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Modalità di reclutamento del personale di sorveglianza in età napoleonica e pontificia

Il personale di sorveglianza: reclutamento, compiti ed evoluzione della figura del secondino

1. Modalità di reclutamento del personale di sorveglianza in età napoleonica e pontificia

Tra XV e XVIII secolo, a Bologna e in molti territori della penisola, il servizio di guardia nelle carceri rientrava nel novero delle attività svolte dai cosiddetti «sbirri». Con tale termine, com’è noto, venivano indicate le forze armate poste alle dipendenze dei diversi tribunali che assolvevano a compiti di prevenzione e repressione del crimine, quali raccolta di prove e indizi, segnalazione di reati ed esecuzione di catture1.

Ovunque, gli sbirri erano generalmente detestati dalla società, sia per le irregolarità commesse, sia per l’odiosità degli incarichi svolti2. Nella città, in particolare, sin dal Cinquecento la comunità si era ripetutamente lagnata per i numerosi abusi commessi da questi ai danni degli inquisiti, e sul finire del

1 Per le attività svolte dagli sbirri a Bologna cfr. G. Angelozzi, C. Casanova, La giustizia criminale

in una città d’antico regime. il tribunale del Torrone di Bologna (secc. XVI-XVII), cit., pp. 49-55 e pp. 103-109; S. C. Hughes, Crime, disorder and the Risorgimento. The politics of policing in Bologna, cit., pp. 11-14 e pp. 24-25.

2 Per la triste fama degli sbirri nei territori italiani, un quadro esaustivo corredato da ampia

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Settecento i malcontenti erano sfociati in alcune sommosse tese a chiedere l’abolizione del corpo3.

All’arrivo dei francesi, queste richieste vennero accolte. Il nuovo governo, infatti, annunciò a più riprese l’eliminazione dell’odiata «sbirraglia» da tutta la Repubblica, nell’intento di riorganizzare l’apparato preposto all’ordine pubblico.

Nell’arco di pochi anni, si delineò così un nuovo assetto che rispondeva meglio alle esigenze di centralizzazione e di una più netta separazione delle competenze di polizia in materia amministrativa e giudiziaria. Come accennato, già nel 1796, si impiantò una Guardia di Polizia, mentre tra 1798 e 1802 si installarono le Guardie Nazionali e la Gendarmeria, deputate rispettivamente al controllo «continuo e repressivo» del territorio, e alla sicurezza interna4.

Anche in ambito carcerario si susseguirono vari provvedimenti che sembravano dare il via a nuovo corso. A Bologna, venne allontanato il capitano delle prigioni del Torrone - contestualmente alla chiusura dell’ufficio di Prefettura delle carceri, affidato dal XVI secolo all’arciconfraternita di Santa Maria della Morte - e si bandirono diversi concorsi per l’assunzione di guardiani nelle case d’arresto, riservati solo a «onesti e probi cittadini», «senza alcuna macchia» agli occhi del popolo5.

Tuttavia, tali soluzioni erano destinate a un rapido fallimento. Nella città, come del resto negli altri centri italiani, la soppressione degli sbirri non fu seguita da un piano di reintegro dei soggetti licenziati. Anzi, a questi fu vietato di presentarsi alle selezioni per la formazione delle nuove forze, dotate di maggiore lustro e

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In ASB, AST, fasc. IX «Torrone, Confiscationi, sfratti e multe e sbirri ad stando», sono presenti pesanti accuse contro il capo delle guardie di Castel San Pietro, della metà del XVII secolo. Per le sommosse popolari contro gli sbirri a Bologna alla fine del Settecento cfr. A. Zanolini, Antonio Aldini e i suoi tempi. Narrazione storica con eventi inediti o poco noti pubblicati da Antonio Zanolini Deputato del Parlamento italiano, volume I, Firenze, Felice Le Monnier, 1864, pag. 46. La pessima reputazione degli esecutori di giustizia nella città è sottolineata anche in G. Angelozzi, C. Casanova, La giustizia criminale in una città d’antico regime. Il tribunale del Torrone di Bologna (secc. XVI-XVII), cit., pp. 104-105.

