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Partecipazione associativa e metodo mafioso: una tipicità "liquida". Analisi dei recenti orientamenti giurisprudenziali e prospettive di riforma tra esigenze repressive, legalità e prevedibilità

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

G

IURISPRUDENZA

Tesi di Laurea

P

ARTECIPAZIONE ASSOCIATIVA E METODO MAFIOSO

:

UNA TIPICITÀ

LIQUIDA

Analisi dei recenti orientamenti giurisprudenziali e

prospettive di riforma tra esigenze repressive,

legalità e prevedibilità

Relatore

Chiar.mo Prof. Alberto Gargani

Candidata

Francesca Vitarelli

(2)

1

I

NDICE

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO I... 8

MATRICE STORICO-SOCIOLOGICA E QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO E DEI RAPPORTI DI CONTIGUITÀ ... 8

1. La mafia come fenomeno multidimensionale ... 8

1.1. Prospettiva “culturalista” ... 9

1.2. Prospettiva “organizzativa” o “ordinamentale” ... 10

1.3. Prospettiva “imprenditoriale” ... 12

1.4. Prospettiva “relazionale” ... 13

2. L’impresa mafiosa e la contiguità politico-imprenditoriale ... 16

2.1. La contiguità politico-mafiosa ... 16

2.2. La mafia e gli imprenditori collusi: categorizzazioni interne....19

2.3. Segue. Il continuum legale – illegale: le reti grigie e il mutamento di metodo dell’associazione mafiosa ... 21

3. L’utilità della prospettiva “relazionale” per l’inquadramento giuridico del fenomeno ... 23

4. La qualificazione giuridica dell’associazione di tipo mafioso: una questione di metodo ... 25

4.1. La definizione giurisprudenziale dell’associazione mafiosa prima del 1982 ... 25

4.2. La codificazione del metodo mafioso ... 27

4.3. L’organizzazione e la forza di intimidazione ... 30

4.4. L’avvalersi della forza di intimidazione: interpretazioni a confronto ... 31

4.5. Segue. Una soluzione “sincretistica” ... 35

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2

4.7. Le finalità dell’associazione ... 40 5. La (apparente) superfluità dell’ultimo comma dell’art. 416-bis c.p………...43

6. La configurabilità di una mafia soltanto giuridica. Rinvio ... 45 7. La criminalizzazione delle condotte contigue tra partecipazione e concorso esterno ... 48 7.1. Una tipicità “processuale” ... 48 7.2. Partecipazione punibile e concorso esterno secondo il modello causale ... 55 7.3. Segue. Partecipazione punibile e concorso esterno secondo il modello organizzatorio ... 58 7.4. La partecipazione e il concorso esterno nel maxiprocesso a Cosa Nostra ... 60 7.5. L’“offensiva del 1994”: indistinguibilità delle condotte di concorso e partecipazione ... 63 7.6. Le sentenze Demitry e Graci sanciscono l’alternatività tra concorso e partecipazione ... 65 7.7. Un tentativo di consolidamento dei tratti tipici della partecipazione e del concorso esterno: sentenze Carnevale e Mannino “II” ... 68

8. Contiguità imprenditoriale tra concorso esterno e partecipazione ………73 9. Contiguità politico-mafiosa tra concorso esterno e partecipazione ………77 10. Segue. Il rapporto tra l’art. 416-bis c.p., l’art. 416-ter c.p. e delitti di corruzione elettorale ... 82 11. Riflessioni conclusive. Tra contiguità e metodo mafioso ... 84

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3

CAPITOLO II ... 88

LA RIVISITAZIONE DEL METODO MAFIOSO E LA DELIMITAZIONE DEI CONFINI TRA PARTECIPAZIONE E CONCORSO ESTERNO NELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA ... 88

1. La rivisitazione dell’interpretazione del metodo mafioso di fronte al fenomeno delle mafie straniere ... 88 1.1. La sentenza Hsiang come “manifesto” della rilettura dell’art. 416-bis c.p. ………89

1.2. Segue. Gli orientamenti restrittivi della giurisprudenza di merito…….. ... 93 1.3. La giurisprudenza di legittimità conferma la linea della sentenza Hsiang ... 101 1.4. La riforma del 2008 codifica l’orientamento giurisprudenziale ... 103 2. La giurisprudenza di fronte al fenomeno delle mafie “delocalizzate”: il controverso concetto di “mafia silente” ... 107 2.1. Le origini del “conflitto” ... 108 2.2. L’orientamento “estensivo” nella giurisprudenza di legittimità avalla il concetto di “mafia silente” ... 110 2.3. Segue. L’orientamento “restrittivo” nella giurisprudenza di legittimità ... 114 2.4. Tra persistenti conflitti teorici ed esigenze nomofilattiche ... 117 3. Le mafie “autoctone” ... 128 3.1. Le mafie autoctone più “tradizionali” ... 128 3.2. Il caso Teardo e l’origine concetto di “mafia politica” ... 132 3.3. Segue. La “Mafia dei casinò” e la progressiva assimilazione tra criminalità politico-imprenditoriale di tipo sistemico e criminalità organizzata ... 136 4. Una mafia che corrompe. Il caso “Mafia Capitale” ... 138 4.1. Le sentenze di legittimità emesse in fase cautelare ... 142

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4

4.2. Il Tribunale di Roma nega la sussistenza del metodo mafioso ... 152

4.3. La Corte d’Appello accerta la sussistenza del metodo mafioso ... 159

4.4. La percezione del fenomeno mafioso fuori dai confini nazionali alla luce dei recenti sviluppi interpretativi in tema di metodo mafioso ... .168

4.5. Segue. Alcuni spunti dall’esperienza statunitense: il Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act... 171

5. La delimitazione dei confini tra partecipazione e concorso esterno dopo le Sezioni Unite Mannino “II” ... 173 5.1. Il mancato consolidamento dei dicta delle Sezioni Unite Mannino “II” ... 173 5.2. Il ritorno del modello causale ai fini della configurabilità della partecipazione punibile ... 183 5.3. Segue. Il confine liquido tra partecipazione e concorso esterno ... 189

6. Riflessioni conclusive. La stretta correlazione tra interpretazione del metodo mafioso e la definizione dei tratti tipici della partecipazione punibile……….195 CAPITOLO III ... 199

L’INFLUENZA DEGLI ELEMENTI PROBATORI E DELLE PREGIUDIZIALI SOCIO

-CRIMINOLOGICHE SULLA DEFINIZIONE DEI TRATTI TIPICI DELLA

PARTECIPAZIONE E DEL METODO MAFIOSO: PROFILI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE DI RIFORMA ... 199

1. L’interpretazione “tradizionale” dei tratti tipici della partecipazione e del metodo mafioso nella sentenza n. 48 del 2015 della Corte costituzionale ... 199 2. La difficile perimetrazione delle condotte di partecipazione (e di concorso esterno) come conseguenza della rilettura del metodo mafioso

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3. L’influenza del materiale probatorio sull’interpretazione della partecipazione punibile e del metodo mafioso ... 206 4. L’influenza delle pregiudiziali socio-criminologiche sull’interpretazione della partecipazione punibile e del metodo mafioso……... ... 214 5. La compatibilità dei mutamenti interpretativi con le “due legalità”: interna e convenzionale ... 221 6. Prospettive di riforma. La valorizzazione del contesto pratico applicativo e di fattori extra giuridici nella tecnica di costruzione del fatto tipico…. ... 226

BIBLIOGRAFIA ... 234

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6

I

NTRODUZIONE

La presente tesi di laurea ha ad oggetto l’analisi critica della giurisprudenza in tema di associazione di tipo mafioso, sotto i profili, in particolare, della definizione dei tratti tipici partecipazione associativa (e, specularmente, del concorso esterno) e del metodo mafioso.

