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M Lermontov, Un ballo in maschera cit., p 179.

Nel documento L'Ottobre delle arti (pagine 120-124)

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delle arti a Nina, ed equivocandone il contenuto, Arbenin cade in inganno definitivamente (V quadro). La lettera è in real tà

frutto di un intrigo ordito da Šprih, che intanto ha riferito a Kazarin la notizia del presunto tradimento. Entrambi intendono approfittare della situazione: Šprih desidera entrare nelle grazie del principe, Kazarin vorrebbe riavere il compagno di gioco e di bevute Arbenin.

Colmo d’odio e di vergogna, Arbenin decide di pugna- lare il principe nel suo appartamento (VI quadro), ma non vi riesce e si limita a lasciare un subdolo invito a cena. Nell’uscire incontra la baronessa, celata da un velo, che gli rivela la propria colpa e l’innocenza di Nina, ma lui non le crede, anzi continua a fraintendere. Uscito Arbenin, la ba- ronessa trova il coraggio di rivelarsi al principe e spiegare i pericolosi equivoci che sono sorti dopo la serata al ballo.

Il settimo quadro si svolge nuovamente al tavolo da gioco, dove Arbenin accusa Zvezdič di barare; il principe, inizialmente intenzionato ad appianare la situazione, si vede costretto a chiedere soddisfazione per mezzo di un duello. Arbenin tuttavia si rifiuta ed esce diffamando il rivale.

Lo scandalo si propaga in fretta: durante un altro ballo (VIII quadro) il principe, evitato dai presenti, mette in guardia Nina dalla gelosia del marito. Osservandoli in- sieme, quest’ultimo riceve un’ennesima fallace conferma dell’infedeltà della moglie, e decide di ucciderla. Le versa del veleno nel sorbetto, mentre una figura misteriosa, de- nominata lo Sconosciuto (Neizvestnyi), osserva «nel fondo della scena».

I due coniugi fanno ritorno a casa (IX quadro); Nina inizia a star male, ma impietosamente Arbenin si rifiuta di convocare un medico. Infine, le confessa di averla avve- lenata, accecato dalla gelosia e dal desiderio di vendetta. Assiste così all’agonia della moglie che, ormai in punto di morte, continua a proclamare la propria innocenza.

Nel quarto atto (che coincide con il decimo e ultimo quadro) si ripresenta il personaggio dello Sconosciuto, che scopriamo essere lo stesso individuo che durante il primo ballo aveva predetto una sciagura ad Arbenin; insieme con Zvezdič convince finalmente il protagonista di aver commesso un omicidio ingiustamente, fornendo come prova una lettera della baronessa, che attesta l’innocenza

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di Nina. Nell’ultima scena Arbenin perde il senno («cade a terra e resta semigiacente cogli occhi immobili»20).

A giudicare dalle situazioni drammatiche e dall’intrec- cio, la vicenda di Arbenin mostra elementi paragonabili a quella di Otello. Come il Moro shakespeariano, l’eroe di Lermontov cade in errore credendo la moglie capace di adulterio e come quello finisce vittima di una cieca gelosia che lo porta a non vedere altra soluzione se non la ven- detta. Tragici inganni, quindi, ma provocati da circostanze diverse: nel dramma di Lermontov non è un cospiratore ad accendere i sospetti del protagonista; piuttosto è il caso a ordire il funesto intreccio, facendo leva, come in Otello, su un oggetto rivelatore. Diversamente da Otello, tuttavia, Arbenin ha vissuto nella mondanità, dedicandosi al gioco d’azzardo anziché al gioco della guerra. Il suo morbo è la noia di vivere, quel cinismo colmo di insoddisfazione che sicuramente affliggeva lo stesso Lermontov. Penso ad esempio alle numerose riflessioni, implicite ed esplicite, che il protagonista di Maskàrad formula riguardo all’idea della sovranità del caso. Già nel primo quadro, quando il principe, disperato per l’ingente somma perduta al gioco, quasi implora un colpo di fortuna che lo risollevi, Arbenin

ribatte: «oh, qui non v’è fortuna»21, lasciando intendere

che il successo al gioco non dipende dalla buona sorte, bensì dalla combinazione di disciplina e riflessione, ovvero dalla comprensione delle leggi della Natura e dell’Uomo. Per chi ha raggiunto tale grado di conoscenza ogni cosa appare prevedibile, e la rovina non può che arrivare tra- mite un’entità “sovrannaturale”, o una casualità, appunto.