4 Per i corpi armati impiantati nella Repubblica italiana e nel Regno cfr. F. della Peruta, Esercito e

società nell’Italia napoleonica. Dalla Cisalpina al Regno d’Italia, Milano, Angeli, 1988. Dello stesso autore, cfr. anche L’armata del Regno napoleonico, in Esercito e società nell’età rivoluzionaria e napoleonica, a cura di A. M. Rao, Napoli, Morano Editore, 1990, pp. 27-55.

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Per i concorsi sui guardiani delle carceri, cfr. ASB, BPL, Tomo VIII, f. n. 2154, Legge 5 fruttidoro anno VI (22 agosto 1798) sulla custodia di inquisiti e condannati e, ivi, f. n. 2129. L’allontanamento del capitano del Torrone è citato in G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna ossia Storia cronologica de' suoi stabili sacri, pubblici e privati, Libro III, cit., pag. 304.

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decoro6. I destituiti, ormai allo sbando, si resero protagonisti di gravi disordini, e per arginare questo stato di pericolosa disoccupazione si adottarono precise misure7.

Sul finire del 1802, infatti, si decise per un’inversione di marcia. Il ministro della Guerra Alessandro Trivulzi ordinò alle prefetture di riassumere «l’antico satellizio» in incarichi di basso prestigio, e l’unico ambito al quale si faceva esplicito riferimento era proprio la sorveglianza degli spazi di detenzione8.

Con una serie di simili disposizioni, lungo tutta la parentesi napoleonica, le vecchie guardie furono ripetutamente immesse nelle prigioni. E provvedimenti analoghi si emanarono nei primi anni della Restaurazione papale, quando - si è visto - si definì un nuovo sistema di sicurezza che molto doveva al modello francese, fondato su Polizia da un lato, e Carabinieri dall’altro. Gli sbirri, in un primo momento reimpiantati, vennero infatti nuovamente sciolti nel febbraio del 1816 e impiegati l’anno successivo in qualità di guardie carcerarie con una circolare della Segreteria di Stato9.

Ad oggi, data la mancanza di studi specifici, non è possibile valutare quale fosse la situazione nelle diverse zone della penisola, ma è certo che, nel primo

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Cfr. ASB, BPL, Tomo I, f. n. 284, avviso sull’istituzione della Guardia di Polizia del 23 dicembre 1796; «Decreti e Proclami», Tomo XXV, f. n. 4464, «Satellizi proibiti ad entrare nella Gendarmeria», 5 ottobre 1802. I documenti fanno riferimento rispettivamente a Bologna e al dipartimento del Reno. Per disposizioni analoghe in tutto il territorio della Repubblica cfr. L. Antonielli, Il primo arruolamento della gendarmeria italica: le cause di un insuccesso, in Veneto e Lombardia tra rivoluzione giacobina ed età napoleonica. Economia, istituzioni, territorio, cit., 1992, pp. 504-537.

7 Cfr. ASB, PDR, tit. XX, R. 2, 1805, lettera inviata dal delegato di polizia Mulazzani in data 14

febbraio 1805 a Teodoro Somenzari, prefetto del dipartimento del Reno.

8 Cfr. ASB, BPL, «Decreti e proclami», Tomo IV, f. n. 6, Circolare del ministro della Guerra

Alessandro Trivulzi, 27 dicembre 1802 (6 ventoso anno XI), in. Tale disposizione è riportata anche in L. Antonielli, Il primo arruolamento della gendarmeria italica: le cause di un insuccesso, cit., pag. 508. Si sa che, a Bologna, altri birri vennero ingaggiati nelle perquisizioni e nelle citazioni degli accusati e per tali informazioni cfr. ASB, PDR, tit. XX, R. 2, 1805, lettera inviata dal delegato di polizia Mulazzani in data 14 febbraio 1805 a Teodoro Somenzari, prefetto del dipartimento del Reno.