La scelta di tale argomento si giustifica in quanto il settore della criminalità organizzata di tipo mafioso costituisce un terreno d’elezione per l’osservazione e la comprensione critica dell’interazione problematica tra dimensione tipica della fattispecie legale e dinamica probatoria interna al processo, la quale caratterizza, più ampiamente, l’attuale sistema penale a fronte di fenomeni criminali complessi. In questo particolare ambito, la “liquidità” dei tratti tipici della fattispecie di cui all’art. 416 bis c.p. emerge icasticamente proprio dalla giurisprudenza in materia di partecipazione associativa e di metodo mafioso.

Una prima scelta direttiva che ha guidato l’analisi è stata quella di inquadrare, attraverso l’analisi del dato normativo e, soprattutto, giurisprudenziale, le potenzialità applicative dell’art. 416-bis c.p. a prescindere dall’influenza di precomprensioni socio-criminologiche del fenomeno mafioso. In particolare, si è inteso di individuare i casi nei quali, nonostante gli inevitabili mutamenti storico-sociali che influiscono sull’interpretazione, il nucleo di disvalore della fattispecie è stato preservato, nonché i casi nei quali è stato invece “tradito” per soddisfare esigenze repressive, attraverso la trasfigurazione dei tratti di tipicità sulla base prove disponibili nel processo.

Una seconda direttrice è consistita nel rilevare come l’evoluzione giurisprudenziale riguardante la configurazione dei tratti tipici dell’art. 416-bis c.p., che storicamente ha investito il rapporto tra la partecipazione associativa e il concorso esterno, riguardi oggi in particolar modo il metodo mafioso. Si è potuto quindi osservare che, a

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7

fronte dei fenomeni delle mafie straniere, delocalizzate, autoctone, fino al recentissimo caso “Mafia Capitale”, la norma è stata applicata in contesti non tradizionali e si è progressivamente registrata una “riduzione di scala” dei tratti tipici del metodo mafioso; correlativamente, si è inteso anche dimostrare che tale rilettura dei tratti tipici del metodo mafioso si riflette inevitabilmente anche sulla definizione della partecipazione associativa e, di conseguenza, sulla (sempre più difficile) delimitazione dei confini tra partecipazione e concorso esterno.

Infine, una terza direttrice ha riguardato la verifica, più in generale, della compatibilità tra l’inevitabile influenza delle dinamiche probatorie e delle pregiudiziali socio-criminologiche sulla determinazione dei tratti tipici della fattispecie, da un lato, e il principio di legalità, nazionale e convenzionale, dall’altro.

In conclusione, sono state vagliate alcune possibili riforme che permettano di conciliare le inevitabili evoluzioni che possono investire la fattispecie alla luce dei cambiamenti storico sociali con la necessità di preservare il nucleo di disvalore della stessa.

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8

Capitolo I

Matrice storico-sociologica e qualificazione

giuridica dell’associazione di tipo mafioso e dei

rapporti di contiguità

1. La mafia come fenomeno multidimensionale

Al fine di acquisire una chiave di lettura delle problematiche relative all’inquadramento giuridico dell’associazione di tipo mafioso e dei rapporti di contiguità politico-imprenditoriale, non si può prescindere dai principali studi delle scienze sociali sul tema, dal momento che la “mafia” è un fenomeno meta-giuridico e, di conseguenza, la stessa formulazione della fattispecie (segnatamente nel suo III comma) e la sua interpretazione, come si avrà modo di approfondire in seguito, subiscono inevitabilmente le influenze delle elaborazioni storiche, sociologico-economiche e criminologiche.

Definire la mafia non è un’impresa semplice, dal momento che essa si caratterizza per il fatto di essere un fatto sociale in continua trasformazione, in grado di “mimetizzarsi e scomparire”1. A tal fine, può essere utile riportare le diverse prospettive adottate dagli studi sociologici sul tema, in quanto si tratta di un fenomeno “multidimensionale”2, la cui comprensione richiede quindi l’adozione

di una prospettiva integrata.

Peraltro, tale analisi sarà condotta con la consapevolezza che la conoscenza e l’interpretazione del fenomeno mafioso sviluppata dalle scienze sociali risulta ineluttabilmente intrecciata con le categorie penalistiche. Da un lato, le fattispecie incriminatrici permettono di

1 Così DINO A.,LA SPINA A.,SANTORO S.,SCIARRONE R., L’analisi sociologica

della mafia oggi, in Rass. It. Soc., n. 2/2009, pp. 302, 330.

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9

delimitare il carattere di criminosità attribuibile ai fenomeni di tipo mafioso che storicamente si manifestano; dall’altro, la giurisprudenza fornisce le “materie prime” su cui si concentra il lavoro degli scienziati sociali3.

1.1. Prospettiva “culturalista”

Sulla conoscenza e sullo studio della mafia come un’associazione segreta di stampo criminale4, nettamente distinta da ogni altra forma di criminalità organizzata, ha pesato molto, in una prima fase, la prospettiva “culturalista”5. Tale impostazione guardava il fenomeno da

una prospettiva etnico-antropologica, come se fosse espressione del retaggio culturale e sociale riscontrabile già all’indomani del 18606 e ancora presente in larghe fasce delle popolazioni meridionali del primitivo entroterra agricolo siciliano e dei suoi valori ancestrali.

Dall’approccio di tipo culturalista ha tratto origine il modello descrittivo della mafia come “comunità”7, secondo il quale il fenomeno

3 Così VISCONTI C., Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino 2003,

p. XVIII.

4 Per un’analisi relativa alle origini e all’evoluzione del fenomeno mafioso si

rinvia, ex multis, a LUPO S., Storia della mafia. La criminalità organizzata in

Sicilia dalle origini ai giorni nostri, Roma 2004.; ARLACCHI G., La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno, Milano 2007; SCIARRONE R.,

Mafie vecchie mafie nuove, cit.; TURONE G., Il delitto di associazione mafiosa, Milano 2015, p. 29 ss.

5 Ne sono espressione PITRÈ G., Usi, costumi, usanze e pregiudizi del popolo

siciliano, Palermo 1978, p. 291 ss.; HESS H, Mafia, Roma-Bari 1984.

6 Anche se, secondo una ricostruzione suggestiva, benché priva di solide e

documentate basi storiografiche, la mafia affonderebbe le sue radici nel regime feudale introdotto in Sicilia dai normanni nella prima metà del XII secolo e il suo precedente più antico sarebbe rappresentato dalla setta segreta Settecentesca dei Beati Paoli, che legittimava il ricorso alla violenza per promuovere il bene pubblico. Cfr. sul punto RENDA F., I Beati Paoli. Storia letteratura e leggenda, Palermo 1988; Id., Per una storia dell’antimafia, in FIANDACA G.-COSTANTINO S.,

La mafia, Le mafie. Tra vecchi e nuovi paradigmi, Roma 1994, p. 77 ss.

7 Secondo la classificazione di SCIARRONE R.,Mafie vecchie mafie nuove, cit., p.

XVIII, che, peraltro, distingue la prospettiva culturalista da una prospettiva “culturale” propria della sociologia culturale contemporanea che, attenta ad evitare i cortocircuiti del culturalismo, mette in primo piano gli aspetti simbolici e culturali, ma non riduce il fenomeno ad un problema locale di certe aree,

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mafioso sarebbe figlio dell’arretratezza economica e sociale, della mentalità omertosa, della diffidenza nei confronti dello Stato e dunque dall’abitudine a farsi giustizia da sé. Si è parlato a tal proposito di “familismo amorale” 8, ossia quella tendenza a far prevalere gli interessi

contingenti del proprio nucleo familiare su quelli di lungo periodo della collettività.

Seguendo tale impostazione, tuttavia, non si spiegherebbe la ragione della diffusione di tale “cultura” mafiosa oltre i propri ambiti d’origine proprio in coincidenza con la modernizzazione del paese. La mafia, infatti, ha resistito al progresso culturale ed economico della società italiana, assumendo nuove e più strutturate sembianze: tale “prova di forza” 9 ha confutato l’impostazione “culturalista”.

1.2. Prospettiva “organizzativa” o “ordinamentale”

È grazie all’introduzione nel 1982 del reato di associazione di tipo mafioso nel codice penale10 e alla successiva prassi applicativa, che è stata possibile una revisione critica dell’approccio culturalista, fino ad allora prevalente nelle scienze sociali.

