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Le pratiche commerciali sleali nell'era digitale: tra diritto dei consumatori e tutela della concorrenza.

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in

Giurisprudenza

Le pratiche commerciali sleali

nell’era digitale:

tra diritto dei consumatori e tutela

della concorrenza

Il candidato Il relatore

Marta Bianchi Chiar.mo Prof.sse

Simone Marinai

(2)

!

!

!

!

!

Ai miei genitori,

il mio porto sicuro.

(3)

,, Es soll nicht genügenm

daß man Schritte tue,

die einst zum Ziele führen,

sondern jeder Schritt soll Ziel sein

und als Schritt gelten“

«Non è abbastanza fare dei passi

che un giorno ci porteranno ad uno scopo,

ogni passo deve essere lui stesso uno scopo,

nello stesso tempo in cui ci porta avanti».

(4)

3

INDICE

Introduzione

CAPITOLO PRIMO

La normativa dell’Unione Europea in materia di pratiche commerciali

sleali e la sua attuazione a livello interno

1. La disciplina delle pratiche commerciali sleali in funzione della

realizzazione del mercato interno ……….………… 5

2. La direttiva n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali: la

ratio e gli obiettivi della direttiva ……….…………. 6

2.1 L’ambito di applicazione ……….…. 10

2.2 I rapporti tra la tutela dei consumatori e la materia della

concorrenza ………...……. 14

2.3 Il parametro del consumatore medio ……….…...… 18

2.4 Il divieto generale di pratiche commerciali scorrette ...… 20

2.5 Le pratiche commerciali ingannevoli ………...…… 22

2.6 Le pratiche commerciali aggressive ……….… 24

2.7 La Black List………..……...…………. 27

2.8 L’applicazione della direttiva ad oggi ……….….… 27

3. L’attuazione della direttiva in Italia ………...………… 29

4. L’attuazione della direttiva negli ordinamenti di altri Stati

membri ……….. 32

4.1 Germania ……….……. 33

4.2. Austria ………. 39

4.3. Francia ………...…….. 40

4.4. Olanda ……...….. 41

4.5. Spagna ………...……….. 42

4.6. Regno Unito ……… 43

5. Le modifiche apportate dalla direttiva n. 2005/29/CE alla

disciplina sulla pubblicità ingannevole e comparativa …………. 44

6. La direttiva n.2006/114/CE relativa alla pubblicità ingannevole e

comparativa ……….………. 47

CAPITOLO SECONDO

Pratiche commerciali sleali nell’era di Internet

1. Internet e commercio elettronico ………..……….. 49

(5)

4

1.2. Le proposte e gli interventi a livello internazionale ….... 54

1.3. L’approccio dell’Unione Europea ………..………. 57

1.3.1. La direttiva n. 2000/31/Ce …………...………. 58

1.3.1.1. Disposizioni generali …………...….. 61

1.3.1.2. Gli obblighi informativi ………….… 64

1.3.1.3. I contratti in via telematica:

eContracts ...…. 67

1.3.2. Osservazioni conclusive ed interventi di

riforma ………...………. 70

1.3.3. The Digital Single Market ……… 72

2. Pratiche commerciali ingannevoli sul web

2.1. Il Buzz marketing e l’Astroturfing ………...…… 11

2.2. Cybersquatting o Domain crabbing ……… 11

2.3. Il linking ed il framing ……….… 11

2.4. ll meta-tag ………...…. 11

2.5. Il Keyword Advertising ………...……...….. 11

3. Pratiche commerciali aggressive sul web

3.1. La pubblicità aggressiva …………...……...……… 94

3.2. Unsolicited commercial communications, Spamming,

Phishing ……….………. 96

2.3. Mousetrapping ………..……. 100

CAPITOLO TERZO

Gli strumenti di tutela nei confronti delle pratiche commerciali

scorrette ………..

1. La responsabilità degli Internet Service Provider ………….... 102

2. L’individuazione del foro giurisdizionale competente ……… 109

3. L’individuazione della legge applicabile ………...…

119

4. (Cenni) I rimedi avverso le pratiche commerciale sleali ….… 124

RINGRAZIAMENTI

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

(6)

5

INTRODUZIONE

L’avvento di Internet ha rappresentato una rivoluzione epocale per la

società contemporanea, influenzando in modo significativo la vita

quotidiana di ognuno di noi, divenendo teatro di cambiamenti nel

tessuto sociale, economico e, ai nostri fini, naturalmente, giuridico.

Obiettivo del presente lavoro è quello di esaminare fattispecie

commerciali sleali nuove, o meno nuove ma tutt’oggi di controversa

configurazione, legate alla realtà digitale, nell’ottica altresì di

individuare la disciplina giuridica che meglio ad esse si può

conformare.

La Rete solleva questioni giuridiche inedite che, talvolta, necessitano

di strumenti di regolazione plasmati ad hoc, mentre, in altri casi,

possono trovare una potenziale soluzione attraverso l’applicazione

delle tradizionali regole rivisitate, oppure mediante la rivisitazione

delle regole tradizionali.

L’utilizzo della Rete quale strumento di interazione tra consumatore e

professionista ridisegna, difatti, il tradizionale itinerario che conduce

alla formazione delle scelte di acquisto lasciando emergere nuove e

peculiari esigenze di protezione. In quest’ottica non possiamo

prescindere dall’analizzare e dal tentare di inquadrare sotto il profilo

giuridico tutte le nuove tecniche di condizionamento delle scelte di

consumo che, compiute online, non si prestano ad essere disciplinate

da norme che hanno un ambito di applicazione meramente territoriale.

Alla luce delle caratteristiche di Internet quali, la globalità, la

immaterialità e la delocalizzazione, risulta evidente l’impossibilità di

leggere, e quindi di affrontare, le peculiari problematiche che lo

connotano con i soli “occhiali” dello ius territoriale. Non potendosi

tuttavia considerare zona franca, la soluzione che meglio si attaglia al

particolare settore è l’ambito del diritto comunitario ed internazionale.

(7)

6

In questa direzione si procederà dunque in primis ad analizzare la

normativa dell’Unione europea in materia di pratiche commerciali

sleali, la quale è mirata a tutelare il consumatore a fronte di

comportamenti subdolamente manipolatori che alterano la sua capacità

di autodeterminazione, imponendogli così l’accettazione acritica di una

scelta commerciale precostituita, che non avrebbe altrimenti posto in

essere o che avrebbe compiuti a condizioni diverse.

Nell’ambito della Strategia sul Mercato Unico Digitale la

Commissione Europea ha pubblicato i nuovi orientamenti in materia,

sull’onda dei sempre più numerosi interventi della giurisprudenza della

Corte di giustizia e degli organi giurisdizionali nazionali, relativi

all’applicazione della direttiva 2005/29/CE, che confermano l’attualità

del suo portato normativo a dodici anni dalla sua emanazione. Difatti,

alla luce della sua duttilità interpretativa e il suo ampio ambito di

applicazione, la direttiva risulta essere potenzialmente atta a prevenire

ex ante e a reprimere ex post l’insorgenza di tutte quelle nuove subdole

strategie imprenditoriali, offline ed online, perfezionate al fine di

coartare la libera volontà del consumatore.

1

Il corpus normativo della

direttiva si rivela dunque la base giuridica essenziale per garantire e

promuovere l’equità e la lealtà nella nuova realtà digitale e, in

particolare, nel commercio elettronico. Emerge infatti con tutta

evidenza come, nella ragnatela di Internet, si renda indispensabile

garantire il rispetto dei valori meritevoli di protezione quali la

correttezza, la diligenza professionale e la trasparenza, nelle relazioni

commerciali tra professionisti e consumatori.