9 Per il momentaneo ripristino degli sbirri del 1814 e la loro successiva soppressione, cfr. C.

Lucrezio Monticelli, Alle origini della polizia moderna. Apparati di controllo ecclesiastici e nuovi sistemi di polizia nella Roma del primo Ottocento, cit., pp. 128-131. Cfr. anche S. C. Hughes, Crime, disorder and the Risorgimento. The politics of policing in Bologna, cit., pp. 34-38. L’immissione della sbirraglia nel novero delle guardie carcerarie pontificie è invece citata nella circolare inviata da Ercole Consalvi il 24 settembre 1817 ai legati e delegati apostolici dello Stato riguardante la generale riorganizzazione del corpo di custodia carceraria, in ASV, Segr. Stato, 1817, r. 95, f. 1.

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ventennio del XIX secolo, circa il 70% dei carcerieri attivi nei reclusori bolognesi proveniva dalla cerchia degli agenti d’antico regime10.

Alla luce di quanto detto, è evidente come entrambi i governi non avvertissero la necessità di svecchiare il settore della custodia penitenziaria. Al contrario, le prigioni, luoghi invisibili per eccellenza, rimasero a lungo il posto ideale ove depositare senza troppe conseguenze individui dalla pessima fama, il cui ricordo nella memoria collettiva era associato a «infinite violenze»11.

A Bologna, nel timore che tra la popolazione potessero diffondersi sentimenti di sdegno e di riprovazione, i vecchi esecutori di giustizia furono esclusi anche dal presidio esterno delle case di pena e dalla scorta dei condannati12. Probabilmente non fu un caso che, per compiti di maggiore visibilità, si preferisse utilizzare militari, cioè truppe di linea prima e guarda-ciurme poi13.

Sembra importante sottolineare come questa operazione di riciclo fosse stata attuata perlopiù tramite semplici e discreti provvedimenti amministrativi che contraddicevano le formali modalità di reclutamento dei sorveglianti carcerari nel frattempo elaborate.

10 Cfr. ASB, CGT, b. 22, fasc. «Custodi delle carceri, e loro aggiunti. disposizioni pel vestiario»,

«Elenco delle Guardie stabili e Provvisorie presso la Casa di Correzione di Bologna per tutto settembre 1814»; ivi, «Elenco dei Custodi, vice custodi ed ajuntanti stabili, e provvisori nelle Carceri del Dipartimento del Reno pel tutto settembre 1814». Si veda anche ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1828, b. 22, Sezione VIII, «Casa di Condanna in Forte Urbano. Elenco delle Guardie addette alla Casa suddetta poste in istato di quiescenza» e il relativo carteggio contenuto; ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1832, «Guardie addette alla squadra della Casa di Condanna di Forte Urbano».

11 Cfr. ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1804, Sezione «Guardie della Casa di Forza», dispaccio della

prefettura del Reno, 30 dicembre 1804.

12 Ivi. È specificato dal prefetto del Reno: «per essere questa sorta di gente generalmente

disprezzata, potrebbero avere luogo molti disordini, poiché richiamandosi alla memoria le infinite violenze dai medesimi eseguite ne’tempi Papali, non si vedrebbe nuovamente con indifferenza armati a girare per la Comune anco scortando i forzati».

13 L’impiego delle truppe linea per compiti di maggiore visibilità fu disposto nel 1802, cfr. ASB,

ACG, CAR, Vol. I, fasc. 7-10 fasc. «Tribunali Commissario. 3 Luglio. Istruzioni per la Guardia a San Michele in Bosco comunicate al Generale Verdier». I guarda-ciurme furono invece usati in età pontificia. Cfr. L. Pianciani, La Rome des papes. Son origine, ses phases successives, ses mœurs intimes, son gouvernement, son système administrative, par un ancien membre de la constituante romaine, cit., pag. 384. Sono poche le informazioni trovate in proposito, e qualche accenno si trova in Sullo stato attuale politico ed economico dei dominj della Chiesa Romana. Discussioni di Monsignor Mario Felice Peraldi dirette al professore di diritto P.U., Bastia, Tipografia Cesare Fabiani, 1855, pp. 390-391. Nel 1832 il corpo dei guarda-ciurme fu incluso nel novero delle forze militari dello Stato Pontificio, cfr. Dispaccio della Segreteria di Stato in data 1 giugno 1832, in Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello Stato Pontificio, Vol. VII, Pubblica beneficenza, Dicasteri e pubblici impiegati, militare, Roma, Stamperia Camerale della R. C. A. , 1835, pag. 87.

