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1. Desiderio e pensiero oltrepassante

Nel cimitero di Tubinga, sulla ruvida e porosa pietra sotto la quale Ernst Bloch fu sepolto quarantadue anni fa, si leggono due scritte. L’una, tratta dal capolavoro, Das Prinzip Hoffnung (PH 2 s. [6, 8]), è quella incisa nel 1977 per riassumere il messaggio, anzi la direttiva di vita del filosofo:

Denken heisst überschreiten [Pensare vuol dire oltrepassare]. La seconda è stata aggiunta nel 1994, per segnare l’ispirazione fon- damentale della moglie Karola, sepolta in quell’anno accanto a lui:

Die Sehnsucht des Menschen, ein wirklicher Mensch zu sein [L’ane- lito dell’uomo ad essere realmente uomo].

La seconda frase, il motto di Karola, è direttamente una formu- lazione del tema del desiderio. La parola Sehnsucht, anzi, andrebbe tradotta più semplicemente “desiderio”, se si tenesse conto soltanto o primariamente della sua funzione “pragmatica” all’interno dell’e- nunciazione. Il pensiero e l’intento di Karola sono certamente con- vergenti e concordanti con quelli del filosofo. Ma il motto indica solo l’intenzione dell’essere umano, non fa riferimento a nessun orizzonte ontologico.

Il motto di Bloch ha un raggio più circoscritto e più ampio in- sieme; è apparentemente più lontano dal tema del desiderio, ma in verità allude ad un orizzonte più vasto che lo implica e lo include. L’oltrepassare del pensiero, infatti, non ha solo una portata concet- tuale e fantastica, ma implica anche una carica desiderativa, insie- me “motoria” e affettiva. L’oltrepassare è mosso dal desiderio che

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avverte emotivamente se stesso nel suo volgersi oltre la carenza sofferta e nel suo andare sempre oltre ogni appagamento puntuale, momentaneo e parziale. Il motto indica dunque anche che il pensare implica e ha bisogno del desiderare.

Un modo di dire tedesco afferma: “Der Wunsch ist der Vater des Gedankens” [Il desiderio è padre del pensiero]. Si tratta di un pro- verbio che può essere usato in tono più o meno bonario o spregiativo per smascherare e criticare concezioni illusorie. Bloch potrebbe ri- corrervi con altro intento, positivo e costruttivo, nello spirito ironico e paradossale che caratterizza il suo uso dei modi di dire.

Nella Tübinger Einleitung in die Philosophie egli invece prefe- risce riprendere un altro proverbio: “Not lehrt denken” [Il bisogno insegna a pensare] (TE 14), corrispondente all’italiano: “La necessità aguzza l’ingegno”. Ma la necessità, cioè l’indigenza, la difficoltà o la pericolosità della situazione della vita, è quella che fa sorgere in primo luogo il desiderio di superarla. Il desiderio, infatti, suppone la mancanza di qualcosa, il bisogno avvertito come tale nella sofferenza che suscita e che lo segnala. Dunque il bisogno insegna a pensare tra- mite il desiderio; è il desiderio (col bisogno da cui nasce) che genera il pensiero. Non tanto (primariamente) il desiderio di sapere e cono- scere (Aristotele), quanto il desiderio di colmare il bisogno vitale.

Ma il desiderio, avvertito nella sua inappagatezza e inappagabi- lità, suscita a sua volta sofferenza. Questa, però, può anche essere coltivata e custodita come compagna privilegiata del desiderio co- sciente: a questo allude il termine tedesco Sehnsucht, che indica ori- ginariamente la “patologia” (la coazione a ripetere) del tendere (la

Sehne è il tendine, la corda che si tende), la vertigine del protendersi

sempre di nuovo senza distensione compensativa.

