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RESPONSABILITÀ VERSO IL PRESENTE

1. Temporalizzazione della metafisica

Nel 1777 Lessing, in un suo celebre scritto, pone un problema che lancia una sfida a tutte le religioni positive, basate su una rivelazione storica: “verità storiche contingenti non possono mai diventare la prova di verità razionali necessarie”1.

Lessing non immaginava che trent’anni dopo Hegel avrebbe fatto della storia, interpretata dialetticamente, il luogo di manifestazione della verità metafisica2. Anche se lui stesso aveva provocato questo

sviluppo della filosofia col suo ancora più celebre scritto L’educa-

zione del genere umano3. Tanto meno poteva però sospettare che un

secolo dopo Hegel la ripresa e il rinnovamento del pensiero metafi- sico sarebbe passato proprio attraverso una rivalutazione della verità contingente della temporalità quotidiana, della fatticità esistenziale nella sua irripetibile singolarità.

Heidegger, per fare l’esempio più celebre, imposta in questo modo il suo corso del 1923, che significativamente al titolo Ontologia af-

1 G.E. Lessing, Über den Beweis des Geistes und der Kraft, Braunschweig 1777, in Id., Sämtliche Schriften, a cura di K. Lachmann, rev. di F. Muncker, Göschen, Stuttgart 1886-1924[ripr. fotomec.: Sämtliche Werke, de Gruyter, Berlin 1979], vol. XIII, pp. 1-8 [Sul cosiddetto “argomento dello spirito e

della forza”, in Id., La religione dell’umanità, tr. it. a cura di N. Merker, Ro-

ma-Bari 1991, pp. 65-71]. Sulla questione si veda A. Rizzacasa, Il tema di

Lessing. È possibile provare una verità eterna a partire da un fatto storico?,

San Paolo, Cinisello B. 1996.

2 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, Jena 1807, pp. XXii-XXiv, lv s.,

753-765 [Fenomenologia dello spirito, tr. it. di V. Cicero, Rusconi, Milano 1995, pp. 68-70, 102-105, 1048-1065].

3 G.E. Lessing, Die Erziehung des Menschengeschlechts, Berlin 1780, in Id.,

Sämtliche Schriften, cit., vol. XIII, pp. 413-436 [L’educazione del genere umano, in Id., La religione dell’umanità, cit., pp. 129-154].

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fianca il sottotitolo Ermeneutica dell’effettività4. Ma prima ancora

di lui, nella dissertazione di dottorato scritta e discussa nel 19085,

Bloch aveva enunciato programmaticamente in tono quasi profetico: “l’intero rinnovamento metafisico [...] giace ancora racchiuso nel problema della temporalità” (KER 74; TLU 100). Qui Bloch scrive sotto l’impressione della lettura di James6 e soprattutto di Bergson7

a cui poi si aggiungeranno i tentativi di Husserl di delineare una fenomenologia della coscienza interna del tempo8; gli stessi autori

che probabilmente di lì a poco (accanto al riscoperto Kierkegaard e a Dilthey) stimoleranno la riflessione del giovane Heidegger indiriz- zandolo verso il nesso di Essere e tempo9.

4 M. Heidegger, Ontologie (Hermeneutik der Faktizität), Klostermann, Fran- kfurt a.M. 1988 [tr. it. di G. Auletta, a cura di E. Mazzarella, Guida, Napoli 1992].

5 Pubblicata nel 1909 (KER) e riprodotta parzialmente in TLU 55-107. 6 W. James, The Principles of Psychology, Holt, New York 1890 [Principi di

psicologia, tr. it. di G.C. Ferrari, a cura di A. Tamburini, Società Editrice Li-

braria, Milano 19093]; Id., Psychology: Briefer Course, Holt, New York 1891

[Psychologie, tr. ted. di M. Dürr, Quelle & Meyer, Leipzig 1909; il Compen-

dio dei principi di psicologia, tr. it. di G. Tarozzi, Società Editrice Libraria,

Milano 1911, dichiara di essere una selezione di testi dai Principi, non una traduzione diretta del Briefer Course].

7 H. Bergson, Matière et mémoire. Essai sur la relation du corps à l’esprit, Alcan, Paris 1896 [Materie und Gedächtnis. Essays zur Beziehung zwischen

Körper und Geist, tr. ted. di J. Frankenberger, Diederichs, Jena 1908; Materia e memoria, in Id., Opere (1889-1896), tr. it. di F. Sossi, Mondadori, Milano

1986, pp. 141-337]; cfr. anche Id., Introduction à la métaphysique, Alcan, Paris 1903 [Einführung in die Metaphysik, tr. ted., Diederichs, Jena 1909;

Introduzione alla metafisica, tr. it. di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 1987],

in cui la ricomprensione della temporalità come durata diventa la premessa del rinnovamento della metafisica.