L’essenzialità della struttura organizzativa, centrale nella fattispecie di cui all’art. 416-bis c.p., ha spinto gli studiosi a inquadrare la mafia

rinvenibile negli studi di SANTORO M., La voce del padrino. Mafia, cultura,

politica, Verona 2007, pp.137; CATANZARO R.-SANTORO M., Pizzo e Pizzini,

Organizzazione e cultura nell’analisi della mafia, in CATANZARO R.-SANTORO

M.,Rapporto sulla società italiana, Bologna 2009 p. 196 ss.

8 Per una serrata critica alla prospettiva culturalista v. CATANZARO R., Il delitto

come impresa. Storia sociale della mafia, Padova 1988, p. 49 ss.; SANTINO U.-La FIURA G., L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti, Milano 1990, p. 19 ss.; FIANDACA G., Riflessi penalistici del rapporto mafia-politica, in Foro It., 1993, V, p. 139; LUPO S., Storia della mafia. cit., p. 239; FALCONE G.-TURONE G., Tecniche

di indagine in materia di mafia, in Quaderni del CSM, 2013, n. 159, p. 85; SALES

I., Storia dell’Italia mafiosa. Perché le mafie hanno avuto successo, Soveria Mannelli 2013, p. 13 e 43 ss.

9 Cfr. AMARELLI G., La contiguità politico-mafiosa. Profili politico-criminali,

dommatici e applicativi, Roma 2017, p. 8; TRANFAGLIA N., La mafia come

metodo, Roma 2012, p. 15 ss.

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soprattutto come fenomeno, appunto, organizzativo, da cui discende una prospettiva “ordinamentale”11 , che la considera un ordinamento giuridico12 antagonista rispetto alle istituzioni pubbliche, secondo l’immagine, in parte fuorviante, dell’“anti-Stato”13.

Peraltro, rifiutare l’approccio culturalista non implica negare la rilevanza di valori, norme, identità, rappresentazioni, ma significa non assumerli come espressione dell’essenza di una società14. Ne emerge

quindi una lettura del fenomeno quale forma peculiare del crimine organizzato, caratterizzata da un’organizzazione stabile, segreta, capillare e verticistica, con finalità delittuose e non, fondata sul ricorso alla violenza in tutte le sue espressioni e diretta al soddisfacimento simultaneo di interessi di potere, economici, di mobilità sociale. Infine, i membri dell’associazione devono possedere particolari abilità o competenze15 (la c.d. tecnologia mafiosa).

Tuttavia, tale prospettiva da sola non è sufficiente per comprendere il fenomeno. Infatti, ponendo eccessivamente l’attenzione sul profilo organizzativo, la mafia finisce per essere considerata un’organizzazione prevalentemente chiusa, quasi autosufficiente a sé stessa.

Il rischio è quindi quello di valorizzare in misura minore il fondamentale fattore relazionale, che evidenzia le molteplici relazioni

11 Cfr. PEZZINO P., Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione

violenta nella Sicilia postunitaria, Milano 1990, p. 200; SANTINO U., La mafia

come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della politica e la produzione politica della mafia, in FIANDACA G.-COSTANTINO S., La mafia, Le

mafie. Tra vecchi e nuovi paradigmi, Roma 1994, p. 118 ss.

12 Secondo la nota teoria di R

OMANO S., L’ordinamento giuridico, 1917 Pisa, p. 111.

13 È un’immagina diffusa soprattutto nell’ambiente giudiziario, in cui si focalizza

l’attenzione sulla struttura interna, come rilevato da FIANDACA G., La mafia come

ordinamento giuridico, Utilità e limiti di un paradigma, in Foro It., 1995, p. 21

ss.; cfr. ex multis Cass. 30 gennaio 1992, Abbate, in Foro It., 1993, II, p. 15, con nota di FIANDACA G.

14 Così S

CIARRONE R.,Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 20.

15 Su questo profilo in particolare si vedano gli studi di L

A SPINA A., Mafia,

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12

di carattere sistemico che essa intrattiene con la società civile, l’imprenditoria, la politica.

1.3. Prospettiva “imprenditoriale”

Un’altra interessante lettura è data da quelle teorie che valorizzano il modello “imprenditoriale” della mafia, considerata come un’industria volta a massimizzare il profitto e a conseguire il potere in un dato contesto imprenditoriale, come farebbe qualsiasi impresa lecita16. Tale impostazione consente di spiegare perché le mafie siano riuscite ad espandersi in aree geografiche altre rispetto a quelle alle quali erano legate secondo l’immaginario collettivo, sfruttando gli effetti collaterali prodotti dalla globalizzazione e dall’apertura dei mercati17.

L’impresa mafiosa si presenta come una “industria a protezione privata”18, che agisce in modo duplice; essa opera nel mercato legale e

il prodotto della sua attività è lecito, ma le condizioni, le strutture, i soggetti e le modalità del produrre sono illegali19.

In tale prospettiva, la mafia viene quindi percepita come un fenomeno gangeristico-imprenditoriale volto ad ottenere il monopolio dei mercati illeciti e ad investire in attività lecite con i proventi illeciti, ad esercitare influenza in vari settori dell’economia, specialmente in

16 In tal senso A

RLACCHI P., La mafia imprenditrice, cit., p. 95 ss, ma v. anche FANTÒ E., L’impresa a partecipazione mafiosa.Economia legale ed economia criminale, Bari 1999; DALLA CHIESA N., L’impresa mafiosa, Milano 2012; DINO

A-MACALUSO M., L’impresa mafiosa? Colletti bianchi e crimini di potere, Milano 2016.

17 Su questo tema cfr. V

ARESE F. , Mafias on the Move, Princeton 2011, Princeton

University Press, trad. it. Mafie in movimento, Torino 2011; ID., How Mafias Take

Advantage of Globalization: The Russian Mafia in Italy, in British Journal of Criminology, 52, 2, 2012, pp. 235-252.

18 È nota l’immagina della mafia come “industria a protezione privata”, fornita da

GAMBETTA D., La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Torino 1992. Per un’analisi critica di questa definizione v. FIANDACA G.-COSTANTINO S.,

Introduzione, in ID., La mafia le mafie, cit. IX ss.

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13

materia di appalti e di edilizia, intessendo relazioni con il mondo della politica, dell’imprenditoria e di altre fasce della società civile.

Tale tesi, certamente fondamentale per ricostruire il fenomeno, se non contestualizzata, offre una visione parziale dell’agire mafioso. Infatti, il fatto che la mafia si comporti come impresa, presuppone una fitta rete di relazioni esterne, che le consente di inserirsi in maniera mimetica nelle attività lecite e senza le quali non potrebbe avere lo stesso potere di condizionamento dei mercati e delle gare pubbliche.

1.4. Prospettiva “relazionale”

Alla luce di quanto esposto, si può affermare che la prospettiva “organizzativa” e quella “economico-imprenditoriale”, non si escludono a vicenda, bensì colgono singoli e specifici aspetti fondamentali del fenomeno mafioso, essendo quest’ultimo caratterizzato da multidimensionalità20.

Tuttavia, considerate singolarmente, tali concezioni non ne esauriscono la complessità, che si può cogliere solo tenendo conto anche della prospettiva “relazionale”. Infatti, la mafia “organizzazione”, “ordinamento”, “imprenditrice”, non esiste se non attraverso la fitta rete di relazioni intessute dalle consorterie con i ceti dirigenti della società civile21.

La tendenza a coltivare relazioni esterne è, invero, un dato tradizionale della modalità di azione dell’associazione mafiosa, tanto che lo storico Salvatore Lupo associa all’odierna contiguità il “manutengolismo”, termine che evoca le prestazioni che i colletti

20 SCIARRONE R.,Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 19 ss.

21 Cfr. FIANDACA G., Il concorso “esterno” tra sociologia e diritto penale, in

Scenari di mafia, a cura di FIANDACA G.-VISCONTI C., Torino 2010, p. 205; CATANZARO R.-SANTORO M., Pizzo e Pizzini, cit., p. 196; AMARELLI G., La

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14

bianchi ottocenteschi e primo novecenteschi espletavano a favore dei mafiosi22.