Il tema del desiderio include anche questa componente che nel tedesco si specializza in un vocabolo particolare, che ha avuto stra- ordinaria e anche eccessiva fortuna nella letteratura romantica1 e che

può corrispondere a parole italiane di etimo diverso come “anelito” (dal latino anhelare, ansimare) e “struggimento” (consumarsi). Ma anche la parola tedesca Sehnsucht finisce, come si vede dall’epi- grafe di Karola, col perdere i suoi connotati patologici per indicare solo una “aspirazione” (sospirare verso qualcosa) fondamentale e

1 Si veda W. Hogrebe, Sehnsucht und Erkenntnis, Palm & Enke, Erlangen- Jena 1994.

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cosciente, certo consapevole anche della propria fondamentale inap- pagabilità, o almeno della necessità di condizioni di appagamento diverse dalla tensione attiva e dall’attività impegnata e responsabile. La parola viene ad esprimere un desiderio più vago, meno diretta- mente determinabile nel suo contenuto, ma anche più intensamente e interiormente vissuto e sofferto, indirizzabile agli oggetti più vari (concreti o ideali, fino a Dio); il suo risuonare interiore si tinge spes- so dei toni del rimpianto e della nostalgia.

L’epigrafe di Bloch non parla di desiderio, parla del pensare che, per sua essenza, va oltre il dato dell’esperienza avuta finora, oltre l’esistente (passato e presente). Ma il suo andare oltre non solo nasce dal desiderare: è e deve restare carico di desiderio, per poter rima- nere oltrepassante; solo deve chiarire, cioè illuminare, spiegare, pro- blematizzare, prolungare sperimentalmente e indicare l’orizzonte di appagabilità di questo desiderio.

D’altra parte il desiderare nell’uomo non può fare a meno, in for- ma più o meno ampia e approfondita, di riflettersi e prolungarsi nel pensiero. Il desiderare soggettivo viene riportato nel pensiero alle sue radici e alle sue condizioni oggettive di appagamento e al suo orizzonte di appagabilità. Il pensiero rimanda così il desiderare a origini e possibilità che non sono immediatamente date né imme- diatamente deducibili dall’esperienza, ma che inseriscono il patire e il fare umano in contesti più ampi, esistentivi, biografici, sociali, storici, biologici, fisici, cosmico-ontologici.

2. Ontologia e antropologia del desiderio

Attraverso il pensare si può riconoscere che il desiderare si muo- ve nel quadro ontologico dell’esistere umano. Il tema proposto però allude a qualcos’altro, a qualcosa di complementare ma anche ul- teriore. Una cosa è inquadrare il desiderare umano in un contesto ontologico, un’altra è impostare un’ontologia sulla linea del deside- rare. Ora, Bloch sostiene che il pensare concettuale, e anzi proprio il pensare logico-ontologico, sia e debba restare intriso di intensità desiderativa e affettiva2. Sostiene addirittura che proprio i concetti

fondamentali dell’ontologia debbano corrispondere agli strati del

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tendere e dell’affettività umana. L’essere infatti si lascia scoprire solo come correlato alla nostra inquietudine. Nel continuo divenire, muoversi ed evolversi di tutto ciò che è, anche al di fuori dell’uomo, traspare un’impressionante analogia con la nostra insoddisfatta e precaria intenzionalità, che è stata prevalentemente esorcizzata con la mitologia astrale o la metafisica statica.

Il pensare in quanto oltrepassare non può non lasciarsi coinvolge- re da questa corrispondenza, per cercare di penetrarne la struttura e di progettare anticipatamente il senso del movimento che essa sem- bra adombrare. Diventa così riflessione ontologica mossa dal desi- derio e sintonizzata sul desiderio dell’essere.

Nel cap. 15 di Das Prinzip Hoffnung, nel contesto in cui difen- de la necessaria complementarietà di ragione e speranza e delinea il processo in cui la speranza soggettiva si converte in “funzione utopica” critica e storicamente mediata, Bloch respinge il tentativo antiutopico di Heidegger di ridurre il desiderare (Wünschen) a qual- cosa di secondario e deiettivo3, e così implicitamente ne ribadisce

l’imprescindibilità e centralità per l’esistere e il pensare dell’uomo. Esplicita è l’affermazione in un contesto ulteriore del libro, il cap. 48 su Goethe, nel quale la figura di Faust viene associata al desiderio, ora indicato con il vocabolo latino:

Il desiderium è l’essere più sicuro e l’unica qualità sincera di tutti gli uomini; il desiderium di dare forma a ciò che albeggia così distinta- mente, a ciò che negli oggetti stessi domanda e cerca il proprio poeta, con uno sguardo per così dire imperioso, è avere e non-avere insieme (PH 1153 [1138]).