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In età sia napoleonica sia papale, la selezione dei candidati spettava alle autorità locali - prefetti prima e delegati apostolici poi - sulla base di precisi requisiti: giovane età - compresa tra i venti e i quarant’anni - forza fisica, obbedienza e lealtà, condotta irreprensibile, «attaccamento al governo»14.

Per diversi decenni, però, lo scarto tra pratiche e norme d’assunzione fu sempre notevole.

A ulteriore conferma di ciò, basti pensare che a ingrossare le fila dei guardiani furono anche “oziosi” e uomini inclini a cattive abitudini, introdotti dalle autorità di polizia con intenti correttivi, nonché individui appartenenti alle infime fasce sociali, arruolati proprio perché in stato di urgente bisogno, dietro presentazione di fedi parrocchiali di povertà15. Fu il caso di Antonio Minghetti, «ridotto all’ultimo estremo di miseria», di Petronio Monti, tessitore «senza impiego e senza speranza d’esser impiegato altrove», e di esempi analoghi se ne potrebbero citare molti altri16. D’altra parte, come si vedrà meglio più avanti, lo status sociale degli aspiranti fu fortemente influenzato dalle difficili condizioni di lavoro.

Vi è poi un’altra costante nelle dinamiche di ingaggio, che emerge chiaramente dalla documentazione analizzata, ossia la propensione dei rappresentanti governativi ad assecondare pratiche di trasmissione familiare del mestiere.

Questo è particolarmente evidente nel periodo compreso tra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, quando si procedette a un generale ricambio degli impiegati esistenti, ormai anziani e con molti anni di servizio alle spalle. Da un’inchiesta effettuata in tutta la provincia sul finire del 1832, la percentuale di custodi attempati risultava notevole nelle zone periferiche, mentre nella sola casa

14 Cfr.«Organizzazione delle guardie delle case di forza approvata con decreto di Sua Altezza

Imperiale il principe viceré», 27 novembre 1808, in particolare al titolo IV «Disciplina». Una copia è conservata presso ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1809, b. 30, Sezione VII «Guardia», in allegato alla circolare dell’8 gennaio 1809 inviata dal ministro dell’Interno alla prefettura del Reno. Per l’età pontificia si rimanda alla già citata circolare inviata da Ercole Consalvi il 24 settembre 1817 ai legati e delegati apostolici del Regno riguardante la generale riorganizzazione del corpo di custodia carceraria, contenuta in ASV, Segr. Stato, 1817, r. 95, f. 1. Nel 1832, i requisiti ufficialmente richiesti per l’assunzione furono ripetuti anche dal direttore della Polizia provinciale di Bologna. Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1832, dispaccio in data 9 novembre 1832.

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Per l’assunzione di “oziosi”, cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1832.

16 Cfr. fasc. «Petenti. Impiego presso la Casa di Condanna», in ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1807, b.

35, Sezione VIII «Guardia». Per esempi analoghi si rimanda al fasc. «Richieste d’ammissione al posto di guardia nelle carceri criminali», in ASB, COP, 1815, b. 21, Sezione VIII «Guardie».

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di Castelfranco gli affetti da infermità per età avanzata costituivano un terzo del personale17.

Dalle fonti archivistiche consultate, si notano precise tendenze. Molte istanze d’impiego furono accompagnate da vere e proprie lettere di presentazione di congiunti già operanti nel settore, nelle quali si garantiva l’affidabilità e le capacità dei richiedenti. E se l’autorità maschile veniva a mancare, poteva accadere che ad attivarsi fossero figure femminili che, con notevole solerzia, non esitavano a rimarcare i meriti di guardie defunte allo scopo di agevolare giovani parenti.

