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L’avvento dei francesi a Bologna e i luoghi pena

Legislazione penale e istituti di reclusione tra fine Settecento ed Età francese

2. L’avvento dei francesi a Bologna e i luoghi pena

Uno dei primi provvedimenti adottati dalle autorità francesi a Bologna fu il trasferimento dei detenuti della casa di correzione maschile della Pietà in quella femminile di San Gregorio, nel 1796. Quattro anni dopo, nel gennaio del 1800, quest’ultima fu trasformata in casa di detenzione: carcerati su istanza parentale e reclusi in seguito ai rastrellamenti effettuati per le vie cittadine vennero liberati, o posti in altri istituti assistenziali57.

A San Gregorio, quindi, rimasero solo donne e minori condannati alla detenzione. Invece, i condannati a qualsiasi titolo dai tribunali si posero presto nelle case d’arresto, o furono impiegati in vari lavori di manutenzione di strade e fortezze, in modo non dissimile da quanto accadde in altre zone della neonata Repubblica58.

Tra gennaio e febbraio del 1798, infatti, all’interno del Gran Consiglio - uno dei due organi preposti alla preparazione delle leggi nella Cisalpina - ancora si discuteva su quale dovesse essere il destino dei soggetti condannati dai governi degli antichi stati italiani.

Fu istituita una commissione con l’apposito compito di stilare una lista dettagliata di edifici e fabbriche appartenenti alla nazione, per valutare un loro eventuale adattamento in case di forza. Qui, la legittimità della reclusione sarebbe stata garantita dall’utilizzo di prassi appartenenti alla giustizia formale, ponendo fine «agli orrori di quelle carceri che infliggono una continua pena estranea al

57 Rimando, per informazioni più dettagliate in proposito alla mia già citata tesi di laurea, dal titolo

Orfani, «discoli», prostitute, pazzi a Bologna tra antico regime ed età napoleonica. L’Opera Pia dei Mendicanti, in particolare alle pp. 153-155.

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A proposito dei condannati ancora presenti nelle case d’arresto, cfr. la legge 13 germile anno VI (3 aprile 1799) in ASB, BPL, Tomo IX. Sull’impiego di questi nei lavori pubblici si veda invece l’«Avviso del Commissario del Potere Esecutivo Pistorini», emanato in data 19 giugno 1799, ivi, Tomo XX.

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delitto, non congrua alle leggi, contraria ai sentimenti naturali del cuor dell’uomo»59.

Il Direttorio aveva già inviato al Gran Consiglio una cospicua somma per l’acquisto del castello di Trezzo, tra Lecco e Cassano, nel quale si sarebbero dovuti custodire e mettere al lavoro sino a 600 condannati delle province al di qua del Po, e lo stesso si voleva fare per le altre zone della Repubblica.

Nel corso di alcune assemblee, venne non solo discusso il risultato emerso dalle indagini, ma anche e soprattutto vagliata l’effettiva utilità che questi spazi avrebbero potuto portare tanto al condannato, quanto alla nazione.

Significativamente, solo un membro della commissione giudicò opportuno l’impianto di tali istituzioni, nella convinzione che queste si sarebbero rivelate più funzionali alle viste di economia e di sicurezza di quanto lo fossero i pubblici lavori, ai quali i condannati venivano costantemente inviati a seconda dei bisogni e della richiesta di manodopera.

Tutti gli altri interpellati, per diversi motivi, reputarono l’ipotesi come poco convincente. Da un lato, le case di forza furono considerate soluzioni contrarie al valore esemplare della pena, poiché l’espiazione del delitto si sarebbe svolta lontano dagli occhi della comunità. Dall’altro, si credeva che risultati migliori si sarebbero potuti ottenere impiegando i condannati in arsenali e magazzini o, meglio ancora, in alcuni porti appositamente aperti, nell’intento di incrementare l’economia nazionale e di «supplire con l’arte a ciò che ci ha negato la Natura».

