• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 SHARED READING E LE SUE IMPLICAZIONI NEL BAMBINO CON

2.2 L’atto del leggere: basi neurali

Lo studio sulle abilità della lettura, come abbiamo detto sin ora, ha avuto un impatto importante in particolar modo all’interno della Scienza Cognitiva. Le attività di lettura con i bambini è stata utilizzata come modello per capire il collegamento delle operazioni cognitive (associate ai processi di livello inferiore e alle funzioni linguistiche a livello superiori) a specifici sistemi cerebrali (Posner et al, 1988). In particolare le indagini cognitive della neuroscienza evolutiva hanno voluto indagare le trasformazioni funzionali del cervello che supportano l’emergere della capacità di lettura. Tale attività è legata anche alla percezione visiva e alle abilità linguistiche come l’apprendimento e la maturazione che influenzano, a loro volta, i cambiamenti neurali e, allo stesso modo, le differenze individuali a livello genetico e neurale influenzano l’emergere di questa stessa abilità (Warrington et al.,1979).

Neurolettura così è stata definita l’indagine dell’attività di lettura alla luce delle neuroscienze (Fioroni, 2013). Questa inizia a svilupparsi verso la fine dell’Ottocento, ma solo di recente si sono compiuti passi in avanti grazie alle scoperte delle neuroimmagini. Esaminando le varie ricerche (Fiorini, 2013) emerge come la complessità di questo tipo di un’attività sia dovuta in gran parte alla plasticità del nostro cervello, in quanto esso non è fatto per la lettura, ma grazie ad un riciclaggio neurale questo è reso possibile delineando le basi neurali per la lettura. Qualunque sia la lingua in cui si legge, una sola area è coinvolta ovvero: la regione occipito-temporale di sinistra (Dehaene et al, 2009). Nel contesto della lettura subentrano tre processi che sono molto importanti e si correlano tra di loro (Petter, 2004):

40

• la decodifica: la conversione dei simboli grafici in linguaggio, che comporta l’elaborazione delle parole e la costruzione del significato della frase.;

• la comprensione che vede l’elaborazione e interpretazione di ciò che è evocato nel testo;

• la risposta, seguita dalla comprensione, coinvolge componenti come i sentimenti, l’emozione, l’empatia nonché l’impatto del leggere sulla nostra vita quotidiana.

Inoltre la lettura ha quattro caratteristiche intrinseche (Petter, 2004): è significativa, in quanto è collegata al linguaggio ed è finalizzata alla conoscenza e comunicazione; è selettiva, in quanto il soggetto che legge un testo si pone un fine e collega il testo ai propri interessi, ed è questa selettività che rende più utile e sensata la lettura; è anticipatoria, in quanto leggere va oltre ciò che gli occhi possono vedere, non si decodifica un codice, ma si costruiscono pensieri e scenari sempre nuovi; è intelligente poiché si basa sulla comprensione che è il fondamento e non la conseguenza della lettura stessa.

La lettura comincia con gli occhi, percorriamo le righe del testo con piccoli movimenti rapidi e precisi, i cosiddetti movimenti saccadici, che portano una regione di interesse a coincidere con la fovea in modo da poter essere oggetto di una sorta di scansione. Questi movimenti oculari permettono l’esplorazione visiva attiva o scanning dell’oggetto, il quale non viene riconosciuto in modo globale e immediato, bensì viene scomposto in tanti piccoli frammenti, che poi il cervello stesso ricompone. Nonostante non ci siano geni specifici per la lettura, vi sono comunque influenze genetiche sugli aspetti cognitivi e comportamentali necessari per sviluppare un’abilità come questa (Pennington, Olson, 2005). Se l’essere umano è in grado di leggere è dovuto alla specializzazione di aree cerebrali depositate per il riconoscimento di oggetti, che si sono successivamente specializzate nel riconoscere le parole, o meglio le lettere.

Dato che lo scopo finale della lettura è proprio la comprensione, affinché questa si manifesti è necessario sottolineare che è impossibile cogliere il significato senza avere abilità di decodifica del segno scritto, cioè di convertire i grafemi (singole lettere scritte) in fonemi (unità linguistica elementare). Ciò che entra in gioco a questo punto, è un processo a due vie:

• quella fonologica, che permette di accedere alla lettura della parla tramite la conversione grafema-fonema;

• quella lessicale, una via diretta che permette di accedere al significato della parola considerando la sequenza di lettere come un tutt’uno.