Nel 1827, Sante Parisini, guardia da circa vent’anni, assicurava l’«onestà e bravura» del figlio Giacomo, assunto poi al Forte Urbano qualche mese dopo; nel 1832 il custode Giuseppe Civolani raccomandò il figlio Luigi, «individuo indefesso e fedele»18. Nel 1820, invece, Anna Casalini - vedova di un secondino - ottenne un impiego nelle prigioni di Medicina per il genero, e lo stesso effetto sortì nel 1839 la petizione di Maria Baraldi a favore del figlio Paolo19.

In alcuni casi, si è potuta individuare la presenza di interi nuclei familiari per lunghi periodi.

I Musiani rimasero in varie carceri della provincia per quasi un secolo: il primo componente di cui si ha notizia è Gaetano, impiegato assieme alla moglie alle carceri del Torrone negli anni Ottanta del Settecento, l’ultimo fu Lorenzo, guardia dal 185020. Simile appare la situazione dei Sinibaldi: Angelo - il cui padre era stato «chiavaro» delle prigioni del Torrone dal 1770 - lavorò in diverse carceri

17 Sia il quadro relativo al personale della provincia, sia la tabella sul personale della casa di

Castelfranco dal titolo «Guardie addette alla squadra della Casa di Condanna di Forte Urbano» si trovano in ASB, LEG, 1832, Rubr. II «Nunzi, esecutori, cancellieri».

18 Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1827, b. 18, Sezione VI «Guardie», istanza di Giacomo Parisini;

ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1832, richiesta inoltrata da Luigi Civolani.

19 Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1820, b. 16, Sezione VII «Guardie», istanza di Anna Casalini; R.

2, 1839, istanza di Maria Baraldi.

20 Tali informazioni sono state ottenute incrociando i seguenti dati: ASB, PDR, , tit. XX, R. 2, per

gli anni 1804 e1805, rispettivamente fasc. «Guardie di Polizia addette alla Casa di correzione in S. Gregorio» e fasc. «Guardie di Polizia addette alla Casa di Forza in qualità di Custodi-chiavieri»; ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1818, b. 21, supplica di Gaetano Musiani in fasc. «Petizioni d’impiego»; ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1832, «Guardie addette alla squadra della Casa di Condanna di Forte Urbano»; ASR, MNI, r. 95, b. 1519 (1850-1851).

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romagnole assieme ai fratelli tra 1793 e 1832, e suo figlio fu secondino sino agli anni Quaranta dell’Ottocento21.

Molti cognomi poi, comprendenti ciascuno decine di individui, si presentano ripetutamente, anche a distanza di decenni, negli elenchi e fra i carteggi delle autorità.

Talvolta i vincoli sono svelati da manifestazioni di solidarietà e di appoggio in occasione di mancanze e colpe commesse in servizio, o da vecchie antipatie e sentimenti d’odio sedimentatisi nel tempo a causa di rivalità. Nel 1818, ad esempio, Michele Seghini chiese alla Legazione il trasferimento dal San Giovanni in Monte «a cagione di inveterato rancore, astio e inimicizia con altra famiglia di guardie»22.

Sono tutti dati che sembrano mostrare come, nel tempo, il corpo dei sorveglianti penitenziari mantenesse una sorta di struttura corporativa, analogamente a quanto si verificava in alcuni Paesi europei.

In Francia, nel 1837, il ministro dell’Interno Adrien Étienne Pierre de Gasparin definì la custodia delle carceri dipartimentali un vero e proprio patrimonio gestito da intere famiglie e specificava che ciò non doveva valutarsi in termini necessariamente negativi, poiché l’«esprit de famille» costituiva una sorta di garanzia per ottenere un buon servizio23.

Anche a Bologna tali dinamiche trovavano la propria radice, almeno in parte, nella convinzione che a incaricarsi della formazione dei giovani secondini dovessero essere coloro che avevano pienamente acquisito competenze sul campo. E, come si vedrà meglio più avanti, almeno nella città, da questa prospettiva ci si allontanò solo a Unità inoltrata, quando cioè si iniziò a propendere per un addestramento professionale.

