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ATTUALITÀ E PROSPETTIVE DEL “PRINCIPIO SPERANZA”

1. Il prezzo della speranza, ovvero: Quanto costa la speranza? Sperare non costa niente, si dice. Costa fatica, invece, “impa- rare” a sperare in un modo che non sia puramente illusorio o con- solatorio. Costa fatica attrezzarsi seriamente per addentrarsi nel continente inesplorato dello sperare, per conoscerne con precisio- ne le valli e le alture, per imparare a misurarne e padroneggiarne le possibilità e i rischi.

Molto più caro può costare però non solo l’abbandonarsi incon- trollatamente alla corrente della speranza, ma anche cedere all’op- posta illusione di poterla ignorare o comunque trattare come se po- tesse venire facilmente tacitata. Le conseguenze di queste illusioni sono verificabili nella vita di tutti i giorni, e insieme ce le mette sotto gli occhi la lezione della storia, se siamo disposti a recepirla. Sono conseguenze da tenere in conto, comunque le si valuti. Un esempio è stata una delle molte tornate elettorali in Italia, dove il messaggio vincente è stato giustamente definito “un sogno, una fantasia, ma anche una speranza”, di fronte alla quale le armi della cruda e dura razionalità si sono mostrate inefficaci.

Un buon libro che aiuti ad “apprendere” il modo giusto di spera- re, a trovare il filo per non perdersi nel labirinto delle illusioni della speranza e dell’anti-speranza, non costa tutto sommato moltissimo. Intendo ovviamente il corposo libro di Ernst Bloch, Il principio spe-

ranza: una buona guida su questo terreno, la meglio attrezzata, la più

completa e anche la più densa e suggestiva, sebbene proprio per il suo potere di avvincere e affascinare il lettore possa dare l’impres- sione di indulgere all’autosuggestione della speranza, al suo illusivo incantesimo.

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2. L’opus magnum e la sua storia

Ci sono opere che nascono come progetti secondari o collaterali, legati a circostanze contingenti, ma che poi nel corso della stesu- ra crescono su se stesse fino a diventare opere capaci di esprime- re compiutamente il pensiero e le potenzialità creative dell’autore. Questa considerazione, che in Tracce (1930) Bloch riferisce a molti capolavori della filosofia, della letteratura e della musica, e implici- tamente anche al proprio libro di gioventù Spirito dell’utopia (1918, 1923), può essere applicata anche all’opera fondamentale della sua maturità: Il principio speranza, apparsa (dopo le traduzioni in fran- cese, inglese, spagnolo e giapponese) finalmente anche in edizione italiana nel 1994. In edizione originale i tre tomi di Das Prinzip

Hoffnung sono stati pubblicati per la prima volta dalla casa editrice

Aufbau di Berlino Est nel 1954, 1955 e 1959. La versione definitiva (con pochissime modifiche) è apparsa presso l’editore Suhrkamp di Francoforte (allora Germania Occidentale) nel 1959. Ma il libro ha una storia lunga e complessa.

“Scritto negli Stati Uniti fra il 1938 e il 1947, riveduto nel 1953 e nel 1959”: in questa sobria avvertenza cronologica è racchiusa tutta una serie di drammatiche vicende, politiche e personali: l’emigra- zione dalla Germania ormai governata dai nazisti (nel 1933), la vana ricerca di un rifugio sicuro (Zurigo, Vienna, Parigi, Praga) e la fuga dall’Europa di fronte alla montante marea hitleriana (1938); la pre- carietà di un’esistenza senza entrate sicure, il venir meno anche di quelle legate ad un’ormai impossibile attività pubblicistica, sostitui- te dalla dipendenza dalle insicure attività professionali della moglie Karola negli anni americani, vissuti in un crescente isolamento; l’af- fannoso accumularsi di manoscritti che non riescono ancora a tra- dursi nell’opera fondamentale perseguita da tanti anni; il susseguirsi e l’ampliarsi delle redazioni del libro, che non riesce a trovare uno sbocco editoriale negli USA; il ritorno (1949) in Germania (Est) e il conflitto con le autorità comuniste che lo porta infine al clamoroso trasferimento clandestino in occidente (1961).