Queste due vie normalmente funzionano in parallelo.

La lettura dunque, innesca l’attivazione di reti neuronali dove migliaia di neuroni visivi lavorano in parallelo a tutti i livelli (tratti, lettere e parole) e, tramite sinapsi eccitatorie e inibitorie, collaborano per sostenere una parola o un’altra al fine di proporre la miglior interpretazione possibile della

41

parola percepita (McClelland et al., 1981). Dunque imparare a leggere significa mettere in connessione le aree visive con le aree del linguaggio secondo interconnessioni bidirezionali che non sono ancora conosciute in dettaglio.

Andando ad approfondire questi studi, fu proprio il neurologo francese Joseph-Jules Déjerine, (Dejerine,1891) che durante l’osservazione di un caso clinico di dislessia (incapacità di comprendere il significato delle parole scritte), ipotizzò l’esistenza di un centro visivo specializzato per la lettura, egli localizzò quest’area nel Giro angolare, una regione della corteccia situata alla base della regione parietale sinistra.

Con l’uso avanzato di tecniche specifiche come la Tomografia a Emissioni di Positroni (PET), la Magnetoencefalografia (MEG) e la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI), in particolare con quest’ultima, è stato possibile fornire mappe ad alta risoluzione dell’intero cervello.

Fu così che alcuni studi (Dahaene et al., 2002) di fatto andarono a confermare le ipotesi di Déjerine (1891). Essi confermano che esiste una zona del cervello coinvolta nella lettura che viene definita

“Regione della Forma Visiva delle Parole”

(Visual Word Form Area o VWFA) (figura 2), la quale consentirebbe al lettore di stabilire se un qualunque gruppo di lettere costituisce o no una vera parola in un lasso di tempo brevissimo (150 millesimi di secondo (Dehaene, Cohen, 2011). Inoltre è maggiormente attiva per stringhe di lettere rispetto ad altre classi di stimoli visivi presentati in condizioni equivalenti (Allison et al.

1999).

Essa si localizzerebbe nell’emisfero sinistro, anche se in una zona diversa da quella ipotizzata dal neurologo francese, ovvero nella regione Occipito-Temporale e non nel giro Angolare. Inoltre molto importante tenere presente che la VWFA nel solco occipito-temporale sinistro è strettamente legata ad un’area unimodale che si attiva cioè solo ed esclusivamente per stimoli visivi.

Essa è delimitata inoltre da un’area inferotemporale laterale (LIMA) anteriore che è multimodale, impegnata in compiti semantici e che si attiva anche quando si immaginano facce o luoghi, per parole viste o ascoltate. Essa è una zona di convergenza che ha un compito di supporto al collegamento delle informazioni ortografiche, fonemiche e semantiche (Cohen et al., 2004; Schurtz et al., 2010).

Figura 2 Cassetta delle lettere nel cervello, Dehaene 1965 Fonte: http://www.reyesandres.com

42

A questo punto sorge spontanea la domanda su com’è possibile che il nostro cervello si sia così perfettamente adattato alla lettura. Dehaene (2009) propone una tesi forte, che si basa sul concetto che il cervello non si è evoluto per la lettura, come dicevamo prima, ma al contrario è la lettura che si è evoluta fino ad acquisire una forma adatta ai nostri circuiti. L’autore continua dicendo che l’attività del leggere sarebbe dunque possibile grazie alla plasticità del nostro cervello che vedono la presenza dei cosiddetti “neuroni della lettura”, situati appunto nella regione occipito-temporale sinistra. Gli stessi neuroni che riconoscono la forma dei volti o la forma degli oggetti possono modificare la loro selettività per rispondere questa volta ad oggetti artificiali, forme o lettere.

Questo lo si può dire grazie alle prove convincenti emerse dagli studi su soggetti il cui cervello non è cablato per la lettura, come la dislessia. Questa disabilità vede una diversa organizzazione neurale di alcune aree del cervello (Dehaene, 2009).