Nella dottrina di stampo sociologico un contributo rilevante ai fini della valorizzazione di tale prospettiva è stato quello fornito da Sciarrone, il quale sottolinea23 che la risorsa principale della mafia è il capitale sociale relazionale: il vero cuore della mafia è all’esterno della mafia. L’autore osserva che la struttura organizzativa dei gruppi mafiosi presenta una peculiare dualità segnata dalla compresenza di due elementi, che sono la tendenza alla centralizzazione interna e la tendenza alla fluidità esterna.

Tale approccio, invero, evoca la tradizionale distinzione ad opera degli studiosi nordamericani in materia di criminalità organizzata, tra

power syndicate e enterprise syndicate24, tra organizzazioni di controllo del territorio e organizzazioni dei traffici illeciti: due sfere distinguibili tra loro concettualmente ed empiricamente, ma anche interdipendenti.

Questa bipartizione è idonea a far comprendere le dinamiche di funzionamento di tale sistema, in quanto tiene conto delle ambivalenze organizzative della mafia. L’immagine complessiva che si può ricavare osservando l’agire mafioso è quella di un network, una “rete”, che si presenta come il più fitta nel suo nucleo organizzativo e più rarefatta nella sua trama periferica, ma sempre presente25.

Di estremo interesse è anche l’elaborazione di Armao, il quale, a partire dallo schema di analisi di Sciarrone, avverte l’esigenza di

22 L

UPO S., Storia della mafia, cit., p. 36; FIANDACA G., Il concorso “esterno” tra

sociologia e diritto penale, p. 208.

23 SCIARRONE R.,Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 8 e 46

24 BLOCK A., East Side West Side. Organizing Crime in New York 1930-1950,

University College Cardiff Press, Cardiff 1980.

25 SCIARRONE R., Mafie vecchie mafie nuove, cit., p. 48 ss.; una nozione

multifunzionale di grande efficacia è quella di impresa-rete coniata da IACOVIELLO

F., Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazione per

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15

distinguere delle categorie e delle classi di comportamenti che riescano a rendere conto dell’infinità varietà di individui che entrano in contatto con il sistema-mafia “su un ipotetico continuum che va dall’intimidazione alla collusione” 26.

Una simile ricostruzione relazionale del fenomeno mafioso dimostra che, al contrario di quanto a lungo tempo si è sostenuto, la mafia, muovendosi in una logica istituzionale e ordinamentale, non è un “anti-Stato”, ma un “intra-Stato”27. Un sistema di natura complessa che

travalica la semplice dimensione della criminalità organizzata, in quanto i poteri di cui dispone sono fin dall’inizio anche politici economici e sociali e che presuppone per esistere e prosperare la presenza dello Stato, rispetto al quale vive in un rapporto “osmotico e parassitario”28,

diventandone parte, come aveva evidenziato anche Leonardo Sciascia29.

26 Cfr. A

RMAO F., Il sistema mafia. Dall’economia mondo al dominio locale, Torino 2000, p. 107 ss. Seguendo tale ricostruzione, si possono identificare quattro tipi di soggetti che interagiscono con le organizzazioni mafiose. I primi sono i soggetti in fuga, con bassa integrazione e bassa credenza, che si ribellano alle associazioni fuggendo dalla propria zona o attività; i secondi sono i subordinati, con bassa integrazione e alta credenza, sono fiduciosi nell’efficienza mafiosa, ritengono non vi sia collegamento tra protezione ed estorsione; vi sono poi i collusi, con alta integrazione e bassa credenza, i quali istaurano una collaborazione reciprocamente vantaggiosa; infine, i mafiosi, con alta integrazione e altrettanta credenza, che sposano dall’esterno la dottrina mafiosa.

27 Sarebbe fuorviante il concetto di “anti-Stato” secondo F

IANDACA G., La mafia

come ordinamento giuridico, cit., p. 25; FALCONE G., Cose di cosa nostra, a cura di M. Padovani, Milano 1991, p. 48; LUPO S., Storia della mafia, cit., p. 41; ARMAO F., Il sistema mafia, cit., p. 19 e 115 e SANTINO U., La mafia come

soggetto politico, cit., p. 21.

28 Così AMARELLI G., La contiguità politico-mafiosa, cit., p. 25.

29 Sciascia si era espresso in questi termini illustrando la sua “teoria della palma”

sull’espansione delle mafie al Nord in un’intervista a PANSA G., I casalesi a

Cuneo, in L’Espresso, 25 settembre 2008, «“Secondo una teoria geologica, per il

riscaldamento del pianeta la linea di crescita delle palme sale verso il nord di un centinaio di metri all'anno. Per questo motivo, fra un certo numero di anni, vedremo nascere le palme anche dove oggi non esistono”. Gli chiesi: “Che cosa c'entrano le palme con la mafia?”. Sciascia sorrise: “Anche la linea della mafia sale ogni anno. E si dirige verso l'Italia del nord. Tra un po' di anni la vedremo trionfare in posti che oggi sembrano al riparo da qualsiasi rischio. E anche al nord la mafia avrà gli stessi connotati che oggi ha in Sicilia. Qui da noi il mafioso si è mimetizzato dentro i gangli del potere. Una volta in Sicilia c'erano due Stati, adesso non ci sono più. Quello della mafia è entrato dentro l'altro. Un sistema

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16

Tale affermazione non è in contraddizione con le contingenze storiche che hanno visto verificarsi degli attacchi al cuore delle istituzioni statati nei primi anni ‘9030. Tali avvenimenti, infatti, si

giustificano per il venire meno, in quel frangente, del sostegno della politica e delle istituzioni; l’obiettivo era, attraverso un meccanismo estorsivo e relazionale, quello di reperire nuovi referenti istituzionali con cui dialogare31.

2. L’impresa mafiosa

e la contiguità

politico-imprenditoriale

Dopo avere accennato alle diverse prospettive di osservazione del fenomeno mafioso e aver evidenziato l’importanza di un approccio multidimensionale, con particolare attenzione al dato “relazionale”, si possono indagare in modo più approfondito i rapporti che intercorrono tra il fenomeno mafioso e la realtà politico-imprenditoriale.

2.1. La contiguità politico-mafiosa

Come si è già avuto modo di evidenziare, se si considera la mafia come un fenomeno imprenditoriale, si può affermare che la sua attività specifica consiste nel produrre un particolare tipo di bene: la protezione

dentro il sistema. Ha vinto il sistema di Cosa Nostra: più rozzo, più spregiudicato, più violento. E vincerà anche al nord”».

30 Sono i c.d. “reati di terzo livello” secondo la definizione di FALCONE

G.-TURONE G., Tecniche di indagine in materia di mafia, cit., p. 84, che hanno operato una classificazione dei reati scopo commessi dalle associazioni di tipo mafioso. I reati di primo livello, funzionali al perseguimento di profitti illeciti come ad esempio le estorsioni, il traffico di stupefacenti, etc.; i reati di secondo livello, strumentali per la soluzione di conflitti interni alle cosche in lotta tra loro per il controllo di aree territoriali o attività illecite, come ad es. omicidi di esponenti di clan avversari; reati di terzo livello, funzionali a garantire la sopravvivenza del sistema mafioso in momenti di particolare criticità, come ad es. omicidi di politici o magistrati. Sul punto, AMARELLI G., La contiguità politico-mafiosa, cit., nota 90, p. 31 e SANTINO U., La mafia come soggetto politico, cit., p. 61.

31 È di questa opinione F

IANDACA G., La mafia come ordinamento giuridico, cit., p. 27.

(18)

17

privata32. Tale attività si distingue nettamente, da quella svolta dal politico, il quale è alla ricerca di consenso: le finalità, ma anche i mezzi, sono quindi distinti.

Tuttavia, storicamente, i legami con il sistema politico hanno costituito un punto di forza delle organizzazioni mafiose. Esiste, infatti, un’area di intersezione entro la quale possono maturare condizioni per “interazioni cooperative”33, nonché, in più sporadiche occasioni,

l’identità del mafioso coincide con quella del politico.