La generale adozione della pena detentiva fu giudicata, dunque, una misura estranea «ai principi di giustizia e umanità, alle pratiche politiche ed economiche, ai canoni della polizia medica, ai principi di libertà e uguaglianza»60. E, durante le diverse sedute, non mancarono riflessioni generali di grande interesse sulla pietosa condizione degli spazi di internamento che la Repubblica aveva ereditato dai passati governi, le cui deficienze potevano pericolosamente ripresentarsi nei nuovi istituti proposti. In questo modo, infatti, si espresse Alvise Savonarola, che più di tutti si batté per evitare l’impianto delle case di forza:

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Per tutta la questione relativa all’impianto di nuove case di forza in periodo repubblicano, vedi Assemblee della Repubblica Cisalpina, a cura di C. Montalcini e A. Alberti, vol. II, Bologna, Zanichelli, 1917, pp. 249-252 e 391-392.

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è triste dover pensare a un luogo ove si rinchiudano i nostri simili. Ma la fralezza umana e le disordinate passioni inducono i Governi a prendere quelle misure che lacerano il cuore. Ognuno però conosce quali sieno le prigioni (…). In questi luoghi si moltiplica mille volte il castigo a’ delinquenti. Ammassati insieme, e confusi, essi respirano un’aria letale, corrotta dal lezzo e dai fiati umani che le tolgono ogni elasticità. Quindi quelle febbri morbose e quelle malattie che conducono alcuni di que’sciagurati innanzi tempo alla tomba, e che riducono gli altri a menare una vita languente (…). Che la Commissione dunque si occupi ad esaminare qual uso si possa fare de’condannati, in luogo di ammucchiarli insieme nelle prigioni o nelle case di forza61.

Se la legislazione francese, già nel codice redatto dalla Costituente nel 1791, aveva visto la privazione della libertà come centro del sistema punitivo, nei territori della penisola dopo ben due anni dall’arrivo delle truppe napoleoniche, regnavano ancora forti incertezze in proposito.

Certo, le accuse contro i passati regimi si erano concretizzate, già a partire dai primi mesi della Cispadana, nella diffusione di decreti e di provvedimenti che proclamavano l’avvento di una nuova giustizia più efficiente e spedita. «Togliere ad un tratto, fino alla radice tutti gli antichi sistemi»: fu questo il proposito espresso dal presidente del tribunale del Reno, impiantato nell’agosto del 1797 a sostituzione del tribunale del Torrone62.

A Bologna, il nuovo governo si avvalse di avvisi e ordinanze per denunciare aspramente le irregolarità e gli abusi del periodo papale, quali le lunghe detenzioni in attesa della sentenza nelle carceri cittadine, che «facevano quasi per ingiusta riguardare la pena, che veniva poi decretata». E numerosi provvedimenti si contrapposero esplicitamente a prassi comunemente usate in antico regime. Si pensi al precoce divieto di utilizzare strumenti estranei alla giustizia regolare per comminare le sanzioni - i cosiddetti tribunali incostituzionali - o all’obbligo di

61 Ivi, pag. 253.

62 Vedi ASB, BPL, Tomo IV, f. n. 659, «Avviso del presidente del Tribunale del Reno» in data 17

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condurre e detenere i soggetti solo in luoghi «legalmente e pubblicamente designati per casa di arresto o di giustizia»63.

Ma, per diversi anni, in tutti i territori soggetti all’influenza francese non vi furono significativi interventi nel settore carcerario, e lo stesso accadde alla città di Bologna. Nei primi momenti, infatti, dietro l’esigenza di soffocare sul nascere disordini potenzialmente pericolosi per la giovane Repubblica, ci si concentrò sulla salvaguardia della “pubblica sicurezza”, mediante una precoce e intransigente normativa volta alla repressione di attentati alla persona, alla proprietà e allo Stato64.