8 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen

Philosophie, libro I, Niemeyer, Halle S. 1913, § 81-82; ora in Id., Husserliana (Gesammelte Werke), voll. III-V, Nijhoff, The Hague 1950-1952 [Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, tr. it. di G. Alliney e

E. Filippini, Einaudi, Torino 1965; nuova tr. it. a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002]; cfr. anche E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbe-

wusstseins, Niemeyer, Halle S. 1928, ora in Id., Husserliana, vol. X, Nijhoff,

The Hague 1966 [Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, tr. it. di A. Marini, Angeli, Milano 1981], che raccoglie anche brani derivanti da lezioni precedenti.

9 M. Heidegger, Sein und Zeit, Niemeyer, Halle 1927 [tr. it. di P. Chiodi, UTET, Torino 1969].

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Bloch però non mira ad una semplice fenomenologia, sia pure di taglio ontologico-esistenziale. La “metafisica” che egli progetta e cerca invano di realizzare negli anni successivi assume i tratti en- fatici di un “sistema del messianismo teoretico”, in cui la filosofia non solo diventa costitutivamente “utopica”, ma intende preparare e avviare una grande svolta epocale in tutte le dimensioni. L’aspet- to più vistoso di questa “temporalizzazione” della metafisica, è la rinuncia ad un fondamento atemporale o eterno, o comunque “già stato”, e il volgersi verso un futuro che è per un verso storico-in- trastorico e per l’altro è sovrastorico-assoluto. Pur senza trovare mai piena configurazione, la filosofia utopica accennata in Spirito

dell’utopia (1918) viene ampiamente dispiegata e orchestrata ne Il principio speranza (1959), dove la direzione verso il futuro diventa

esplicitamente determinante.

2. Pensiero utopico e responsabilità verso il presente

Ma questo asse rivolto verso il futuro non è che un lato del pen- siero deciso a rimettere in questione tutti i propri legami tramandati con i problemi della temporalità. Il ripensamento dell’intera sfera della temporalità presenta almeno un altro lato problematico fonda- mentale, la cui esposizione può aiutare a mettere a fuoco e discutere alcune delle obiezioni più ricorrenti e insieme fondamentali al pen- siero utopico:

– questo pensiero è una fuga dal presente verso un futuro indeter- minato e irraggiungibile;

– quello che gli manca è la responsabilità verso il presente, l’at- tenzione alle sfide e ai compiti cui si deve far fronte qui e ora;

– il suo saltare direttamente verso la meta sperata comporta una disattenzione verso le sofferenze dei singoli, specialmente verso quelle insorte proprio in relazione alle scelte compiute più in pro- spettiva del futuro che delle esigenze del presente;

– il suo rimandare al futuro la soluzione dei problemi attuali pre- tende che si possa vivere di sola dilazione, senza criteri saldamente orientanti nell’oggi e senza fondamenti capaci di instillare fiducia.

In realtà il pensare utopico di Bloch nasce proprio da una radicale responsabilità verso il presente, ossia dalla presa di coscienza della

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necessità di far fronte e in qualche modo rispondere riflessivamente alla sfida dell’attimo, alla sfida che l’attimo vissuto col suo costituti- vo oscuro lancia non solo al pensiero, ma anzitutto alla coscienza e all’esistenza stessa dell’uomo. Si tratta di una sfida a molti livelli. Il primo è proprio quello della coscienza: perché è la presenza attuale della coscienza al suo stesso atto a essere messa in questione dal fe- nomeno dell’oscuro. Gli altri livelli riguardano l’esistenza e la sua au- tocomprensione, l’agire morale e sociale, l’atteggiarsi verso la natura, il religioso, il bello. In ogni dimensione e in ogni sfera lo sfuggire guizzante dell’attimo dà origine a una opacità e sfocatezza che rende difficile orientarsi nel presente e cogliere le sue effettive esigenze.

3. L’attimo dell’esistere immediato e il suo oscuro

Bloch stesso avverte nella prefazione del Principio speranza che la curvatura utopica della coscienza umana non ha da ultimo altro scopo che quello di cogliere e mettere in luce e attuare ciò che si nasconde nel presente più vicino a noi, nella più immediata attualità:

La coscienza utopica vuole spingere lo sguardo molto lontano, ma in ultima analisi solo al fine di penetrare il vicinissimo oscuro dell’attimo che si sta vivendo, in cui tutto ciò che è è tanto sospingente quanto nascosto a se stesso. In altre parole: si ha bisogno del canocchiale più potente, quello della ben levigata coscienza utopica, per penetrare pro- prio la più prossima prossimità (PH 11 [16 s.]).