L’imposizione di tali obblighi in capo al professionista, mira a

rafforzare la fiducia del consumatore, creando così un indubbio

1 Documento di lavoro dei Servizi della Commissione, del 25 aprile 2016, SWD(2016) 163 finale, Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva

20006/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali, che accompagna la

comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle regioni, Un approccio globale per

stimolare il commercio elettronico transfrontaliero per i cittadini e le imprese in Europa.

(8)

7

beneficio per l’intero mercato, in quanto, secondo la teoria classica dei

mercati efficienti, il consumatore informato e consapevole allocando

efficacemente le sue risorse economiche favorisce la concorrenza.

Risulta dunque evidente come il percorso normativo compiuto dalla

tutela della weaker party prospetti altresì un ontologico profilo di

incentivo alla dinamica concorrenziale, in una sintesi che si affida al

fair trading. In quest’ottica la tutela avverso le pratiche commerciali

sleali costituisce il luogo di sintesi possibile tra la tutela del mercato e

la tutela del consumatore.

Con la straordinaria diffusione di Internet e la realizzazione delle c.d.

“superstrade dell’informazione”, una nuova sfida si è aperta per gli

operatori del diritto: tentare di risolvere i problemi giuridici derivanti

da codesta rivoluzione tecnologia con gli strumenti normativi

predisposti e pensati per una realtà diversa e superata, in attesa,

eventualmente, di interventi correttivi ed innovativi ad opera del

legislatore.

(9)

8

CAPITOLO I

La normativa dell’Unione Europea in materia di pratiche commerciali sleali e la sua attuazione a livello interno

1 La disciplina delle pratiche commerciali sleali in funzione della realizzazione del mercato interno

Al fine di garantire la protezione degli interessi dei consumatori e di assicurare la realizzazione del mercato interno2 dell’Unione Europea, rimuovendo gli ostacoli al c.d. cross border trade, il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno adottato la direttiva relativa alle “pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno” (Unfair commercial

practices directive).3

2 Secondo C. BRÖMMELMEYER, Der Binennmarkt als Leitstern der Richtlinie

über unlautere Geschäftspraktiken, in Gewerblicher Rechtsschutz – und Urheberrecht, 2007, p. 296, la direttiva pur essendo dichiaratamente rivolta a tutelare

gli interessi economici dei consumatori, è pur sempre frutto dell'esercizio della competenza di cui all'art 95 del Trattato, sicché l'obiettivo principale rimane pur sempre il mercato interno; Cfr. H. COLLINS, The unfair commercial practices

directive, cit. p.418 per il quale la direttiva «would have as its twin objectives both to enhance the confidence of consumers in making cross-border transactions, and to eliminate differences in national law that may discourage businesses from exploring the full potential offered by the single market», consultabile al sito:

http://eprints.lse.ac.uk/23465/1/Collins_Unfair-commercial-practices-directive_2005.pdf ; Cfr. il «considerando» n.3 della Direttiva in esame. Per una panoramica sull’argomento del presente elaborato si veda: J. VELENTZAS, G. BRONI, E. PITOSKA, Unfair commercial practices on marketing-advertising and

consumer protection in EU Member States, in Procedia economics and finance, n. 1,

2012, pp. 411-420; W. H. VAN BOOM, Unfair Commercial Practices, in Research

Handbook on EU Consumer and Contract Law (Research Handbooks in European Law series), (a cura di) C. TWIGG-FLESNER, Edward Elgar 2016, pp. 388-405; W.

VAN BOOM W, A. GARDE, O. AKSELI, Introduction to 'The European Unfair

Commercial Practices Directive', in The European Unfair Commercial Practices Directive - Impact, Enforcement Strategies and National Legal Systems, Ashgate,

2014, pp. 1-18, disponibile al sito:

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2510837.

3 Direttiva 2005/29/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'11 maggio 2005, in G.U.C.E L 149/22, pp. 22- 39, modifica la direttiva 84/450/Cee del Consiglio e le direttive 97/7/Ce, 98/27/Ce e 2002/65/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio e il regolamento Ce n. 2006/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio (direttiva sulle «pratiche commerciali sleali»), essa da seguito alle considerazioni svolte della Commissione Europea con il “Libro Verde” 2001 sulla tutela dei consumatori (in COM(2001) 531 def.; v. anche il «Seguito dato al Libro Verde sulla tutela dei consumatori nell'UE», in COM(2002) 289 def. Per un'accurata ricostruzione dell'iter di adozione della direttiva si veda L. DI MAURO, L’iter normativo: dal libro verde

sulla tutela dei consumatori alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, in E.

MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di) Le pratiche commerciali sleali –

(10)

9

L’intervento comunitario trova la sua base giuridica nell’ex art. 95 Ce (oggi, art. 114 TFUE), volto a consentire l’instaurazione e il buon funzionamento del mercato – quale spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi, ai dell’art. 14 Ce - mediante il ravvicinamento delle disposizioni legislative dei singoli Stati membri. La direttiva, in controtendenza rispetto alle precedenti normative, si pone come un provvedimento di armonizzazione “massima”, volta alla realizzazione di una piena e completa identità delle regole in materia di pratiche commerciali sleali. In virtù ciò, risulta comprensibile il mancato richiamo all’art. 159 CE. Difatti, l’art. 159, par. 1, non impedisce ai singoli Stati membri di mantenere o introdurre misure di protezione dei consumatori più rigorose. Al fine, dunque, di prevenire il sorgere di un’incompatibilità tra la direttiva e il Trattato Ce, il legislatore europeo ha collocato la nuova disciplina esclusivamente nel quadro di realizzazione del mercato.

2 La ratio e gli obiettivi della direttiva 2005/29/Ce

La direttiva 2005/29/Ce fornisce un quadro uniforme in materia di pratiche commerciali sleali ed è stata concepita quale strumento indispensabile a perseguire la rimozione, o quantomeno riduzione, degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del mercato interno.

La direttiva è contraddistinta da un ambito di applicazione ratione materiae particolarmente esteso, risultando idonea a disciplinare l’eterogeneità delle fattispecie che si sviluppano parallelamente all’evoluzione dei mercati. L’aspirazione della direttiva risulta essere trasversale, in quanto, da un lato, si rivolge alla tutela degli interessi economici dei consumatori e, dall’altro, dirige la sua attenzione alla concorrenza del mercato unico affinché questi due aspetti convivano e interagiscano in costante equilibrio ed in funzione del raggiungimento di un’economia di mercato efficiente e pluralista capace di realizzare un mercato comunitario perfettamente integrato.

Entrando in medias res nella materia, lo scopo della direttiva è enunciato nell'art 1: essa «intende contribuire al corretto funzionamento del mercato

WEATHERILL e U. BERNITZ, The regulation of unfair commercial practices

under the EC Directive 2005/29, Oxford and Portland, Oregon, Hart Publishing,

2007, pp. 33 ss; C. WILLET, Fairness and consumer decision making under the

(11)

10

interno e al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori4

mediante l'armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e

amministrative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori».

L’obiettivo di tale direttiva è dunque, in primo luogo, quello di realizzare un’armonizzazione massima (target full harmonization)5 tra le normative

nazionali in materia di pratiche commerciali lesive degli interessi dei consumatori, costituendo negli Stati membri un livello adeguato di certezza del diritto e un regime uniforme6, identico e non derogabile, neppure a favore degli stessi consumatori.