L’autore stesso, dunque, ha dovuto pagare un prezzo molto alto non solo per poter scrivere e pubblicare il libro, ma anche per tener fermo al principio che gli dà il titolo. È sintomatico che un’opera intitolata Il principio speranza sia nata nel momento forse più di-

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sperato di una già lunga esperienza di esilio, quando più concreta diventava la minaccia di annientamento per tutta l’Europa non fasci- stizzata, e sia stata scritta per la maggior parte durante gli anni più bui della Seconda Guerra Mondiale, che per la vita dell’autore erano anche gli anni della massima indigenza e della più dura mancanza di prospettive.

La prima attestazione della genesi de Il principio speranza è una lettera scritta da Bloch il 31 luglio 1938, pochi giorni dopo l’ar- rivo negli USA, all’amico ed estimatore Klaus Mann. Qui Bloch accenna al progetto di un libro “assai americano”, dal titolo Sogni di

una vita migliore, dedicato all’analisi dei “sogni ad occhi aperti” e

dei “castelli in aria”, e inteso non tanto come opus magnum, quanto come un lavoro di circostanza, capace di conquistare il favore di un pubblico del tutto nuovo. Ma proprio la difficoltà di collocare un simile prodotto sul mercato editoriale americano costringe Bloch a ripetute rielaborazioni e dilatazioni del progetto, che finisce per tradursi in una summa del suo pensiero filosofico, oltre che in una sorta di enciclopedia ragionata e illustrata dell’immensa massa dello sperare umano.

3. Un libro politico, ma soprattutto filosofico e profondamente

“umano”

Se è vero che Bloch è stato un antifascista (e questo ben prima che la maggior parte degli ebrei come lui capisse la tragica serietà della componente razzista del nazifascismo), Il principio speranza non è un “libro contro”, ma un libro “positivo”. Il suo messaggio politico è consacrato a una causa precisa e inequivocabile, quella dell’emanci- pazione di tutti gli uomini da ogni vincolo oppressivo ed estraniante in vista di una convivenza non più soltanto antagonistica.

Il modo in cui Bloch concretizza questa istanza astratta di libe- razione non è alieno né da unilateralità, in quanto sposa la versio- ne marxista del socialismo rivoluzionario, né da grossi abbagli, in quanto per diversi anni si riversa in un’apologia del regime sovieti- co. Tuttavia sarebbe un abbaglio ancora più grosso iscrivere Bloch tra gli apologeti o tra i fiancheggiatori di comodo: come hanno mo- strato gli anni della collaborazione con la DDR, pochi intellettuali

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sono stati così scomodi come lui per un regime che prima crede di potersene servire (1949-1956) e poi lo mette bruscamente da parte (1957-1961), finché Bloch decide di emigrare, a 76 anni, per l’enne- sima volta nella sua vita, e per la seconda volta (come nel 1933) sen- za neppure fare le valigie. La fuga clandestina del filosofo marxista dalla Germania comunista nei giorni dell’erezione del muro di Ber- lino fa scalpore, e assicura a Bloch una celebrità che la qualità dei suoi libri e dei suoi discorsi rendono non infondata né passeggera.

Ma sarebbe sbagliato prendere Il principio speranza per un libro politico in senso stretto, tanto meno in senso partitico o settario. Non solo il respiro universalistico del suo messaggio riscatta e revoca le cadute nella parzialità. Ma la cosa più importante è che lo stesso si- gnificato politico del libro nasce e dipende da un pensiero che ecce- de la logica della sfera socio-politica, investendo un principio dalla portata antropologica e ontologica ben più profonda.

La speranza si presenta qui come la sostanza più umana dell’uo- mo, come l’essenza stessa dell’uomo. Il “principio speranza” co- stituisce l’uomo come uomo speranza. Di qui la sua onnipresenza in tutte le dimensioni e sfere della vita e dell’attività dell’uomo, a partire da quella semibiologica della pulsionalità. Di qui l’insuffi- cienza di una caratterizzazione della speranza basata sull’unilaterale accentuazione di un’unica sfera. Di qui anche la necessità del lungo viaggio a cui ci invita il libro per visitare (o almeno rivisitare consa- pevolmente) le molte terre e regioni dello sperare.

Il principio speranza non è dunque un libro a senso unico, né

tanto meno un libro monotono o unilaterale. Bensì un libro a più dimensioni, e anche leggibile e godibile separatamente in ciascuna di esse, anche se pienamente comprensibile solo nella loro comple- mentarietà, nella loro integrazione e unità.

