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5. Autografia

5.2 Autografia presunta

Con il termine di 'autografia presunta' intendo rifermi a quelle portate in cui per varie ragioni, si può ipotizzare un intervento diret- to delle vedove nella stesura del documento fiscale. La sostanziale differenza fra queste portate e quelle solamente sottoscritte è che nel secondo caso è possibile distinguere due momenti: quello della dele- ga e quello dell'apposizione della sottoscrizione. Nel caso di autogra- fia, si presuppone invece l'intervento diretto e forse esclusivo (ossia senza intermediari) delle vedove nella stesura del documento.

L'autografia tuttavia non è un dato oggettivo e immediatamen- te riconoscibile. L'individuazione di possibili portate autografe si è così rilevato in molti casi un percorso irto di dubbi e domande e non sempre è stato possibile giungere a delle risposte esaurienti. Natu- ralmente, al fine di individuare i casi di autografia, ogni singola in- formazione contenuta un ciascuna portata è stata presa in conside- razione. Durante lo spoglio e l'analisi delle filze, è frequentemente accaduto che portate, inizialmente sospettate di essere autografe, si siano poi rilevate delle deleghe di scrittura a terzi.

Come per le sottoscrizioni, anche per lo studio di queste testi- monianze scritte sono stati presi in considerazione una molteplicità di elementi: l'età della dichiarante, eventuali infermità fisiche e le competenze grafico-linguistiche di chi ha scritto la portata. A diffe- renza del testo della sottoscrizione, in cui è possibile ricostruire una formula fissa e ricorrente (costituita essenzialmente dal nome della dichiarante, seguito da una formula di conferma di quanto è stato scritto per suo conto), la portata non ha una struttura testuale tale

da orientare subito nel senso dell'autografia. Anche nel caso in cui le donne “capofamiglia” abbiano provveduto alla stesura dell'intero documento fiscale, non ci si imbatte necessariamente in espressioni testuali tali da fare propendere, senza esitazioni, per l'autografia.

Le dichiaranti che, verosimilmente, hanno provveduto da sé alla stesura della portata, si sono sottoposte ad un esercizio di scrit- tura piuttosto complesso ed articolato; un compito cui hanno adem- piuto secondo le loro competenze.

È vero, come si è detto, che il catasto è un “fermo immagine” della città di Firenze, che ci consente di esaminare, teoricamente, le di- chiarazioni di tutti i capofamiglia appartenenti a tutti gli strati so- ciali presenti nella città, ma è anche vero che questo “fermo immagi- ne” ci mette a disposizione un'unica testimonianza grafica per cia- scuno scrivente;143 questo, molto spesso, non è sufficiente per scio-

gliere tutti i dubbi che si hanno nell'esaminare un documento che potrà essere si autografo, ma anche scritto da altri, se la delega non è espressamente indicata.

Le informazioni cui ho dato il maggior peso nell'esprimere un giudi- zio sull'autografia, nei casi in cui questa sembrava plausibile, sono: l'età della donna, le sue condizioni di salute, eventuali indicazioni di capacità/incapacità di scrivere.

Naturalmente, qualora sia stato possibile individuare la stessa mano scrivente per più portate riferibili a persone diverse, uomini o donne, appartenenti ad esempio alla stessa cappella, si è esclusa l'autografia e si è ipotizzato un meccanismo di delega. Il ricorso alla possibilità della delega di scrittura era ampiamente praticato anche dagli uomini, per motivi legati all'analfabetismo, innanzitutto, ma 143 Si veda il cap. 5.1

anche perché era possibile semplicemente delegare ad altri la com- pilazione della portata dietro compenso.

Nell'esaminare le portate riconducibili a dichiaranti donne è sembrato quasi naturale, muovendo dalle conoscenze acquisite sul- l'alfabetismo femminile nella Firenze del primo Quattrocento, esclu- dere a priori l'autografia. L'analisi effettuata direttamente sulle di- chiarazioni però ha portato di individuare un piccolo gruppo di por- tate che potrebbero forse essere autografe.

