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La Direttiva 2005/29/Ce è stata attuata in Italia mediante i Decreti Legislativi n. 145 e 14666 del 2 agosto 2007 – in vigore dal 21 settembre 2007.

L’impianto normativo della direttiva ha imposto, in sede di recepimento, una soluzione tecnica specifica per scongiurare il rischio di confusione tra i diversi destinatari delle disposizioni; ovvero, viene prevista l’adozione di due distinti, ma paralleli, decreti legislativi sulla base della medesima delega accordata dalla legge comunitaria.

Da un lato, con il d.lgs. 146/2007, il legislatore nazionale recepisce la direttiva sulle pratiche commerciali sleali tramite la modifica degli artt. 18-27 Codice del Consumo, introducendo altresì gli artt. 27 bis, ter e quater, dall’altro, con un differente d.lgs., recepisce l’articolo 14 della direttiva stessa e le relative modifiche sulla pubblicità ingannevole. Da siffatta impostazione scaturisce un nuovo contesto normativo nel quale la disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa – applicabile esclusivamente per i rapporti tra imprese come autonomo corpus di norme - è stata espunta67 dal

Codice del Consumo e spostata - con le modifiche resesi necessarie per adattarla al testo comunitario - nel d.lgs. 145/0768.

Ai fini del presente elaborato ci soffermiamo sul d.lgs. 146/07, il quale, con l’art. 1 ha integralmente sostituito i contenuti del Titolo III della Parte II del Codice del Consumo - oggi ospitante sia le disposizioni attuative degli artt. 1- 13 della Direttiva 2005/29/Ce sia la riproduzione del contenuto dell’allegato I (la c.d. lista nera).

Da segnalare come le disposizioni inserite nel Codice siano pedissequamente equipollenti a quelle della direttiva; solo alcuni aggiustamenti terminologici son stati apportati al fine di consentire un migliore inserimento della nuova normativa all’interno dell’ordinamento nazionale ad esempio, il termine

66 Entrambi introdotti sulla base della legge delega del 25 gennaio 2006, n. 29, relativa alle “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle comunità europee”, la cd. Legge comunitaria 2005. 67 C. GRANELLI, Il codice del consumo a cinque anni dall’entrata in vigore, in

Obbl.contr., 2010, p. 731, per l’A. la scelta di espuntare la disciplina della pubblicità

ingannevole dal codice del consumo si è rilevata opportuna e pone rimedio ad una “frattura” evidenziata da diversi commentatori riguardo a una normativa non

direttamente finalizzata alla tutela del consumatore.

68Recante la disciplina di recepimento della direttiva 84/450/Ce, come modificata dalla direttiva 97/55/Ce e dall’art 14 della direttiva 2005/29/Ce (oggi peraltro abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/114/Ce).

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“pratiche commerciali sleali” è stato sostituito con quello di “pratiche commerciali scorrette” per evitare una possibile confusione con la disciplina in materia di concorrenza sleale dagli artt. 2698 e ss del codice civile.69

A suscitare qualche perplessità è stato l’inserimento della modifica in questa parte del Codice dal momento che la nozione stessa di “pratica commerciale” include qualsiasi condotta rivolta a promuovere l’acquisto di beni o servizi offerti a consumatori o comunque connesso a contratti stipulati (o da stipularsi) da professionisti con consumatori, la sede più corretta - sotto un profilo sistematico e contenutistico delle nuove norme - sarebbe stata senz’altro la Parte III del Codice del Consumo intitolata “il rapporto di consumo”.70

L’opzione adottata dal legislatore italiano è stata infatti ritenuta da parte della dottrina errata e fuorviante71 giacché non coerente con i restanti contenuti

della Parte II, la quale impone ai professionisti un insieme di regole di condotte che attengono esclusivamente alla fase che precede la stipulazione di contratti con i consumatori; laddove, per contro, sappiamo che le disposizioni 2-13 della direttiva si applicano a qualsiasi pratica commerciale posta in essere anteriormente, contestualmente o anche posteriormente alla instaurazione di rapporti contrattuali. 72

Si è osservato in dottrina che la collocazione nella Parte III avrebbe trovato altresì supporto nella formulazione dell’art 39 del Codice del Consumo, il quale sancendo che «le attività commerciali sono improntate al rispetto dei

69Peraltro è stato osservato in dottrina che, qualora l’intento sia stato esclusivamente prevenire possibili ambiguità, la scelta del legislatore non sia stata particolarmente felice: ciò perché, da una parte, l’art. 2598 c.c. fa comunque riferimento al criterio della correttezza professionale, e dunque il termine “scorrette” non elimina le potenziali sovrapposizioni; dall’altra parte, perché all’interno del consumo le locuzioni “lealtà” e “correttezza” vengono usate a volte isolatamente, a volte congiuntamente, senza che sia possibile individuare un profilo di demarcazione netto tra le due. Cfr. GUERINONI E., Le pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e

rimedi, Giuffré, 2010, p. 96, nota 10.