In secondo luogo, si propone di disciplinare l’atto del consumo nel suo aspetto dinamico, ovvero quella fase in cui il professionista instaura un contatto con il consumatore al fine di sollecitarne l’interesse alla conclusione di una data scelta commerciale.

Emerge ictu oculi come, a differenza di altre direttive, in questo caso non sia presente la c.d. “clausola minima” la quale riserva agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere norme più rigorose atte a garantire ai consumatori un maggiore livello di tutela rispetto a quello previsto dalla normativa comunitaria.

L’armonizzazione piena delle legislazioni nazionali e la creazione di un quadro giuridico comune a tutti gli Stati membri sono da ritenersi gli

4 V. sentenza del 23 aprile 2009, VTB-VAB e Galatea, C-261/07 e C-299/07, in

Racc., pp. I-2949, punto 51.

5 In particolare nel «considerando» n. 14 si parla di armonizzazione piena, nel «considerando» n.15 di armonizzazione completa, onde non è consentito ai legislatori nazionali discostarsi dalle disposizioni della Direttiva, nemmeno per aumentare il livello di tutela dei consumatori; Cit. BROGGIATO “Target full

harmonization”, La direttiva n.2005/29 «sulle pratiche commerciali sleali», in Dir. Bancario, 2006, II, 23. Dottrina unanime sul tema: fra i molti v. T. LETTL, Wettbewerbsrecht, Verlag C.H. Beck, München, 2013, p.10; KÖHLER e LETTL, Das geltende europäische Lauterkeitsrecht, der Vorschlag für eine Richtlinie über unlautere Geschäftspraktiken und die UWG-Reform, in WRP, 2003, cit., p. 789;

FEZER, Plädoyer für eine offensive Umsetzung der Richtlinie, cit. p. 1320; STUYCK, TERRYN e VAN DYCK, Confidence through fairness? The new

directive on unfair businnes-to-consumer commercial practices, cit., p. 115;

TWIGG-FLESSNER, The EC Directive on Unfair Commercial Practices and

domestic consumer law, in L.Q.R., 2005, p. 387 ss; BERNITZ, The Unfair Commercial Practices Directive: Its Scope Ambitions and Relation to the law unfair competition, in AA.VV. The regulation of unfair commercial practices under EC Directive 2005/29. New rules and new techniques, a cura di WEATHERULL e

BERNITZ, cit., p.231, 2007.

(12)

11

strumenti più idonei per promuovere le negoziazioni transfrontaliere. Da un lato, infatti, i consumatori vengono incoraggiati ad acquistare beni o servizi offerti da imprenditori aventi sede in Stati diversi da quello in cui risiedono. Dall’altro, le imprese sono stimolate ad offrire beni e servizi anche ai consumatori residenti in altri Stati Membri e, grazie ai principi e regole comuni, senza dover affrontare i costi e i rischi connessi alle differenze nazionali.7

In tal senso sostituendosi, con un unico insieme di norme, alle divergenti normative degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali la direttiva 2005/29/Ce semplifica il quadro regolamentare.

Nella sua struttura c.d. a piramide8, la direttiva in esame propone in primis di imporre agli imprenditori di tutti gli Stati appartenenti all’Unione Europea un divieto generale di pratiche commerciali sleali, lesive degli interessi economici dei consumatori (ai sensi dell'art 5 par.1). In secondo luogo, individua un rigoroso sistema di valutazione della pratica “sleale”, al fine di fornire parametri uniformi in applicazione dei quali una pratica commerciale lesiva degli interessi dei consumatori può e deve essere considerata sleale (artt. 5-9). Infine, affida ai singoli Stati Membri il compito di predisporre mezzi e strumenti congrui per prevenire, contrastare e sanzionare le condotte tenute in violazione di tal divieto (artt. 11-13).

Ai professionisti operanti nell’Unione non vengono imposti obblighi di contenuto positivo bensì un divieto generale, tramite l’individuazione precisa di elementi dalla cui integrazione scaturisce la slealtà della pratica commerciale.9 Imporre tale divieto non significa imporre al mercato una costrizione, ma solo ripristinare il corretto funzionamento dell’incontro tra domanda ed offerta.

7 Cfr. il «considerando» n. 11 e 12 Direttiva 2005/29/Ce.

8 La struttura della direttiva in esame è stata spiegata ricorrendo alla figura della

struttura piramidale, ovvero, “a cerchi concentrici”, in quanto, dettato un divieto generale delle pratiche sleali, fa seguire i divieti delle pratiche ingannevoli e di quelle aggressive, prevedendo infine due Black Lists dipratiche, ingannevoli e aggressive per se. Così, M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari

nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contratti e impresa, 2009, p.

73.

9 Cfr. la Relazione alla Proposta di direttiva presentata dalla Commissione il 18 Giugno 2003, cit. (par. n. 30) che «la direttiva […] non impone alcun obbligo positivo che un professionista deve rispettare per dimostrare il carattere leale dei suoi comportamenti […] una maggiore certezza del diritto può essere conseguita definendo ciò che è sleale piuttosto che ciò che è leale».

(13)

12

E' considerata sleale ogni pratica commerciale tra imprese e consumatori10

contraria alle norme di diligenza professionale11 che falsi, o sia idonea a falsare, in misura rilevante12 il comportamento economico, in relazione al

prodotto, del consumatore medio13 che raggiunge o al quale è diretta.

E' necessario precisare che, tuttavia, tale divieto generale costituisce una norma residuale14, dal momento che, nella maggioranza dei casi, le pratiche

sleali ricadono in una delle due categorie descritte dalla direttiva come ingannevoli, ai sensi degli artt. 6 e 7, o aggressive, alla luce degli artt. 8 e 9. La diade delle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive risponde alle esigenze del legislatore europeo di dare un ordine sistematico al contenuto precettivo della direttiva.

Inoltre il I° allegato della direttiva 2005/29/Ce contiene la c.d. “black list” di pratiche commerciali considerate, in ogni caso, sleali e pertanto vietate in tutti gli Stati Membri. La scelta di semplificare il quadro designando un elenco di pratiche da considerarsi iuris et de iure sleali è funzionale non solo a fornire maggiori garanzie di certezza sul piano del diritto, ma anche a facilitare il consumatore nell’individuazione delle fattispecie concrete vietate.15

10 Nozione amplissima (denominate in seguito come «pratiche commerciali») che trova la sua definizione nell'art 2, lett. d), Dir 2005/29/Ce: «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori».

11 Definito all'art 2, lett. h), Dir.2005/29/Ce, come: «rispetto a pratiche di mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di attività del professionista, il normale grado della speciale competenza e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori».

12Definito all'art 2, lett e), Dir. 2005/29/Ce: «l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».

13 v. infra par. 1.3.1.

14 Cfr. BARTOLOMUCCI, La proposta di direttiva sulle pratiche commerciali

sleali: note a prima lettura, in Contratti, 2005, p.958; GUERINONI, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Prime note, in Contratti, 2007, p. 175; così anche

ABBAMONTE, The unfair commercial practices directives and its general

prohibition, in AA.VV., The regulation of unfair commercial practices under EC directive 2005/29. New rules and new techniques, a cura di WEATHERILL e

BERNITZ, Oxford e Portland, 2007, p. 20 e ss.

