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La trappola della precarietà

4. Le nuove figure sociali

4.1 La trappola della precarietà

Attualmente avere un lavoro a tempo determinato, caratterizzato da un salario insufficiente per una sussistenza socialmente rispettabile e uno stile di vita dignitoso, è un forte indicatore di precarietà: infatti il reddito annuale tra il 1997 e il 2008 per questa categoria di lavoratori con età media intorno ai vent’anni è infatti diminuito del 14%. L'inevitabile rovescio della medaglia di una società che ha fatto della "flessibilità" e delle insicurezze i capisaldi del sistema economico è rappresentata da sentimenti di rabbia, ansia e alienazione. La precarietà data dal lavoro è intensificata ulteriormente dalla diminuzione del sostegno dato dalla comunità. Infatti, mentre i lavoratori a tempo determinato lavorano, sebbene per un salario basso, non hanno diritto a sussidi statali o aziendali e, conseguentemente, necessitano del costante appoggio economico fornito da familiari e amici. Secondo la statistica del Ministero della Salute e del Lavoro del Giappone (厚生労働省 Kōsei

Rōdōshō), (da qui in poi MHLW) nel 2010, il 56% di impiegati tra i quindici e i trentaquattro anni,

necessitavano di una seconda fonte di introiti che li aiutasse per le spese di prima necessità. Ciò è

4 Gordon MATHEWS e Bruce WHITE, Japan’s Changing Generations, London, New York, RoutldegeCurzon, 2004, cit.,

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aggravato dallo stress dell'insicurezza lavorativa e dall'umiliazione di dover costantemente cercare di prostrarsi alle agenzie e ai potenziali datori di lavoro.5

I giovani risentendo di questa insicurezza lavorativa, desiderano un lavoro a tempo indeterminato come la generazione dei loro genitori. Eppure, molti di questi rifiutano il tradizionale stile di lavoro giapponese delle generazioni più anziane.

Secondo un sondaggio su Internet, condotto dall'agenzia pubblicitaria Dentsu Communication

Institute Inc., 3.000 impiegati di ambi i sessi di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni, che

lavorano tre giorni alla settimana o più, con contratti a tempo determinato o indeterminato,sono stati intervistati per sondare il loro atteggiamento nei confronti del lavoro. Sono stati coinvolti inoltre 1.200 dipendenti intorno ai trent’anni e 1.200 intorno ai quarant’anni per confrontare la loro mentalità con quella dei colleghi più giovani. È stato chiesto loro di scegliere un’alternativa tra le proposte per descrivere il loro atteggiamento verso il lavoro: il 28,7 % degli intervistati di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni ha dichiarato che non avrebbero lavorato se avesse avuto i mezzi per evitarlo. Al contrario, solamente il 17,3% ha risposto che avrebbe dedicato volentieri la loro carriera lavorativa alla stessa azienda. Il 69,3% dei giovani intervistati ha dichiarato che lo scopo primario del lavoro era di ottenere un reddito, mentre il 25,4% ha dichiarato di voler lavorare per realizzare uno scopo nella vita. Inoltre, durante l’intervista è stato chiesto di riconoscere il significato di alcune parole comunemente usate dalla generazione precedente. 企業戦士 Kigyo senshi, ovvero un termine che significa “soldato aziendale”, è stato riconosciuto solo dal 31,2% degli intervistati di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni. Il termine era una parola d'ordine ampiamente utilizzata che descriveva fedeli lavoratori aziendali che lavoravano instancabilmente per sostenere la rapida crescita economica del Giappone. La parola è stata inoltre riconosciuta dal 53,6% degli intervistati con più di quarant’anni. Allo stesso modo, solo il 21,7 % dei giovani intervistati conosceva un'altra parola d'ordine che descriveva diligenti lavoratori aziendali, モ ー レ ツ 社 員 moretsu shain ovvero “impiegato ferocemente devoto”, questo rispetto al 54,4% degli intervistati sui quarant’anni.6

Questa intervista mostra alcune differenze negli atteggiamenti lavorativi tra gli intervistati maturi, che hanno vissuto in un'era in cui sacrificare il proprio tempo privato era la norma, e gli intervistati più giovani, che danno maggiore importanza al raggiungimento di un soddisfacente equilibrio vita- lavoro, rispetto al mantenere i principi caratteristici dell’impiego a vita.

5STANDING, The Precariat, cit., p. 66.