70 P. BARTOLOMUCCI, L’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali

scorrette e le modifiche al codice del consumo, in Rass. dir. civ, 2008, p. 273.

71 Sul punto si veda la posizione discordante di U. Troiani in, La nuova

disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Consumatori, Diritti e Mercato n.

3/2007, Argomenti, e L. ROSSI CARLEO, Dalla comunicazione commerciale alle

pratiche commerciali sleali, in AA.VV., Le pratiche commerciali sleali, Giuffrè,

2007.

72 G. DE CRISTOFARO, L’attuazione della direttiva 2005/29/Ce nell’ordinamento

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principi di buona fede, di correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie dei consumatori» avrebbe potuto operare da copertura alle pratiche commerciali scorrette, superando la parvenza di precontrattualità e valorizzando le esigenze generali della direttiva.

E’ possibile che siffatta collocazione sia stata influenzata dalla scelta del legislatore interno di accogliere una visione prettamente “pubblicistica” della disciplina comunitaria mentre la Parte III del codice reca un insieme di norme di stampo squisitamente privatistico.

Parimenti emblematico è la mancata innovazione contenutistica al codice civile, alla legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633), o al codice della proprietà intellettuale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n.30) e l’assenza di disposizioni, in questi e nel Codice del Consumo, di apposite disposizioni di coordinamento e di raccordo. Tali normative continueranno a trovare piena applicazione, ai sensi dell’art. 27 quindicesimo comma, che fa «comunque salva la giurisdizione del giudice ordinario» nelle suddette materie.

Ad avviso della dottrina, qualora dovessero verificarsi conflitti tra le disposizioni degli artt. 18 ss Codice del Consumo e le disposizioni “speciali” già vigenti nel nostro ordinamento – in assenza di espresse disposizioni in tal proposito – essi debbono essere risolti dando la prevalenza alle norme generali del Codice del Consumo, relative alle pratiche commerciali scorrette, alla luce dell’armonizzazione completa propugnata dalla direttiva.

Il Titolo III, Parte II del Codice del Consumo si suddivide così in 3 capi: il capo primo (artt. 18-19) rubricato “Disposizioni generali” fornisce le definizioni dei termini principali necessarie per l’interpretazione delle disposizioni successive e chiarisce lo scopo della normativa sulle pratiche commerciali scorrette ed il suo rapporto con le altre discipline di confine; il capo secondo (artt. 20-26), “Pratiche commerciali scorrette” contiene la disciplina sostanziale e riproduce –sostanzialmente inalterata- la “Black

List”; il capo terzo (artt. 27- 27 quater), nominato “Applicazione”, racchiude

le disposizioni relative ala disciplina procedimentale e sanzionatoria di fronte all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

L’attuazione della direttiva 2005/29/Ce è stata completata con il d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221 mediante l’integrazione del corpus normativo già

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definito da d.lgs. 206/2005 e dal d.lgs. 146/2007; il provvedimento, infatti, ulteriormente inserisce un elenco di diritti “fondamentali” riconosciuti ai consumatori e agli utenti, quale ad esempio, il diritto all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà ex art. 2, secondo comma, lett c) bis.

Un’ultima modifica significativa in materia è avvenuta nel 2012 quando - con l’art 7 d.l. 24 gennaio n.1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27 - è stato esteso il divieto di pratiche commerciali scorrette, oltre che ai rapporti tra professionisti e consumatori, anche a quelli tra professionisti e “microimprese”73. La novità, come riconosciuto dalla

dottrina, deriva dall’evoluzione delle tecniche di marketing le quali sono così avanzate da comportare uno scarto informativo non soltanto tra professionista e consumatore, ma anche tra il “grande” e il “piccolo” professionista. L’obiettivo è dunque proteggere non tanto il contraente debole, quanto il “contattato debole”. 74

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