THE ERRATIC OF PERCEPTION
LE INTERMITTENZE DEL PAESAGGIO ETICA DELLA DISCONTINUITÀ NELL’ESPERIENZA DELL’“ESSERE URBANO”
1. Assiologia della realtà Il limite
1.1 Un’assiologia della realtà ha quale termine di riferimento il limite. Il limite costituisce la frontiera che può essere superata a determinate condizioni e che pertanto filtra i soggetti abilitati a farlo in merito ad una specifica investitura di ruolo. Nello specifico dell’approccio sociologico macro-sistemico funzional- strutturale (Luhmann, 1990), la città può essere considerata come una unità- differenza tra sistema sociale e ambiente, un’entità che si identifica attraverso un processo comunicativo esterno che seleziona ciò con cui si comunica e che quindi partecipa della forma urbana, e ciò su cui invece si comunica, che decade allo stato di ambiente, informe. Il limite funziona come codice selettivo con cui hanno luogo anche i processi comunicativi interni al sistema, quelli che presiedono alla differenziazione in sub-sistemi, ciascuno dei quali assume un particolare codice che include/esclude parti del sistema stesso, le quali faranno parte di sub-temi diversi o dell‘ambiente. L’ambiente non è pertanto l’insieme delle risorse o il serbatoio da cui vengono prelevate le risorse e verso cui vengono indirizzati gli scarti, ma piuttosto una condizione ontologica intermittente che dipende dalla direzione dei processi comunicativi extra- sistemici (sistema vs ambiente) ed interni (tra i diversi sub-sistemi), e in questo senso dal punto di vista di ciascun sub-sistema, gli altri si identificano con l’ambiente. Di fatto l’ambiente, non ha dimensione o caratterizzazione fisica: è la condizione in cui si trovano l’essere naturale, l’essere umano, l’essere
urbano.
In questo senso la questione della continuità della città storica, in quanto essere o non essere urbano (quindi far parte del sistema o dell’ambiente), ri-afferma la necessità di un ritorno ai fondamenti di una ontologia della città sulla cui base costruire percorsi progettuali realistici.
La filosofia contemporanea insiste, a partire dai primi anni novanta dello scorso secolo, sul ritorno al realismo. Il relativismo diffusosi sulla scorta della fine delle grandi narrazioni e dell’affermazione del pensiero debole (Lyotard, 1979), ha condotto a forme di neo-sofismo e di scetticismo che hanno messo in
discussione la verità, la possibilità di conoscerla, la necessità di usarla, la sua relazione agli altri trascendentali, come il giusto, il buono, il bello (Rizzo, 1999), quindi, implicitamente l’idea stessa di limite all’ipertrofia comunicativa: alla luce dell'approccio macro-sistemico questa si traduce nella crescita smisurata di uno o più sub-sistemi (economico-finanziario) rispetto agli altri (estetico, della formazione, giudiziario, religioso etc.) legittimando – e quindi evitando di dovere giustificare – qualsivoglia processo di trasformazione (di parti deboli del sistema in ambiente) e di concentrazione di ricchezza reale, monetaria e territoriale.
1.2 L’etica del limite è stata aggirata anche dalle discipline economico- estimative, intese, almeno nelle intenzioni, a ispirare a principi di giustizia socio-economica i processi di trasformazione del territorio per la frazione che coinvolge direttamente i beni immobili a elevato gradiente di rendita. Il prevalere del soggettivismo individualistico sull’interazione reciprocante in microeconomia, delle variabili nominali su quelle reali in macroeconomia e del mercato sullo stato in politica economica, ha visto il progressivo affermarsi dell’idea che l’illimitato potere di vendere e comprare possa giustificare l’illimitata trasformazione fisica. L’approccio energetico–entropico consente di interpretare la distillazione di valore territoriale in valore astratto monetario, come un processo debolmente neg-entropico all’interno del sistema, ed fortemente entropico al suo esterno, laddove profonde tracce di questa trasformazione sono rinvenibili nell’espansione progressiva dell’ambiente umano, naturale e costruito, nella progressiva esclusione dalla comunicazione sociale. Infatti, la grande parte della ricchezza creata dai processi dissipativi territoriali-urbani si concentra nelle mani di pochissimi creando posti di lavoro servile e tracce irreversibili in un paesaggio ormai sempre più intermittente. Anche nell’ambito della valutazione e gestione del patrimonio architettonico- ambientale si è affermato il soggettivismo individualistico di un approccio al valore basato sulla disponibilità a pagare (WTP) e ad accettare (WPA) e quindi sulla simulazione dei mercati e sulla negoziazione. Il mercato è il luogo della comunicazione economica e costituisce un importante serbatoio di conoscenze; inoltre è un efficace (non sempre efficiente) allocatore della ricchezza. Di contro le tante contraddizioni che attraversa (davvero si può sperare che dall’aspirazione a occupare una posizione dominante da parte delle imprese possa derivare la condizione di concorrenza?), dal suo sistematico fallimento nel caso dei beni pubblici. Di conseguenza, per quanto raffinata, articolata ed estesa, la comunicazione economica è un processo asimmetrico all’interno del quale alcune importanti delimitazioni devono essere possibili.
