la partecipazione di famiglie nobili alle magistrature. Tale partecipazione rimane comunque minoritaria in assoluto. Green scrive: «la base su cui il regime si regge è più ampia del suo elemento principale che include un solido blocco aristocratico una volta allineato con i guelfi, ma ora allontanato da questi, a causa della loro identificazione negli anni immediatamente precedenti al 1314 alla causa popolare. L’ascesa di Castruccio ad una posizione di supremazia indiscussa deve essere vista alla luce dello sfondo di un’alleanza, formata nel 1314, e confermata due anni più tardi, di due segmenti ristretti ma socialmente rilevanti della società lucchese che vogliono che il governo rimanga esclusivamente nelle mani di una minoranza selezionata, e pronti a tollerare una protezione militare per assicurare la sopravvivenza del loro potere ristretto. Come risultò, Castruccio usò loro, più che loro Castruccio; ma egli molto difficilmente sarebbe riuscito a compiere il suo percorso, senza il loro cruciale, anche se equivoco, iniziale supporto».18 Nel corso del tempo della sua supremazia sul comune di Lucca,

Castruccio fa ampio uso, per posizioni amministrative cruciali del comune, come, ad esempio, podestà, vicari, castellani, camerlenghi, notai, di membri delle famiglie

mercantili. E le cariche più importanti vengono assegnate alle casate più rilevanti.19

In poche parole, per tutto il periodo della sua ascesa, fino al 1320, Castruccio si comporta come si deve comportare il Signore di un comune italiano: il primo e più importante rappresentante di un complesso di lignaggi che identificano il proprio successo nella sua affermazione. Sarebbe bello sapere chi è il consigliere di Castruccio, colui che gli indica cosa è e cosa non è da fare, perché sarebbe straordinario che questo uomo di guerra, che tutto deve alla sua capacità militare, all’improvviso si scopra anche il talento di un politico. Indubbiamente Castruccio è uno che sa ascoltare, che non ritiene di essere il depositario della verità in tutto, quindi si circonda di persone esperte che sono in grado di consigliarlo. Il suo antico biografo scrive che, saggiamente, Castruccio «non fece , né deliberò mai alcuna cosa di sua testa , imperocchè egli voleva aver sempre nel suo Conſiglio de’ Principali della Città, e di quelli specialmente che erano dotti e periti, e quelli massime che dell’istorie avevano cognizione. Se trattava di cose di guerra voleva il consiglio di uomini di guerra, e vecchi [esperti cioé]; e che sapessero dar conto de’ siti e luoghi, e in molte guerre si fossero ritrovati; ed essendo egli delle buone lettere al tutto ignorante, si ricreava, e pasceva sempre, del ragionamento d’uomini letterati. Servivasi nel difendere cause di Tegrimo Tegrimi e di Ugolino Calli, dottori di legge. Alla cura della città aveva preposto Prinzivalle Veglio, Vanni Mordecastelli, Luparo Lupari, Lippo Guarzoni da Pescia, Betto Boccansocchi e Coluccio Parghia. Nelle cose di guerra furono sempre i più stimati appresso di lui Giovanni da Castiglione, Lottuccio Berretani da Barga, Franceschino Onesti, Balduccio Mugia, Lotto Boccansocchi Fiorentino, cavalieri, e Beltramo Solvagno da Tolosa, Federigo Conti, Niccolò da Chiaravilla e Bovaccio della Volpaia erano in tra costoro uomini di guerra valorosi; usando egli dire che i buoni principi dovevano riguardare la virtù degli uomini, non la patria o onde ei fussero discesi».20

La caduta di Uguccione ha liberato Firenze da un incubo. La lotta contro l'imperatore e contro i ghibellini sembra esser terminata. La città si gode un periodo di pace e la miglior testimonianza della ritrovata serenità è data dalle cortesie mostrate verso coloro i quali, in passato, sono stati fonte di guai per Fiorenza: il cardinale Niccolò di Prato, che il 25 febbraio 1317 viene nominato canonico di S. Paolo a Firenze; Caterina, figlia di Giano della Bella, alla quale vengono restituiti i beni confiscati al defunto genitore; gli eredi di Corso Donati, cui viene liquidata una forte somma a titolo di risarcimento per la distruzione delle loro case.21

Il problema principale di Firenze è quello di stipulare la pace con Pisa e dedicare finalmente il proprio denaro al commercio invece che alla guerra. La strategia che si decide di seguire è quella di spaventare Pisa. Un consiglio di dodici capitani di guerra viene affiancato al podestà, vicario di re Roberto; a gennaio viene nominata una commissione di quattordici popolari che hanno il compito di

proporre il raddoppio delle vecchie gabelle e l’introduzione di nuove, così da portare il totale degli introiti del comune a mezzo milione di fiorini (quasi due tonnellate d’oro). Questa però è solo una falsa manovra, tesa a spaventare il comune ghibellino ed indurlo a desistere da eventuali volontà aggressive. Giovanni Villani ci informa, orgogliosamente, che l’idea e l’esecuzione dell’inganno è stata sua e dei suoi colleghi priori Alberto del Giudice e Donato Acciaioli. Essi perfezionano l’opera preparando una lettera che un messo dovrebbe consegnare alla corte papale di Avignone. In questa missiva sono tratteggiati gli interventi fiscali che consentono di poter affrontare ulteriori spese di guerra e viene dato un mandato di pagamento di 60.000 fiorini al principe angioino, che dovrebbe venire con mille cavalieri al soldo di Firenze. La lettera viene consegnata a un leale messo francese, accompagnato da una spia fidata, scelta dall’ufficiale che la comanda; il compito della spia è di far arrivare segretamente a conoscenza dei Pisani il contenuto del documento. La via che i messaggeri debbono seguire li deve portare ad Avignone per proseguire per Parigi. È logico allora transitare per Pisa; qui la spia fa abilmente scattare la trappola: la lettera viene offerta segretamente alla lettura del conte di Donoratico ed agli Anziani del comune, e, tenuto consiglio, questo delibera che per «tanta entrata di gabelle (nel comune di Firenze) consiglia che per loro (per i Pisani cioè) non facea di mantenere la guerra, potendo avere pace». I Pisani prendono contatto con i Fiorentini e inviano delegati a trattare la pace, accettando in definitiva le proposte di Firenze.22

Nel marzo del 1317 Giovanni XXII risponde alla richiesta di aiuto da parte dei Padovani e Trevigiani, inviando a Cangrande della Scala una bolla nella quale gli si rammenta che solo il pontefice ha il diritto di disporre della nomina dei vicari dell’Impero, in quanto egli non ha ancora scelto l’imperatore.23Troppo tardi: di

fronte agli ambasciatori di messer Federico d’Austria, eletto re dei Romani in contrapposizione a Ludovico di Bavaria, Cangrande della Scala, in marzo, giura obbedienza e si sottomette a Federico, ricevendone la conferma del vicariato imperiale per Verona e Vicenza. Alla cerimonia è presente Leopoldo, duca d’Austria e fratello di Federico.24 Anche Passerino Bonacolsi ha un analogo comportamento e si sottomette a Federico con Mantova.25

Il 31 marzo, una bolla di papa Giovanni XXII conferma re Roberto d’Angiò suo

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