Se si collega questo testo con il successivo paragrafo sul perso- naggio femminile di Mignon, come figura dell’“anelito incondizio- nato” (PH 1167-1173 [1152-1157]), nonché sulle parallele affer- mazioni circa il desiderium nella “Premessa” (PH 4 [8]) e circa la

Sehnsucht nel cap. 10 (PH 49 [55]), si può senz’altro presumere che desiderium corrisponda per Bloch (qui e non solo qui) appunto a

3 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 195: “Nel desiderio l’esserci progetta il suo essere verso possibilità che non solo rimangono inevase nel procurare, ma il cui adempimento non viene neppure pensato e atteso. [...] Il desiderare è una modificazione esistenziale del progettarsi comprendente che, deietto nella gettatezza, non fa che abbandonarsi alle possibilità”.

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quella Sehnsucht che è il fondamento e la radice di tutti i singoli desideri designabili come Wünsche.

Ma si può davvero parlare di ontologia del desiderio in Bloch? E, se sì, significa qualcosa di più che una variante più o meno raffinata di wishful thinking, che non risponderebbe ai criteri di una filoso- fia rigorosa? O non vuol dire piuttosto proprio ontologia “ottativa”, cioè infondata e arbitraria, conformata su desideri alla fine non solo illusori e campati per aria, ma anche ingannevoli, perversi o almeno ben poco condivisibili? O indica forse lo stesso che metafisica della speranza? Oppure invece integra la filosofia della speranza, come un’ontologia correlata a un’antropologia?

In Bloch, come si vedrà, l’ontologia del desiderio è una “ontolo- gia utopica”, ossia interpreta l’essere (di ciò che è in divenire) come tendere verso qualcosa che è inteso come appagante ma che non è ancora determinabile nel suo contenuto, bensì solo schematicamen- te, sperimentalmente e cifratamente additabile.

Allora, però, l’ontologia del desiderio è uno sviluppo dell’antropo- logia (del desiderio), oppure quest’ultima è dedotta dalla prima? Nel primo caso potrebbe trattarsi di un’estensione indebita di categorie umane (metábasis eis állo génos); nel secondo caso di un’operazione presuntuosa e dogmatica, inattuabile o puramente postulatoria. Sono problemi che non si presentano soltanto per esplicite “ontologie” o “metafisiche del desiderio”. Anche altre concezioni filosofiche si im- battono in simili difficoltà (come si vede dalla dottrina della tendenza naturale nel platonismo e nell’aristotelismo, dalla teoria del conatus in Spinoza, dalla teoria dell’élan vital in Bergson ecc.).

3. Terminologia del desiderio

La difficoltà che si incontra a legare direttamente l’ontologia del desiderio con l’antropologia è però acuita dal fatto che il termine “desiderio”, specialmente nel tedesco Wunsch, dominante in Das

Prinzip Hoffnung, evoca qualcosa di particolarmente soggettivo e

aleatorio (un’aspirazione e/o un auspicio), che evita per principio di fare i conti con la realtà e che proprio per questo è regolarmente

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contrapposto al concetto di “realtà” effettuale (Wirklichkeit)4; deriva

anche dal fatto che il termine Wunsch non coincide certo del tutto con quello italiano di “desiderio”.

Nel tedesco moderno Wunsch è venuto a significare primariamen- te l’attività mentale dell’aspirare ad ottenere qualcosa indipendente- mente da qualsiasi ordine di valori oggettivo e nella consapevolezza che tale ottenimento non dipende (fondamentalmente) dagli sforzi di chi desidera e che la realtà oggettiva è del tutto indifferente rispetto alle aspirazioni5. Il vocabolo viene sempre più a caratterizzare un

moto dell’animo non tanto affettivamente e attivamente impegnato, quanto piuttosto risolventesi nella valutazione e raffigurazione fan- tastica, immaginaria, o anche progettuale. Wunsch (come l’inglese

wish) discende da una radice indoeuropea *uen connessa agli atti del

tendere e dell’amare, e rintracciabile, oltre che nelle lingue germani- che, anche in quelle indiane.

