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L’audizione delle vittime vulnerabili

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

VII. LE VITTIME DEI REATI NELLA LEGISLAZIONE E NELLA GIURISPRUDENZA DELL’UNIONE EUROPEA

6. L’audizione delle vittime vulnerabili

L’esperienza insegna che la decisione della vittima di collaborare con la giustizia, anche attraverso una semplice denuncia, la espone a un duplice pericolo: quello di ritorsioni da parte dell’autore del reato o di persone a lui vicine e quello di violazione della sua vita privata, da parte principalmente dei mezzi d’informazione.

Alla necessità di proteggere la vittima da tali violazioni risponde l’art. 8 della decisione quadro.

Esso appresta anzitutto, al paragrafo 1, una garanzia di carattere generale della sicurezza e dell’intimità delle vittime, dei loro familiari e delle persone assimilabili.

Si tratta del grado minimo di protezione che ciascun ordinamento deve prevedere ed è da ritenere che esso vada al di là della procedura giudiziaria in senso proprio. Uno Stato che, dunque, non preveda alcuna misura di protezione anche extragiudiziaria dell’incolumità della vittima deve ritenersi inadempiente rispetto a tale previsione; al tempo stesso, perché uno Stato possa dirsi rispettoso di essa, sono sufficienti sistemi anche molto rudimentali.

I paragrafi successivi dell’art. 8 hanno invece carattere più specifico.

Il secondo è dedicato alla sfera privata della vittima e alla sua immagine fotografica. Non è facile dare corpo a una simile previsione, ma la necessità che la protezione sia “appropriata”

dovrà indurre a una maggiore severità nella valutazione delle norme adottate da ciascuno Stato;

non basteranno perciò disposizioni di facciata, che si limitino a sancire il diritto al rispetto dell’immagine della vittima, dovendo essere indicate anche le misure concrete di salvaguardia.

Il terzo paragrafo attiene alla necessità di evitare contatti tra la vittima e gli autori del reato all’interno degli edifici giudiziari: quel che si intende assicurare è sia la genuinità della deposizione della vittima-testimone, sia l’incolumità della persona offesa, incolumità da intendersi in senso fisico e psicologico.

Il quarto paragrafo concerne, infine, la protezione delle vittime, in particolare delle più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica. Da un lato, si intende evitare che la condizione di debolezza psicologica in cui versa la persona offesa la renda meno attendibile, ostacoli l’accertamento della verità e di conseguenza la punizione del colpevole.

Dall’altro lato, il perseguimento di questa finalità non può andare a detrimento della vittima, non può rendere il pubblico dibattimento il principale fattore di vittimizzazione secondaria. A questa stregua, qualunque misura che consenta di attenuare questo effetto (deposizione a porte chiuse, assistenza psicologica, deposizione in un momento anticipato rispetto al dibattimento ecc.) sarà benvenuta.

Ora, com’è noto, questa disposizione ha assunto un’enorme importanza nel dibattito europeo, in quanto sulla sua interpretazione si è formato il primo precedente della Corte di giustizia in materia di terzo pilastro e decisioni quadro438

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità tra gli artt. 3, 4 e 8 della decisione quadro e le norme che nell’ordinamento italiano disciplinano l’incidente probatorio obbligatorio e la c. d. audizione protetta; il Tribunale di Firenze, infatti, dopo aver inutilmente interpellato la Corte costituzionale italiana, aveva messo in dubbio che la limitazione dell’incidente probatorio “obbligatorio” ad alcune specifiche categorie di reati, commessi in danno di minorenni, fosse conforme alle disposizioni europee, che appunto impongono agli Stati di proteggere le vittime vulnerabili dagli effetti della loro deposizione pubblica.

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Ne è scaturita una decisione epocale, destinata a spiegare i propri effetti ben al di là di quanto previsto e del singolo caso sottoposto al giudizio del giudice fiorentino.

Per apprezzarne l’importanza e anche per contestare alcune letture riduttive e superficiali che di essa sono state compiute, è fondamentale ripercorrerne con attenzione l’iter argomentativo.

La Corte ha anzitutto ribadito a proposito delle decisioni quadro un principio già ripetutamente affermato a proposito delle direttive, da ultimo nella sentenza Berlusconi439

Si tratta di un caveat di grande importanza, da solo sufficiente a zittire tutti coloro che, con fretta eccessiva, hanno accusato la sentenza Pupino di voler mettere a soqquadro il rapporto tra l’Unione europea e gli ordinamenti nazionali, incidendo addirittura sulla riserva di legge in materia penale. Nulla di tutto ciò, giacché, come fra poco vedremo, la Corte è stata molto attenta nel ribadire la necessità di bilanciare gli interessi della vittima con quelli dell’imputato e, dunque, ad escludere qualsiasi conseguenza in malam partem derivante dall’applicazione o dalla semplice interpretazione delle norme del III pilastro

: come tutti gli strumenti privi di diretta efficacia, una decisione quadro non può avere come effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale degli imputati in un procedimento penale nazionale.