È certo soprattutto un libro filosofico. È anzi una delle opere fi- losofiche più importanti e originali del secolo scorso, una di quelle destinate a fare epoca.

Ma è anche di più. È un’opera che si cimenta su tanti piani, in tante dimensioni diverse, mettendo in evidenza assoluta lo sperare come motivo centralissimo nella vita, nella società, nella religione, nelle arti e nella letteratura. È un’opera costruita e curata proprio nel suo carattere di scrittura letteraria, e che per questo riesce a parlare efficacemente anche al pubblico dei non-filosofi.

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Tuttavia è un libro che va preso sul serio proprio come libro fi- losofico. Ma qual è il tipo di filosofia che si presenta qui sotto l’in- solita e provocatoria etichetta del “principio speranza”? Da un lato è la riproposizione di un ideale antico del filosofare come ricerca della “saggezza”, di un principio capace di unificare come un tutto sensato l’esistenza dell’uomo e delle cose. Dall’altro è la proposta di un’impostazione radicalmente nuova della riflessione filosofica, centrata non più sull’asse dell’essere eterno come “essere-stato” (già sempre), bensì sull’asse del “non ancora” e del futuro, di un conte- nuto dell’essere non ancora reale, ma in via di realizzazione lungo un cammino sperimentale non predeterminato né garantito.

Il punto di partenza, in questo libro, è la convincente delineazione di un’antropologia filosofica centrata sulla scoperta della struttura anticipatoria (il “non ancora conscio”) come struttura portante ed elemento propulsivo di tutta l’esistenza dell’uomo, dalla più imme- diata corporeità e dalla pulsionalità fino all’affettività, alla fantasia e al pensiero cosciente. Ma questa struttura scaturisce da uno strato ancora più profondo dell’essere umano: l’immediatezza dell’esiste- re nella sua costitutiva insufficienza, infondatezza ed insostenibilità, quello che Bloch chiama “l’oscurità dell’attimo vissuto”.

Per questo la speranza non è solo affetto vitale fondamentale e ine- liminabile, ma è anche intenzionalità di tipo cognitivo e progettuale, capace di imparare dall’esperienza e dalla riflessione. Per questo la speranza è per Bloch soprattutto “principio”: elemento propulsore e indeflettibilmente orientante in avanti, direzione invariante, pur nella molteplicità dei desideri e dei progetti, verso un’identità e un senso ancora mancanti, verso un autentico essere-se-stessi. Per que- sto la speranza muove e si muove in tutta l’ampiezza dell’immanen- za dell’esistere, ma è costantemente rivolta verso un ultimum della realizzazione, che può essere meno inadeguatamente rappresentato e anticipato solo come “attimo adempiuto”.

4. Il messaggio centrale e la sua articolazione

Il messaggio centrale del libro è accennato già nel titolo: il sal- do tener fermo alla speranza nella liberazione dell’uomo da tutti i vincoli oppressivi, da tutto ciò che gli impedisce di realizzare e di

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essere autenticamente se stesso. Che questa liberazione debba pas- sare attraverso le tappe dell’emancipazione politica e dell’emanci- pazione sociale è convinzione di fondo di Bloch. Per chi crede che la libertà reale debba diventare patrimonio di tutti gli uomini come tali, discutibile non è tanto questa convinzione, quanto l’illusione (per Bloch durata almeno vent’anni) di poter identificare il processo emancipatorio con un regime coercitivo e dispotico, ritenuto in gra- do di autocorreggersi. Ma il sogno soggettivo e l’esigenza oggettiva della liberazione rimangono anche dopo la caduta delle falsificazio- ni e delle illusioni, e qui sta la forza e l’immutata attualità del mes- saggio blochiano, che va ben al di là di una “revisione utopistica” del marxismo. Tanto più in quanto Bloch non restringe la speranza all’ambito socio-politico, ma la coglie nei più vari fenomeni del- la vita quotidiana e della vita culturale, soprattutto nelle creazioni artistiche e nei simboli religiosi, e insieme la fa oggetto non solo di una fondazione teoretica approfondita, ma anche di una radicale problematizzazione.

Il libro si apre col “resoconto” dei “piccoli sogni ad occhi aperti”, che illustra con tratti lievi e rapidi il posto dello sperare nella vita di tutti i giorni, attraversata dai lampi di desideri spesso inappagabili.