La stessa nascita della Cisalpina fu accompagnata da una disposizione riguardante la regolamentazione di ogni forma di dissenso, ove la pena di morte fu comminata per una serie di delitti, equiparando il tentativo al crimine effettuato, e lasciando ampia possibilità di includere un grande numero di condotte nel novero delle azioni punibili, grazie alla genericità delle formule usate65. Tra 1797 e 1799, si accordarono al Direttorio Esecutivo enormi poteri in materia di mantenimento dell’ordine, quali la possibilità di avvalersi di «tutti i mezzi straordinari politici, economici e militari ad assicurare la tranquillità e la conservazione della Repubblica», avvisando solo in un secondo momento i Consigli Legislativi. E si moltiplicarono anche tanto le norme riguardanti generiche categorie di dissidenti politici, quanto i decreti che assicuravano larga manovra per la preservazione del nuovo stato66.

63 Cfr. «Proibizione de’ Tribunali incostituzionali», legge 21 pratile anno V, 5 agosto 1797, ivi,

Tomo V. L’obbligo di reclusione nei soli spazi riconosciuti dalla legge è invece affermata già nella Costituzione Cispadana e nella Costituzione della prima Cisalpina per le quali si rimanda a Le Costituzioni italiane: 1797-1799, a cura di M. D’Addio, Roma, Colombo, 1993.

64 Si segnalano alcuni provvedimenti in merito esemplari, tutti in ASB, BPL. Le «Ordinazioni del

Senato», del 14 novembre 1796, prevedono pene severe per qualsiasi attentatore della tranquillità cittadina (Tomo III). Un proclama di Bonaparte del 30 gennaio 1797 stabilisce che le città nelle quali si suoni la campana a martello all’arrivo dei francesi debbano essere rase al suolo, e che i magistrati del luogo vengano fucilati. Nello stesso documento si dispone che tutte le comunità ove venga assassinato un francese siano poste in stato d’assedio e obbligate a pagare contribuzioni straordinarie (Tomo IV). Particolarmente interessante è una lettera scritta da Generale Bonaparte nel giugno del 1797 al comandante della piazza di Bologna Espert, nella quale si ordina di punire in modo esemplare l’autore di qualunque insurrezione (Tomo V). Per provvedimenti simili emanati in territorio romano, cfr. M. Formica, La città e la Rivoluzione: Roma 1798-1799, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1994, pag. 279.

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ASB, BPL, Tomo III, legge 16 termidoro V (3 agosto 1797), «Decreto contro gli inimici dell’ordine pubblico».

66 Il contenuto di varie disposizioni emanate tra 1797 e 1799 viene definitivamente riassunto nella

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Per la pronta repressione dei crimini, invece, in diverse città si dispose l’impianto di tribunali speciali a composizione mista, con una massiccia presenza di autorità militari. A partire dal 1797, a Bologna, furono infatti installate ben quattro Commissioni criminali speciali, due Tribunali di Salute Pubblica e un Tribunale speciale rivolti indifferentemente ad autori di furti, aggressori, «nemici della Repubblica». Questi ebbero tutti piena facoltà di processare e giudicare secondo formule e procedimenti sommari escludendo, nella maggior parte dei casi, qualsiasi possibilità di ricorso da parte del condannato67.

Il nuovo governo, che proprio dalla contrapposizione ai passati regimi aveva in parte tratto la propria forza e ricevuto consensi, dovette presto ammettere l’insufficienza e l’inefficienza dei mezzi di giustizia ordinaria, facendo spesso ricorso a quella «estesa disciplina dell’emergenza» che aveva già caratterizzato la gestione della repressione in antico regime68.