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Il secondo grande principio affermato è quello secondo cui le norme degli ordinamenti nazionali devono essere interpretate conformemente allo spirito e alla lettera della decisione quadro.

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Si tratta di un’affermazione per nulla scontata e anzi di grande importanza.

Ciò non solo perché la Corte, per la prima volta, l’ha enunciata in relazione agli strumenti di III pilastro, così realizzando una parziale parificazione quoad effectum tra decisioni quadro e direttive che in molti si affannavano a negare; ma anche perché, se appena si prova a ripercorrere la giurisprudenza comunitaria sulle direttive, il criterio dell’interpretazione conforme ha spesso costituito il primo passo verso l’efficacia diretta di tale strumento441

Il motivo per cui tale conclusione non è stata tratta nel caso Pupino va ricercato non tanto nella prudenza dei giudici di Lussemburgo a compiere un passo di simile portata, quanto soprattutto nella indeterminatezza che caratterizza le norme sulla protezione delle vittime, sottoposte nel caso di specie alla loro attenzione.

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438 Corte di giustizia, 16 giugno 2005, C-105/03, Pupino, con nota di G. ARMONE, in FI, 2006, p. 585.

439 Corte di giustizia, 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e altri, in FI, 2005, p. 285.

440 Bisogna peraltro riconoscere che, nell’economia della decisione, il divieto di aggravamento della responsabilità penale, se non costituisce un obiter dictum in senso proprio, ha comunque un ruolo strumentale: la sua riaffermazione è utile alla Corte per distinguere, all’interno della decisione quadro, le norme incriminatrici da quelle procedimentali e organizzative, che non soffrono le stesse limitazioni delle prime e sulle quali sono pertanto possibili interpretazioni più ampie. Ne consegue non soltanto che il divieto di incidere sulla responsabilità penale non priva la decisione quadro di una sua capacità conformativa degli ordinamenti nazionali, come la stessa pronuncia nel prosieguo conferma; ma anche che non è lecito trarre da quella affermazione conclusioni perentoriamente negative sulle sorti del diritto penale di formazione europea e sui limiti che l’ordinamento italiano opporrebbe al suo recepimento.

441 G. TESAURO, Diritto comunitario, Padova, 2005, p. 181.

Ma se il principio dell’interpretazione conforme viene letto unitamente alla distinzione, prima illustrata, tra norme incriminatrici e norme procedimentali, si ha la sensazione che la Corte non sia lontana, pur non avendola ancora esplicitata, dalla conclusione per cui, anche a proposito delle decisioni quadro, qualora ricorrano condizioni analoghe a quelle delle direttive cui è stata riconosciuta efficacia diretta e non si incida sulla responsabilità penale dell’imputato, possono essere in futuro ritagliati spazi di efficacia diretta, se non altro verticale, quando cioè una decisione quadro riconosca in modo chiaro e incondizionato diritti del singolo nei confronti dello Stato (si v. ad es. il diritto della vittima a ricevere informazioni da parte dello Stato circa l’esito del processo o la liberazione dell’autore del reato).

Da ciò potrebbe conseguire, se non altro, l’applicazione agli strumenti di terzo pilastro dei principi elaborati dalla Corte di giustizia ormai molti anni fa nel caso Francovich442

Il terzo passaggio di rilievo della sentenza Pupino è quello che più da vicino riguarda le vittime e il nostro ordinamento.

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Qui l’argomentare della Corte si fa tuttavia meno nitido, giacché all’esigenza di protezione della vittima si affianca la necessità di evitare che da un ampliamento di tutela della persona offesa derivino conseguenze pregiudizievoli per i diritti processuali dell’imputato (da cui il richiamo all’art. 6 CEDU).

La Corte afferma così con nettezza l’astratta idoneità degli istituti italiani dell’incidente probatorio e dell’audizione protetta a dar corpo alle vaghe disposizioni della decisione quadro, ma al tempo stesso rimette al giudice nazionale il compito finale di individuare i mezzi più opportuni per dare attuazione al diritto europeo, ribadendo che l’interpretazione conforme non può violare i principi fondamentali dell’ordinamento interno e non può essere contra legem.

Sembra di essere così tornati al punto di partenza.

Le norme della decisione quadro sono state parzialmente illuminate dalla Corte di giustizia e il giudice nazionale è stato munito dell’arma dell’interpretazione conforme, ma la questione dei limiti della utilizzabilità di tale arma resta da valutare alla luce dell’ordinamento interno. A tali condizioni, la via d’uscita più comoda sembra tuttora quella di negare che il ricorso all’incidente probatorio ex art. 392, comma 1 bis, cpp e all’audizione protetta ex art. 398, comma 5 bis, cpp possa avvenire per reati diversi da quelli tassativamente elencati da dette disposizioni.