Tanto mafiosi che politici, infatti, cercano interlocutori credibili e affidabili come garanti nelle rispettive aree di incertezza: si pongono così le premesse perché si determini una simbiosi, costruita sulla reciproca protezione nei contratti di scambio politico e nelle attività illegali. Vengono stipulate intese stabili, che assicurino affari e fatturato per le imprese protette, nonché protezione politica dai rischi della carriera criminale34.

In particolare, questa “industria a protezione privata” trova terreno fertile per operare in contesti, come quello degli appalti pubblici, in cui sia radicata la criminalità economica e la corruzione politico-amministrativa di carattere sistemico35.

La corruzione diventa, quindi, lo strumento per la penetrazione nel tessuto politico e istituzionale dello Stato, senza dover ricorrere a metodi

32 Cfr. nota 17.

33 Cfr. VANNUCCI A. Imperfette simbiosi. Protezione, corruzione, estorsione tra

mafia e politica, in SANTORO M. (a cura di), Riconoscere le mafie: cosa sono,

come funzionano, come si muovono, Torino 2015, pp. 125-176.

34 Su questo tema, diffusamente,

DELLA PORTA D. E VANNUCCI A., Italy: The

Godfather’s Party, in K. CASAS-ZAMORA (a cura di), Dangerous Liasons, Washington D.C. 2013; VANNUCCI A., Il partito della mafia, in E.CICONTE,F. FORGIANE E I.SALES (a cura di), Atlante delle mafie, Soveria Mannelli 2013.

35 Uno studio del Center for study of Democracy mostra l’elevata correlazione tra

la diffusione della corruzione e l’incremento di attività illecite della criminalità organizzata, v. CENTER FOR THE STUDY OF DEMOCRACY, 2010, Examining the

Links between Organised Crime and Corruption, in Trends in Organized Crime,

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18

cruenti di acquisizione del potere36. Un circolo vizioso dove la corruzione è causa ed effetto della presenza della criminalità organizzata, dove l’incremento della criminalità dei potenti è correlato alla “debolezza istituzionale, alla diseguaglianza economica e alla crisi sociale”37.

Il controllo illecito degli appalti pubblici e lo sfruttamento delle risorse finanziarie che ne derivano costituiscono la sua fonte principale e più garantita di approvvigionamento economico perché il settore pubblico non è soggetto alle limitazioni di spesa cui sono soggette le attività imprenditoriali gestite da privati o ai rischi del libero mercato.

L’interesse della mafia per questi settori è dettato da una scelta di

core business, in ragione del fatto che attraverso il controllo degli appalti

pubblici “i sodalizi mafiosi ricercano spazi economici legali verso cui canalizzare i proventi illeciti con finalità di riciclaggio, rafforzano il controllo del territorio, imponendo subappalti o forniture di beni strumentali oppure servizi ausiliari quali ad esempio il confezionamento dei pasti per i lavoratori ed infine acquisiscono una nuova veste di rispettabilità sociale connessa ad una minore visibilità a favore di una politica dell’inabissamento”38.

Il crescente interesse verso le risorse pubbliche determina un irrimediabile pregiudizio del regime della concorrenza tra le imprese private del Paese, comportando la sistematica esclusione dalle gare di

36 Cfr. D

INO A-MACALUSO M., L’impresa mafiosa?, cit., p. 169, diffusamente ARLACCHI P., Criminalità organizzata, in Enciclopedia delle scienze sociali,

Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma II; VANNUCCI A., Atlante della

corruzione, Torino 2012.

37 Così DINO A-MACALUSO M., L’impresa mafiosa?, cit., ibidem.

38 V. Commissione parlamentare sul fenomeno della criminalità organizzata

mafiosa o similare, Relazione conclusiva approvata nella seduta del 19 febbraio

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19

appalto più importanti o più appetibili delle imprese estranee al circuito illecito creato dalle organizzazioni mafiose39.

Viene a crearsi, pertanto, un modello monopolistico o oligopolistico, che è possibile decifrare soltanto adottando nozioni multifunzionali come quella di “impresa-rete”40, in cui alle imprese

coinvolte in tale circuito viene offerta protezione in maniera differenziata. Infatti, da un lato vi sono gli imprenditori “subordinati” a cui è imposta una protezione passiva; il rapporto è fondato sull’intimidazione e la coercizione e il controllo mafioso e viene gestito mediante il meccanismo della estorsione-protezione. Dall’altro, vi sono gli imprenditori “collusi”, con i quali la mafia intrattiene un rapporto di protezione attivo, come si avrà modo di approfondire nel successivo paragrafo41.

2.2. La mafia e gli imprenditori collusi: categorizzazioni

interne

A tal proposito, occorre rilevare che tra mafiosi e imprenditori collusi si istaurano interazioni reciprocamente vantaggiose, fondate sul conseguimento di interessi comuni, oppure sul raggiungimento di utilità differenti, ma complementari. All’interno della categoria della collusione i rapporti con il sodalizio mafioso assumono connotazioni eterogenee, suscettibili di classificazioni interne42.

Si dicono “strumentali” gli imprenditori che sono sufficientemente forti per istaurare con i mafiosi rapporti di scambio: considerano la

39 Le condotte in questione saranno riconducibili al 513-bis c.p., così C

ENTONZE, A., Contiguità mafiose e contiguità criminali, Milano 2013, p. 131.

40 I

ACOVIELLO F., Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad

associazione per delinquere, cit., p. 860 ss.

41 Per una compiuta classificazione v. SCIARRONE R.,Mafie vecchie mafie nuove,

cit., p. 68 ss.

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20

mafia come una componente economica imprescindibile e hanno accettato la sua presenza sulla base di un calcolo razionale.

Vi sono poi gli imprenditori “clienti”, che si differenziano dai primi in quanto hanno un rapporto stabile con la mafia, laddove invece gli strumentali intrattengono relazioni limitate nel tempo. Tra la mafia e questi imprenditori “clienti”, potrebbero anche nascere delle società, come avviene di frequente nel campo delle opere pubbliche; quando concorre uno di questi imprenditori “clienti”, nessun altro osa partecipare alla gara d’appalto.

È inoltre possibile distinguere una variante interna alla categoria dei clienti, i c.d. imprenditori “identificati”, che realizzano con la mafia un’armonia di intenti che li spinge a combinare affari in comune, sia nel mercato legale che in quello illegale. Il comportamento di tali soggetti identificati si spiega appunto in una logica di identità, anziché di utilità. Essi tendono a far prevalere la dimensione dell’appartenenza, non nascondono il loro legame con la mafia, e anzi ne fanno motivo di vanto e prestigio sociale. Per tale ragione, non è da escludersi una trasformazione in senso mafioso delle loro imprese e la loro piena integrazione nel sistema economico della mafia.

Alla luce di questa ultima variante della collusione, si può dunque affermare come i due settori, quelle economico criminale e quello economico legale, siano ormai un continuum, nel senso che le risorse finanziarie e umane circolano senza soluzione di continuità43.

43 “I due settori sono ormai un continuum, nel senso che le risorse finanziarie, e

spesso anche quelle umane, circolano dall’uno all’altro campo senza soluzione di continuità. Nello stesso sistema imprenditoriale (..) è sempre più difficile distinguere in modo netto tra imprese legali e imprese mafiose, poiché queste ultime ormai si presentano, almeno sul piano formale, con una veste legale”, così FANTÒ E., L’impresa a partecipazione mafiosa, cit., p. 15.

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21

2.3. Segue. Il continuum legale – illegale: le reti grigie e

il mutamento di metodo dell’associazione mafiosa

Già Weber44 descriveva il mercato come antitetico ad ogni altra comunità fondata sulla fratellanza; gli stessi uomini d’affari negano costantemente le proprie regole, poiché la razionalità economica nel perseguire il massimo profitto viene spinta a oltrepassare i confini della legalità45 e tale presupposto rende difficile discernere in modo esclusivo

i caratteri tipici dell’impresa nata da profitti criminali, dal momento che, a ben guardare, alcune sue peculiarità sono condivise anche da imprese comuni.

