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Nel 1926 l’associazione di Mosca fu ‘raddoppiata’ da una filiale leningradese, la

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Leningradskaja associacija sovremennoj muzyki (LASM). Qui si era formato anche il Circolo per la nuova musica (Kružok novoj muzyki), che non fu un’istituzione ufficiale, ma un’estensione della serie di concerti cui Asaf ’ev aveva dato il via anni prima all’Isti- tuto per la Storia delle arti. Nel 1927 il circolo si fuse con la LASM, che fu attiva fino al 1932. Personalità di spicco di questo entourage era Boris Asaf ’ev. Preferendo rimanere un outsider, Šostakovič non appartenne mai ufficialmente a nessun gruppo: frequentava i concerti della LASM e del Circolo, ma fu anche vicino alla RAPM quando componeva musica per il cinema di propaganda. Come lo stesso Šostakovič riconobbe in un articolo pubblicato nel 1956, Asaf ’ev lo sostenne nei suoi esordi compositivi, nell’opera Il naso ma anche nella suite per pianoforte Aforizmy. D. D. Šostakovič, Dumy o proidennom puti [Pensieri sul cammino percorso], «Sovetskaja muzyka», n. 9 (1956), p. 11. L’articolo è riportato in italiano in Pulcini, Šostakovič cit., pp. 212-219.

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Tuttavia, questa sovrapposizione non era intesa da tutti come necessaria, tanto più che, come si è detto in apertura, alle posizioni ASM se ne contrapponevano altre, basate su presupposti estetici opposti. La produzione legata e soste- nuta dall’Associazione si configurava come problematica nel contesto neo-sovietico, dove i musicisti proletari e al- cuni professori di Conservatorio la interpretavano come retaggio della decadente cultura borghese, e vi leggevano un eccesso di tecnicismo (quello che a breve sarebbe stato etichettato come ‘formalismo’), che frustrava le più semplici velleità compositive e le limitate capacità ricettive dei mu- sicisti proletari.

La questione della ‘natura’ della musica e della sua fun- zione sociale era uno dei punti di divisione tra le fazioni in campo, soprattutto in riferimento all’ambito tea trale. L’o- pera fu uno dei generi più discussi. I fautori dell’innova- zione la percepivano come spettacolo anacronistico, poiché i suoi stilemi (forme chiuse che interrompevano il corso dell’azione drammatica, scene statiche e poco verisimili) erano considerati inadatti a rappresentare la nuova real tà. In Russia l’opera non aveva fatto in tempo ad assumere quel carattere nazional-popolare che ebbe ad esempio in Italia, complice uno sviluppo ritardatario della società di massa. Eppure l’opera divenne, nel nuovo regime, uno dei generi prediletti: dal pubblico, che finalmente vi aveva accesso, e dalla nuova dirigenza, interessata a superare il carattere elitario che la contraddistingueva per sfruttarne le qualità spettacolari e didascaliche. Un simile punto di vista appar- tiene anche ad Asaf ’ev, che lo esprime proprio sulle pagine di «Musica contemporanea»:

È mia profonda convinzione che l’opera offra ai compo- sitori il mezzo più utile per rivolgersi alla società che li circonda, in quanto l’opera espande l’immaginazione at- traverso la straordinaria ricchezza della sua azione, della trama e delle forme, e allo stesso tempo ne conserva la concretezza. L’opera facilita a noi la comunicazione con la gente, grazie al potere emotivo della voce umana entro la cornice scenica del tea tro. Ci sono esempi ben noti di que- sto, a partire dall’opera veneziana degli esordi fino, qui da noi, a Musorgskij. Oggi la rinascita dell’opera, alla luce dei brillanti saggi del tea tro contemporaneo russo, può offrirci i risultati migliori. […] Per la musica allontanarsi dall’opera

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delle arti equivarrebbe a perdere il tea tro. Per i compositori, com-porterebbe la perdita del potere esercitato sull’ascoltatore con un’azione plastica, in una condizione di coinvolgimen- to, e di enorme e ininterrotto dispiegamento di tutti i volti

della vita, per un tempo lunghissimo12.