“Desiderio” invece deriva dalla parola latina desiderium sorta da un verbo (desiderare) dall’accezione inizialmente ristretta, lega- ta alla contemplazione o alla “con-siderazione” delle costellazioni astrali (sidera)6. Il percorso etimologico è discusso e controverso,

4 Il libro di Hanna Gekle, Wunsch und Wirklichkeit. Blochs Philosophie des Noch-

Nicht-Bewussten und Freuds Theorie des Unbewussten, Suhrkamp, Frankfurt

a.M. 1986, non è che uno tra i tanti titoli dedicati a tale ripetutissima contrappo- sizione, qui equiparata, in polemica un po’ troppo disinvolta col maestro Bloch, a quella psicoanalitica tra “principio del piacere” e “principio di realtà”. 5 Cfr. art. Wunsch e Wünschen, in J. e W. Grimm, Deutsches Wörterbuch, vol.

14.2, Hirzel, Stuttgart 1960.

6 Secondo il Lateinisches etymologisches Wörterbuch di A. Walde e J.B. Hof- mann (Winter, Heidelberg 19383, pp. 263 s.), il senso originario della parola

desiderare, modellata su considerare (osservare o abbracciare con lo sguardo

le costellazioni o una costellazione), è quello di “attendere dalle stelle o dalle costellazioni” (parallelo a quello dell’espressione de caelo auspicari). Questi autori respingono altre etimologie: sia quella che intende il desiderium come “mancanza di una costellazione favorevole” (Hartmann), sia quella che col- lega desiderare a siderari, intendendolo come “essere paralizzati dall’influs- so della costellazione del Cane” e perciò “languire, consumarsi, struggersi” (Thurneysen), sia quelle che fanno derivare desiderare dal senso primitivo di

sidus (connesso alla radice indoeuropea *svid) come “splendore, luccichio,

brillio, sguardo, occhio” e che quindi lo intendono o come “guardare verso qualcosa, seguire qualcosa con lo sguardo” (Persson), oppure come “perdere dal campo visivo, perdere di vista” e perciò “sentire la mancanza” (Müll- er). Anche il Dictionnaire étymologique de la langue latine di A. Ernout e A. Meillet (Klinsieck, Paris 1994 [rist. riveduta della IV ed. del 1959], pp. 623

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per cui è incerto se il senso originario del verbo fosse “attendere dal- le costellazioni” oppure “perdere di vista”. Comunque il significato di desiderare venne poi già nella romanità ampliato ai sensi, ben differenziati di (1) desiderare, richiedere, esigere, cercare, (2) rim- piangere o sentire la mancanza di qualcosa, (3) perdere o lamentare la perdita di qualcosa, (4) esaminare o sollevare una questione. La parola italiana ha assunto ulteriori significati e connotazioni, inglo- bando i sensi delle parole latine cupere, cupido e cupiditas, concupi-

scere e concupiscentia, appetere e appetitus, optare e optatio, votum

e persino libido. Secondo i vocabolari italiani, infatti, “desiderare” significa (1) sentire la mancanza di qualcosa o qualcuno e tendere (anche solo con l’immaginazione) a possederlo o averlo presente, (2) richiedere, esigere, (3) cercare, (4) augurare, auspicare, (5) appe- tire, tendere, aspirare a qualcosa, (6) bramare, amare, vagheggiare, agognare, anelare, (7) rimpiangere.

In Das Prinzip Hoffnung Bloch usa per lo più il termine Wunsch, ma prevalentemente per indicare i desideri singoli nonché le forme e le figure particolari di desideri7. Quando deve parlare di desiderio al

singolare, nella sua base e nella sua direzione unitaria, Bloch ricorre per lo più (oltre che all’infinito sostantivato Wünschen) o al latino

desiderium o al tedesco Sehnsucht (anelito)8.