6MURAI Shusuke, Almost 30% of young people don’t want to work for a company, survey finds, in “The Japan Times”,

15 agosto 2015, https://www.japantimes.co.jp/news/2015/08/14/national/social-issues/almost-30-young-people-dont- want-work-company-survey-finds/#.XB1ja1xjPIV, 17-12-2018, cit.

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Vi è stato, infatti, molto dibattito sul fatto che i giovani d’oggi abbiano un atteggiamento diverso nei confronti del lavoro rispetto ai loro predecessori. Coloro che vengono chiamati “Generation Y”, i “Millennial” o la "generazione iPod", ovvero coloro nati dalla metà degli anni Settanta in poi, vengono descritti come meno ambiziosi dal punto di vista materiale e meno impegnati nel lavoro rispetto ai baby boomer o “Generazione X”, ovvero coloro nati tra gli anni Sessanta e Settanta. Ciò può semplicemente riflettere la natura dei posti di lavoro disponibili per le giovani generazioni e la prevalenza della trappola della precarietà. A causa di motivi psicologici ed economici, molti non possono permettersi di impegnarsi in lavori che potrebbero perdere improvvisamente con un breve preavviso.

La trappola della precarietà riflette una discordanza tra le aspirazioni dei giovani e il sistema di preparazione del capitale umano. La spinta del sistema educativo a migliorare il capitale umano non ha prodotto migliori prospettive di lavoro, dato che la maggior parte dei posti di lavoro offerti non richiede in realtà elevati anni di istruzione. L’istruzione promossa come un investimento per la carriera non porta perciò alcun ritorno economico per la maggior parte degli studenti: la maggioranza di essi verrà di fatto assunta in posti di lavoro che non richiedono qualifiche di alto livello, per cui al di sotto delle loro qualifiche, ma costretti ad accettarli per potere ripagare i debiti sostenuti per la stessa istruzione che avrebbe dovuto garantire loro posti di lavoro ad alto reddito. Esistono due distinte trappole della precarietà per i giovani che emergono dall'istruzione terziaria, ovvero universitaria.

La prima è la trappola del debito. Supponiamo che i giovani vogliano costruire una propria identità professionale ed una carriera che richiedono una strategia a lungo termine. Per questo motivo intraprendono studi universitari per ottenere i certificati necessari, e accumulano debiti economici per potersi permettere quel tipo di educazione. A causa della bassa disponibilità sul mercato di lavori a tempo indeterminato, molti trovano lavori a tempo determinato con stipendi troppo bassi per ripagare quei debiti. Quei lavori inoltre, non sono coerenti con le loro qualifiche e aspirazioni. Questi stessi giovani, vedono e sentono che milioni di loro coetanei sono bloccati in posti di lavoro per i quali le loro capacità e competenze sono mal assortite. La trappola della precarietà peggiora quando i potenziali datori di lavoro possono ricevere informazioni riguardo l’indebitamento economico dei candidati e dubitare, di conseguenza, della loro affidabilità come possibili impiegati futuri.7

In generale, i giovani sono divisi tra le loro aspirazioni, sostenute dai loro certificati e anni di studio, e dal loro bisogno di reddito. È in quel momento che scatta la seconda trappola di precarietà. Infatti, i giovano possono accettare un lavoro a tempo determinato spinti dal bisogno di denaro per vivere e

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ripagare il debito scolastico ma allo stesso non possono poiché accettare un lavoro a tempo determinato potrebbe sbarrare le loro prospettive di una carriera alternativa. Accettando potrebbero perdere una carriera alternativa, non accettando potrebbero essere etichettati come pigri e razziatori. Dei giovani che stanno entrando nel mercato del lavoro, molti sperimentano un senso di frustrazione per il loro status, poiché, a causa della trappola della precarietà, si sentono economicamente insicuri e incapaci di riuscire a costruire una propria carriera lavorativa soddisfacente.8

In Giappone, la crisi economica ha accelerato il passaggio della gioventù al precariato. Tradizionalmente, i giovani laureati cominciavano, finito il percorso di studi a marzo, a cercare un lavoro che potesse diventare il loro impiego a vita. Vi è stato un blocco parziale di questa prassi durante la crisi all'inizio degli anni Novanta ma, da dopo il 2008, è stato totalmente bloccata. Il modello del salaryman si è ormai sgretolato. Quasi la metà di tutte le grandi e medie imprese ha dichiarato di non avere intenzione di assumere alcun dipendente a tempo indeterminato.9 I laureati sono così costretti ad adattarsi alla nuova realtà lavorativa, schiacciati sempre più ai margini della società.