Questo genere incontrava però un momento di stasi cre- ativa: lo stesso articolo da cui è tratto questo passaggio offre un quadro pessimistico della vita musicale sovietica del periodo. Negli anni a ridosso del 1917 le scene russe avevano mostrato qualche reazione alle novità provenien- ti dall’Occidente, che peraltro rispondevano a loro volta, indirettamente, anche a stimoli provenienti dalla vecchia Russia (penso all’influenza del Boris Godunov e di altre ope- re di Musorgskij sull’impressionismo di Ravel e Debussy, ma anche su Casella). Sul fronte russo, nello sfasamento temporale e geografico creato da questa circolazione di re- pertori, Il gallo d’oro di Rimskij-Korsakov e L’amore delle tre melarance di Prokof ’ev possono essere considerate il frutto di un discorso musicale che si stava facendo trasgressivo già prima dell’Ottobre.

Da un lato queste ‘migrazioni’ evidenziano l’irrilevanza, in questa fase, dei confini politici e delle appartenenze na- zionali, e il temporaneo superamento delle posizioni di un Ottocento che era stato nazionalista in senso sempre più esclusivo, destinate a tornare in vigore negli anni Trenta, quando il discorso musicale si sarebbe fatto ancora una volta nazionalista, autoreferenziale e autarchico. Dall’altro, alcuni allestimenti di opere innovative provenienti dall’Occidente provocarono incertezza, e stimolarono profonde riflessioni sulle direzioni artistiche da intraprendere in patria, che si aggiungevano agli interrogativi apportati dai mutamen- ti sociali e politici interni al Paese: nel 1924 il Mariinskij di Leningrado (che con la Rivoluzione assunse il nome di Gosudarstvennyj akademičeskij tea tr opery i baleta, Teatro statale accademico di opera e balletto) produsse Salome di Strauss, la prima opera del modernismo europeo a com- parire sulle scene sovietiche; nel 1925 fu allestita Der Ferne Klang di Franz Schreker; il 1927 avrebbe assistito per inte-

12. I. Glebov [B. Asaf ’ev], Kompozitory, pospešite! [Compositori, fate presto!], «Sovremen-

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ressamento della LASM alle prime di Wozzeck di Berg, e di Der Sprung über den Schatten e Jonny spielt auf di Křenek, non- ché del balletto Renard di Stravinskij (compositore che l’an- no prima aveva visto allestire anche il suo Pulcinella). Nella stagione 1923-24 il Teatro Zimin di Mosca aveva offerto al pubblico tre nuove produzioni russe, delle quali nessuna riuscì a raccogliere la sfida del rinnovamento linguistico: Plač Rachili (Il pianto di Rachele) del moscovita Georgij Dudkevič attingeva alla tradizione dell’orientalismo tardo ottocentesco; Knjaz’ Serebrjanyj (Il principe Serebrjanyj) di Petr Triodin si basava sui cliché dello stile russo della scuola dei Cinque; Tril’bi di Aleksandr Jurasovskij riprendeva lo stile di Čajkovskij e dei suoi seguaci Arenskij e Rachmani- nov.

I musicisti proletari conservavano volutamente il legame con l’estetica del passato, applicandola al nuovo contesto politico. Essi vedevano nella musica un mezzo per veicolare un messaggio ideologico, facendo, per così dire, prevalere il contenuto sulla forma. Ecco quindi che i primi tentativi di rinnovamento assunsero il carattere di una ‘rivisitazione’: in occasione del secondo anniversario della Rivoluzione (7 novembre 1919) il Mariinskij diede La fanciulla di Pskov, in un allestimento che evidenziava in senso antimonarchico gli episodi di insurrezione popolare (la scena del veče), mentre il Bol’šoj presentava Die Meistersinger leggendola come un’o-

pera sui lavoratori e per i lavoratori13. Altri classici videro

i libretti modificati con l’inserimento di tematiche care alla Rivoluzione: Una vita per lo zar di Glinka fu Falce e martello prima di diventare Ivan Susanin, – un libretto ripulito del- la presenza dello zar; Tosca divenne La lotta per la Comune (Bor’ba za Kommunu); Les Huguenots di Meyerbeer divenne I decabristi, mentre Carmen diventava Carmencita e il soldato nella produzione di Nemirovič-Dančenko all’opera-studio del Teatro d’arte di Mosca. Questa tendenza investì anche

opere di Verdi e di altri autori della tradizione14. Queste

operazioni rispondevano a posizioni proletarie, in linea con

13. M. Frolova-Walker, J. Walker, Music and Soviet Power, 1917-1932, The Boydell Press,

Woodbridge 2012, p. 24.

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