Di fronte a queste probabili testimonianze grafiche femminili non ho potuto non tenere conto delle riflessioni più volte illustrate da nei saggi della Miglio144 e delle successive precisazioni di Attilio

Bartoli Langeli volte a qualificare la situazione grafico-culturale del- l'area fiorentina: «viene il sospetto che solo a Firenze e solo da parte di quel ceto mercantile così maturo e acculturato, la subalternità femminile ricevette sanzione ideologica, diventando davvero un ma- cigno più pesante che altrove.»145 Fuori da Firenze, sembrerebbe, ci

siano state delle donne che non solo hanno tenuto ma hanno scritto di propria mano dei libretti di conti. Si tratterebbe di vedove, per lo più di modesta condizione, subentrate al marito nella gestione della famiglia o nell'amministrazione della piccola azienda. Alcuni esempi sarebbero costituiti della lucchese Agnesia, che ha tenuto un libro di conti di casa tra il 1397 e il 1392; dall'aretina Francesca, che ha redatto un libro di amministrazione di un suo albergo alla fine del XIV secolo; della senese Bartolomea vedova di Girolamo di Domeni-

144Si veda la nota 86.

145 A. BARTOLI LANGELI, La scrittura dell'italiano, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 66-67. In quel con- testo, Bartoli Langeli avanza l'ipotesi che Venezia possa essere considerata un'area in cui «si ri- scontra un'attività scrittoria femminile (pur sempre minoritaria rispetto a quella maschile), auto- revole, meno bloccata e faticosa.»

co, che ha annotato ai primi del Quattrocento le spese sostenute per l'istruzione dei quattro figli.146

Si tratta, come si vede, di esempi che potrebbero calzare bene con tante delle situazioni sociali ed economiche che è possibile co- gliere nel catasto fiorentino. È tutta via difficile articolare risposte soddisfacenti per ogni singolo caso che il catasto offre. Le nostre co- noscenze sulle scritture femminili quattrocentesche sono insuffi- cienti, non tali comunque da chiarire in che modo la diffusione del- l'alfabetizzazione abbia coinvolto le donne appartenenti ai ceti meno abbienti. Per tale motivo, è sempre possibile imbattersi in una testi- monianza grafica femminile, ma non riconoscerla come tale, specie se la scrittura è tracciata con quella disinvoltura che, forse pregiudi- zialmente, neghiamo alle donne.147

A differenza del testo della sottoscrizione, l'intera stesura della dichiarazione richiede una maggiore capacità di formulare le frasi e periodi che andranno a costituire un testo relativamente complesso. La stesura di una portata richiede, in ogni caso, un minimo di for- malità dal momento che i suoi contenuti non sono noti ai destinata- ri. Si tratta infatti di una comunicazione ufficiale e formale, diversa- mente da quanto accade, ad esempio, nella stesura di una lettera in cui tra il destinatario e il mittente c'è una familiarità, tale da colma- re eventuali lacune sintattico-grammaticali presenti nel testo.

146 Gli esempi sono ripresi da A. BARTOLI LANGELI, La scrittura dell'italiano, cit., p. 67

147 Per quanto ne sappiamo, per le donne scrivere era un atto meramente accessorio, a differenza di quanto accadeva per gli uomini che imparavano a scrivere perché destinati a diventare notai o perché gestivano la contabilità di piccole e grandi aziende. Questa divisione così netta dei com- piti tra uomini e donne non aiuta a comprendere o a intuire se ci fossero degli spiragli offerti alle donne di imparare a scrivere. Solamente in caso il percorso di apprendimento della lettura e della scrittura era accessibile alle donne, vale a dire nel caso della monacazione.

L'input iniziale per lo scrivente è diverso, non ricade nella sfe- ra del privato: i destinatari sono gli Ufficiali e non i familiari lontani, diversi sono i contenuti. Il saper scrivere diventa una necessità, pubblica il saper produrre una dichiarazione chiara e leggibile con- sente di far valere i propri diritti e ottenere eventuali sgravi fiscali.

Aver ipotizzato la presenza di un piccolo gruppo di portate po- tenzialmente autografe nel primo Catasto è stato per me un buon motivo per tentare una ricerca di queste dichiaranti anche nelle successive portate dei cittadini del 1430 e del 1433.148

L'unica vedova di cui sono state rintracciate tutte le portate, in successione, presentate nei rispettivi Catasti del 1427,149 1430150

e 1433,151 è Lisa di Nofri Dini.152 La portata di Lisa è redatta utiliz-

zando una tipologia grafica che è possibile ricondurre al polo grafico della cancelleresca, ad un livello di esecuzione grafica elementare: vi noteremo solamente la pressoché totale assenza di legamenti tra le lettere, accompagnata però dall'utilizzo delle forme fisse per il ch e gh con il tratto inferiore dell'h assente. La dichiarazione del 1430 sembra essere scritta nuovamente da Lisa. La scrittura non presen- ta nuove varianti grafiche, ma è possibile notare solo un leggero tre- molio nei segni tracciati e l'assenza di una qualsiasi forma di impa- ginazione del testo sulla pagina. Nel 1433 la portata non è scritta da

