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4. La qualificazione giuridica dell’associazione di tipo mafioso: una

4.6. L’assoggettamento e l’omertà

Gli altri due elementi che costituiscono il metodo mafioso sono l’assoggettamento e l’omertà. Questi ultimi, invero, non sono concetti facilmente afferrabili, ma sono reali e suscettibili di una duplice valutazione: come elementi costitutivi della fattispecie delittuosa e come “riprova”, difficilmente rinunciabile, della sussistenza di una effettiva forza di intimidazione95.

Pertanto, essi non vanno intesi come semplici corollari dell’intimidazione, bensì ne sono la conseguenza, come dimostra la locuzione “condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”.

L’assoggettamento consiste nella compressione della libertà morale provocata dall’immanenza intimidatoria, che comporta un’assunzione di comportamenti conformi alle pretese e alle finalità dell’associazione per paura delle conseguenze. L’omertà è una declinazione particolare della condizione di assoggettamento, che evoca il modello, presente nella mente del legislatore, della mafia siciliana, e consiste in una progressiva sfiducia nell’idoneità dello Stato a garantire protezione, che si esprime in condotte di reticenza con l’autorità e di favoreggiamento nei confronti dei membri del sodalizio96. Tanto l’assoggettamento quanto l’omertà devono potersi riscontrare all’esterno dell’associazione, e non solo all’interno della stessa97.

95 INGROIA A., L'associazione di tipo mafioso, cit., p. 75 ss.; TURONE G., Le

associazioni di tipo mafioso, cit., p. 162 s.

96 Così R

ONCO M., L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata

applicativa, cit., p. 72; FORNARI L., Il metodo mafioso: dall'effettività dei requisiti

al “pericolo d'intimidazione” derivante da un contesto criminale? Di “mafia” in “mafia”, fino a “Mafia Capitale”, in Dir. Pen. Cont., 9 giugno 2016, p. 7. Esprime

la necessità di utilizzare un “concetto normativo” di omertà, limitato rispetto all'accezione del termine nell'ambito delle mafie storiche, TURONE G., Le

associazioni di tipo mafioso, cit., p. 162 s., che sottolinea il “rischio di aprire il

varco ad approcci in chiave spiccatamente sociologica”.

97 F

IANDACa G., Commento, cit., p. 260, per primo aveva distinto la coazione interna da quella esterna, sottolineando come "il cemento che lega tra loro gli

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Il riferimento all’omertà, un concetto, invero, più sociologico che giuridico, ha sollevato perplessità in ordine al difetto di tassatività e determinatezza. Tuttavia, il rischio di indeterminatezza è scongiurato non considerando tale elemento come requisito autonomo, bensì come esemplificazione di una delle più caratteristiche espressioni dell’assoggettamento98. Tuttavia, sotto il profilo della politica criminale

e giudiziaria, la discussione sulla nozione di omertà è il sintomo di un vivo contrasto tra chi vorrebbe riservare l’applicazione dell’art. 416-bis c.p. al sodalizio mafioso classico e chi vorrebbe generalizzare la nozione di omertà, disancorandola dal dato regionalistico, per poter applicare la fattispecie anche alle “nuove mafie” che si manifestano in contesti di abuso di potere politico-amministrativo.

4.7. Le finalità dell’associazione

La consapevolezza acquisita in sede giurisprudenziale, prima dell’introduzione dell’art. 416-bis c.p., delle dimensioni economicamente rilevanti del fenomeno mafioso, si è tradotta nella previsione di diverse finalità che possono caratterizzare l’associazione. Accanto a finalità di carattere sicuramente penale, come la commissione di delitti99, ve ne sono altre che di per sé potrebbero essere giuridicamente lecite, come l’acquisizione diretta o indiretta della gestione o comunque del controllo di attività economiche.

associati più che dal timore e dalla soggezione, è costituito dalla comune adesione ad una specifica subcultura".

98 Così RONCO M., L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata

applicativa, cit., p. 78.

99 Va precisato che secondo T

URONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p.

203, la finalità di commettere delitti è solo apparentemente alternativa rispetto alle altre finalità: lo è con riferimento ad un eventuale programma di delinquenza che trascenda quello criminale, ma è invece necessariamente presente e connaturata al fatto base con riferimento al solo programma delinquenziale minimale limitato ai reati di minaccia e violenza privata. L’associazione non è mai totalmente priva del suo programma di delinquenza, neppure quando apparentemente presenza solo una delle finalità para lecite. Con la conseguenza che il reato associativo mafioso è sempre in rapporto di specialità con l’associazione per delinquere di tipo comune.