15v. M. DONA, in AA.VV., Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria

ed ordinamento italiano, a cura di E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO, Giuffrè,

(14)

13

La disciplina in esame, in sostanza, attraverso un controllo di lealtà su attività e atti, teso a contrastare l’emersione di pratiche scorrette, rafforza la responsabilità d’impresa, positivizzando e imponendo al professionista, tutta una serie di comportamenti, il più possibile virtuosi, specifici obblighi di

disclosure e precisi doveri di correttezza di quelle condotte poste in essere nei

confronti dei consumatori, sì da evitare, nelle intenzioni del legislatore europeo, quelle situazioni di asimmetrica informazione, causa principale dello svantaggio dei consumatori e di crisi dell’intero funzionamento del mercato. Attraverso tale normativa dunque si dettano «insieme di regole che garantiscono non solo di disporre di informazioni veritiere e corrette, ma di agire, altresì in un mercato libero da pressioni e condizionamenti esterni»16.

2.1 L’ambito di applicazione

Discostandosi dalla tendenza seguita in precedenza dalle Istituzioni dell’Unione europea, la direttiva 2005/29/Ce adotta un approccio “orizzontale”, offrendo un contenuto generale alla disciplina delle pratiche commerciali sleali riveste natura di framework (ovvero, quadro17) e disciplina l’intera gamma di operazioni commerciali tra imprese e consumatori.

La nozione che definisce l’oggetto e il campo di applicazione della direttiva emerge dal combinato disposto degli artt. 2 lett. d) e 3, primo comma. L’art. 2, lett. d) statuisce che per pratica commerciale si intende «ogni azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresi il marketing e la pubblicità, posta in essere da un professionista e direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori». Recentemente la Corte di giustizia ha inoltre esteso, in assoluta controtendenza al passato, la nozione di pratica commerciale anche ad episodi isolati e rivolti ad un unico consumatore.18 I giudici hanno infatti

sostenuto che la direttiva 2005/29/Ce non fissa alcuna soglia, in termini di frequenza o di numero di consumatori, superata la quale un atto o

16 S. TOMMASI, Pratiche commerciali scorrette e disciplina dell’attività negoziale,

Bari, Cacucci, 2012, p. 72.

17 Volta cioè ad intervenire in maniera sussidiaria e trasversale sulle fattispecie oggetto di regolamentazione. Tecnica giuridica peraltro confermata dalla Commissione Europea nel suo Libro Verde sulla revisione del Consumer Acquis (COM 2006, 744, finale, 8 febbraio 2007).

18 Pronuncia della Corte di giustizia del 16 aprile 2015, causa C-388/13, Nemzeti

(15)

14

un’omissione dovrebbe rientrare nella sfera di applicazione della direttiva medesima.

Ai sensi l’art. 3, primo comma, rientrano nella disciplina della direttiva tutte le pratiche commerciali che possono essere poste in essere «prima, dopo o durante un’operazione commerciale relativa ad un prodotto». Ciò permette di valutare le pratiche commerciali nella loro globalità, riconducendole ad una fattispecie che, in precedenza, non era stata considerata in ambito comunitario e che si sostanzia nel rapporto di consumo.

Si può affermare con decisione che la categoria della pratica commerciale abbraccia, non soltanto tutte le condotte strettamente funzionali alla conclusione dei contratti di vendita di beni o di svolgimento di servizi, ma anche tutte le azioni ed omissioni che, in maniera diretta o indiretta, possono influenzare la libertà di scelta del consumatore medio entrato anche solo potenzialmente in contatto con il professionista, a prescindere dalla stipulazione o meno di un contratto.19 La prospettiva dunque si sposta, ponendo l’accento non più sull’atto negoziale bensì sull’attività intesa come fenomeno tramite il quale gli operatori del mercato compiono le loro scelte commerciali.20

L’art. 3 sembra una connessione tra tali pratiche commerciali e il diritto dei contratti, sebbene in realtà ciò sia escluso nel terzo comma del medesimo articolo e dal «considerando» n. 6 21.

Tenendo in considerazione la natura generale della direttiva sorge la necessità di coordinarne il regime con le regole speciali contenute nelle direttive di settore. A tale proposito, l’art 3, quarto comma, sancisce il principio lex

specialis derogat generali, ossia la inapplicabilità della direttiva 2005/29/Ce

in presenza di disposizioni di diritto comunitario di natura “settoriale” incompatibili con i suoi contenuti.

Gli Stati membri sono autorizzati ai sensi dell’ottavo comma dell’art 3 a mantenere e/o introdurre, in materia di “professioni regolamentante” –ex art 2, lett l) - norme interne recanti requisiti particolari per lo stabilimento o per i

19 G. SCOGNAMIGLIO, Le pratiche commerciali scorrette: disciplina dell’atto e

dell’attività, in Nuovo diritto delle società, 2010, pp. 8 ss.

20 L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente:

funzionamento e sintesi della disciplina delle pratiche scorrette, in Europa diritto privato., 2010, pp. 685 ss.

(16)

15

regimi di attuazione, codici deontologici o altre regole speciali purché finalizzate al mantenimento di livelli elevati di integrità dei professionisti e conformi al diritto comunitario vigente. E’ consentito altresì agli Stati mantenere o introdurre regole di condotta più dettagliate nei settori dei servizi finanziari e dei beni mobili (art 3, nono comma).

Dal testo dei singoli «considerando» della direttiva si traggono ulteriori indicazioni degli ambiti normativi con i quali la suddetta non intende interferire.

Nel «considerando» n.6 si afferma che la direttiva non riguarda e lascia impregiudicate le norme nazionali che risultino lesive unicamente d’interessi economici dei concorrenti o siano connesse esclusivamente a contratti conclusi (o da concludersi) fra professionisti. Ne consegue che rimangono interamente estranee al provvedimento le pratiche commerciali prive di una “diretta connessione” con i rapporti contrattuali già instaurati o da instaurarsi tra consumatore e professionista.

Ancora, secondo «considerando» n. 8 la direttiva non compromette l’applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali relative ai diritti di proprietà intellettuale, nonché delle norme comunitarie in materia di concorrenza e delle relative norme nazionali.

Nel «considerando» n.9 si afferma espressamente che la direttiva non mina le norme comunitarie nel settore legato all’azzardo e secondo il «considerando» n.7 non riguarda i requisiti giuridici del buon gusto e della decenza.

In conclusione, questo impianto consente di escludere dal campo di applicazione della direttiva le pratiche che non sono idonee a ledere sia, in via diretta, gli interessi economici dei consumatori, sia i comportamenti rientranti nel settore antitrust.