Quella della lettura è senz’altro un processo faticoso, e i dati attestano come nei bambini le regioni laterali sinistre siano attivate molto prima della produzione del linguaggio. Si è dimostrato come ci sia una continuità tra le prime fasi dell’apprendimento linguistico dell’infanzia e il livello più complesso di elaborazione linguistica che si raggiunge dai tre anni in poi, quando il bambino impara ad acquisire le varie regole grammaticali, ad avere una padronanza lessicale e una maggiore consapevolezza fonologica, portando avanti una conversazione con l’altro anche di una certa complessità. Quindi l’apprendimento della lettura, e anche della scrittura, dipendono dalla capacità del cervello di coordinare informazioni uditive, visive, linguistiche e concettuali, resa possibile dalla maturazione e dalla velocità tra queste regioni deputate a queste informazioni (Keller et al., 2009). Perciò si può pensare come l’invenzione culturale della lettura nasce dalla possibilità data dal sistema cerebrale di mettere in connessione i segni grafici delle lettere con le aree uditive, fonologiche e lessicali che permettono la comprensione del linguaggio orale (Finocchiaro et al., 2014). Quello che bisogna fare è sfruttare in modo sempre nuovo le aree cerebrali, attraverso connessioni che si creano in risposta agli stimoli ricevuti (Fiorini, 2013). Queste connessioni vengono ricombinate, ne vengono inventate di nuove, a volte, davvero in maniera imprevedibili. La lettura è una di queste “nuove” scoperte e/o conoscenze e, abbiamo il compito di trasmetterla e di preservarla visto che essa è l’artefice dell’esplosione delle potenzialità umane, è la prima protesi della mente (Dehaene, 2009).

2.2.1 Simulare la lettura: il ruolo dei neuroni specchio

Quando dobbiamo comprendere ed elaborare dei concetti astratti o anche concreti, inevitabilmente si attiva un meccanismo di simulazione e coinvolgimento del sistema sensori-motorio. Questo lo

43

spieghiamo bene tenendo presente la funzione dei neuroni specchio, come discusso nel capitolo precedente. Si assume infatti che in base alla funzione simulativa del sistema specchio, la comprensione di un testo deriva proprio dalla possibilità di “immaginare” nonché di “simulare” ciò che si sta ascoltando o leggendo. Si tratta di verbi, parole che attivano processi percettivi-motori riconducibili all’esperienza di chi legge (Mario, 2011). Ovviamente quando parliamo di immaginare non dobbiamo far riferimento alla capacità di fantasticare, ma come affermano Lakoff et al. (1998) bisogna sfruttare l’immaginazione relazionale per cercare di comprendere quello che non riusciamo a intendere direttamente (Lakoff et al., 1998). Offrendo una lettura in chiave di simulazione incarnata (embodied simulation) , secondo tale prospettiva il significato che un testo acquisisce non sarebbe un processo meccanico di manipolazione di simboli, bensì è implicato nell’atto stesso di percepire. In altre parole, proprio per effetto della simulazione del sistema specchio, nel momento stesso in cui noi percepiamo qualcosa ne comprendiamo in maniera automatica il significato, poiché a livello neurale andiamo a simulare ciò che si osserva, che si ascolta o che si sta leggendo o pensando (Mario, 2011). Il significato che si coglie dal testo di lettura perciò non è un semplice processo di elaborazione, ma è il significato stesso che guiderebbe l’elaborazione coinvolgendo tutto l’organismo. Molti studi (Gallese, 2006) hanno dimostrato che il meccanismo di simulazione incarnata non si attiverebbe solo in relazione ad azione dirette verso oggetti, ma anche per azioni comunicative (Fadiga et al., 1995). Per esempio anche l’ascolto e la lettura di frasi che descrivono azioni determinerebbe l’attivazione degli stessi centri motori che risiedono normalmente nell’esecuzioni di quelle stesse azioni (Buccino et al., 2005).

Alla base di questo si può dedurre come i processi percettivi, cognitivi e motori non sono poi così indipendente, perché “il cervello che agisce è anche e innanzitutto un cervello che comprende”

(Rizzolatti, Sinigaglia, 2006, pag.6).