La seconda parte (“Fondazione”) delinea un’antropologia filo- sofica sub specie utopica, centrata su un’analisi fenomenologica dell’uomo come primariamente rivolto al futuro e al nuovo, come ol- trepassante ogni condizione data volta per volta. Elementi di questa descrizione sono la pulsionalità aperta dell’uomo, l’affettività cul- minante nello sperare come attesa positiva dell’avvenire, il sognare ad occhi aperti come fantasticheria rivolta in avanti (a differenza del sogno notturno), il “non-ancora-cosciente” (ovvero il “preconscio del nuovo”) come struttura più fondamentale dell’inconscio retro- spettivo della psicoanalisi, il costitutivo carattere anticipatorio della coscienza umana e la corrispondente apertura oggettiva del mondo.

Bloch passa poi in rassegna i principali contenuti della speranza. Nella terza parte evidenzia i modelli inconsapevoli che si mostrano nell’involontario “specchio” della cultura della bella apparenza, del- lo svago e del divertimento.

Nella quarta parte analizza la “costruzione” consapevole di pro- getti e modelli di una vita migliore che non oltrepassano i confini della perfezione intrastorica e intramondana (non solo le utopie so-

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ciali, ma anche quelle mediche, tecniche, architettoniche, geografi- che, i paesaggi ideali della pittura, dell’opera e della poesia, le uto- pie filosofiche della saggezza e della verità, gli ideali della pace e della libertà dal lavoro).

L’ultima parte indaga le immagini anticipatorie dell’“identità” ovvero dell’“attimo adempiuto” come cifre del più radicale trascen- dimento utopico verso un futuro ultimo e assoluto: gli ideali morali, le più eminenti figure poetiche della trasgressione dei limiti umani, l’ulteriorità infinita delle creazioni musicali, le utopie di un supera- mento della morte, i simboli religiosi della redenzione, l’idea eti- co-cosmica del sommo bene, la meta finale come “patria” originaria. Tutto ruota intorno alla scoperta della struttura anticipatoria come costitutiva della coscienza e dell’esistenza umana. Ma questa strut- tura si radica in uno strato di ulteriore profondità: l’originaria e per- sistente negatività e manchevolezza che si esprime nell’insostenibi- lità dell’esistere immediato, in quello che Bloch chiama “l’oscuro dell’attimo vissuto”. È da questo “spazio cavo” non inerte, ma cari- co di attiva tensione, che si sprigiona la spinta al costante oltrepas- samento del dato, all’anticipazione e alla produzione del nuovo. Il problema fondamentale è dunque la contraddizione logico-ontologi- ca (e insieme esistenziale) del presente immediato, che deve tentare di togliersi producendo una configurazione più adeguata, dando così vita all’immane varietà (specifica e individuale) delle forme naturali e culturali, materiali e spirituali, come sperimentazioni della possi- bile riuscita.

5. La ricezione incompleta

Non si può certo dire che i lettori e i critici abbiano sempre colto o riconosciuto l’essenzialità di questo motivo blochiano. Anzi, tutta la ricezione de Il principio speranza è stata non solo poco lineare, ma nel suo insieme piuttosto limitata e quasi superficiale: se il libro è risultato un grosso successo editoriale, se il titolo è diventato espres- sione usatissima nella pubblicistica e nella lingua comune tedesca, non molti sono i temi e i motivi che hanno esercitato un influsso profondo e durevole. Bloch è stato recepito piuttosto nella globalità (vera o presunta) del suo indirizzo di fondo e nella puntualità di

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motivi e accenti particolari che non nella specifica forza inventiva e argomentativa dei suoi contributi tematici.

L’eccezione più vistosa è il suo pensiero religioso, che non è stato solo oggetto di studi specialistici e di vaste discussioni, ma ha inciso a fondo e a lungo nella riflessione teologica sia protestante che cat- tolica. Jürgen Moltmann con la sua Teologia della speranza (1964) è l’esempio più rappresentativo di questa feconda ricezione teologi- ca de Il principio speranza, ma diversi altri teologi di primo piano (come Wolfhart Pannenberg, Hellmut Gollwitzer, Johann Baptist Metz o Italo Mancini) hanno ricavato o elaborato concetti fonda- mentali del loro pensiero in base a sollecitazioni di Bloch. Molti altri (W.-D. Marsch, G. Sauter, J. Pieper, H. Sonnemans, C.H. Ratschow, R. Schaeffler, A. Jäger, M. Eckert ecc.) hanno discusso le concezioni religiose di Bloch in opere per lo più pregevoli per incisività e acu- me interpretativo. Per tutti le provocazioni del “messianismo ateo” di Bloch sono state una spinta per riscoprire, ridiscutere e ridefinire la centralità della prospettiva escatologica nella dimensione religio- sa, per ricalibrare il rapporto tra l’aspetto metastorico delle “cose ultime” e l’impegno etico-politico rivolto al futuro intrastorico, per ripensare a fondo il nesso tra immanenza e trascendenza alla luce dell’intreccio soterico tra azione divina e azione umana, tra eternità e temporalità.