Si rende necessario precisare che, nel perseguimento di un’armonizzazione piena – seppur ben lungi dall’essere raggiunta - gli Stati membri potranno continuare ad applicare per un periodo di sei anni – decorrente dalla data di entrata in vigore della direttiva, ossia dal 12 giugno 2005- norme nazionali più dettagliate e vincolanti22 in materia di pratiche commerciali sleali, che

22 Secondo il Prof. DE CRISTOFARO, in La direttiva2005/29/Ce, Giuffrè, 2007, purché si tratti di disposizioni: a) di recepimento di precedenti direttive comunitarie di armonizzazione minimale delle legislazioni nazionali, b) idonee ad assicurare ai consumatori un livello di tutela più elevato rispetto a quello “minimo” garantito dalla

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assicurino maggior tutela nei confronti del consumatore.23 Da ciò si desume, a contrario, che, decorso tale periodo, non saranno più applicabili nei singoli

Stati membri le norme nazionali, quand’anche questi fossero più dettagliate. Nondimeno gli Stati resteranno liberi di applicare discipline difformi per le fattispecie che non ricadono nel campo di applicazione della direttiva. 24

In altri termini, la normativa in esame ha impostato per un primo periodo un regime di minima armonizzazione, alla fine di quale, diventerà di massima con riferimento a determinati settori della direttiva.25

L’opera di armonizzazione si completa grazie alla disposizione contenuta nell’art. 4 della direttiva, stante la quale «gli Stati membri non limitano la libertà di prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva»26. La clausola

del mercato interno, introducendo il principio del mutuo riconoscimento27, fa

si che i professionisti debbano rispettare soltanto le norme del paese di origine - indipendentemente dal luogo in cui risiedono i potenziali consumatori - e impedisce l’introduzione di ulteriori obblighi da parte dei singoli Stati. Qualora l’impresa operi in un contesto transfrontaliero sarà tenuta a rispettare unicamente la legge dello Stati membro di stabilimento. Da ciò ne conseguirà un vantaggio, sia in termini di maggior fiducia da parte dei

direttiva cui danno attuazione, c) “essenziali” al fine di assicurare un’adeguata tutela dei consumatori nei confronti di pratiche commerciali sleali e, d) “proporzionate” al raggiungimento di tale finalità.

23 J. KEßLER e H.-W. MICKLITZ, Die Richtlinie 2005/29/EG, cit., p. 7, precisano che la norma legittima soltanto la conservazione di disposizioni già esistenti, non l’introduzione di disposizioni nuove.

24 Si pensi ad esempio, alle pratiche pubblicitarie lesive solo degli interessi dei professionisti e dei concorrenti rientranti quindi nel raggio di applicazione della direttiva 2006/114/CE sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

25 G. HOWELLS, H. W. MICKLITZ, T. WILHELMSSON, European fair

trading law: the unfair commercial practices directive, Farnham (UK), Aschgate,

2006, p. 36.

26 Da interpretare alla luce del contenuto della Proposta di direttiva, ove al paragrafo 47 viene affermato: «la convergenza prodotta dalla proposta della direttiva crea le condizioni per introdurre il principio del mutuo riconoscimento delle norme in materia di pratiche commerciali sleali. A norma dell’art. 4 i professionisti sono tenuti a rispettare soltanto le leggi dello Stati membro di stabilimento, mentre agli Stati membri è fatto divieto di imporre a detti professionisti ulteriori obblighi nel settore coordinamento dalla direttiva o di limitare la libertà delle merci e dei servizi laddove il professionista abbia rispettato le norme dello Stato membro di stabilimento».

27 M. L. MAGNO, Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, a cura di E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO, Giuffrè,

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consumatori, sia per le imprese che sono così incoraggiate a commercializzare al di fuori dei confini nazionali, con inevitabili benefici per l’intero mercato.28

2.2 I rapporti tra tutela dei consumatori e la materia della concorrenza

Le disposizioni della direttiva 2005/29/Ce sono applicabili ai soli rapporti tra professionisti e consumatori (c.d. B2C) e pertanto funzionali alla protezione diretta degli interessi economici consumeristici ma altresì, in forma indiretta, dei concorrenti legittimi («considerando» n.6). Difatti, il rispetto dei principi quali la correttezza, l’equità e trasparenza, pur mirando a rafforzare la fiducia dei consumatori, crea altresì un indubbio beneficio per l’intero mercato. Il «considerando» n. 8 chiarisce che «essa […] tutela indirettamente le attività legittime da quelle dei rispettivi concorrenti che non rispettano le regole previste dalla presenta direttiva e, pertanto, garantisce nel settore da essa coordinato una concorrenza leale».

Il percorso normativo assegnato alla tutela delle weaker party tende dunque a fondere le questioni tipicamente consumeristiche con quelle relative alla c.d.

competition law29 in una sintesi che si affida al fair trading.30

La correttezza nelle attività commerciali finisce così per trascendere la disciplina dei rapporti tra gli operatori professionali e si amalgama in una soluzione normativa che include la difesa dei consumatori, prospettata come strumento di salvaguardia degli interessi dei concorrenti e di promozione degli affari. 31

28 Come sostenuto nel «considerando» nr. 12 della direttiva 2005/29/Ce.

29 J. KEßLER, H.-W. MICKLITZ, Der Richtlinienvorschlag über unlautere

Praktiken im binnenmarkt internen Geschäftsverkehr, in Betrievs-Berater, 2003, p.

2073.

30 A. ALBORS-LLORENS, Competition and Consumer law in the European Union:

Evolution and Convergence, in Yearbook of European Law, Oxford University Press,

Vol. 33, No. 1 (2014), pp.163-193.

31 G. ALPA, Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento

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Si afferma così l’indissolubile nesso normativo tra la disciplina antitrust a livello macrosistemico e la tutela dei consumatori e della concorrenza leale tra imprese a livello microsistemico.32

Il bene protetto dalla disciplina sulle pratiche commerciali sleali è la libertà di scelta del consumatore – riconosciutagli dal diritto comunitario primario – in particolare nell’ambito del profilo dinamico del principio di economia di mercato aperto in regime di concorrenza. Sembra dunque potersi affermare che in questa direttiva è evocato espressamente, nel diritto derivato, il secondo regime della concorrenza la cui finalità è permettere, stando al grande Maestro Tullio Ascarelli «il trionfo del più degno economicamente», con una scelta affidata al giudizio dei consumatori33, contribuendo così a promuovere il progresso economico. Difatti la nuova disciplina rappresenta il punto più elevato di convergenza tra la politica della concorrenza e la tutela del consumatore muovendo dal medesimo presupposto, ossia la necessità di eliminare quelle distorsioni che possono ostacolare il naturale dispiegarsi delle dinamiche del mercato. 34

Se è pur vero che la disciplina è dettata in primo luogo a protezione dell’interesse dei consumatori a che non sia vulnerato il loro diritto ad

32 A tal proposito si veda DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale

nell’ordinamento comunitario, Napoli, 2003, p. 200 ss; cfr. anche ID., La tutela della concorrenza a livello macrosistemico, e ID., La tutela del “contraente debole” nella distribuzione commerciale, in DI NELLA, MEZZASOMA e V. RIZZO (a cura di), Il diritto della distribuzione commerciale, Napoli, 2008, pp. 40 ss e 103 ss.

33 In tal senso, KÖHLER, sub § 4 UWG, in HEFERMEHL, KÖHLER e BORNKAMM (a cura di), Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb, cit., p. 190, osserva che «der Wettbewerb kann die von ihm erwarteten Funktionen nur erfüllen, wenn die potentiellen Markpartner ihre Marketentscheidung frei und an ihren Bedürfnissen ausgerichtet treffen und damit ihre „Schiedsrichterfunktion“ im Wettbewerb der Anbieter und Nachfragen erfüllen können».