148 Si veda il cap. 2.2.3 A differenza del primo catasto, in quelli successivi ogni dichiarante, su ri- chiesta degli Ufficiali del catasto, ha presentato la portata in duplice copia. Gli Ufficiali dopo aver registrato le dichi

149 ASFi, AC, Filza 18 Parte I, c. 1089-1090. Appendice: n. 885. 150 ASFi, AC, Filza 335, c. 529; Filza 336, c. 575v.-576. 151 ASFi, AC, Filza 436, c. 56

Lisa ma da un altro scrivente, tuttavia nel documento sono presenti delle annotazioni chiaramente scritte da Lisa.

Un altro caso analogo, quanto a reperibilità di portate auto- grafe ma diverso per quanto riguarda l'estrazione sociale, poiché si tratta di una donna appartenente ad una delle più importanti fami- glie di banchieri del tempo i Corsini. È quello di Monna Caterina ve- dova di Piero Corsini,153 la sua portata è redatta utilizzando una

cancelleresca di livello esecutivo che potremmo definire usuale. Nel- la parte conclusiva della portata Monna Caterina scrive «a voi sopra- detti ufficiali mando questa portata la quale io o' e scrita di mia mano». La scrittura di Caterina è posata e abbastanza sicura, ben formata e piuttosto aderente al suo modello. È una scrittura ben pa- droneggiata, che può essere utilizzata con sicurezza per scrivere qualsiasi cosa.

153 Vespasiano descrive Caterina vedova di Piero Corsini con le seguenti parole: «donna di mirabi- le vita et costumi, fu molto bella del corpo ma più della mente. Fu maritata in casa e Corsini. [...] Aveva notitie delle lettere latine et occupava il tempo in dire l'ufficio secondo che dicono i sa- cerdoti. Aveva più libri della scrittura sancta ne' quali legeva.» in VESPASIANODA BISTICCI, Il li- bro delle lodi delle donne, a cura di G. Lombardi, Roma, Vecchiarelli, 1999, pp. 107-08

Fig. 5 Fig. 4

Una testimonianza autografa sembra essere anche quella di

Monna Giana vedova di Tommaso di Giovanni Fini.154 Di lei posse-

diamo sia la portata presentata nel 1427155 sia l'aggiunta datata

1428.156 Dei due documenti presentati da monna Giana quello di

maggiore interesse è l'aggiunta presentata nel 1428, poiché è qui che la donna dichiara di aver scritto 'di mia propria mano' il docu- mento. La scrittura utilizzata da Giana è riconducibile al polo grafi- co della cancelleresca, il livello di esecuzione grafica si può definire usuale. Non si tratta certamente di una testimonianza grafica ricon- ducibile ad una persona poco familiarizzata con la scrittura. Giana non fa uso di nessun segno abbreviativo, però conosce i più comuni schemi contabili; infatti il testo è diviso in paragrafi evidenziati da un rigo lasciato in bianco e da l'utilizzo della maiuscola fuori margi- ne.

In tutto il catasto fiorentino è possibile individuare solamente questi tre documenti in cui è presente una dichiarazione esplicita di scrittura da parte delle donne. Quale valore bisognerà dare alla di- chiarazione 'o' scritto di mia mano', in particolare quando abbiamo poche informazioni relative alle donne autrice delle portate? Le testi- monianze finora prese in considerazione provengono da donne di cui è difficile trovare traccia in altre fonti. Questo isolamento docu- 154 Tavole: Fig. 27. Dalla lettura del testo apprendiamo che Monna Giana è figlia di Filippo di

Messer Ruberto. 155 Appendice: n. 673.

156 ASFi, AC, Filza n. 63, c. 408.

mentale, la stessa eccezionalità della dichiarazione di autografia, fa si che sia pressoché impossibile formulare delle risposte soddisfa- centi sul come e perché abbiano imparato a scrivere. Nonostante l'e- siguo numero di testimonianze di autografia femminile, in particola- re se rapportato al numero complessivo di vedove, si può però intra- vedere una nota positiva. Le donne che a vario titolo hanno lasciato traccia delle proprie competenze grafiche provengono da ambienti sociali differenti e si vanno ad aggiungere a quelle testimonianze grafiche femminili che già sono note.157 L'acquisizione di queste

espressioni grafiche lascia supporre che a Firenze esistessero dei luoghi o degli spazi, probabilmente interni alla famiglia, in cui le donne potevano avere un qualche libero accesso all'apprendimento della scrittura e della lettura.

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