Il personaggio dello Sconosciuto non nasce tuttavia insieme agli altri caratteri. Nella prima – e ora perdu- ta – versione in tre atti il dramma si concludeva con la morte per avvelenamento dell’innocente Nina, senza che Arbenin ricevesse punizione; epilogo inaccettabile per i responsabili della censura (direttamente controllati dal- la Terza Sezione), che ne vietarono la rappresentazione; inammissibili furono anche i latenti contenuti erotici, l’i- ronia crudele e disfattista, e in generale il modo impietoso

20. Ivi, p. 248. 21. Ivi, p. 151.

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delle arti con cui Lermontov ritraeva l’alta società pietroburghese. Pur di vedere rappresentata la sua opera, l’autore ultimò

in poche settimane una seconda stesura, aggiungendo un quarto atto e un personaggio risolutore. La figura dello Sconosciuto, la cui astratta impersonalità è sicuramente insolita per i canoni drammaturgici dell’epoca, diventa quindi l’emissario anonimo della società, una sorta di in- carnazione del destino tragico che attende chi voglia op- porvisi, e il mezzo attraverso il quale essa può vendicare la presunzione di Arbenin.

La storia creativa assai complessa e tormentata, che dissuase Lermontov anche dal proposito di pubblicare l’opera, si concluse con una terza versione, in cinque atti, scritta nei mesi centrali del 1836 (e non sopravvissuta); anche questa, nonostante le modifiche, gli smussamenti e un cambio di titolo (Arbenin) non passò il vaglio della censura, poiché reputata ancora oltraggiosa.

Solo nel 1852, dieci anni dopo la morte di Lermon- tov, fu concesso a Maria Valberhova, l’attrice per la quale lo scrittore aveva immaginato il personaggio di Nina, di portare in scena alcune parti del dramma (il grande attore tragico Vasilij Karatygin interpretava la parte di Arbenin). Una messinscena completa si ebbe dieci anni più tardi, al Maly Theatre: i numerosi emendamenti, la recitazione en- fatica e la sostituzione del finale fecero virare il testo verso una sorta di melodrama, connotazione che rimase impressa nelle successive messinscene.

Non sfuggendogli il cinico fatalismo che impregna la scrittura di Lermontov, Mejerchol’d intese invece ripri- stinare l’originaria tonalità critica e satireggiante, resti- tuendo cioè alla tragedia di Arbenin una motivazione fortemente sociale. Mejerchol’d intuì che nel pensiero dell’autore il ballo in maschera è più di un evento mon- dano e che l’intero dramma eccede il suo contenuto let- terale, facendosi metafora dell’ipocrisia delle istituzioni e dell’intera collettività. Perciò il suo Arbenin non è un antieroe governato da pulsioni quasi demoniache, bensì il frutto di un sistema sociale inquinato e corrotto moral- mente, le cui ambiguità si riassumono in due situazioni contigue ed emblematiche: il gioco delle carte e le ma-

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scherate; si vive giocando e mascherandosi, puntando e

celando i propri sentimenti22.

Per comunicare il precipitoso e funesto scorrere degli eventi, Mejerchol’d alterò la struttura drammaturgica del dramma, riunendo il terzo e il quarto atto e articolando i dieci quadri in tre tempi (3+4+3), con due intervalli limitati alla durata di quindici minuti, assai brevi per le consuetudini dell’epoca. Con questa ricomposizione Mejer- chol’d intendeva non dissipare l’accumularsi della tensione e la percezione del veloce inabissarsi di Arbenin nella sua rabbia vendicativa, marcando allo stesso tempo una chiara tripartizione narrativa. Nei primi tre quadri conosciamo il protagonista e assistiamo a una sua trasformazione: da sofisticato e disilluso viveur Arbenin precipita nel turbine sentimentale provocatogli dalla gelosia. Tra il quarto e il settimo quadro si sviluppano gli intrighi, divampano le pas- sioni e si scoprono i segreti, dimodoché l’ultima sequenza nella casa da gioco chiude la tragica circonferenza di eventi apertasi col primo quadro. Di conseguenza gli ultimi tre quadri – ottavo, nono e decimo – possono leggersi come un inevitabile prodursi di effetti, più che un ulteriore sviluppo

dell’azione23.

In gioco, in ballo

Per Mejerchol’d inerzia e impeto, tempesta ed elegia de- vono avvicendarsi fluidamente, secondo un ritmo mai ca- lante. In vero, nell’analisi della messinscena (e, si può dire, dell’intera produzione mejercholdiana) la nozione di ritmo è decisiva. Una prima osservazione deve riguardare lo spazio scenico, che Mejerchol’d e Golovin vollero riconfigurare

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