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Peraltro, accanto a tale finalità di carattere generale, si menziona espressamente la dimensione finalistica del controllo di “concessioni di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici”, al fine di porre l’attenzione sulla capacità degli associati di condizionare l’attività della pubblica amministrazione e di scoraggiare la partecipazione di eventuali concorrenti alle gare d’appalto.

È evidente che tali finalità “economiche” siano tutt’altro che illecite, trovando tutela nell’art. 41 Cost. sulla libera iniziativa economica. Sennonché, l’ingiustizia del metodo usato per conseguire la gestione o il controllo si riflette sull’ingiustizia del fine100.

La terza finalità consiste nella realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. La nozione di profitto evoca un utile economico, mentre quella di vantaggio ricomprende ogni tipo di utilità che non trova tutela nel nostro ordinamento giuridico e sia quindi “ingiusta” (ma non necessariamente integra un illecito penale).

È evidente la funzione di clausola di chiusura di questa disposizione101, ma ciò non deve portare ad eccessi punitivi ispirati a ragioni meramente preventive. Tra i possibili vantaggi ingiusti rientrano, per esempio, gli atti amministrativi illegittimi che concedano erogazioni di denaro pubblico, l’assunzione di dipendenti pubblici in base a raccomandazioni, le distorsioni dell’economia di mercato derivante dal condizionamento della volontà contrattuale altrui.

La quarta finalità è stata introdotta con il d.l. 306/1992 e consiste nell’interferenza della mafia nelle consultazioni elettorali, che può comportare di “impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri”.

100 Così R

ONCO M., L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata

applicativa, cit., p. 81; TURONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p. 203.

101 RONCO M., L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata

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In realtà tali situazioni potrebbero già ritenersi comprese nella categoria dei vantaggi ingiusti, o comunque vi potrebbero essere i presupposti per integrare i delitti di coercizione elettorale o di corruzione elettorale, nonché la fattispecie di cui all’art. 416-ter di scambio elettorale politico-mafioso102. Ma tale specificazione nella fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p. è stata giustificata dalle Sezioni Unite perché “pur rispondendo allo scopo perseguito dal legislatore di punire più ampiamente e severamente condotte atte a turbare il libero svolgimento delle competizioni elettorali, già previste da preesistenti norme incriminatrici, nulla ha a che vedere con gli altri casi contemplati dall'art. 1, l. 646/1982” e rappresenta, dunque, una nuova incriminazione, “che qualifica in modo diverso, rispetto alle altre finalità cui tende, il sodalizio mafioso” prospettando la situazione in cui si accorda “con chi va a caccia di voti e non esita, pur di raggiungere l’agognato successo elettorale, a stipulare patti scellerati con la criminalità” 103 . In sostanza, tale specificazione consente di

criminalizzare, o a titolo di partecipazione o a titolo di concorso esterno, l’area di contiguità che maggiormente ha inciso nel radicamento e nel rafforzamento delle aggregazioni mafiose, come si avrà modo di evidenziare nella successiva trattazione.

Le tre finalità para-lecite dell’associazione rappresentano il punto di forza delle organizzazioni mafiose, che possono agevolmente collocarsi ai confini dell’imprenditorialità sana, mimetizzandosi e inserendosi gradualmente nel tessuto economico nazionale e nei meccanismi politico-istituzionali.

Alla luce di quanto finora emerso, di fronte alla compresenza di finalità lecite e illecite, si può affermare che l’elemento cardine della

102 V. Infra § 9.

103 Cass. pen., Sez. I, 17 aprile 2002, n. 21356, in Foro It. 2003, II, p. 682 (nota di

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definizione di associazione mafiosa proprio costituito dal metodo, che consiste negli strumenti attraverso i quali le varie finalità possono essere perseguite (anche alternativamente)104.

Infatti, quando la finalità dell’associazione è già di per sé intrinsecamente penale, il metodo mafioso ha la funzione di ulteriore qualificazione di un’attività criminale, che comporta l’applicazione di un regime sanzionatorio e di un apparato processuale e preventivo- amministrativo di peculiare rilievo (quello dell’art. 416-bis c.p.). Quando invece la finalità non è penalmente rilevante e nemmeno illecita, come nel caso di acquisizione o controllo di determinate attività economiche, il metodo mafioso svolge una funzione costitutiva, attraendo nell’orbita della fattispecie incriminatrice un’attività che, altrimenti, sarebbe stata assolutamente lecita.