Non era una trovata occasionale, ma l’espressione di un motivo, anzi forse del motivo di fondo del suo pensiero, che nel suo nucleo primitivo era stato formulato già nella dissertazione del 1908, dove Bloch presenta il problema della “oscurità degli attimi vissuti” nei termini di una teoria fenomenologica della conoscenza, ma lascia trasparire uno spessore più profondo, che investe l’intera dimensio- ne dell’essere:

Il fatto che il suono che si sta udendo o il colore che si sta vedendo, anzi l’intera istantaneità dell’esserci che viene conosciuto e saputo, non possa mai divenire cosciente, questo fatto addita alla necessità per cui il luogo del processo nel quale noi stessi ci troviamo, e nel quale siamo attualmente per tutta l’estensione della nostra esistenza, non ritorna in

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alcuna scienza. Ciò che qui appare come dato è unicamente la realtà in cui ogni volta siamo: e tutta l’irrazionalità dell’essere si svela con ciò nella più prossima prossimità, anzi nel secondo che si sta vivendo, la cui ricchezza non è stata ancora incamerata da nessuna categoria pro- blematica (KER 74; TLU 99).

In Spirito dell’utopia viene anzitutto accentuato il significato “esi- stentivo” della singolare irrealtà della vita nel presente immediato:

È indicibile quanto poco siamo davvero in grado di possedere e di esperire interiormente. Tutto scivola ed è istantaneo, scivola nel non poter raggiungere, nel ricordare e nello sperare. È questo dunque vivere? [...] Quando è che viviamo davvero? Quando è che siamo co- scientemente presenti noi stessi nella regione dei nostri propri attimi, delle nostre realtà o realizzazioni? (GU1 363 s.; cfr. GU2 230 s.; GU3 237 [216]).

Ma il motivo dell’oscuro dell’attimo vissuto ritorna esplicitamen- te anche nei termini dell’impossibile esperienza di sé e delle cose nel momento attuale dell’esistere:

Noi non possediamo nulla, né all’esterno né all’interno, che sia pos- sibile di volta in volta fissare. Perciò rimane tutto umbratile [...] non poter esperire interiormente null’altro se non ciò che è già passato o sta appena sopraggiungendo; [...] mentre la vita stessa, presa come somma dei suoi attimi, si dissolve nell’irrealtà di questi attimi al pari della frec- cia di Zenone (GU1 369 s.; cfr. GU2 243; GU3 251 [230]).

Già nella seconda edizione (1923) di Spirito dell’utopia appare esplicitamente la differenza fenomenologica fra l’attimo attualmen- te vissuto, che non è mai dato e presente attualmente alla coscienza, e il presente apparente, che è in realtà una prima ritenzione di mo- menti appena trascorsi:

Ma io non posso esperirmi e possedermi interiormente. Neppure il fatto che adesso sto fumando e scrivendo, neppure questo vuole porsi e restare davanti a me, perché è troppo vicino.

Solo immediatamente dopo, una volta disteso, posso collocarlo e te- nerlo davanti a me, ruotandolo per così dire davanti a me. Mi è presente così soltanto ciò che è appena passato, solo questo viene a coincidere con quello che sperimentiamo come apparentemente esistente (GU2 230; GU3 237 [216]).

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Si tratta certo di osservazioni che sembrano contrastare con una lunga e veneranda tradizione filosofica. Marco Aurelio aveva soste- nuto che “ognuno vive soltanto il presente (paron), ossia l’istante (akariaion)” e che solo questo “possiede”10. Agostino, pur notando

che non solo “il passato non è più e il futuro non è ancora”, ma che la stessa parte del tempo non più ulteriormente divisibile chiama- ta presente “trasvola così rapidamente dal futuro al passato da non estendersi per nessuna durata” e dunque “non ha spazio alcuno”, non aveva messo in dubbio che esista un “praesens de praesentibus cointuitus”11. Cartesio non aveva dubitato che almeno del dubitare,

in quanto attuale cogitare, abbiamo coscienza diretta e immediata: “Cogitationis nomine complector illud omne quod sic in nobis est, ut immediate conscii simus”12.

Tuttavia il motivo di per sé non era originalissimo. La ricerca psi- cologico-filosofica più vicina a Bloch aveva già confermato quello che l’esperienza quotidiana non aveva mancato di rilevare e che ave- va trovato espressione poetica, ad esempio, in un verso del classici- sta Nicolas Boileau: “Le moment où je parle est déjà loin de moi”13.