L’esigenza di soffocare contestualmente i più urgenti tumulti che, nel frattempo, si manifestavano fu quindi un forte freno tanto all’elaborazione di una legislazione unica, definitiva e garantista, quanto al rafforzamento delle istituzioni preposte all’organizzazione del nuovo apparato legislativo. E la necessità di mettere a punto misure straordinarie contro i disordini che gli stessi rivolgimenti politici avevano contribuito ad esasperare impedì sicuramente anche l’immediata attuazione dei provvedimenti emanati sin dalla primavera del 1798 per sistemare le carceri esistenti e impiantare nuovi luoghi di custodia, quali il riutilizzo dei beni

67 Tutti i documenti relativi si trovano in ASB, BPL. Per le Commissioni criminali speciali cfr. le

seguenti disposizioni: legge 27 termidoro anno V (14 agosto 1797) richiamata in vigore nel luglio 1805, legge 9 ventoso anno VI (27 febbraio 1798), legge 26 pratile anno VII (14 giugno 1799), legge 27 frimale anno IX (18 dicembre 1800). L’istituzione dei Tribunali di Salute pubblica è prevista dalla legge 24 germile anno VII (13 aprile 1799), mentre il Tribunale speciale contemplato dalla già citata legge 16 termidoro anno VI è richiamato in vigore nel settembre del 1805.

68 L’espressione è mutuata da L. Lacchè, «Ordo non servatus». Anomalie processuali, giustizia

militare e «specialia» in Antico Regime, in «Quaderni Storici», 1998, 29, pp. 360-384. Per un’efficace sintesi delle peculiarità della giustizia d’antico regime, e per l’individuazione degli strumenti utilizzati nella repressione della criminalità, cfr. E. Pessina, Il diritto penale in Italia da Cesare Beccaria sino alla promulgazione del codice penale vigente (1761-1890), in Enciclopedia del diritto penale italiano, Volume secondo, Milano, Società editrice libraria, 1906, pp. 575-578; M. Bellabarba, La giustizia nell’Italia moderna XVI-XVII secolo, Roma-Bari, Laterza, 2008; L. Tedoldi, La spada e la bilancia. La giustizia penale nell’Italia moderna (sec. XVI-XVIII), Roma, Carocci, 2008. Si veda inoltre A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, Giuffrè, 1982, in particolare alle pp. 210-318, per i secoli XVIII e XIX.

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delle corporazioni religiose soppresse e il principio di separazione dei soggetti inquisiti dai condannati69.

A Bologna, la «mal inclinata attitudine» del popolo al rispetto delle nuove norme dipendeva in buona parte dai dissapori connessi sia alle delusioni per la mancata realizzazione del ritorno all’autogoverno municipale promesso dal governo francese, sia all’imposizione di un’aspra politica fiscaleche esasperò una situazione resa già difficile dai mutamenti che avevano investito gli equilibri economici e sociali dagli ultimi decenni del XVIII secolo70. Tali delusioni sfociarono presto in sommosse popolari per la cui repressione si abbandonarono momentaneamente tutti i propositi di costruire su basi solide una strategia repressiva coerente.

Non fu un caso il fatto che l’elaborazione di una corposa normativa carceraria coincidesse con una svolta nella politica criminale perseguita dal governo quando, tra 1802 e 1803, dall’esigenza di controllare la dissidenza politica e gli oppositori esterni, si passò progressivamente alla difesa della coesione della compagine sociale dai nemici interni, anche grazie alla costruzione di un efficiente sistema di polizia preposto alla sorveglianza di figure dal vissuto irregolare, che avrebbe

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Si tratta rispettivamente delle leggi 15 messidoro e 5 fruttidoro anno VI, in ASB, BPL, entrambe nel Tomo VII. Sul riutilizzo di beni ecclesiastici e la creazione di nuovi luoghi d’arresto e pena a Bologna, cfr. A. Monti, Alle origini della borghesia urbana. La proprietà immobiliare a Bologna 1797-1810, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 125-154 e R. Ravaioli, L’utilizzazione dei patrimoni edilizi delle corporazioni religiose soppresse in Bologna, dall’epoca napoleonica agli anni postunitari, in «Storia urbana: rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna», n. 18, 1982, pp. 89-119. Cfr., inoltre, C. Mesini, La soppressione degli Ordini religiosi a Bologna durante la Repubblica Cisalpina e il Regno napoleonico, in «Culta Bononia: rivista di studi bolognesi», anno V, 1973, pp. 71-86.