Delle altre parole tedesche che possono corrispondere all’italiano “desiderio” Bloch usa poche volte la parola Verlangen (PH 50 [56]) che invece ha un impiego massiccio nel tedesco moderno e che in- dica il carattere di richiesta del desiderare come bisogno, ma anche come esigere imperioso e ineludibile, benché derivi dall’aggettivo

lang (lungo), come l’inglese to long for, nel senso di “allungarsi”,

protendersi verso qualcosa.

Egli adopera invece più spesso la parola Begierde, col verbo corrispondente Begehren, che ha una precisa tradizione letteraria, filosofica e teologica, nella quale si evidenziano due significati fon- damentali, correlati alle coppie di termini greci órexis ed epithumía

s.), intendendo il senso originario di desiderare come “cessare di vedere, con- statare l’assenza di qualcosa” e perciò “rimpiangerla, cercarla, desiderarla”, sembra presupporre, senza ammetterlo, il senso antico di sidus.

7 Si veda p.e. PH 12, 1172, 1616 [17, 1157, 1575]; cfr. TE 270.

8 La corrispondenza tra i due termini emerge quasi esplicitamente in PH 4-5, 6, 1628 [8, 10, 1587]; cfr. 49, 1153, 1167-1173 [55, 1138, 1152-1557]; cfr. anche 1414, 1463, 1581 [1387, 1433, 1543]; cfr. inoltre TE 245, 252 s., 258, 270.

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e dei termini latini appetitus e concupiscentia. Indica cioè, da un lato, come il tedesco Streben, un “tendere” generale e fondamen- tale (attribuibile a uomini, animali, ma anche piante e cose inani- mate) di qualcosa per ciò che è necessario alla sua conservazione nell’esistenza, dall’altro un “bramare” intenso, carnale e passionale (proprio dell’uomo, anche se spesso assimilato all’istinto animale), specialmente legato alla sfera sessuale, ma anche alle sfere del dena- ro e del potere, tale tuttavia da poter essere esteso metaforicamente fino a indicare lo slancio dell’anima bisognosa di assoluto nel suo protendersi verso Dio. Nei contesti ontologici prevale ovviamente la prima accezione.

Wunsch (col suo verbo wünschen) è il termine più usato da Bloch

per indicare ciò che più sistematicamente e senza riserve si può ren- dere normalmente con la parola italiana “desiderio” (tranne nei casi in cui significa semplicemente “augurio”)9. E tuttavia non equivale

esattamente e totalmente alla parola italiana (né alle corrispondenti francese, spagnola, inglese ecc. derivate da desiderium), perché in questa risuonano anche accezioni o componenti diverse, espresse in tedesco piuttosto da Verlangen, Begierde o Sehnsucht.

4. La forza creativa del desiderio in Spirito dell’utopia

Il tema del desiderio è legato fin da principio ai motivi caratteri- stici del pensiero di Bloch: il sogno e l’utopico (Geist der Utopie), la speranza, il futuro e il non-ancora (Das Prinzip Hoffnung). Nella prima opera fondamentale del filosofo la centralità del desiderio è sottolineata in un passo circoscritto ma nodale:

Il desiderio [Wunsch] costruisce e crea realtà, noi soltanto siamo i giardinieri dell’albero più misterioso che deve crescere. È di aiuto, per questo, la costante concentrazione onirica su se stessi, sulla propria vita più pura, più alta, sulla chiaroveggenza interiore, sulla redenzione dalla cattiveria, dal vuoto, dalla morte e dall’enigma, sul volgersi di tutte le cose verso il paradiso; sempre e dovunque – l’apocalisse è l’apriori di ogni politica e cultura che meriti questo nome. Solo questo pensante so-

9 Certo un carattere di “auspicio”, di ottativo, è essenziale ed è anzi diventato quasi prevalente nel vocabolo tedesco, mentre non è così avvertito in quello italiano.