Ora, chi scrive ha già rifiutato questa impostazione prudente, in nome di due impellenti necessità logiche443

In primo luogo, il richiamo all’interpretazione conforme fatta nella sentenza Pupino non può essere letta solo come un’enunciazione di principio, ma contiene anche una spinta promozionale per gli interessi delle vittime presi in considerazione dalla decisione quadro 2001/220/GAI. In un panorama normativo internazionale che sempre più pone l’accento sulla vulnerabilità di alcune categorie di vittime e sulla necessità di loro protezione nel processo, questo è un aspetto che non può essere trascurato, almeno non fino al punto di trarre dalla pronuncia della Corte un effetto utile per tutti gli strumenti del III pilastro, tranne che per la decisione quadro che l’ha suscitata.

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In secondo luogo, va osservato che anche il quadro di riferimento interno è profondamente mutato negli ultimi anni.

L’unitarietà di ratio individuata dalla Corte costituzionale 6 dicembre 2002 n. 529 per giustificare la tassatività dell’elenco normativo contenuto nel nostro codice di rito – reati a sfondo sessuale «rispetto ai quali si pone con maggiore intensità ed evidenza l’esigenza di proteggere la personalità del minore» – e la conseguente esclusione di altre fattispecie quali quelle degli artt. 571 e 572 CP, già

442 Ci si riferisce alla notissima Corte di giustizia, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich v Repubblica italiana, in FI, 1992, p. 145, in cui la Corte ebbe ad affermare che «ove una direttiva non abbia ricevuto attuazione nei termini, e: a) il risultato da essa prescritto implichi l’attribuzione di diritti a favore dei singoli; b) il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva; c) sussista un nesso di causalità tra violazione dell’obbligo a carico dello Stato e il pregiudizio subìto dai soggetti lesi, lo Stato inadempiente è tenuto a risarcire il danno in conformità alle norme di diritto interno».

443 V. G. ARMONE, La Corte di giustizia e il terzo pilastro dell’Unione europea: quale futuro, nota a Corte di giustizia, 16 giugno 2005, op.

cit.

non del tutto convincente, sembra oggi essere completamente venuta meno: ad opera del legislatore, che ha allargato il ventaglio delle ipotesi per le quali è possibile procedere all’incidente probatorio e all’audizione protetta, aggiungendovi reati che non è possibile definire a sfondo sessuale ; ad opera della stessa Corte costituzionale che, con la sentenza 13 gennaio 2005 n. 63, ha dichiarato incostituzionale la mancata estensione dell’audizione protetta (sia nell’incidente probatorio che nel dibattimento) al maggiorenne infermo di mente.

Incidente probatorio incondizionato e audizione protetta appaiono oggi in una nuova luce, come strumenti posti a tutela della personalità dei testimoni vulnerabili, indipendentemente dal reato considerato. Il fondamento di tali istituti si allontana quindi da quello individuato in Corte costituzionale 6 dicembre 2002 n. 529 e 7 maggio 2001 n. 114 e viene progressivamente ad allinearsi alle rationes che sono alla base della decisione quadro sulla protezione delle vittime.

A ridosso della pubblicazione della sentenza Pupino, chi scrive ha sostenuto che i tempi fossero pertanto maturi per procedere a ulteriori estensioni e ha suggerito, negando natura eccezionale alle norme sull’incidente probatorio e sull’audizione protetta, di affidare direttamente al giudice il compito di procedere a una lettura delle norme in esame capace di soddisfare le esigenze delle vittime più vulnerabili.

Si possono naturalmente non condividere tali conclusioni, ma bisogna avvertire – circostanza sconosciuta a chi scrive al momento in cui proponeva l’interpretazione citata – che il giudice a quo del rinvio pregiudiziale all’origine della sentenza Pupino ha letto la decisione della Corte di giustizia proprio in questi termini e ha ammesso l’incidente probatorio protetto in relazione al reato di abuso dei mezzi di correzione addebitato alla signora Pupino e anche in un altro caso non espressamente previsto dalla legge, riguardante un soggetto disabile maggiorenne, vittima di reati sessuali444

Così come è avvenuto agli albori del dibattito sui rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento italiano, il diritto di matrice europea esercita una forte suggestione in termini di giustizia sostanziale, asseconda cioè un’insopprimibile aspirazione, dei privati ma anche dei giudici, a ricercare nel diritto sovranazionale forme di “impugnazione straordinaria” che permettano di uscire dai confini di un diritto nazionale ritenuto, a torto o a ragione, troppo formalistico e dogmatico.

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In tema di protezione delle vittime, specie vulnerabili, sarà opportuno tener conto di questa tendenza per non rimanere prigionieri di interpretazioni di retroguardia, che gli sviluppi futuri del diritto europeo dovessero incaricarsi di smentire.