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Aumento del salario minimo

4. Le nuove figure sociali

5.2 Provvedimenti di appianamento

5.2.1 Aumento del salario minimo

Un metodo per diminuire il numero crescente di working poor in Giappone è stato aumentare lo stipendio orario minimo per i lavoratori a tempo determinato. Come mostrato nei capitoli precedenti, il salario medio annuale per i lavoratori a tempo determinato è di 1,72 milioni di yen, e la soglia di povertà in Giappone è considerata inferiore 1,5 milioni di yen annui. Per cui, molti lavoratori a tempo determinato, vivono con un reddito inferiore, o di poco superiore, alla soglia della povertà. Aumentando il salario orario minimo si darebbe l’opportunità alla popolazione di uscire dallo stato di povertà, gravando in maniera minore sul welfare dello Stato, e dando inoltre la possibilità economica a molte persone di sposarsi e creare una famiglia. Infine, un maggiore reddito potrebbe permettere alle persone di pagare i contribuiti della sanità nazionale e della pensione, diminuendo così il debito pubblico giapponese. Nel lungo termine, questa soluzione potrebbe supplire ad una lunga serie di problemi.

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Il primo accordo sulla decisione del Governo di un salario minimo risale al 1982, quando fu definito il sistema salariale minimo specifico per l'industria sebbene rivolto soltanto a categorie ristrette di industrie per le quali i salari minimi dovevano essere aumentati.7 Successivamente la questione del

salario minimo venne ufficialmente affrontata dal Governo soltanto con la Legge sul Salario Minimo8 nel 2007 in risposta alla mancanza di efficienza del salario minimo legale come rete di sicurezza. Gli emendamenti sono entrati in vigore il 1 luglio 2008 e hanno aggiunto un riferimento specifico al tenore minimo di vita (articolo 9, punto 3 della Legge sul Salario Minimo), affermando che «la fissazione del salario minimo deve essere coerente con lo standard minimo di vita»9, sebbene il significato di questo riferimento sia piuttosto vago.

Nel 2009, inoltre, il Partito Democratico del Giappone si è impegnato, nel suo programma elettorale, a cercare di aumentare il salario minimo medio nazionale a ¥ 1.000 all'ora.La discussione del gruppo di esperti composto da rappresentanti dei circoli del lavoro e della gestione aziendale sarebbe stata guidata dal Primo Ministro Abe, che ha definito una politica di aumento dei salari minimi del 3% annuo fino al raggiungimento di ¥ 1.000 come parte degli sforzi per alimentare la spesa dei consumatori ed accelerare la crescita economica del Paese. Di conseguenza, a partire dagli ¥ 713 orari nel 2010, il salario minimo ha continuato a salire e attualmente ammonta a ¥ 874 orari.10

Facendo un semplice calcolo, una persona che lavora quaranta ore a settimana con una retribuzione oraria di ¥ 874, guadagnerà in un anno circa ¥ 1,77 milioni (circa 14,170 €). Con l’obbiettivo del Primo Ministro di ¥ 1000 orari, una persona che lavora a tempo determinato quaranta ore a settimana, guadagnerà circa ¥ 2 milioni annui (circa 16,000 €), e ciò permetterebbe ai lavoratori di allontanarsi dalla soglia di povertà.

Guardando da un lato positivo, l’aumento del salario minimo porterà a migliorare le condizioni di lavoro di coloro che ricevono una bassa retribuzione. L’aumento salariale minimo costringe di fatto, un'impresa a pagare un salario più alto anche ai lavoratori non qualificati, per cui, in questa situazione, l'azienda ha quindi un incentivo ad aumentare la produttività dei propri lavoratori attraverso la

7OHASHI Isao, The Minimum Wage System in Japan: In Light of Circumstances in the United States and Europe, in

“Japan Labor Review” Vol.8, no.2, primavera 2011,

https://www.jil.go.jp/english/JLR/documents/2011/JLR30_ohashi.pdf, 11-01-2019, cit., p. 18.

8 Titolo originale in giapponese 最低賃金法 (saitei chinginhō), disponibile in lingua sul sito del MHLW al link:

https://www.mhlw.go.jp/bunya/roudoukijun/saiteichingin02/dl/04.pdf.