In particolare, si può parlare di “processo mimetico reciproco”46: se è incontestabile che la mafia si muova in modo mimetico rispetto alle economie legali, si è appurato che in parte è anche vero l’opposto, cioè che l’impresa legale, quando entra in relazioni di affari con la mafia, finisce con l’adottare pratiche e culture che appartengono al tradizionale bagaglio mafioso47.

Questo processo mimetico reciproco, basato sulla collusione organica e fisiologica o sulle connotazioni eventualmente comuni, è dovuto al fatto che la relazione non si basa solo sulla pressione intimidatoria, ma sull’appartenenza di entrambe ad un ambiente specifico: l’impresa legale cerca di adeguarsi all’ambiente illegale per massimizzare il profitto, quella illegale mira invece ad assicurarsi una posizione di rispettabilità e legalità per operare nel mercato.

44 WEBER M., Methodology of social sciences, 1922, ed. it. Il metodo delle scienze

storico sociali, Torino 1958.

45 Diffusamente su questa attitudine, fondamentali gli studi di SUTHERLAND E. H.,

White Collar Crime, Yale University Press, New Haven 1983, ed. it. Il crimine dei colletti bianchi. La versione integrale, Milano 1987.

46 Così F

ANTÒ E., L’impresa a partecipazione mafiosa, cit., p. 123.

47 D

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22

L’incontro tra criminalità organizzata e sistema economico ufficiale produce quindi un sofisticato processo di ibridazione e di adattamento isomorfico: la mafia mette a disposizione dei propri partner le risorse di violenza e il capitale sociale di cui è in possesso, acquisendo a sua volta un nuovo modus operandi, un nuovo “metodo” 48, affinando le sue competenze attraverso la frequentazione diretta e continuata con la criminalità dei colletti bianchi, assimilando le tecniche di quella devianza integrata topica dell’agire imprenditoriale fondato su doti di intraprendenza, spregiudicatezza e innovazione, specularmente complementari al metodo mafioso49.

Il coinvolgimento di pubblici funzionari e imprenditori si presenta funzionale all’attività del sodalizio mafioso, che utilizza quindi, oltre ai tradizionali mezzi violenti, pratiche corruttive finalizzate all’infiltrazione nel sistema dell’economia, per acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti.

Si può quindi parlare di mutazione genetica degli stessi mafiosi, portatori di caratteri ibridi, sempre più vicini ai “criminali dal colletto bianco”, il cui “metodo” è di conseguenza mutato.

Mentre, in origine, le imprese legate alla mafia si caratterizzavano per metodi apertamente violenti, per l’assenza di separazione tra famiglia e impresa, l’uso del nome come marchio, successivamente il metodo muta: la violenza vive solo nello sfondo, il metodo utilizzato viene integrato dai metodi delle imprese legali e si impone sulla base

48 D

INO A., Il metodo mafioso, in DINO A.-PEPINO L. (cura di), Sistemi criminali

e metodo mafioso, Milano 2008, p. 210 ss.; TRANFAGLIA N., La mafia come

metodo nell’italia contemporanea, Roma-Bari 1991, pp. 23-24.

49 RUGGIERO V., È l’economia, stupido!, in DINO A.-PEPINO L. (cura di), Sistemi

criminali e metodo mafioso, Milano 2008, p. 188 ss.; PALIERO C. E., Criminalità

economia e criminalità organizzata: due paradigmi a confronto, in BARILLARO

M. (a cura di), Criminalità organizzata e sfruttamento delle risorse territoriali, Milano 2004, pp. 141-151.

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23

della minaccia più o meno esplicita della violenza o grazie al timore della minaccia stessa prima che essa si presenti50. Riflettere sul metodo consente quindi di aggiornare i paradigmi teorici esistenti sull’impresa mafiosa51.

3. L’utilità

della prospettiva “relazionale” per

l’inquadramento giuridico del fenomeno

Dal breve excursus sulle scienze sociali emerge un dato rilevante: le relazioni esterne con i “colletti bianchi” sono una componente strutturale dell’agire mafioso. Di conseguenza, non si può inquadrare il fenomeno escludendo la prospettiva “relazionale”, la quale consente di distinguere la mafia dalle altre forme di criminalità organizzata.

Inoltre, l’adozione di tale punto di vista consente di rilevare la presenza di un progressivo processo di ibridazione che determina un mutamento di metodo dell’associazione mafiosa, sempre più assimilabile alle modalità operative della criminalità economica dei “colletti bianchi”.

L’adozione di una prospettiva “relazionale” è talmente utile ai fini di una consapevole analisi giuridica della portata applicativa della norma, da essere presa in considerazione anche dalla più autorevole dottrina penalistica in materia. Si ricordino, a tal proposito, le osservazioni di Costantino Visconti, secondo cui la proiezione all’esterno delle associazioni mafiose sarebbe consustanziale al loro “codice genetico, al pari dell’agire intimidatorio, dell’uso della violenza o della segretezza” 52. In termini analoghi si esprime Giovanni Fiandaca,

laddove osserva che la caratteristica fondamentale dell’organizzazione

50 FANTÒ E., L’impresa a partecipazione mafiosa, cit., p. 82. 51 D

INO A-MACALUSO M., L’impresa mafiosa?, cit., p. 15.

52 V

ISCONTI C., Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino 2003, p. XXXII.

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24

mafiosa, che la distingue dalle altre forme di delinquenza, è lo stretto legame con il potere politico53.

Un’idea simile si rinviene anche nella Relazione annuale della DDA presentata da Franco Roberti nel 2016, secondo cui “la finalità caratterizzante delle mafie risiede in qualcosa d’altro, che, più che riguardare il loro rapporto con il denaro o i loro rapporti interni, riguarda la relazione che le mafie hanno con la società circostante. Ecco allora il punto: è necessario individuare quale sia l’archetipo di relazioni umane, economiche, politiche che le associazioni mafiose intendono imporre (e impongono) nel contesto territoriale in cui sono insediate”54.

Tenendo conto di tale approccio “relazionale”, dopo aver fornito un inquadramento sociologico del fenomeno mafioso, si muoverà alla ricerca di riscontri teorico-pratici di tale prospettiva in ambito giuridico.

In primo luogo, si procederà con un’analisi della definizione giuridica dell’associazione di tipo mafioso, segnatamente con riferimento al metodo mafioso di cui al III comma dell’art. 416-bis c.p. che, come si è riscontrato dall’analisi sociologica, rappresenta il perno su cui ruota questo fenomeno e permette di comprenderne l’evoluzione. Tale disamina è funzionale a dimostrare come, in linea teorica, non vi siano preclusioni in riferimento all’applicazione dell’art. 416-bis c.p. in contesti non tradizionali e al conseguente aggiornamento del paradigma del “mafioso” classico in favore di soggetti che sarebbero annoverati nell’area grigia della contiguità, dato che la norma ha una portata generale e astratta.

In secondo luogo, si procederà all’inquadramento dei tratti tipici delle condotte di partecipazione e di concorso esterno secondo la giurisprudenza tradizionale, approfondendo poi, nello specifico, le modalità di incriminazione delle condotte contigue

53 FIANDACA G., Riflessi penalistici del rapporto mafia-politica, cit., p. 127. 54 Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo – Relazione Annuale 2015

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25

imprenditoriali. Tale analisi risulta necessaria ai fini della presente trattazione, in quanto permette di individuare il primo modo con il quale la giurisprudenza ha criminalizzato le condotte contigue, ricorrendo proprio alla figura del concorso esterno in associazione mafiosa.

Saranno invece oggetto del secondo capitolo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, che, ripensando l’interpretazione del metodo mafioso slegato dal comportamento mafie classiche, permetterebbero di spostare l’asse della criminalizzazione delle condotte contigue dal concorso alla partecipazione. Tali nuove tendenze, comportano ricadute sulla definizione di partecipazione punibile e una conseguente ristrutturazione dei rapporti tra partecipazione e concorso esterno e impongono una riflessione sul rispetto del principio di legalità sul piano nazionale ed europeo.