È quindi il metodo mafioso che costituisce la vera architrave di questa fattispecie e che, grazie all’utilizzazione di questa terminologia così duttile, ha permesso più di recente di applicare la disposizione proprio ipotesi associative diverse da quelle tradizionalmente sullo sfondo dell’art. 416-bis c.p., come si avrà modo di riscontrare nella successiva trattazione.

5. La (apparente) superfluità dell’ultimo comma dell’art.

416-bis c.p.

Il fatto che il legislatore del 1982 abbia descritto il metodo mafioso di cui al III comma dell’art. 416-bis c.p. avendo in mente un modello ben preciso (quello del metodo caratterizzante la mafia siciliana) non significa, naturalmente, che la norma dovesse limitarsi a disciplinare quella particolare realtà criminale, geograficamente connotata. Anzi, come si è già avuto modo di sottolineare, la volontà del legislatore era quella di codificare una fattispecie generale e astratta potenzialmente

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applicabile a prescindere dai confini geografici e culturali, in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità precedente all’introduzione della norma, che aveva superato qualsiasi visione “localistica” dei fenomeni mafiosi105.

Nonostante ciò, si avvertì l’esigenza di chiarire, nell’ultimo comma che: “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”106.

Tale formulazione sembra obbligare l’interprete a ulteriori digressioni storico sociologiche che, invero, appaiono a prima vista superflue data la formulazione generale e astratta del III comma. Se, infatti, una qualsiasi associazione presentasse i caratteri ivi descritti, verrebbe a ricadere nella nozione giuridica di associazione di tipo mafioso, in caso contrario non vi rientrerebbe, a dispetto di qualsiasi statuizione suppletiva107.

Ma, ad una più attenta analisi, questo comma riflette la preoccupazione di evitare che l’applicabilità della norma venga limitata con interpretazioni restrittive e riduttive: si ricorre a schemi storico sociologici e regionalistici per rimarcare l’estensione generale della nozione giuridica di associazione di tipo mafioso e chiarire meglio il suo ambito di applicazione.

Con il tormentato ultimo comma il legislatore ha voluto, dunque, richiamare l’attenzione dell’interprete sul senso dell’effettiva

105 V. § 4.1.

106 Peraltro, il riferimento alle mafie straniere è stato inserito nel 2008 con il d.l.

23/5/2008, n. 92 e alla ‘Ndrangheta nel 2010 con il d.l. 4/2/2010 n.4.

107 In questo senso, in prossimità dell'introduzione della norma,F

IANDACA G.,

Commento all'art. 1 l. 13 settembre 1982 n. 646, in Leg. pen., 1983, p. 259 ss.;

INSOLERA G, Considerazioni sulla nuova legge antimafia, in Pol. Dir., 1982, p. 691; NUVOLONE P., Legalità penale, legalità processuale e recenti riforme, in

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sostanziale convergenza di quei fenomeni variamente denominati in un unico fenomeno imprenditorial-criminale, all’interno del quale non è importante individuare le distinzioni sotto il profilo dell’origine regionale o delle radici più remote, quanto piuttosto mettere in risalto gli aspetti che lo caratterizzano nella sua dimensione nazionale: la struttura organizzativa, l’intimidazione sistematica da cui derivano assoggettamento ed omertà, inseriti in un programma criminoso finalizzato all’arricchimento illecito e al controllo di attività economico e di settori della pubblica amministrazione; il tutto improntato ad una logica di dominio e di conquista illegale e violenta di spazi di potere reale, a scapito delle componenti sociali non mafiose108.

6. La configurabilità di una mafia soltanto giuridica.

Rinvio

Si può quindi a buon diritto affermare che la norma abbia enucleato i caratteri comuni ed essenziali del fenomeno costruendo una categoria generale e astratta che trascende l’approccio regionalistico; il che risponde ad una corretta tecnica legislativa, dal momento che l’art. 416-

bis c.p. è una norma dell’ordinamento giuridico nazionale, e non già un

“editto eccezionale applicabile a determinate zone”109.

L’art. 416-bis c.p. rappresenta quindi un’avanzata risposta istituzionale ad un fenomeno criminale lato sensu mafioso di cui il legislatore ha pienamente inteso la dimensione nazionale e in relazione al quale i termini mafia e mafioso assumono una accezione tecnico- giuridica indipendente ed autonoma da ogni altra possibile accezione.

108 CosìT

URONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p. 112.