34 B. KEIRSBILCK, The new European law of unfair commercial practices and

competition law, Oxford, Hart Publishing, 2011, p. 541; M. KUNEVA, Consumer and competition policies – Both for welfare and growth, in OECD Global forum on Competition law, Parigi, 2008, p.38; R. PODSUN, Der “more economic approach”, in Lauterkeitrecht, in WPR, 2009, p. 511; si rinvia anche a OECD, The interface between competition and consumer policies – Contribution from the United Kingdom, Gennaio 2008, par. 1.2. e OECD, The role of consumers in promoting procompetitive reforms, Febbraio 2008; A. PERA, Tutela della concorrenza e protezione del consumatore: quale complementarietà?, relazione presentata in occasione del Convegno Antitrust fra diritto nazionale e diritto comunitario, Treviso,

2008; FALCE e GHIDINI, The new regime on unfair commercial practices at the

intersection, ibidem; K.J. CSERES, Competition law and consumer protection, in

Kluwer, 2005; N.W. AVERITT e R.H. LANDE, Consumer sovereignty: a unified

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autodeterminarsi nelle scelte di acquisto e di consumo, non è men vero che, tuttavia, la stessa rappresenta un sistema normativo di protezione di ogni impresa che opera nel mercato avverso il rischio della violazione da parte dei concorrenti delle regole del corretto confronto competitivo. Infatti, la violazione degli standard di corretta concorrenza nel mercato si sostanzia in una condotta plurioffensiva, in quanto pregiudica non soltanto le imprese che competono con quella autrice dell’illecito, nel loro diritto di potersi contendere il favore del pubblico, ma anche gli interessi dei consumatori a orientarsi correttamente nella selezione delle diverse offerte che il mercato propone. 35

In altri termini, nello schema della direttiva il meccanismo concorrenziale è il presupposto, la conditio iuris, affinché possa liberalmente spiegarsi la libertà di scelta, consapevole ed informata, del consumatore.

Il profilo di maggior convergenza tra la politica della concorrenza e la normativa consumeristica può essere individuato in tema di risarcimento del danno a favore del consumatore. Sin dagli albori degli anni 2000, l’equilibrio di interessi contrapposti nel mercato ha costituisco una delle principali linee guida del legislatore europeo nella produzione della normativa in tema di tutela avverso l’illecito concorrenziale.

Tale normativa, anticipata peraltro da alcune sentenze della Corte di Giustizia europea, è stata promossa prima attraverso il Libro Verde del 2005 - sulle azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie - e il Regolamento 1/2003, successivamente, con il Libro Bianco del 2008 - in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie.

L’utilizzo da parte dei privati – sia essi consumatori sia imprese - delle norme

antitrust in una controversia giudiziale (c.d. private enforcement 36) rafforza

così il carattere operativo delle regole di concorrenza e altresì si integra all’azione pubblica di repressione degli illeciti antitrust operata dalle Autorità preposte a livello nazionale ed europeo (c.d. public enforcement).

35 G. GUIZZI, Il divieto di pratiche commerciali scorrette, in AA.VV., Rimedi e

tecniche di protezione del consumatore, a cura di A.M. GAMBINO, Giappichelli,

Torino, 2011.

36 Per un maggior approfondimento sull’iter e sui risultati del private enforcement nel diritto europeo si veda: http://www.competition-law.eu/wp-content/uploads/2014/07/03.pdf

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Il consumatore, in quanto titolare di diritti individuali nel mercato, deve essere tutelato anche da tale disciplina.37

La sovrapposizione di tali discipline inevitabilmente comporta una serie di punti di complementarietà e di conflitto. Per il primo profilo si rileva come la competizione sia l’unica condizione in grado di garantire un regime di scambio efficiente tra gli operatori di mercato e come il ruolo dell’informazione rivesta in ciò un ruolo primario: posto infatti che il consumatore deciderà se contrarre o meno - e con chi - sulla base delle informazioni messe a sua disposizione, la diffusione delle stesse diventa così per le imprese un veicolo funzionale ad orientare le scelte del consumatore.38

Non sempre, tuttavia, le due discipline operano in maniera complementare, in quanto, non sempre, dall’applicazione delle norme a tutela del consumatore derivano effetti positivi sul mercato dal punto di vista dell’efficienza economica. A titolo esemplificativo, risulta infatti che dalla maggiore protezione dei consumatori sotto il profilo informativo corrisponde un aggravio in termini di costi per l’impresa, e, qualora tale costo dovesse essere eccessivo l’attività del professionista potrebbe risultare fortemente ostacolata o, addirittura, paralizzata. Se ciò dovesse verificarsi su larga scala sarebbe l’intero mercato ad essere pregiudicato, con incidenza sui professionisti ma al medesimo tempo sugli stessi consumatori.39

In conclusione, possiamo dunque sostenere come le due discipline si completano e si combinano a vicenda senza, tuttavia, perdere la propria autonomia. Nel nuovo panorama ciascun nucleo normativo mantiene una sua funzione specifica, perché ad ognuno sono affidati obiettivi distinti (pur se) reciprocamente coerenti.

37 Sul punto, tra gli interventi più recenti si fa riferimento alla Direttiva 2014/114/UE, in G.U.U.E, C-114 del 15 aprile 2014 e la sentenza della Corte di Giustizia sul caso Kone del 15 giugno 2014, la quale riconosce il diritto al risarcimento del danno per umbrella pricing «Qualora un’intesa produca l’effetto di indurre i concorrenti ad aumentare i loro prezzi, i membri dell’intesa stessa possono essere chiamati a rispondere del pregiudizio così causato. In tal caso, la vittima può chiedere il risarcimento del danno anche in assenza di qualsiasi rapporto contrattuale con i membri dell’intesa». Tra le sentenze più significative si menzionano

la sentenza Courage, del 20 Settembre 2001, causa C-453/99, e la sentenza Manfredi, del 13 luglio 2006, causa C-295/04.

38 Cfr. ARMSTRONG M., Interactions between competiton and consumer policy, in

Competition policy international, n. 4 (1), 2008, pp. 96 ss.

39A. PERA, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali tra tutela del consumatore

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2.3 Il parametro del consumatore medio

Nella Comunità Europea la presenza dei consumatori è in forte incremento, (grazie anche alle nuove tecnologie) e ciò ha determinato l’acquisizione da parte degli stessi di un ruolo nel tempo sempre più determinate nella società sia sotto il profilo economico sia politico. Il riconoscimento di una serie di diritti fondamentali a loro spettanti ha contribuito, altresì, all’elaborazione di una politica europea volta a rendere omogenea la tutela di tali diritti e a consentire ai consumatori di ottenere un alto livello di protezione.

La definizione attuale di consumatore non solleva particolari problematiche, in quanto la nozione è conforme a quella che si rinviene in quasi tutte le altre direttive europee. Viene infatti definito consumatore ex art. 2 primo comma, lett. a), Dir.2005/29/Ce: «qualsiasi persona fisica che agisca per fini che non

rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale». Sulla nozione è intervenuta anche la successiva direttiva del

Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011 n. 83 - sui diritti dei consumatori- la quale, all’art. 2 n.1, non ha modificato la definizione in precedenza adottata.

Accanto alla figura del consumatore, che individua una vera e propria categoria - frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia ed in conformità con il principio di proporzionalità - emerge il c.d. “consumatore medio”40, il quale, a contrario, rappresenta un parametro

40Sulla nozione di consumatore medio v. in dottrina, tra gli altri, M. DUROVIC, The

Subtle europeanization of contract law: the case of directive 2005/29/Ec on unfair commercial practices, in European review of private law, Kluwer law international,

5, 2015, pp. 717-720; L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio,

investitore e clienti; N. ZORZI GALGANO, Il contratto di consumo e la libertà del consumatore, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,

LXII, diretto da F. GALGANO, Padova, 2012, p. 1 ss; C. PONCIBÒ, Il consumatore

medio, in Contr. impr./Europa, 2007, p. 734 ss; S. WEATHERILL, Who is the “Avarage consumer”?, a cura S. WEATHERILL e U. BERNITZ, in The regulation of unfair commercial practices under the EC Directive 2005/29, Oxford and

Portland, Oregon, Hart Publishing, 2007, pp. 115 ss; C.E. MAYR, Il parametro del

consumatore, in AIDA, 2008, p. 282 ss; L. DI NELLA, AA.VV., Pratiche commerciali scorrette, Giappichelli, 2008; M. ASTONE, Il consumatore medio nel diritto interno e comunitario, in Studi in onore di Antonino Metro, a cura di C.