Anche in area politico-decisionale, il concetto di limite è stato escluso con l’idea che il consenso si riduce all’esito della consultazione elettorale, che la statistica dei sondaggi sostituisce la razionalità discussiva (Labinaz, 2013), che la
comunicazione di massa sostituisce le funzioni che presiedono alla verità e la democrazia del pensiero (D’Agostini, 2011).
Un’assiologia della realtà dell’essere urbano definisce il limite tra ciò che si può e ciò che non si deve vendere e comprare.
1.3 Il potere di vendere e comprare si basa sul processo di astrazione che utilizziamo per definire una sostanza del valore nei percorsi valutativi, cioè la misura del valore e, di conseguenza le ragioni di scambio tra beni diversi, tra prestazioni eterogenee, tra valori derogabili e quindi sostituibili. Il valore, quale categoria generale, è una entità graduale (può essere più o meno elevato, intenso, denso, presente etc.) che si associa ad un referente indicando “quanto esso conti”, la sua importanza, e che ammette una qualche forma di comparazione e misurazione, in base alla quale si rende esplicita l’opportunità, e quindi si giustifica, la sostituibilità tra referenti nella misura in cui ad essi una misura di valore della stessa specie è associata. Nella stragrande maggioranza dei casi, però, la specie del valore non è unica, né omogenea e difficilmente beni eterogenei possono essere rappresentati con lo stessa sostanza valorizzante e quindi difficilmente se ne giustifica lo scambio.
I limiti alla sostituibilità sono noti anche alla teoria economica neoclassica, alla cui diffusione va addebitata l’ipertrofica estensione dell’uso del trade-off e della monetizzabilità attraverso le logiche compensative di impronta pigouviana. Sul versante tecnologico, il problema dell’efficienza indica un range più o meno ristretto in cui è possibile sostituire i fattori produttivi (capitale e lavoro); sul versante psicologico, il problema dell’equilibrio del consumatore, la convessità della funzione di isoutilità suggerisce che la sostituibilità ha un limite nella relativa costanza del rapporto tra i prezzi dei beni sostituibili. Nel primo caso si tratta di limiti riconducibili a questioni di logistica (efficienza tecnica nella combinazione di più fattori alternativi); nel secondo, di limiti esistenziali che differentemente dividono sazietà e bisogno.
1.4 Il principio di sostituzione ha molteplici fondamenti che occupano diverse aree della natura e dell’avventura comunicativa umana. Proviene dalle profondità dei processi di sublimazione e presiede alla formazione della disposizione allo scambio. Ma questa disposizione non si manterrebbe in assenza di una ascesa sul piano de linguaggio che provvede a consolidare a livello simbolico i legami tra registri diversi dell’appagamento, dal livello edonico a quello estetico. Il principio di sostituzione è una categoria feconda ed è stato variamente interpretato.
a) L’economia ambientale prevalentemente antropocentrica e minimalista, ha sviluppato l’idea dell’astrazione in prezzo nelle forme tipiche del principio “chi inquina paga” attraverso gli strumenti delle tasse e dei sussidi impiegati per internalizzare esternalità negative e positive monetizzate in base a metodi di contabilizzazione tipicamente edonici.
b) L’economia ecologica, prevalentemente fisiocentrica e massimalista, assumendo il limite quale vincolo naturale intrinseco, legittimato dalla coerenza interna degli ecosistemi, ha sviluppato l’idea dell’astrazione in termini fisici, energetico-entropici: ma l’approccio termodinamico ha attraversato un rinnovamento ad opera delle ricerche condotte da Prigogine I. & Stengers I. (1981) che proprio con riferimento alla terza legge della termodinamica, il teorema di minima produzione di entropia, distinguono tra la termodinemica dell’equilibrio e quella delle strutture dissipative indicando la via per una Nuova Alleanza tra le scienze della natura e dell’uomo. Ma il fatto che la città, in quanto sistema complesso non lineare e lontano dall’equilibrio abbia le risorse per mantenersi in uno stato stazionario, cioè in una condizione vitale dovuta alla asimmetria nello scambio con l’ambiente, non legittima la dissipazione tout
court, semmai allerta circa la necessità di porre rimedio all’attuale produzione di
insostenibilità.
c) La nuova economia (Rizzo, 2016) risolve la dialettica antropo/fisiocentrismo affermando il primato dell’“essere” sull’“essere utile”.
La città è ontologicamente fondata nel limite attraverso cui definisce la sua capacità di differenziarsi rispetto all’ambiente, dando luogo ad asimmetrie, gerarchie, tensioni e alla speranza della loro stessa risoluzione.
Nella città si affermano e si moltiplicano ontologie diverse e plurali, i sub- sistemi, ciascuno identificato da un limite il codice. Il limite è una regola.