4. La qualificazione giuridica dell’associazione di tipo

mafioso: una questione di metodo

4.1. La definizione giurisprudenziale dell’associazione

mafiosa prima del 1982

Una prima definizione giuridica dell’associazione di tipo mafioso deriva dall’elaborazione giurisprudenziale successiva alla legge n.575/1965 recante “Disposizioni contro la mafia”, la quale, invero, riprende integralmente la nozione sociologica di mafia, senza alcuna elaborazione autonoma55.

Una sentenza del 196956 stabilisce che “il termine associazione mafiosa cui fa riferimento la disposizione (art. 1 della legge), pur non

55 Come riscontrato da TURONE G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 17 ss. 56 Cass., 29 ottobre 1969, Tempra, in Gius. Pen., 1970, II. C. 879. In senso

conforme Cass., 13 marzo 1980, Salatiello; ivi, 1981, p. 648, m. 671. Per una critica in merito alla carenza di tassatività dell’art. 1 v. INSOLERA G,

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26

essendo definito dalla legge stessa, ha nel linguaggio comune un significato univoco e limiti ben definiti; esso si richiama a noti fenomeni di grave antisocialità esattamente individuati e circoscritti sotto il profilo concettuale, sociologico e legale”. Il primo dei parametri individuato dalla giurisprudenza è stato quindi l’intimidazione sistemica57.

Un altro passo fondamentale viene compiuto con una sentenza del 1973 58 (che riguarda l’uso dell’intimidazione per assicurarsi il monopolio dei trasporti in una determinata zona), grazie alla quale la mafia comincia ad essere percepita come fenomeno di conquista illegale di spazi di potere, e in particolare di potere economico.

Segue poi un’ordinanza della Corte di Cassazione del 1974 che può considerarsi storica59, in quanto contiene una definizione complessiva

di associazione mafiosa, nei termini che saranno fatti propri dal legislatore del 198260. In motivazione si legge che è associazione

mafiosa “ogni raggruppamento di persone che, con mezzi criminosi, si proponga di assumere o mantenere il controllo di zone, gruppi o attività produttive attraverso l’intimidazione sistemica e l’infiltrazione di propri membri in modo da creare una situazione di assoggettamento e di omertà che renda impossibili o altamente difficili le normali forme di intervento punitivo dello Stato”.

È interessante come questa sentenza non si riferisse alla mafia siciliana, bensì a gruppi operanti nel salernitano. Pertanto, viene data occasione alla Cassazione di superare un approccio regionalistico al fenomeno mafioso e di apprezzarne la dimensione nazionale, facendovi rientrare tutti quei fenomeni che, essendo caratterizzati da intimidazione

57 V. anche Cass., 6 ottobre 1965, Albovino, CED-099917, Cass., Sez. III, 12

maggio 1967, Cravotta, in Cass. pen. Mass. Ann., 1968, p. 927, m. 1395, in cui si fa riferimento alla minaccia implicita.

58 Cass., 25 giugno 1973, Mazzaferro, in Cass. pen. Mass. Ann., 1974, p. 1373, m.

2197.

59 TURONE G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 22.

60 Cass., Sez., I, ordinanza n. 1709, 12 novembre 1974, Serra, CED-130222-23, in

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27

sistemica, assoggettamento, omertà, sono di fatto assimilabili alla delinquenza mafiosa siciliana classica, ovunque essi si manifestino.

Nella stessa ordinanza si rileva che “il termine mafia non può essere inteso nella sua accezione meramente storica di fenomeno nato in alcune zone della Sicilia, proprio in quanto la legge è diretta a prevenire e perseguire tutte le manifestazioni di antisocialità organizzate che presentano gli stessi caratteri tipici nell’intero territorio nazionale, prescindendo dalle loro origini e dalle diversità delle loro denominazioni tradizionali, che anche nel linguaggio hanno ormai perduto significato e sono state sostituite dal termine onnicomprensivo di mafia (…). La zona territoriale in cui il gruppo o l’organizzazione opera e la stessa denominazione che nella zona medesima l’attività di questo tipo tradizionalmente assume sono inconferenti ai fini dell’applicazione della legge in esame, poiché è determinante soltanto il livello di pericolosità sociale che il fenomeno esprime”61.

L’affermazione del principio della non regionalità del fenomeno mafioso fa sì che si possa riconoscere nell’ordinanza 1974 della Corte la presenza in nuce di tutti gli elementi essenziali del futuro art. 416-bis c.p., il cui ultimo comma estende le disposizioni dell’associazione mafiosa “anche alla camorra, alla ‘ndrangheta, e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, aventi caratteristiche assimilabili”62.

4.2. La codificazione del metodo mafioso

Lo sforzo definitorio che ha impegnato la giurisprudenza degli anni ‘70 è confluito nella formulazione legislativa del 1982, che, introducendo l’art. 416-bis c.p., ha messo fine ad una sorta di

61 Ivi.

(29)

28

inadempienza culturale della scienza giuridico penale e ad “supplenza di fatto da parte della sociologia”63.

La disposizione nei primi due commi riproduce la struttura tipica dell’associazione a delinquere di tipo comune64, mentre al III comma si

introduce la profonda novità del metodo mafioso, che distingue l’art. 416-bis c.p. dall’associazione a delinquere semplice, rispetto alla quale intercorre quindi un rapporto di specialità65.

Con una terminologia modellata sul fenomeno della mafia siciliana e che, qualcuno ha detto, sembra evocare un’ambientazione letteraria di uno Sciascia o di un Calvino66, si afferma che “l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo

di attività economiche, di concessioni,

di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

63 Così T

URONE G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 24 ss.

64 “Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più

persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni”.

65 Così B

ERTONI R., Prime considerazioni sulla legge antimafia, in Cass. pen., 1983, p. 1018; SPAGNOLO G., L’associazione di tipo mafioso, Padova 1993, p. 176; INGROIA A., L'associazione di tipo mafioso, Milano 1993, p. 73 ss;TURONE

G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 199. Contra invece NEPPI MODONA

G., Il reato di associazione mafiosa, in Dem. e dir., 4, 1983, p. 52, secondo cui il metodo mafioso è un elemento sostitutivo della struttura organizzativa e quindi non sarebbe un elemento specializzante rispetto al 416 c.p.; DE LIGUORI L., Art.

416-bis: brevi note a margine al dettato normativo, in Cass. pen., 1986, pp. 1528

ss.

66 I

ACOVIELLO F., Il concorso esterno in associazione mafiosa, in Criminalia, 2008, p. 266.

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29

Come si può evincere dalla lettura dell’articolo, nonostante l’inevitabile influenza del modello della mafia siciliana nella redazione della norma, la voluntas legis era quella di descrivere il metodo in modo da fornire un’accezione tecnico-giuridica, generale e astratta, che permettesse di reprimere anche fenomeni criminali diversi dalla stessa, sia in termini sincronici, sia in termini diacronici. Una fattispecie quindi in grado di intercettare forme di criminalità organizzata non ancora conosciute67.

A tale scopo, per la prima volta venivano utilizzati modelli esegetici provenienti dalle scienze sociologiche in una fattispecie penale68, valorizzando la dimensione sociale della struttura associativa e allontanandosi così dalla dogmatica tedesca, fedele alle incriminazioni monosoggettive, rispetto alla quale quindi il comportamento plurisoggettivo costituisce un’eccezione69.

Con tale fattispecie, il legislatore ha quindi assunto una prospettiva metodologica interdisciplinare, attraverso la quale i fenomeni criminali vengono rivisitati in chiave sociale, come sistemi complessi che si fondano su una rete di relazioni funzionali che non sono sintetizzabili all’interno di concetti penalistici. Certamente, però, tale tecnica legislativa, adottata, si ricordi, in un clima emergenziale70, si ripercuote

67 T

URONE G., Il delitto di associazione mafiosa, cit., p. 111 ss.

