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4. La qualificazione giuridica dell’associazione di tipo mafioso: una

4.5. Segue Una soluzione “sincretistica”

È necessario, infine, rilevare che è stata anche proposta una mitigazione della costruzione mista della struttura del reato associativo. Infatti, si è prospettata una soluzione che, se da un lato non richiede la concreta utilizzazione della carica intimidatrice, presuppone pur sempre che essa sia effettiva, obiettivamente riscontrabile, e idonea a suscitare nei terzi un alone di sudditanza diffuso ed attuale85.

A sostegno di tale impostazione si sottolinea la portata eccessivamente riduttiva dell’interpretazione meramente oggettiva. La configurazione dell’associazione di stampo mafioso quale “associazione che delinque”, volta a conferire maggiore consistenza strutturale alla fattispecie, approda a un significato del termine “avvalersi” forse più aderente al dato letterale, ma probabilmente troppo ristretto per esaurire la gamma degli atteggiamenti e delle modalità attraverso cui l’organismo criminale si impone all’esterno86.

84 V

ISCONTI C.-MERENDA I., Metodo mafioso e partecipazione associativa

nell’art. 416-bis. Tra teoria e diritto vivente, in Dir. Pen. Cont., 24 gennaio 2019,

p. 5.

85 Secondo I

NGROIA A, L’associazione di tipo mafioso, cit., p. 68, il requisito minimo per poter imputare l'art. 416- bis è l'esistenza della carica di intimidazione, cui fanno seguito assoggettamento ed omertà solo qualora la prima sia sfruttata: la capacità di intimidire deve cioè essere "idonea a determinare, se utilizzata, una condizione di assoggettamento e omertà". Per TURONE G., Il delitto di

associazione mafiosa, cit. p. 131 ss. invece, la carica di intimidazione, benché non

sfruttata attivamente, già di per sé determina in via inerziale nei terzi condizioni di assoggettamento e di omertà "primordiali" e generiche, diverse da quelle individuali prodotte in chi è soggetto passivo dell'esercizio della forza di intimidazione. In giurisprudenza v. Cass., Sez. V, 19 dicembre 1997, Magnelli, CED-211071; Cass., Sez. VI, 10 marzo 1995, Monaco, CED-202579: Cass., 11 febbraio 1994, De Tommasi, CED-198577, p. 30.

86 È stato fatto notare, da DE FRANCESCO G., Associazione per delinquere e

associazione di tipo mafioso, cit., p. 312, che ancorare il significato del verbo al

concetto di vantaggio, riduce la possibilità di accertare lo sfruttamento effettivo della carica intimidatrice alla constatazione di un risultato che attesti tale

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Per tale ragione questa teoria propone la suddetta soluzione “sincretistica” o “intermedia”, ammettendo la riconducibilità all’art. 416-bis c.p. di quei sodalizi che, dotati di capacità criminale riconosciuta, che le deriva dal pregresso svolgimento di attività criminose di violenza o minaccia, la c.d. carica intimidatrice autonoma, intendano avvalersene in chiava programmatica87.

Secondo alcuni autori, tale impostazione richiamerebbe il modello associativo “puro”, arricchendolo di note meglio rispondenti alla reale tensione programmatica insita nelle associazioni di tipo mafioso, per riequilibrare i piani soggettivo e oggettivo della fattispecie. Secondo altri, invece tale configurazione della fattispecie rientrerebbe, seppur in parte, nell’ambito del modello “misto” nella parte in cui essa presuppone un’attività strumentale, esterna ed ulteriore rispetto al mero fenomeno associativo88.

Ciò che è certo è che il sodalizio punibile deve avere maturato una carica intimidatrice “autonoma” oggettivamente riscontrabile e quindi oggetto di specifica prova, che ingeneri nell’ambiente circostante un

utilizzazione, con la conseguenza di poter incriminare il sodalizio solo quando sia molto vicino al raggiungimento degli obiettivi finali. Tale limitazione, oltretutto, opera con maggiore incidenza proprio nei confronti delle associazioni che, più temibili perché più efficienti, sono in grado più delle altre di raggiungere lo scopo senza bisogno di ricorrere a comportamenti esteriormente percepibili. Come esempio, viene indicato quello della gara di appalto da cui una o più imprese concorrenti si ritirino alla notizia, comunque appresa, della partecipazione alla stessa di un'impresa facente capo ad un mafioso notoriamente spregiudicato e interessato ad ottenere quell'appalto ad ogni costo.

87 Questa prospettazione è stata peraltro contestata da INSOLERA G., Diritto penale

e criminalità organizzata, Torino 1996, p. 77, secondo cui il dolo specifico nella

fattispecie è connotato unicamente dai programmi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e non dallo sfruttamento del metodo mafioso che, nella sua attualità, contribuisce a definire la specificità, attraverso l'indicazione del modus operandi, del sodalizio criminale.

88 NOTARO D., Art. 416-bis e metodo mafioso, cit., p.1481 ss. lo riconduce al

modello puro, TURONE G., Il delitto di associazione mafiosa, cit. 124 ss. e 146 al modello misto, ma lo stesso NOTARO D., cit., nota 42, riscontra come, al di là delle classificazioni, la sostanza non cambia. Si tratta di un sodalizio criminoso rispetto al quale vi è un quid pluris da verificare oltre al mero fatto di associarsi, ma rispetto al quale non bisogna provare la realizzazione delle finalità dell’associazione.

