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A ciascun recluso il proprio sorvegliante: modelli di custodia maschili, femminili e minorili tra Regime pontificio e Unità d’Italia

Il personale di sorveglianza: reclutamento, compiti ed evoluzione della figura del secondino

3. A ciascun recluso il proprio sorvegliante: modelli di custodia maschili, femminili e minorili tra Regime pontificio e Unità d’Italia

A partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, intellettuali e contestatori del regime pontificio criticarono duramente gli impiegati nelle prigioni papali. Nel 1842, il conte Francesco Rangone condannò la crudeltà delle guardie bolognesi e qualche anno dopo, l’avvocato Ernesto Burdel definì i secondini romani uomini spinti dalla brama di guadagno, «spietati e parziali» 59.

La situazione negli altri Paesi europei non era molto diversa, e alcuni riformatori avevano sostenuto più volte la necessità di porre fine ai molti inconvenienti creati dai carcerieri negli spazi di pena e di custodia.

In Francia, nel 1838 Louis Moreau-Christophe suggerì di migliorare i criteri d’ingaggio dei secondini, e nel 1836 Charles Lucas incitò il governo a concentrarsi sulla riforma del personale delle carceri, nella convinzione che da questa dipendesse la qualità del sistema penitenziario60. Invece, già nel 1828, Edward Livingstone aveva redatto un Codice per la Louisiana ove si specificava che i guardiani avrebbero dovuto occuparsi anche del miglioramento morale dei detenuti61.

Le serie deficienze dei sistemi di custodia indussero diversi Stati ad adottare precisi rimedi, e presto evidenti divergenze interessarono la scelta di un modello di sorveglianza per le case maschili da un lato, e per gli spazi detentivi femminili e minorili dall’altro.

59 Cfr. Sul sistema penitenziario e sulle carceri. Memoria scritta da Francesco Rangone ferrarese,

Bologna, 1842, in BCAB, MIS, b. 2877, f. 12. Cfr. anche E. Burdel, Le prigioni di Roma nel 1851 per Ernesto Burdel, avvocato della Corte d’Appello, traduzione di F. Foce, Torino, P. Demaria libraro in Dora, 1851, pag. 7 e pag. 14.

60 Cfr. C. Lucas, De la réforme des prisons, ou de la théorie de l’emprisonnement, de ses

principes, de ses moyens, et de ses conditions pratiques, Tome I, cit., pp. 68-80 ; L.-M. Moreau- Christophe, De la réforme des prisons en France, basée sur la doctrine su système pénal et le principe de l’isolement individuel, par M. L.-M. Moreau-Christophe, cit., pp. 326-331.

61 Si veda il Rapport servant d’introduction au code de réforme et de discipline des prisons de la

Louisiane par M. Ed. Livingston, in C. Lucas, Du systeme penal et du systeme repressif en general, de la peine de mort en particulier, cit., pp. 157-286. Si ricorda che tale codice, terza parte di un codice criminale, non fu mai adottato nella Louisiana ma venne invece utilizzato dal governo degli Stati Uniti dell’America Centrale.

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Si trattava di una questione profondamente legata ai più ampi temi della possibile rieducazione del recluso e dell’adozione di un regime disciplinare consono all’obiettivo dell’istituto carcerario.

In tale contesto - si è già accennato - nello Stato Pontificio le congregazioni religiose vennero chiamate a operare nelle prigioni per donne e minori, nell’intento di promuovere e rilanciare quelle esigenze emendatrici che avevano accompagnato la nascita stessa della prigione. A Roma, presso l’ex monastero di Santa Croce alla Lungara, già nel 1838 erano giunte le Suore del Buon Pastore, e poco dopo altre religiose venivano installate in diverse prigioni della città e a Perugia. Nel 1853, invece, i ragazzi detenuti negli stabilimenti romani di San Balbina e di Vigna Pia furono rispettivamente affidati ai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia e ai Fratelli di San Giuseppe del Mans62.

Come si è visto, Bologna non costituì un’eccezione e il reclutamento del nuovo personale rappresentò un importante punto di frattura rispetto ai sistemi precedentemente tenuti.