9SEKINE, The Rise of Poverty in Japan: The Emergence of the Working Poor, cit., p. 65.

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formazione lavorativa, in modo da recuperare parte dell'eccedenza persa, con un conseguente aumento della formazione generale.11

Da un punto di vista negativo, oltre al declino della popolazione in Giappone che sta riducendo l'attrattiva del mercato dei consumatori giapponesi, le imprese giapponesi o straniere hanno meno incentivi a localizzare le loro strutture nel Paese. Infatti, le aziende giapponesi sono ora molto più propense a localizzarsi al di fuori del Paese, a causa delle elevate aliquote dell'imposta sulle società e dello Yen forte, ed un aumento dei salari potrebbe essere il motivo decisivo per il trasferimento di molte aziende. Si vedrebbero così un gran numero di lavoratori a tempo determinato licenziati in massa.12 Il Governo deve fare così attenzione affinché le imprese non siano tentate di tagliare i posti di lavoro per far fronte ai salari più alti, il che vanificherebbe lo scopo stesso della politica.

Inoltre, allo stesso tempo, il salario minimo non è uno strumento particolarmente efficace né particolarmente efficiente per ridurre la povertà, poiché i lavoratori a tempo determinato non sono necessariamente membri di famiglie povere. Quello che deve essere considerato è quale tipo di lavoratori sarà significativamente influenzato dall’aumento salariale minimo. Vi sono vari categorie di lavoratori a tempo determinato, tra cui casalinghe e studenti, che non sono necessariamente membri di famiglie a basso reddito, così come i lavoratori che devono sostenere con il proprio stipendio sé stessi e i loro familiari. Inoltre, alcuni lavoratori accettano questo tipo di lavori poco retribuiti momentaneamente, per acquisire esperienza lavorativa ai fini di creare una propria formazione professionale. Poiché tutti questi lavoratori sono trattati in modo uniforme in termini di salari minimi orari, sarà necessario variare i salari minimi in base alle competenze dei lavoratori. Dato che i lavoratori a tempo determinato in Giappone includono casalinghe e anziani, sarebbe più razionale variare i salari minimi ridotti in base alla durata dell'orario di lavoro giornaliero o settimanale rispetto ad una variazione basata sull'età o il genere. Un esempio di aliquote ridotte, come suggerisce Ohashi potrebbe essere così definito: il salario minimo intero potrebbe essere assegnato per i lavoratori che lavorano quaranta ore o più a settimana, coloro che lavorano tra le trentacinque e le quaranta ore potrebbero beneficiare del 94% del salario minimo, coloro che lavorano tra le trenta e le trentacinque ore per l'88%, coloro che lavorano tra le venticinque e le trenta ore per l'82%, e coloro che lavorano meno di venticinque ore per il 76%.13Questo adattamento, indipendentemente dai tassi di riduzione, terrebbe conto di due fattori. Uno è un fattore dal lato della domanda: la natura e la portata dei compiti di un impiego variano in base al numero di ore di lavoro, il che significa che ci sono differenze di

11HARA Hiromi, Minimum wage effects on firm-provided and worker-initiated training, in “Labour Economics”, vol. 47

pp. 149-162, 2017, https://www.journals.elsevier.com/labour-economics, 11-01-2019, cit., p. 150.

12ABE Yukiko, Minimum Wages and Employment in Japan, in “Japan Labor review”, Vol. 8, no. 2, primavera 2011,

https://pdfs.semanticscholar.org/641a/a1fa0dcc0ff757be0673b862015dfce0d1dd.pdf, 11-01-2019, cit., p. 44.

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produttività tra i lavoratori con orari di lavoro diversi che non possono essere spiegati solamente dall’ammontare complessivo delle ore. L'altro è un fattore dell'offerta: alcuni lavoratori, come casalinghe e studenti, preferiscono orari di lavoro più brevi, mentre altri hanno bisogno di maggiori ore di lavoro per potersi mantenere.14 In poche parole, con questo modello beneficerebbero sia i lavoratori a tempo determinato, andando a sollevare coloro sotto la soglia di povertà, sia le aziende, che avrebbero ancora guadagni economici nel mantenere i propri lavoratori.