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gno del desiderio crea qualcosa di reale, ascoltando in profondità dentro se stesso, finché sia riuscito a penetrare con lo sguardo: nell’anima, nel terzo regno dopo la stella e il cielo degli dèi, in attesa della parola, rivolto all’illuminazione di un’alta età [...] (GU1 341; cfr. GU3 216 s. [193 s.]). Che si tratti di un testo capitale, che registra un’intuizione fon- damentale di Bloch, circondandola di un alone apocalittico, mes- sianico e paracletico, è indicato anche dal fatto che egli lo colloca come motto dell’ultimo paragrafo di Das Prinzip Hoffnung (PH 1622 s. [1582]), che ricapitola la questione della speranza nel suo senso ultimo e fondante. Bloch enuncia in questo passo l’apoteosi del desiderio proprio nella sua accezione apparentemente più indi- fesa, ingenua, ossia nel senso dell’ottativo, collegandolo però, come poi avviene più sistematicamente nell’opera della maturità, con la fantasia creativa e motrice del sogno. Intuizione fantastica (antici- patrice) e energia motoria (realizzatrice) sono le due forze utopiche che Bloch evoca più volte in Geist der Utopie (per es. GU1 332) e che poi analizza (ampiamente ed enfaticamente) in un saggio del 192210. Nel testo del 1918 il sogno del desiderio è evocato però nella

sua concentrazione sul suo nocciolo ultimo ancora quasi del tutto nascosto, nella sua direzione escatologica da riscoprire nel proprio intimo. Ciò non significa che debba rimanere soltanto interiore. La via verso l’interno passa anzi anche, e in prima e durevole istanza, attraverso l’esterno; questo Bloch lo riconosce anche in Geist der

Utopie, solo sottolineando la necessità di non disperdersi e non la-

sciarsi ammaliare e imprigionare dalla parvenza di questo esterno. Vi è in questo libro forse soltanto un’altra frase, meno procla- matoria, meno esposta, da cui traspare la forza traente del deside- rio, questa volta convogliata e attivata attraverso il pensiero; ma qui Bloch usa un altro vocabolo, Sehnsucht:

Il pensiero può così diventare la parola chiave con cui l’anima por- tatrice di Dio si dischiude il suo sogno, il sogno del presentimento [Ah- nung], che sarà da ultimo la verità del mondo intero. Perciò, alla fine, noi stessi, pensando la sofferenza e l’anelito, entriamo così nel nostro specchio interiore (GU1 444; cfr. GU3 344 [317]).

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In primo piano è il pensiero interiormente oltrepassante, ma que- sto acquista forza risolutiva solo assumendo come oggetto e sostan- za il sogno, l’anelito, il presentimento, partendo dalla sofferenza di cui sono la negazione e di cui additano un superamento. Il desiderio è evocato come anelito, ma il suo accostamento al sogno e al presa- gio interiore è un indizio certo del rimando implicito anche ai con- cetti di Wunsch e di speranza.

5. Fenomenologia del desiderio nel Principio speranza

Nell’opera fondamentale della maturità di Bloch, Das Prinzip

Hoffnung, il desiderio (Wunsch) è trattato pressoché ad ogni pagina

ed è il tema stesso dell’opera, che illustra il “principio speranza” at- traverso l’analisi delle “immagini del desiderio” (Wunschbilder) che alimentano la speranza umana e che tentano di dare figura e realiz- zazione al suo principio: “Il tema delle cinque parti di questa opera [...] sono i sogni di una vita migliore” (PH 9 [14]), le “raffigurazioni della vita migliore desiderata, anticipata” (PH 12 [17]).

Tuttavia “desiderio” non si identifica con “speranza”. Non si spe- ra tutto ciò che si desidera, perché si può desiderare anche ciò che è impossibile (e perfino ciò che si giudica tale), ma non sperarlo. Dun- que il desiderio è la base della speranza, mentre la speranza implica una cognizione (almeno presuntiva) circa le condizioni di adempibi- lità di ciò che è desiderato.

Per capire la possibilità, il significato e la legittimità di un’ontolo- gia del desiderio in Bloch è necessario, comunque, passare attraver- so la fenomenologia (antropologica) e l’ermeneutica (culturale) del desiderio, che egli sviluppa in questo libro. Certo quella che Bloch presenta nella seconda parte è solo una piccola fenomenologia del