RUSSO RUGGERI, I, Milano, 2009, p. 101 ss. In giurisprudenza v., CGE 19 settembre 2006, 1998, C-356/04, in Raccolta, 2006, I, p. 8501, § 78, CGE 19 aprile 2007, C-381/05, cit., § 23, in Diritto industriale, 2007, pp. 386 s., con nota di M. FUSI.

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prescrivente un determinato modello umano ricettore delle pratiche commerciali.41

Quest’ultimo- formalizzato nel «considerando» n. 18 - è infatti il criterio di riferimento nella valutazione dell’illegittimità di una pratica commerciale ed identifica un soggetto normalmente informato, ragionevolmente attento ed avveduto42 rispetto ad un livello variabile, che muta in ragione dei fattori

sociali, culturali, linguistici e merceologici considerati, secondo l’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia. Inevitabile la sua differente sfaccettatura negli Stati Membri.

Tale figura viene così individuata sulla base di parametri oggettivi sebbene debbano altresì considerarsi altri fattori, riguardanti le circostanze del singolo caso in questione, che –in quanto specificazione della fattispecie- offriranno un canone di valutazione più preciso. Se in quelle circostanze il consumatore ha reagito in modo difforme da come avrebbe fatto il consumatore medio, questo comporta la non applicabilità della disciplina in esame in quanto non vi sarà alcuna scorrettezza della pratica.

I termini utilizzati nel «considerando» n. 18 sono stati volutamente previsti dal legislatore europeo vaghi ed ampi per potersi meglio adattare alla genericità strutturale delle pratiche commerciali.

Il riferimento al consumatore medio, tuttavia, non può comportare lo sfruttamento di categorie di soggetti che per le loro caratteristiche risultino particolarmente vulnerabili alle pratiche scorrette; tale parametro deve quindi mutare in funzione degli effettivi destinatari raggiunti dalla pratica.

Il «considerando» n.19 stabilisce che qualora talune caratteristiche, quali l’età, l’infermità fisica o mentale o l’ingenuità, rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile ad una pratica commerciale - o al prodotto a cui essa si riferisce - e il comportamento economico soltanto di siffatti consumatori è suscettibile di essere distorto da tale pratica, in modo ragionevolmente prevedibile dal professionista, allora per tutelare siffatti

41 Esso subisce un adattamento qualora una pratica commerciale si rivolga specificatamente a un determinato gruppo (ad es. minori), in tal caso, come consumatore di riferimento viene considerato un esponente medio di quel gruppo. 42 Definizione resa per la prima volta da CGE, 10 novembre 1982, C-261/81, in

Racc., 1983, I-3961; v. anche CGE 18 maggio 1993, C-126/91, in Racc,1993, I 2361;

CGE 6 luglio 1995, 470/93, in Racc., 1995, I-1923 e CGE 16 luglio 1998, C-210/96, in Racc., 1998, I- 4657.

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soggetti, si dovrà valutare la pratica nell’ottica del membro medio di detto gruppo pur essendo la stessa rivolta a categorie più ampie.

Tali nozioni, come sostenuto in dottrina43, ricoprono un ruolo fondamentale

all’interno del sistema delineato dalla direttiva 2005/29/Ce, rappresentando il criterio generale rispetto a cui parametrare la salvaguardia delle libertà delle

weaker parties di autodeterminarsi in relazione alle scelte commerciali,

attraverso un giudizio che trae origine nell’influenza delle prassi imprenditoriali sui processi decisionali.

2.4 Il divieto generale di pratiche commerciali scorrette

La clausola generale contenuta nella direttiva all’art 5 è strumentale al giudizio di valutazione di una pratica commerciale leale.44

In considerazione della multiformità del comportamento è difficile ricondurre ad unità la figura di pratica commerciale sleale e dunque, l’unica soluzione prospettabile, è quella di delineare il più possibile il concetto di slealtà. Il c.d. dovere di lealtà (the duty to trade fairly) deve sussistere, non solo prima, ma anche durante e dopo la transazione commerciale in relazione ad ogni tipo di bene o servizio. Con siffatta impostazione la direttiva ha contemplato una protezione totale del consumatore in ogni suo rapporto contrattuale con un trader.

Ai sensi dell’art 5, secondo comma, una pratica commerciale è sleale se contraria alle norme di diligenza professionale (berufliche Sorgfaltspflicht,

professional diligence, diligence professionelle) e idonea a falsare in misura

rilevante il comportamento economico del consumatore medio45 che raggiunge o al quale è diretta, o del membro medio di un determinato gruppo. Mentre la diligenza professionale fa riferimento al comportamento del commerciante, la seconda condizione, invece, si focalizza sull’effetto della pratica commerciale nei riguardi del consumatore46; purtuttavia, la pratica

risulterà vietata solo se soddisfa entrambi i parametri.

43 G. ALPA, Le pratiche commerciali sleali considerazioni conclusive, a cura di M. MINERVINI, L. ROSSI CARLEO, op. cit., pp. 361 ss.

44M. DUROVIC, European law on unfair commercial practices and contract law, Oxford, Hart Publishing, 2016, pp. 67 ss.

45Ivi, pp. 89 ss.

46 CGE 19 Dic.2013, C-435/11, CHS Tour Service GmbH v. Team4 Travel GmbH,

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In generale, la “diligenza” indica la misura di impegno richiesto al professionista e che rileva ai soli fini del giudizio di colpevolezza. E’ necessario tenere separate le regole che disciplinano lo svolgimento della specifica attività professionale da quelle che, invece, misurano il livello di prudenza, perizia e attenzione. La definizione di diligenza professionale del legislatore comunitario è incentrata su “criteri oggettivi di tipicità sociale” e quindi deve essere ricondotta al rispetto delle norme che riguardano “come” deve essere svolta l’attività del professionista.47

Una pratica commerciale può dirsi rilevante, e dunque efficace, se in grado di condizionare la scelta del consumatore indirizzandola verso l’acquisto di beni o la fruizione di servizi di chi la pone in essere (c.d. principio de minimis). Questa impostazione risulta approssimativa rispetto alle dinamiche commerciali - assai più complesse - ma agevola a comprendere che l’oggetto della direttiva in esame sono solo quelle pratiche commerciali dotate di un grado di incisività tale che, attraverso un comportamento contrario alla diligenza professionale, le renda idonee a distorcere la capacità decisionale del consumatore inducendolo a prendere una decisione che altrimenti non avrebbe assunto.48

Una semplice ed astratta possibilità di influenza sul comportamento del consumatore è dunque in grado di designare una precondizione per la qualificazione della pratica come illecita, senza che sia necessario che si verifichino – in concreto - conseguenze negative 49.

La nozione di “decisione di natura commerciale” ex art. 2 lett k) della direttiva, risulta altresì un elemento fondamentale nell’alterazione – si ricordi, in misura rilevante - di un comportamento. La definizione può essere interpretata in modo ampio in quanto – in linea con l’interpretazione fornita

47LIBERTINI M., Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle

pratiche commerciali scorrette, in Contratto e Impresa, n. 1/2009, 89 e ss.