68 Una tecnica legislativa auspicata in dottrina da I

NSOLERA G., L’associazione per

delinquere, Padova 1983, p. 318, secondo il quale era necessario “riassegnare

valore alle indicazioni desumibili dalla immagine empiricamente afferrabile della criminalità organizzata” ai fini della definizione, in termini generali e astratti, della fattispecie incriminatrice.

69 Così CENTONZE, A., Contiguità mafiose e contiguità criminali, cit., p. 8, che

ricorda le difficoltà della dottrina italiana ad accettare l’introduzione della fattispecie nel nostro sistema penale. Per una disamina di queste posizioni critiche FERRAJOLI L., Diritto e ragione, pp. 858 ss.; in particolare l’Autore Luigi Ferrajoli sospettava dell’incostituzionalità della fattispecie di cui al 416-bis, dato che la concezione ontologica che gli è sottesa finisce per considerare il reato come male

quia peccatum e non solo quia prohibitu, e fa passare l’idea che si debba punire

non per quel che si è fatto ma per quel che si è.

70 Si rinvia alla puntuale ricostruzione di ZAGREBELSKY G., I delitti contro

l’ordine pubblico, in AA. VV., Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta

(31)

30

sulla delimitazione dei tratti di tipicità, come emergerà dalla successiva trattazione.

Nei paragrafi che seguono si analizzeranno gli elementi costitutivi del c.d. metodo mafioso così come descritto dal III comma dell’art. 416-bis c.p.

4.3. L’organizzazione e la forza di intimidazione

La descrizione del metodo mafioso è affidata a tre elementi: la forza di intimidazione del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e la condizione di omertà. La presenza di tali requisiti presuppone anche l’esistenza stabile e permanente di una struttura organizzativa71, la quale costituisce il nesso tra forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento ed omertà che da essa deriva e permette così di escludere la rilevanza ex art. 416-bis c.p. di raggruppamenti rudimentali72.

D’altronde, il legislatore ha volutamente utilizzato il termine associazione e non quello originariamente previsto di gruppo, proprio per evidenziare la necessaria prova della presenza di una struttura organizzativa73.

Ferma la necessaria presenza di una struttura organizzativa, che caratterizza anche l’associazione a delinquere comune, un primo requisito, aggiuntivo e non sostitutivo 74 , rispetto alla struttura

71 Così FIANDACA G., L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni

giurisprudenziali, in Foro It., 1985, 5, p. 304; SPAGNOLO G., L’associazione di

tipo mafioso, cit., p. 23; DE FRANCESCO G., Societas sceleris. Tecniche repressive

delle associazioni criminali, in Riv. It. Dir. e proc. Pen., 1992. p. 113; contra

invece NEPPI MODONA G., Il reato di associazione mafiosa, in Dem. e dir., 4, 1983, p. 49.

72 Così RONCO M., L’art. 416-bis nella sua origine e nella sua attuale portata

applicativa, in ROMANO B.-TINEBRA G., Il diritto penale della criminalità

organizzata, p. 72

73 S

PAGNOLO G., L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 23.

74 In senso contrario N

EPPI MODONA G., Il reato di associazione mafiosa, cit., p. 53.

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organizzativa è la forza di intimidazione del vincolo associativo. Si tratta dell’elemento connotante della fattispecie, che permette proprio di distinguerla dall’associazione a delinquere comune ex art. 416 c.p.

L’accento va posto sia sul termine “forza”, che rivela il profilo di un potere che si dispiega in modo arbitrario, sia sul termine “intimidazione” che evoca un timore ingenerato in un novero indeterminato di soggetti75.

Peraltro, bisogna precisare che il ricorso alla forza di intimidazione (e alla condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva) non è una modalità di realizzazione delle condotte tipiche dei singoli associati. Le condotte tipiche, infatti, si esauriscono nel fatto in sé di associarsi, promuovere, dirigere o organizzare il sodalizio76. Come si vedrà meglio

a breve, essa è piuttosto l’elemento strumentale di cui gli associati si avvalgono per raggiungere gli scopi dell’associazione.

4.4.

L’avvalersi della forza di intimidazione:

interpretazioni a confronto

Frutto di intenso dibattito è stato il significato attribuibile alla formula legislativa secondo cui un’associazione è di tipo mafioso

75 Cfr., ex multis, sulle nozioni di intimidazione, assoggettamento e omertà DE

LIGUORI L., Art. 416-bis c.p.: brevi note in margine al dettato normativo, cit., 1986, p. 1523 ss.; DE FRANCESCO G., voce Associazione per delinquere e

associazione di tipo mafioso, in Dig. d. pen., vol. I, Utet, 1987, p. 309 ss.; DE

LIGUORI L., La struttura normativa dell'associazione di tipo mafioso, cit., 1988, p. 1611 s.; INGROIA A., L'associazione di tipo mafioso, cit., p. 73 ss.; SPAGNOLO G.,

L'associazione di tipo mafioso, cit., p. 26 ss.; ARCERI A. Sull’art. 416-bis e in

particolare sull’uso della forza intimidatrice, in Giur. Merito. 1995, 2, p. 317;

NOTARO D., Art. 416-bis e metodo mafioso, tra interpretazione e riformulazione

del dettato normativo, in Riv. It. Dir. proc. Pen., 1999, p. 1481; BORRELLI G., Il

metodo mafioso tra parametri normativi e tendenze evolutive, in Cass. pen., 2007,

p. 2781; TURONE G., Le associazioni di tipo mafioso, cit., p. 120 ss.

76 T

(33)

32

quando coloro che ne fanno parte “si avvalgono” della forza di intimidazione77.

Un primo orientamento, diffuso in dottrina in una fase iniziale di applicazione della norma, connota il metodo mafioso in termini soggettivo-intenzionali, per cui tale sarebbe l’associazione che in via potenziale potrebbe avvalersi della forza di intimidazione, senza la necessità che, per integrare il fatto tipico, se ne avvalga effettivamente. Il metodo associativo andrebbe quindi letto in chiave di “programma strumentale” oggetto di un dolo specifico, identificando quest’ultimo nell’intenzione, appunto, di ricorrere alla minaccia avvalendosi della forza del vincolo associativo78.

Questa posizione è propende per una maggiore vicinanza del modello dell’art. 416-bis c.p. all’associazione a delinquere pura, per cui sarebbe punibile il mero fatto dell’associarsi. L’opinione contraria, si è affermato, contraddirebbe infatti la ratio legis, in quanto finirebbe paradossalmente con il circoscrivere l’ambito applicativo della fattispecie entro confini più ristretti di quelli corrispondenti alla tradizionale associazione per delinquere79.

77 Sottolinea una carenza di tassatività nel III comma dell'art. 416- bis G.

INSOLERA, Considerazioni sulla nuova legge antimafia, in Politica del dir., 1982, pp. 691-692.

78 Così FIANDACA G., Commento all'art. 1 l. 13 settembre 1982 n. 646, in Leg.

pen., 1983, p. 259 ss.; DE FRANCESCO G., voce Associazione per delinquere, cit., p. 312, e, pur con diversità di accenti, BERTONI R., Prime considerazioni sulla

legge antimafia, Cass. pen., 1983, p. 1017 s.; FORTUNA F., La risposta delle

istituzioni alla criminalità mafiosa, Cass. pen., 1984, p. 203 ss; NEPPI MODONA

G., Il reato di associazione mafiosa, cit., 1983, IV, p. 123 ss. In giurisprudenza v. Cass., sez. I, 30 gennaio 1985, Scarabaggio, in Riv. pen., 1985, p. 1113; Cass., sez. I, 30 settembre 1986, Amerato, ivi, 1987 p. 871; Cass., sez. I, 6 aprile 1987, Aruta, ivi, 1988, p. 1006; Cass., sez. VI, 10 giugno 1989, Teardo e altri, in Riv. it. dir. e proc. pen., p. 1182; Cass., Sez. V, 2 ottobre 2003, n. 45711, Peluso, CED Cass., n. 227994; Sez. V, 25 giugno 2003, n. 38412, Di Donna, ivi, n. 227361.

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