70 Cfr. A. Varni, Bologna napoleonica. Potere e società dalla Repubblica Cisalpina al Regno

d’Italia (1800-1806), con prefazione di L. Lotti, Bologna, Boni, 1973. Dello stesso autore, si veda anche L’Emilia Romagna nell’Italia napoleonica, in Storia dell’Emilia Romagna. Dalla Repubblica Cispadana alla Repubblica Italiana, vol. 3, a cura di A. Berselli, Bologna, Bologna University Press, 1980, pp. 15- 66. Per le forti speranze di partecipazione politica attiva nella città, all’arrivo del governo francese, che si concretizzarono nella redazione della prima costituzione rivoluzionaria nei territori italiani, cfr. C. Ghisalberti, Le Costituzioni «giacobine» (1796-1799), Giuffré, Milano, 1973; L. Rava, La prima prova del diritto costituzionale in Italia. La costituzione bolognese del dicembre 1796, in «Memorie della Regia accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna», 1913-1914, pp. 57-92. Sulle insorgenze a Bologna contro la centralizzazione napoleonica cfr. D. Dumont, Rural society and crowd action in Bologna, c. 1796- c. 1831, in «The Historical Journal», Volume 48, Issue 04, Dec 2005, pp. 977-997. Alcune indicazioni sulla critica situazione politica e amministrativa della città durante la dominazione francese si trovano in G. Cavazza, Bologna dall’età napoleonica al primo Novecento, in Storia di Bologna, a cura di A. Ferri e G. Roversi, Bologna, Alfa, 1984, pp. 259-277.

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dovuto sostituire gli imperfetti metodi di controllo sociale utilizzati in passato contro tali categorie.

Nella città, il rinnovamento dell’apparato di pubblica sicurezza fu infatti annunciato sin dai primi giorni dell’occupazione francese quando, nel novembre del 1796, si iniziò a smantellare il tradizionale sistema di sorveglianza, attivo sin dal 1447, nel quale l’intervento nella repressione dei disordini era garantito dai cosiddetti birri, forze armate controllate da organi facenti capo indifferentemente al Senato e al potere legatizio e, per questo, fonti di innumerevoli confusioni e conflitti71.

La volontà di procedere all’impianto di un sistema di vigilanza basato sul modello francese e all’eliminazione di autorità che svolgevano informali funzioni di intervento sulla pubblica sicurezza si concretizzò presto nella nascita della Guardia di Polizia72. Questa, ricalcando quanto nella Francia rivoluzionaria era stato espresso nel Code des crimes et des peines del 1795, avrebbe dovuto sostituire alla repressione di qualsiasi tipo di dissenso - propria della «polizia del dispotismo» - un’azione basata sostanzialmente sulla prevenzione73.

Si trattò di un momento di grande frattura per i territori facenti parte della Repubblica. L’assenza di chiare norme di riferimento nella regolamentazione delle anomalie sociali fu sostituita da una minuziosa normativa che vedeva formalmente nel nuovo corpo l’unica autorità preposta al controllo dell’infrazione

71 Per indicazioni sul sistema di polizia bolognese antecedente all’arrivo dei francesi cfr. G. Angelozzi, Il tribunale criminale di Bologna, in A. Turchini, Le Legazioni di Romagna e i suoi archivi: sec. 16-18, cit., pp. 737-774. Per il sistema di raccoglimento di prove e indizi a Bologna in antico regime cfr. C. Casanova, La giustizia penale in Romagna e a Bologna nella seconda metà del Seicento. Alcune ipotesi e molte incertezze, in A. Turchini, Le Legazioni di Romagna e i suoi archivi: sec. 16-18, cit., pp. 699-735. Si veda inoltre S. C. Hughes Crime, disorder and the Risorgimento. The politics of policing in Bologna, Cambridge studies in Italian history and culture, Cambridge, Cambridge University Press, 1994, in particolare alle pp. 11-14.