21 Cfr. A. Aglebert, I primi martiri della libertà italiana e l’origine della bandiera tricolore o

congiura e morte di Luigi Zamboni di Bologna G. B. de Rolandis in Bologna tratta da documenti autentici narrata da Augusto Aglebert, Bologna, G. Mattiuzzi, 1880, pp. 95-96. Cfr. anche ASB, PDR, tit. XX, R. 2, «Guardie addette all’Ospitale carcerario». Su Angelo Sinibaldi, si veda invece il «Ruolo degli impiegati nella casa di forza di Bologna» in ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1809, b. 30 e «Guardie addette alla squadra della Casa di Condanna di Forte Urbano», 1832, cit..

22 Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1818, b. 21, petizione di Michele Seghini inviata alla Legazione il

22 dicembre 1818.

23Cfr. L.-M. Moreau-Christophe, De la réforme des prisons en France, basée sur la doctrine su

système pénale et le principe de l’isolement individuel, par M. L.-M. Moreau-Christophe, Paris, A. Desrez, 1838, pag. 336.

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Solitamente, nelle carceri della provincia, capitava che i figli dei carcerieri ottenessero incarichi ufficiosi o provvisori sotto la supervisione dei propri parenti, e solo dopo tale periodo d’affiancamento - una sorta d’apprendistato - e conquistata una certa padronanza, questi presentavano formale richiesta d’assunzione.

A volte, e non casualmente, questo momento coincideva con quello del pensionamento o del trasferimento domandato dall’impiegato più anziano, andando a costituirsi parte di precise scelte strategiche intrafamiliari.

Domenico Chini, da quarant’anni in servizio a Loiano, chiese nel 1834 una mansione di più basso livello affinché ad occupare il suo posto fosse il figlio Andrea, ormai trentenne e da molti anni suo aiutante24. Giovanni Bini, lasciò l’impiego a Castelfranco nel 1830, ma prima si assicurò che a sostituirlo fosse il figlio Giuseppe, che lo aveva affiancato per oltre un decennio25.

Tuttavia, non sempre le autorità locali si mostrarono accondiscendenti verso questi meccanismi. Si contrastò con forza, soprattutto, il formale reclutamento di fanciulli, chiaramente non in grado di sostenere le pesanti fatiche e le notevoli responsabilità connesse alle mansioni carcerarie.

Nel 1830 si rifiutò l’assunzione di Cesare Olivieri, tredicenne segnalato premurosamente dal custode di Castel Maggiore, e di Vincenzo Fiaschi, dichiarato inadatto «per la poca sua età, e gracile costituzione»26.

Più problematica fu invece la valutazione della posizione di Carlo Baccheroni, dodicenne appartenente a una numerosa famiglia di sorveglianti attiva in diversi paesi del bolognese.

A interessarsi alla possibile nomina del ragazzo fu lo zio, secondino delle prigioni di Castiglione dei Pepoli il quale, sul finire del 1838, lo presentò alla pro- Legazione come «abilissimo nella professione»27. Carlo era infatti impiegato provvisoriamente senza compenso, sebbene appartenesse «a famiglia di quest’arte». Si chiedeva quindi che il giovane fosse stabilmente assunto o che potesse almeno percepire uno stipendio fisso.

24 Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1834, b. 29, ivi, 1835, b. 20. 25

Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 5, 1830, Sezione VIII «Guardie».

26 Entrambi i casi si trovano in ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1830.

27 Cfr. ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1839, supplica di Giuseppe Baccheroni in data 18 dicembre 1838.

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Sotto le insistenze del custode, all’inizio dell’anno successivo, la Direzione di Polizia provinciale chiese al pro-Legato quale fosse la decisione da prendere a proposito di Carlo, sottolineando che casi di questo tipo non erano rari e che, anzi, si doveva trovare un metodo uniforme per il trattamento di figure simili, come ad esempio la nomina di «supplenti abituali» ufficiosi, da tenersi con paghe ridotte e con la promessa di essere presi in considerazione nel caso di posti liberi nella sorveglianza28.

La pro-Legazione in un primo momento prese tempo e, da Castiglione, la