109 Cfr. T

URONE G., cit., Ibidem; BERTONI R., Prime considerazioni sulla legge

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Tuttavia, l’ultimo comma non contribuisce a chiarire alcune questioni, che quindi rimangono, inevitabilmente, aperte 110 . Ad esempio, le dimensioni che un sodalizio criminale, ovunque costituitosi, deve possedere per rispondere ai requisiti dell’art. 416-bis c.p.; quanto esteso l’ambito soggettivo (e/o territoriale) su cui deve esercitarsi la forza d’intimidazione e che deve risultarne assoggettato; da quale tipo di timore deve essere indotta la condizione di assoggettamento e quale significato dare al termine “omertà”, al di là del suo originario e specifico significato tratto da una ben definita realtà locale.

Sono queste alcune delle questioni a cui la giurisprudenza sta cercando di fornire risposte che, come si darà conto nella successiva trattazione, sono finora emerse da due contesti non tradizionali: quello delle “mafie straniere” e quello delle “mafie delocalizzate”, associazioni che si sono manifestate nel nord Italia come emanazione, spesso “silente”, di sodalizi fortemente radicati nelle regioni meridionali (specialmente la ‘Ndrangheta calabrese).

Inoltre, si può affermare come, nonostante la portata generale e astratta della norma, sia rimasta a lungo sulla carta l’attitudine dell’art. 416-bis c.p. a fungere da “strumento repressivo di portata assai ampia, tale da fronteggiare anche nuove forme di criminalità associata di tipo economico-affaristico sempre più diffuse in tutto il territorio nazionale”111.

Invero, la mobilità dei mafiosi tradizionali, cui si riferisce il fenomeno delle “mafie delocalizzate”, pure essendo un dato di indubbio rilievo, è solo una spia, ma non la vera essenza della dimensione nazionale del fenomeno mafioso così come essa è stata intesa dal legislatore112, il quale ha invece tenuto conto del fatto che la forza

110 Come evidenza F

ORNARI L., Il metodo mafioso: dall'effettività dei requisiti al

“pericolo d'intimidazione” derivante da un contesto criminale? Di “mafia” in “mafia”, fino a “Mafia Capitale”, cit., p. 10.

111 Così Cass., Sez. VI, 12.6.1984, Chamonal, in Foro It., 1985, II, p. 169. 112 CosìTURONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p. 113 s.

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intimidatrice del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e la condizione di omertà ben possono manifestarsi anche in talune vaste organizzazioni criminali e imprenditorial-criminali di natura eterogenea, operanti su scala nazionale e spesso internazionale, con forte presenza nei grandi agglomerati urbani del centro nord, più o meno collegate a centri di potere occulto.

Tali associazioni possono, sì non rispondere più ai canoni tradizionali ed etnografici del fenomeno mafioso classico, ma hanno mutuato in tutto e per tutto il metodo mafioso e rispondo quindi ai canoni giuridici dell’associazione di tipo mafioso, quale è descritta dal III comma dell’art. 416-bis c.p.113.

Un fenomeno riconducibile a tale descrizione, che sarà oggetto di approfondimento nella successiva trattazione, è quello delle “mafie autoctone”, a cui è astrattamente applicabile l’art. 416-bis c.p., a prescindere dal fatto che al loro interno vi siano o non vi siano soggetti qualificabili come mafiosi in senso tradizionale.

In tale situazione non sarebbe più possibile appellarsi all’immagine del mafioso classico per differenziare la posizione di quest’ ultimo come sicuramente partecipe rispetto alla posizione dei soggetti appartenenti all’area grigia della contiguità, inquadrabili invece come concorrenti esterni114.

113 A tal proposito alcuni autori avevano sollevato il dubbio che il proliferare di

figure associative criminose specifiche potesse annullare “il ruolo autonomo e residuale dell’associazione per delinquere ex art. 416”, così BRICOLA F., Premessa

al commento della legge 13 settembre 1982 n. 646, in Legisl. Pen., 1983, p. 241,

secondo TURONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p. 116, la nozione giuridica di associazione di tipo mafioso non può coprire tutte le possibili manifestazioni della criminalità organizzata, in quanto è necessaria la presenza della potenzialità intimidatoria ricollegabile all’esistenza del vincolo associativo, che determina assoggettamento ed omertà per finalità gangeristico-imprenditoriali.

114 In particolare, sarà oggetto di approfondimento il caso Mafia Capitale, in cui

l’interpretazione del 416-bis è caratterizzata da note di indubbia originalità, tali da costringere la Suprema Corte ad una impegnativa presa di posizione, che sarà oggetto della successiva trattazione.

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Osservando tale evoluzione, un illustre autore ha affermato criticamente che risulta vano “tentare di forgiare la definizione di metodo mafioso al fuoco di immutabili concetti di diritto penale sostanziale: essa, infatti, è destinata a navigare nel mare aperto della dimensione fattuale e in ultima analisi probatoria che ne leviga i contorni fino a plasmarne i contenuti”115.