72 Le prime indicazioni sulla nascita della Guardia di Polizia a Bologna si trovano in ASB, BPL,

Tomo I, «Al popolo bolognese. Istruzione sopra li comizi de’giorni 20 e 27 novembre, e 4 dicembre 1796», fasc. n. n., art. 173.

73 Gli articoli del Code des crimes et des peines relativi alle funzioni del corpo di polizia nella

Francia rivoluzionaria sono raccolti nel volume Amministrazione della giustizia e poteri di polizia dagli Stati preunitari alla caduta della Destra. Atti del LII congresso di storia del Risorgimento italiano, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Biblioteca scientifica, Atti dei Congressi, vol. XXI, Pescara, 7-10 novembre 1984, pp. 30-33. La sostanziale contrapposizione del nuovo corpo al sistema di vigilanza d’antico regime è ben espressa nell’avviso di «Installazione del Comitato di Polizia Generale», in ASB, BPL, Tomo XVI, legge 14 termidoro anno VIII (3 luglio 1800), «Installazione del Comitato di Polizia Generale».

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e, dunque, alla cognizione dei soggetti che, per la propria condotta morale, si mostravano passibili di particolare vigilanza74.

Una rete di sorveglianza periferica, precocemente realizzata, ebbe il compito di inviare alle nuove forze elenchi degli abitanti e notificazioni su particolari categorie che attentavano alla pubblica decenza, quali donne di dubbio contegno, forestieri, «oziosi», frequentatori di osterie, «ladroncelli», ricettatori, malviventi, giocatori d’azzardo, fanciulli «pericolanti»75.

A Bologna, nello stesso periodo, le esigenze di un più efficace controllo della popolazione si concretizzarono nella suddivisione della città in due circondari nei quali il nuovo corpo di polizia, coadiuvate da cittadini scelti, ebbero anche il compito di ripartire la comunità secondo specifici requisiti, funzionali alla creazione di un registro generale della popolazione che annotasse anche modi di sussistenza e opinione goduta dai soggetti nella società76.

Tutto lascia quindi intendere come, risolti i più urgenti problemi di salvaguardia del fragile stato, il governo si stesse progressivamente concentrando nell’accentuazione dei caratteri di chiusura e di avversione verso coloro che sembravano non rispettare i fondamenti della società. E in questo clima - segnato dalla normalizzazione delle misure contro gli irregolari e dalla maggiore forza acquisita nel controllo di infrazioni e di crimini - si posero anche le basi per la messa a punto di nuovi istituti di condanna e di custodia, sulla cui fondazione sembrava si fosse dissipato ogni dubbio.

74 Il primo regolamento di polizia a Bologna è contenuto in ASB, BPL, Tomo III, «Legge Normale

di Polizia», 24 ottobre 1797, fasc. n. n.. Per il dibattito relativo ai corpi di polizia in età napoleonica, e l’individuazione di persistenze e cambiamenti negli apparati di polizia dei territori italiani tra Sette e Ottocento, cfr. La polizia in Italia nell’età moderna, a cura di Livio Antonelli, Seminario di studi, Messina 26-27 febbraio 1998, Stato, esercito e controllo del territorio, 1, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002 e, in particolare, P. Preto, Il significato del lemma «polizia», ivi, pp. 13-31. Il valore della prevenzione come cardine delle mansioni di polizia nell’Italia napoleonica, impostata su modello francese, è stato evidenziato da M. Sbriccoli in Giustizia criminale, in Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, vol. II, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp.163-205.

75 Vedi «Legge Normale di Polizia», 24 ottobre 1797, cit..

76 Cfr. «Organizzazione della Polizia Comunale di Bologna», fasc. n. n., in ASB, PDR, tit. XX, R.

2, 1805. Per la valenza dei ruoli di popolazione nei territori dell’Impero cfr. Città e controllo sociale tra XVIII e XIX secolo, a cura di E. Sori, Milano, Angeli, 1982, pp. 10-13; cfr. inoltre J. S. Woolf, Napoleone e la conquista dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 1990, pag. 7. Sull’utilizzo