William James, che Bloch cita nel Zehlendorfer Manuskript14 del

1923 (LM 14), aveva osservato:

rigorosamente parlando, non c’è nessun presente; questo è composto di passato e di futuro divisi da un punto indivisibile o istante. Questo istante, o punto del tempo, è il presente rigoroso. Quello che con una certa larghezza chiamiamo presente è una porzione empirica del corso del tempo, contenente almeno un minimum di coscienza. [...] Cerchia- mo di [...] notare il momento presente del tempo. [...] Dov’è questo presente? Ci si è dissolto tra le mani, è fuggito prima che potessimo toccarlo, è passato nell’istante del divenire. [...] ed è solo entrando nell’organizzazione vivente e mobile di un tratto di tempo molto più ampio che il presente rigoroso può essere colto. La riflessione ci porta a

10 Marco Aurelio, Ad seipsum, lib. III, 10; lib II, 25; lib. XII 26. 11 Agostino, Confessiones, lib. XI, 17, 20, 26.

12 R. Descartes, Meditationes de prima philosophia, def. I, in Id., Oeuvres, a cura di Ch. Adams e P. Tannery, Cerf, Paris 1897-1913, rist. 1982, vol. VII, p. 160; cfr. R. Descartes, Principia philosophiae, I 9, 45, in Id., Oeuvres, cit., vol. VIII-I, pp. 7, 22.

13 N. Boileau, Epitres (1673), III, 48, in Id., Oeuvres complètes, Gallimard, Paris 1966, p. 111.

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concludere che deve esistere, ma il fatto che esiste non può mai essere un fatto della nostra esperienza immediata. Il solo fatto della nostra esperienza immediata è [...] “il presente specioso”.15

Henri Bergson aveva poco tempo dopo ribadito e rafforzato gli stessi concetti:

Senza dubbio vi è un presente ideale, puramente concepito, limite in- divisibile che separerebbe il passato dall’avvenire. Ma il presente reale, concreto, vissuto, quello di cui parlo quando parlo della mia percezione presente, occupa necessariamente una durata. [...] ciò che chiamo “il mio presente” sconfina insieme nel mio passato e nel mio avvenire.16

Voi definite arbitrariamente il presente ciò che è, mentre il presente è semplicemente ciò che si fa. Nulla è meno che il momento presente, se intendete con ciò il limite indivisibile che separa il passato dall’avveni- re. [...] Che se, al contrario, considerate il presente concreto e realmente vissuto dalla coscienza, si può dire che tale presente consiste in gran parte nel passato immediato.17

Bloch però non si limita a seguire questi autori, che tendono con queste osservazioni (specialmente Bergson) a eliminare del tutto l’istante, il presente immediato (che per James rimane comunque il “presente reale” di contro al “presente specioso”), almeno come fenomeno, come “dato immediato della coscienza” (Bergson lo ammette solo come concetto fittizio, James come un fatto inferito), iscrivendolo in una concezione del tempo che, contrapponendosi al tradizionale associazionismo, lo vedeva strettamente collegato alla continuità ininterrotta della coscienza.

Per Bloch invece proprio il non darsi, il sottrarsi del presente im- mediato, il suo sfuggire ad ogni constatazione diretta, è un dato, anzi

il “dato” originario, senza il quale non esisterebbero gli altri dati. È

un “fatto” paradossale, il cui paradosso è comprensibile solo metten- done a nudo le radici e gli sviluppi.

15 W. James, The Principles of Psychology, cit., vol. I, pp. 607, 608, 609; cfr. Id.,

Psychology: Briefer Course, cit., p. 287 [Psychologie, tr. ted. cit., p. 280; cfr.

tr. it. cit., pp. 248 s.].

16 H. Bergson, Matière et mémoire, cit., pp. 148 s. [tr. ted. cit., pp. 139 s.; tr. it. cit., p. 248].

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L’inesperibilità dell’ora viene collegata con la discontinuità della coscienza, che viene così assunta come sistematica (contro Bergson, ma anche contro James, che l’ammetteva solo come fatto marginale) perché derivante dall’interruzione di ogni istante vis- suto ma non esperito né consaputo. L’oscuro dell’attimo vissuto lacera il continuum della corrente psichica, cosicché ne risultano impossibili la fondamentalità e autoconsistenza dell’io sia come autocoscienza empirica (cogito) sia come soggetto trascendentale (ich denke überhaupt).