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alone di assoggettamento ed omertà89: non si ritiene quindi necessaria l’esplicazione di condotte di violenza o minaccia da parte dei singoli associati né, più in generale, la realizzazione delle finalità associative90.

Per chiarire ulteriormente il concetto bisogna ricordare come l’intimidazione mafiosa tipica sia per lo più indiretta e sottilmente allusiva. Pertanto, essa raggiunge i suoi effetti senza necessità di ricorrere alla minaccia o alla violenza, come conferma la stessa giurisprudenza più risalente in materia91, confortata anche dalla elaborazione sociologica92.

Da ciò consegue che le circostanze di fatto che provano la sussistenza di una carica intimidatoria autonoma, non devono essere

89 Nell’acquisizione di un’autonoma valenza intimidatrice del vincolo, anche

indipendentemente dalla realizzazione attuale di atti di violenza o minaccia, è stato, peraltro, individuato il momento di trapasso dall’associazione per delinquere comune all’associazione mafiosa, che viene ad esistere quando l’associazione gode di una sufficiente fama di potere violento e prevaricatorio. Cfr. DE

FRANCESCO G., Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, cit., p. 310.

90 Anzi, l’eventuale accertamento di concreti atti di intimidazione non è di per sé

indicativo dell'esistenza di un’associazione mafiosa, ma lo è nella misura in cui essi appaiono ricollegabili ad una effettiva capacità criminale del sodalizio, di cui gli affiliati siano consapevolmente in grado di poter disporre. Frequente in giurisprudenza l’affermazione che la forza intimidatrice è l’”in sé” dell'associazione mafiosa: elemento strumentale che “trascende la stessa tipicità della condotta associativa” Nel senso che “è l’associazione, e solo l’associazione, indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione, ad esprimere il metodo mafioso e la sua capacità di sopraffazione”. Negli esatti termini v. Cass., sez. II, 12 settembre 2013, Cicero, in CED-258637; Cass., Sez. II, 16 aprile 2013, Avallone, in CED-256039; Cass., Sez. II, 30 aprile 2013, Gioffrè, in CED-255708; Cass., Sez. I, 16 maggio 2011, Baratto, in CED-250704; Cass., Sez. V, 16 marzo 2000, Frasca, in CED-215965; Cass., Sez. I, 10 luglio 2007, Brusca, in CED- 237619; Sez. II, 15 aprile 1994, n. 5386, Matrone, in CED-198647, n.; Sez. I, 25 febbraio 1991, n. 6203, Grassonelli, ivi, n. 188023; Sez. I, 13 giugno 1987, n. 3492, Altivalle, ivi, n. 177895; Sez. I, 6 aprile 1987, n. 13070, Aruta, ivi, n. 177304, Cass., 1 luglio 1987, Ingemi, in Riv pen., 1988, p. 642.

91 Cass., sez. II, 24 marzo 1972, Balsamo, in Cass. pen. Mass. Ann., 1973, p. 999,

m. 1280; Cass. 5 novembre 1979, Mannolo, in Giust. Pen., 1980, II, c. 279.

92 “Il potere mafioso (..) si esprime attraverso l’esercizio del terrore e

dell’intimidazione, non sempre attraverso forme esplicita, ma più spesso attraverso un capillare sistema di influenze e di condizionamenti”. Così DALLA CHIESA N., Mafia: questione del potere e istituzioni, in AA. VV, Mafia e Istituzioni, Mafia. Questione del potere e istituzioni, Reggio Calabria-Roma, 1981, p. 114.

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ricercate in comportamenti attivi di intimidazione, quanto piuttosto in condizioni passive di timore dei non associati e dei vantaggi che ne trae l’associazione93.

Peraltro, la giurisprudenza ha anche osservato che la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo può essere diretta a minacciare tanto la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti, ed il suo riflesso esterno in termini di assoggettamento non debba tradursi necessariamente nel controllo di una determinata area territoriale94.

Tale impostazione è quella che ha riscontrato larga fortuna in un nutrito filone giurisprudenziale riguardante le “nuove mafie”, di cui si darà conto nel successivo capitolo, che si è lentamente congedato dalla configurazione a “struttura mista” del delitto di associazione mafiosa per garantire maggiore duttilità dell’art. 416-bis c.p., permettendo di applicarlo a tutte le situazioni nelle quali possa contestarsi un vincolo associativo che abbia come finalità l’avvalersi dell’intimidazione, senza l’obbligo per il giudice di provare il contesto che veicola l’utilizzazione del metodo mafioso.

Questo progressivo distacco dal modello misto è quindi consentaneo all’estensione dell’applicazione dell’art. 416-bis a forme di criminalità estranee alla criminalità organizzata in senso tradizionale, come si avrà modo di riscontrare nel successivo capitolo.

93 Si veda ad es. Cass., Sez. VI, 7 giugno 2004, Foriglio, in CED-230019, in cui la

Suprema Corte ha ritenuto congrua la motivazione dei giudici di merito che avevano valorizzato “l’atteggiamento remissivo dei proprietari [di un terreno agricolo] per timore di ritorsioni”.

94 Cass., Cass., sez. VI, 10 giugno 1989, Teardo e altri, in Riv. it. dir. e proc. pen.,

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