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Le misure a tutela della vittima A. Le politiche sociali

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

VI. L’AZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA IN MATERIA DI PROTEZIONE DELLA VITTIMA

7. Le misure a tutela della vittima A. Le politiche sociali

Premesso che, facendo riferimento alle politiche sociali ci si limiterà qui agli aspetti strettamente connessi alla giustizia penale, non può non rilevarsi come dagli atti e documenti internazionali, all’inizio indicati, traspaia evidente che questo settore riveste primaria importanza e costituisce altresì il punto di partenza ineliminabile, quasi la pre-condizione, per qualsiasi intervento che voglia essere serio e duraturo, cioè a medio-lungo termine.

Sotto questo profilo non può non rilevarsi come un significativo strumento fosse già contenuto nell’art. 18 del dlg. 25 luglio 1998 n. 286, che prevede lo speciale permesso di soggiorno.

In Italia, come altrove del resto, si è proceduto sulla strada dei cosiddetti “fondi di sostegno”: aiuti, sovvenzioni ecc., a carico dello Stato a tutela delle vittime.

Così la legge 11 agosto 2003 n. 228 Misure contro la tratta di persone, prevede oltre a misure di diritto sostanziale (previsione di fattispecie specifiche) e di diritto processuale (artt. 392, 398, 498), un fondo per le misure antitratta (art. 12) destinato al finanziamento dei programmi di assistenza e di integrazione sociale a favore delle vittime. Del resto con precedenti: il Fondo di sostegno per le vittime di richieste estorsive (Decreto legge 31 dicembre 1991 n. 419, convertito con modifiche, dalla legge 18 febbraio 1992 n. 172); il Fondo di solidarietà per le vittime

dell’usura (legge 7 marzo 1996 n. 108); il Fondo di solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso (legge 22 dicembre 1999 n. 512).

Misure certo apprezzabili che, tuttavia, pare non si sottraggano alla critica di condurre a una sorta di de-responsabilizzazione del reo, per effetto dell’assunzione delle relative obbligazioni da parte dello Stato, cioè della collettività (A. FIADINO, La vittima della “tratta di persone” e la (ricorrente) politica dei “fondi di sostegno”, in DPP, 2004, 1153 ss.).

In effetti questo è il punto debole di queste misure e il cuore del problema della tutela delle vittime. Invero, il discorso andrebbe piuttosto rimeditato alla luce del rapporto reo/vittima;

quindi anche della funzione (nonché del tipo) della pena (deve comprendere anche la diretta soddisfazione della vittima?) e della sua esecuzione (deve essere condizionata dalla soddisfazione/

risarcimento/ eliminazione delle conseguenze?).

B. Il processo penale

L’altra dimensione è riferibile al processo penale in senso lato.

Combinando gli atti internazionali rilevanti (Dichiarazione ONU, Convenzione CoE e sue raccomandazioni; decisione quadro dell’UE) si ricava un complessivo ventaglio di misure, che possono essere così sintetizzate per grandi linee (ma non esaustivamente elencate): agevolazione per la vittima di concorrere a fornire le prove; cautele nell’esame della vittima; diritto della vittima di essere informata quanto alla tutela dei suoi interessi (contenuti e forme); riduzione del “peso”

o del disagio conseguente alla testimonianza; diritto alla protezione, se del caso. Su certi punti si può dire che il nostro ordinamento non sia lacunoso: si pensi all’allontanamento dalla casa familiare: art. 282 bis; alla previsione contenuta nell’art. 90, comma 3, cpp, che considera i danneggiati quali persone offese. Per altri aspetti il nostro ordinamento presenta ritardi: le informazioni su un processo penale sono veicolate necessariamente attraverso il difensore (con la conseguenza che la vittima deve averne uno di fiducia). Se si guarda all’art. art. 408 cpp si noterà che alla persona offesa (che ne abbia fatto richiesta) compete il diritto all’avviso della richiesta di archiviazione; però non è previsto il diritto alla notifica della sentenza all’esito del procedimento che l’ha vista persona offesa e denunciante.

Sarebbe interessante verificare quante di queste misure siano state proposte o siano in vigore nel nostro ordinamento. Ovvero siano con esso compatibili; ricordando ancora una volta l’affermazione della Corte di giustizia nel caso Pupino, per un’interpretazione conforme al diritto comunitario ed “espansiva”: l’incidente probatorio (art. 392, comma 1 bis, e 398, comma 5 bis, nonché l’art. 498, comma 4 ter; peraltro il precedente comma 4 bis sembra consentire un’applicazione estesa).