48 Cfr. con G. ALPA, Considerazione conclusive, in Le pratiche commerciali sleali.

Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, p. 363: l’A. precisa che la direttiva

lascia impregiudicate alcune pratiche commerciali pubblicitarie, come il marketing, che si fondano proprio sulla capacità di incidere ed influenzare il comportamento del consumatore senza però limitarne la capacità di prendere una decisione consapevole. 49 G.ABBAMONTE, The Unfair Commercial Practices Directive and its General Prohibition, in AA.VV., The regulation of unfair commercial practices under EC

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dalla Corte Europea di Giustizia50 - inclusiva di ogni tipo di decisione che il

consumatore può adottare: dall’acquisto o meno di un determinato prodotto alla decisione di entrare o meno in un negozio.

Possiamo dunque concludere che tale divieto, nella sua generalità, costituisce una rete di sicurezza che permette alla direttiva di adattarsi ed evolversi parallelamente alle dinamiche del mercato e farvi rientrare fattispecie future ancora non regolate.

2.5 Le pratiche commerciali ingannevoli

Le pratiche commerciali ingannevoli si distinguono, a loro volta, in azioni ed omissioni ingannevoli.

Ai sensi dell’art. 6, primo comma, della direttiva, la pratica commerciale ingannevole positiva si concretizza nel comportamento del professionista qualora renda informazioni false o inesatte su elementi rilevanti per le scelte commerciali del consumatore, tali da indurre quest’ultimo ad assumere decisioni che non avrebbe altrimenti preso.

L’esatta informazione costituisce un elemento fondamentale ed irrinunciabile a tutela della parte economicamente debole affinché possa ponderare e maturare una decisione consapevole sulla base della esatta rappresentazione della realtà.

Il primo comma racchiude, nella seconda parte, un’elencazione degli elementi su cui si appunta l’informazione ingannevole: l’esistenza o la natura del prodotto; le caratteristiche principali – quali il prezzo-; la portata degli impegni del professionista e il processo della commercializzazione; la natura, le qualifiche e i diritti del professionista; infine, i diritti del consumatore. Il secondo comma si occupa di quelle pratiche ingannevoli decettive ossia quelle in grado di ingenerare – tenuto conto di tutte le caratteristiche- confusione con i prodotti o i segni distintivi di un concorrente, nonché quando il professionista violi i contenuti del codice di condotta51 che il medesimo si era impegnato a rispettare.

50 CGE 19 Dic. 2013, C-281/12, Trento Sviluppo S.r.l., Centrale Adriatica Soc. Coop. Arl, par. 36.

51 Ai sensi dell’art 2 lett. f) viene definito codice di condotta «un accordo o una normativa che non sia imposta dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il comportamento dei

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L’obbligo informativo dell’art. 6 non concerne esclusivamente le informazioni dettagliatamente indicate dalla direttiva, ma si estende altresì fino a ricomprendere tutti gli elementi che devono essere portati a conoscenza del consumatore.52

Il legislatore europeo vieta all’art. 7 della direttiva anche le pratiche commerciali in cui l’inganno si concreta in un non comportamento positivo ma in un’omissione. Ciò si realizza quando il professionista ometta di fornire informazioni rilevanti di cui il consumatore medio necessita al fine di prendere una decisione consapevole di natura commerciale e lo induca – o sia idonea ad indurlo - ad assumere una decisione che altrimenti non avrebbero preso; occulti o presenti in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo informazioni rilevanti; non indichi l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risulti già dal contesto.

Il consumatore deve dunque essere posto nelle condizioni di percepire esattamente le caratteristiche del prodotto offerto dal professionista al fine di verificare se le stesse siano o meno in linea con la sua volontà.

Il quadro così sinteticamente delineato evidenzia come la disciplina in esame abbia inserito, in modo indiretto, un obbligo precontrattuale generale di informazione53 del consumatore europeo nella consapevolezza che il rapporto

di consumo è asimmetrico. In tal senso al trader non è esplicitamente e direttamente richiesto di presentare tutte le informazioni a sua disposizione ma solo quelle rilevanti, ossia, quelle necessarie affinché il consumatore possa prendere una decisione consapevole.

Un professionista che sommerga il consumatore di tutte le informazioni riguardanti il prodotto commercializzato, affiancando elementi rilevanti ad una varietà irrilevante, fornisce sì informazioni ma in modo scorretto, il che equivale quoad effectum a non fornirle affatto.

professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in relazione a una certa o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici».

52 P. BARTONE, Pratiche commerciali sleali, obblighi di informazione e

responsabilità precontrattuale, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO, op. cit, pp

275 ss.

53 T. WILHELMSSON e C. TWIGG-FLESNER, Pre-contractual information duties in Acquies Communautaire, 2. ERCL, 2006, p.441; G. HOWELLS, H.W.

MICKLITZ e T. WILHELMSSON, Towards a better understanding of unfair

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La definizione di ciò che è, o non è, rilevante è rimessa caso per caso alle Corti Nazionali che si avvalgono anche, sempre più, degli studi scientifici comportamentali54. La Corte Europea di Giustizia, nel caso Purely Creative,

ha ulteriormente chiarito il metodo che le Corti Nazionali possono utilizzare nella valutazione del rispetto del dovere di informazione.55

Al comma quarto dell’art 7 della direttiva viene prescritto un novero limitato di informazioni essenziali richieste al professionista quando “invita all’acquisto”, quali la sua identità e il suo indirizzo, le caratteristiche del prodotto, il prezzo comprensivo delle imposte, le modalità di pagamento, l’esistenza o meno di un diritto di recesso56 o scioglimento del contratto.

L’obiettivo non è quello di introdurre oneri non necessari o sproporzionati sui commercianti ma piuttosto quello di garantire che i consumatori non siano ingannati quando effettuano un acquisto.

Infine, nell’allegato II della direttiva, sono richiamate alcune disposizioni comunitarie contenenti gli obblighi di informazioni rilevanti, come la direttiva sui contratti a distanza, la quale obbliga il professionista a fornire le informazioni preliminari e una conferma scritta di tali informazioni.

2.6 Le pratiche commerciali aggressive

Agli artt. 8 e 9, la direttiva contempla tra le pratiche commerciali sleali proibite la fattispecie delle pratiche aggressive.

Antecedentemente all’adozione della direttiva in esame, mancava a livello comunitario una disciplina giuridica autonoma delle pratiche commerciali aggressive57 – come si evince anche dal «considerando» n. 11 – e,

54 J. TRZASKOWSKI, Behavioural Economics, Neuroscience and unfair

commercial practices directive, in Journal of consumer policy, 34, 2011.

55 Cfr. CGE 18 ottobre 2012, C-428/11, Purely Creative et al., par. 55: «the

availability of the information and how it is presented, the legibility and clarity of the wording and whether it can be understood by the public targeted by the practice». 56 Stando ad un’investigazione europea (consultabile al sito:

http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-09-379_en.htm) le autorità nazionali hanno rilevato che il 66% dei siti commerciali online non fornisce informazioni sul diritto di recesso o, se fornite, sono fuorvianti per l’utente.

57 Esse trovavano un modesto rilievo nelle disposizioni della direttiva 84/450/Cee sulla pubblicità ingannevole: ex art. 2 si intende «per pubblicità ingannevole qualsiasi pubblicità che in qualsiasi modo, compresa la sua presentazione, induca in errore le persone alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, dato il suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il comportamento economico di dette persone o che, per questo motivo, leda o possa ledere un concorrente».

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