Meno forte, paradossalmente, è stata la ricezione di questo impul- so messianico nell’area del pensiero ebraico, dove, a parte l’amica di gioventù Margarete Susman, forse solo il Levinas filosofo (De Dieu

qui vient à l’idée, 1982; Dieu, la mort et le temps, 1993) ha colto la

fecondità delle suggestioni blochiane.

Le altre specifiche articolazioni del pensiero di Bloch (antropo- logia, ontologia, etica, estetica, cosmologia), così come la sua im- postazione complessiva, sono state studiate da molti specialisti (tra gli italiani ricordo solo R. Bodei, L. Boella, P. Cipolletta, che han- no trattato temi ontologici fondamentali), ma non sono entrate tra i motivi ricorrenti delle discussioni filosofiche contemporanee, anzi sono state per lo più intenzionalmente ignorate e lasciate da par- te. La traduzione dell’opera fondamentale, Il principio speranza, ha certamente contribuito a sollecitare, almeno in Italia, una ricezione più attenta.

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6. Una discussione aperta

La notevole impresa editoriale, che ha reso finalmente disponibi- le anche al pubblico italiano la principale espressione filosofica del pensiero utopico nel Novecento, continua ad offrire lo stimolo e la base testuale più ampia e accessibile per rimeditare e ridiscutere una linea di pensiero che, assumendo il futuro come asse di riferimento privilegiato, ha anche accettato il rischio di un coinvolgimento diret- to nel dibattito politico.

Se è vero che, dopo il fallimento del “socialismo reale”, è diventato inevitabile parlare di “fine dell’utopia” e di crisi dei “progetti globali”, ciò non significa però che la politica o la riflessione filosofica possano rinunciare alla dimensione della progettualità in senso radicale.

D’altro lato, lo stesso significato politico del “principio speranza” dipende da un pensiero che non solo travalica universalisticamente ogni impegno di parte, ma anche eccede la logica di una sfera parti- colare. Per questo è importante riscoprire anche il carattere propria- mente filosofico del “principio speranza”. Discutere di questo prin- cipio, tentarne un bilancio aggiornato e prospettico, significa dunque entrare nel cuore della problematica filosofica contemporanea e dei rapporti della filosofia con dimensioni differenti della produzione culturale.

Qui non si poteva che richiamare l’attenzione soprattutto su que- sto significato e spessore specificamente filosofico del pensiero e dell’opera di Bloch. Non si intendeva certo, con ciò, mettere in se- condo piano la sua portata politica. Questa emerge direttamente o indirettamente da tutti i testi blochiani e dalla loro proposta culturale forte e coinvolgente. Anche senza andare a cercare lo scandalo, la sfida provocatoria di un pensiero “eretico” per vocazione si fa sen- tire comunque.

Non si deve guardare alle etichette settoriali, ma piuttosto ai con- tenuti e alle linee direttive, alle grandi idee di umanità e solidarietà, al richiamo a un cammino di liberazione continuamente riproposto in tante circostanze difficili, dove è facile cedere alla tentazione di rassegnarsi alle vischiosità, alle resistenze, alle mille opposizioni e alle sconfitte.

Tutto questo rinvia all’oggi, al permanente dovere di non dimen- ticare le innumerevoli situazioni di violenza, di ingiustizia, di si-

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stematica prevaricazione e manipolazione delle coscienze e delle intelligenze; di non disprezzare o sottovalutare le fragili ma prezio- se impalcature della convivenza civile e democratica. Il richiamo di Bloch al “diritto naturale radicale” rafforza con la spina dorsale dell’“andatura eretta” l’apporto indispensabile della fantasia utopi- ca. Forse è anche in una combinazione come questa che si può sag-