L’inafferrabilità del presente non viene risolta in una equiparazio- ne di tutto il nostro percepire ad un flusso ininterrotto di memoria, ma viene collegata con l’altro motivo pure compresente in Bergson, quello del protendersi in avanti di ogni atto psichico e vitale, verso un futuro che è il campo di interesse dell’agire e del fare.

Bloch accoglie la distinzione tra l’istante (ora, Jetzt) e il “pre- sente ordinario” (Präsens) come modalità temporale impura, mista, composita e derivata, ma va oltre. Accetta la sfida dell’attimo assu- mendo l’“ora” come origine atemporale del tempo, come instituens la temporalità. Interpreta la sua oscurità come quella negatività e insostenibilità che spinge incessantemente fuori di sé, generando la pluralità degli “ora” e il fluire del tempo. Chiarisce questa conce- zione in una serie di scritti18 che sono alla fine confluiti nel testo di

Experimentum Mundi (1975).

4. Sfida esistentiva e responsabilità ontologica

Nel Principio speranza Bloch fa continuamente allusione a questa teoria, ma la sua attenzione va ad altri aspetti della sfida dell’attimo. Qui la teoria dell’oscuro dell’attimo vissuto è formulata dapprima in termini di autopercezione corporea e poi presentata nel suo più ampio senso esistenziale e ontologico, come momento di raccordo, unificazione e di più radicale fondazione di antropologia e cosmo- logia utopica. La sfida dell’attimo è assunta come punto di partenza

18 E. Bloch, Versuchstraktat, phänomenologisch, über Zeit, Raum, Ordnung (due ms., uno, acefalo, del 1934, l’altro, incompiuto, del 1958; il titolo risale al secondo, che è un rifacimento del primo); Id., Daseinsweisen der rahmen-

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per la comprensione del nostro stesso esistere e insieme per la com- prensione dell’essere di tutto ciò che è.

Non si tratta in questo né di ontologizzazione, ossia di un indebi- to allargamento di un’esperienza soggettiva, di una falsa estensione o generalizzazione di un fatto psichico; né di antropologizzazione, ossia di una illegittima o surrettizia fondazione psicologistica o sog- gettivistica dell’ontologia.

Da un lato, infatti, la domanda ontologica ha senso (per Bloch come, analogamente, per Heidegger) solo se ricondotta all’interes- se costitutivo dell’uomo per la comprensione del proprio esistere, che è quello di un ente per il quale l’essere è problema e compito, non un dato19. D’altro canto la comprensione dell’esistere si apre

solo nell’orizzonte temporale del progettarsi dell’uomo rispetto alla propria esistenza, della anticipazione, della ricerca e dell’atte- sa dell’autentico sé, nel confronto con la provenienza dalle tradi- zioni e in mezzo alle sfide dell’attualità. Il tempo come orizzonte della comprensione dell’esistere e dell’essere, infine, sebbene non sia solo una “forma a priori della soggettività”, è un concetto ac- cessibile e determinabile solo attraverso una indagine metodica del suo manifestarsi fenomenico nell’esperienza umana (della nostra percezione del prima e poi, dell’’ora’ e della simultaneità), ossia attraverso quella che Husserl ha chiamato “fenomenologia della coscienza interna del tempo”20.

Per questo Bloch parte dall’esperienza umana del tempo, sia pure legandola alla paradossale aporia dell’attimo che costitutivamente si sottrae alla percezione e alla coscienza nella sua attualità, pur essendo la fonte della percezione del tempo. Per questo la partenza fenome- nologica dell’esperienza dell’oscuro non riduce questo a fenomeno antropologico o intracoscienziale, bensì è la chiave per dischiudere l’aporia fondamentale dell’essere immediato di tutto ciò che è.

In primo piano, nel Principio speranza, vi è indubbiamente la sfi- da dell’attimo come problema esistentivo ed esistenziale. La rispo- sta sta nella fedeltà al compito di comprendere se stessi nella propria

19 Bloch (cfr. GU1 277) condivide la tesi di S. Kierkegaard (Briciole di filosofia

e Postilla non scientifica, tr. it. di C. Fabro, Zanichelli, Bologna 1962, vol. I,

p. 270) secondo cui l’esistente ha un interesse infinito per la propria esistenza. Su Heidegger si veda il cap. X, § 3.

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esistenza. L’oscuro dell’attimo diventa qui il punto di partenza per la presa di coscienza del nostro stesso incognito e dell’inconsisten- za e umbratilità del nostro esistere immediato. La sfida diventa qui domanda esistentiva: chi sono io? da dove vengo? verso dove vado?