Per sommi capi: occorre verificare se i diritti riconosciuti dal codice alla persona offesa soddisfino appieno tali indicazioni (ad esempio non può, la persona offesa, avanzare domanda di incidente probatorio, al di là della mera sollecitazione prevista dall’art. 394 del codice); la persona offesa denunciante dovrebbe essere messa da subito (ad esempio dall’autorità alla quale la denuncia è presentata) a conoscenza dei suoi diritti e delle sue facoltà; è stata segnalata pure l’opportunità della comunicazione dell’avvenuta liberazione dell’arrestato o del condannato nei casi in cui sussista un pericolo per la persona offesa. Invece l’unico canale consentito è quello del difensore427

Se la questione della professionalità delle forze di polizia presenti aspetti di natura meramente organizzatoria (specie dopo l’ingresso di personale femminile), restano in piedi altre questioni di non poco conto: tecniche e metodiche di investigazione e di raccolta di testimonianze; utilizzazione di prove in dibattimento quando non è possibile (per accertata impossibilità di natura oggettiva: art. 111, comma 5, Cost.). E ancora: estensione dei reati . Ci si può anche chiedere se la tutela della privacy sia adeguatamente tutelata, anche con riferimento alle cronache giudiziarie e alla diffusione dei media.

427 A. BALSAMO, S. RECCHIONE, La protezione della persona offesa tra Corte europea, Corte di giustizia delle Comunità europee e carenze del nostro ordinamento, in AA.VV., Giurisprudenza europea e processo penale italiano, A. BALSAMO, R. E. KOSTORIS (a cura di), Torino, 2008, p. 316.

perseguibili a querela. Per contro il tentativo di conciliane, previsto dall’abrogato art. 465 del codice di procedura penale rispondeva a un’esigenza di tutela della vittima (oltre che di inflazione processuale); è rimasto l’art. 29, comma 4, del decreto sul procedimento davanti al giudice di pace.

Per quanto riguarda il diritto penale sostanziale il discorso si apre verso prospettive studiate ma non finalizzate: una più vigorosa subordinazione della possibilità per il reo di fruire di situazioni vantaggiose solo dopo avere rimosso le conseguenze negative della sua azione e ristorato la vittima, agendo ad esempio sulle condizioni per la sospensione condizionale della pena; l’art. 34 del decreto sul procedimento davanti al giudice di pace sembra peraltro procedere in tale direzione (comma 2: l’archiviazione perché il fatto è di lieve entità è possibile solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento).

Assai più incerto è il disposto dell’art. 27, comma 2, del procedimento a carico di minorenni. Fa, parimenti, parte del diritto sostanziale il sistema dei meccanismi e delle misure premiali e le limitazioni al loro godimento (artt. 4 bis e 58 OP).

Tuttavia, se si volesse proporre qualche riflessione all’esito di questo sommario excursus non può non sottolinearsi come resti ancora valido e inattuato l’auspicio che si passi da un diritto penale del reo a un diritto penale della vittima, essendo ancora prigionieri di quella vittimo-dommatica che, a differenza della vittimologia, resta nella prospettiva “dalla parte dell’agente”428. C. La mediazione

È la terza dimensione. Quella che con maggiore ritardo è stata coltivata in Italia trattandosi di esperienza che è maturata in particolare nei paesi di common law e in quelli scandinavi, in funzione chiaramente alternativa al processo (è noto che nei sistemi di common law il processo è incentrato sulle figure “classiche”: imputato, difesa, accusa e giudice).

Quale alternativa al processo, primariamente deputato all’accertamento della responsabilità penale del reo, la mediazione mira a privilegiare il ristoro alla vittima del reato.

Anche qui l’azione del CoE è significativa; si segnalano: la raccomandazione Rec (1999) 19 del 15 Settembre 1999; la Rec (1987) 21 (nonché la Rec (1987) 20 del 17 Settembre 1987 sulla giustizia minorile) e, prima ancora, la raccomandazione Rec (1987) 18 del 17 Settembre 1987 sulla semplificazione della giustizia penale (che denota peraltro l’ottica incentrata sul processo e, quindi, sulla mediazione in funzione deflativa del primo); anche la raccomandazione Rec (2000) 19 sul ruolo del pubblico ministero contiene spunti interessanti al riguardo.

428 V. DEL TUFO, Profili critici della vittimo-dommatica, Napoli, 1990; della stessa A. v. anche La tutela della vittima in una prospettiva europea, in DPP, 1999, p. 889 nonché Linee di politica criminale europea e internazionale a protezione della vittima, in QuestG, 2003, 705. In generale, sul punto, F. RAMACCI, Reo e vittima, in IndP, 2001, p. 7.

VII.LEVITTIMEDEIREATINELLALEGISLAZIONEENELLA