Tuttavia, prima di addentrarsi nell’analisi dei più recenti orientamenti giurisprudenziali volti a ripensare l’interpretazione del metodo mafioso, è necessario approfondire i rapporti tra partecipazione punibile e concorso esterno nella giurisprudenza tradizionale. Infatti, si verificherà come una prima modalità di criminalizzazione dell’area grigia della contiguità da parte della giurisprudenza sia passata dalla travagliatissima “creazione” della figura del concorso esterno.

Mentre, portando alle estreme conseguenze gli orientamenti giurisprudenziali più recenti, l’area grigia della contiguità non sarebbe più punibile a titolo di concorso esterno ma a titolo di partecipazione, con una necessaria ridefinizione dei rapporti tra questi due istituti.

7. La criminalizzazione delle condotte contigue tra

partecipazione e concorso esterno

7.1. Una tipicità “processuale”

L’art. 416-bis c.p. si apre con la seguente formulazione “chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni”.

Un assetto normativo siffatto si presenta all’interprete in un modo tale da rendere necessario un intervento giurisprudenziale volto a chiarirne meglio la portata applicativa. L’influenza del formante

115 VISCONTI C.-MERENDA I., Metodo mafioso e partecipazione associativa

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giurisprudenziale, come si è avuto modo di riscontrare, si avverte anche in riferimento al III comma dell’articolo in esame, che definisce il metodo mafioso, ma è con riferimento alla condotta di partecipazione all’associazione di tipo mafioso che il deficit di tipicità “sostanziale” si avverte maggiormente: è innegabile che il legislatore abbia sotto tale profilo delegato tout court alla giurisprudenza il compito specificare gli elementi costitutivi del reato in questione116.

Peraltro, posto che la tipicità della condotta di partecipazione è già di per sé un terreno scivoloso, il deficit di tassatività si accentua laddove debba individuarsi la condotta del concorrente esterno punibile ex artt. 110 e 416-bis c.p.

Non a caso, una delle critiche rivolte dalla dottrina alla configurabilità di un concorso “eventuale” nel reato a concorso necessario, fin dall’introduzione dell’art. 416-bis c.p., riguardava proprio l’identicità della dinamica di tipizzazione causale del concorso e della partecipazione. Secondo questa impostazione, l’apporto reso dall’agente sarebbe stato inglobato dalla condotta partecipativa se particolarmente significativo, mentre in caso contrario si sarebbe stati al di sotto della soglia del penalmente rilevante per mancanza di offensività117.

116 Sul tema, diffusamente, N

OBILI M., Associazioni mafiose, criminalità

organizzata e sistema processuale, in Crit. dir., 1995, p. 265, secondo cui l’art.

416-bis c.p. è tra le più «importanti norme di rilievo processuale», giacché «…] attualmente il rapporto [tra norma sostanziale e processo] tende a rovesciarsi: ora è la disciplina incriminatrice che spesso viene scelta e costruita, in funzione di un certo tipo di processo». Ma anche v. INSOLERA G., Il reato di associazione

mafiosa: rapporti tra norme sostanziali e norme processuali, in Quest. Giust.,

2002, 579 ss. DI VETTA G., Tipicità e prova. Un’analisi in tema di partecipazione

interna e concorso esterno in associazione di tipo mafioso, in Arch. Pen., n.1,

2017.

117 v. INSOLERA G., Problemi di struttura del concorso di persone nel reato,

Milano 1986, 148 ss., Id., Il concorso esterno nei delitti associativi: la ragione di

Stato e gli inganni della dogmatica, in Foro It., 1995, II, c. 429 ss.; SIRACUSANO

F., Il concorso di persone e le fattispecie associative, in Cass. pen., 1994, p. 1872 ss.; MANNA A., L’ammissibilità del concorso esterno nei reati associativi, tra

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Non a caso tale istituto, nato per reprimere le condotte della “contiguità compiacente e sostanzialmente di origine giurisprudenziale118, come ha riconosciuto la Corte Edu nel caso Contrada c. Italia, dando luogo inevitabilmente ad un acceso dibattito nell’ordinamento interno119, è da sempre “liquido, fluido, controverso,

1994, p.1189 ss.; MUSCATIELLO V. B., Profili giurisprudenziali e verifiche

dommatiche del concorso eventuale in fattispecie associative, in Studi in memoria di Renato Dell’Andro, II, 1994, 589 ss.; ID., Per una caratterizzazione semantica

del concorso esterno, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 184 ss.; DEVERO G., Il

concorso esterno in associazione mafiosa tra incessante travaglio

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