L’introduzione delle Suore della Provvidenza e dell’Immacolata Concezione nello stabilimento dell’Abbadia, avvenuta nel 1857, si legava al progetto di imprimere un preciso indirizzo alle modalità di custodia femminile, fondato sulla correzione e sulla rieducazione. Anche la nascita di un patronato nel 1847, e il successivo coinvolgimento di autorità religiose e di associazioni laicali erano iniziative che dimostravano la volontà di agevolare il processo riabilitativo dei giovani, tanto nella fase detentiva, quanto in quella successiva.

Soluzioni di questo tipo venivano nel frattempo adottate anche altrove. Verso la metà dell’Ottocento, infatti, un “silenzioso esercito di suore” aveva già

62 Per l’istituto del Buon Pastore, cfr. A. Groppi, Le monastère du Bon Pasteur à Rome (1838-

1890), in Les exclus en Europe: 1830-1930, cit., pp. 170-179. Della stessa autrice si veda anche «Un pezzo di mercanzia di cui il mercante fa quel che ne vuole». Carriera di un’internata tra Buon Pastore e manicomio, in «Annali della fondazione Lelio e Lisli Basso», n. 84, 1983, pp. 189- 224. Notizie a riguardo dei religiosi negli stabilimenti minorili romani si trovano invece in E. Biffi, Sui riformatorj pei giovani. Memoria del M. E. Serafino Biffi letta in varie adunanze degli anni 1867 e 1878, in Memorie del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, classe di Lettere e Scienze morali e politiche, Volume XI, Secondo della Serie Terza, Milano, Tipografia Bernardoni, 1870, pp. 1-189. Si ricorda che le Suore del Buon Pastore e i Fratelli di Nostra Signora della Misericordia provenivano dal Belgio, mentre i Fratelli di San Giuseppe del Mans, rimasti nello stabilimento agrario di Vigna Pia sino al 1868, erano francesi. Ulteriori informazioni e bibliografia su questi ultimi si trovano in J. -G. Petit, Ces peines obscures. La prison pénale en France. 1780- 1875, cit., pag. 457.

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oltrepassato i cancelli di molti penitenziari femminili, della penisola e non. E in molti stabilimenti minorili, la comparsa di nuovi impiegati - significativamente denominati «monitori», «fratelli maggiori», «capi famiglia» - si accompagnava all’utilizzo di regole più morbide, finalizzate al reinserimento dei reclusi63.

Difficilmente si poteva pensare all’adozione di misure analoghe per gli istituti che ospitavano maschi adulti. Anzi, per gli uomini, la sorveglianza religiosa fu in breve riconosciuta come inadatta.

Ciò emerse visibilmente nel 1847 al Congresso penitenziario di Bruxelles, durante il quale si contrastò con forza l’introduzione generalizzata dei religiosi nelle carceri64.

Nel corso degli incontri qui tenuti, la questione venne affrontata da più punti di vista: alcuni si interrogarono su quali garanzie avrebbero avuto i detenuti appartenenti ad altre confessioni, altri proposero espedienti alternativi per i territori protestanti65. Ma la maggior parte delle reticenze e dei dubbi fu esposta nella ferma convinzione che le congregazioni avrebbero portato più danni che benefici proprio a causa dell’ «incurable perversité de certains hommes»66.

Così si espresse Emile von Hoorebeke, avvocato e docente all’università di Bruxelles:

63 L’espressione è mutuata da S. Trombetta, Punizione e carità. Carceri femminili nell’Italia

dell’Ottocento, cit., pag. 152. Il modello di custodia minorile ispirato al modello familiare fu ampiamente utilizzato anche nelle nuove colonie agricole, per le quali si rimanda a C. Carlier, La prison aux champs. Les colonies d’enfants délinquants du nord de la France au XIXe siecle, Paris, éd. Atelier, 1994. A questo proposito cfr. anche M. -S. Dupont-Bouchat, Enfants corrigés, enfants protégés. Genèse de la protection de l'enfance en Belgique, en France et aux Pays-Bas 1820-1914, in «Droit et Société», n. 32, 1996, pp. 89-104. Per regimi disciplinari e qualità dei custodi addetti ai minori nella metà del XIX secolo, un quadro generale europeo è fornito da Sui riformatorj pei giovani. Memoria del M. E. Serafino Biffi letta in varie adunanze degli anni 1867 e 1878, cit.. Per i singoli istituti, si veda invece J. Lebrun, Cloîtrer et guérir. La colonie pénitentiaire de la Trappe, 1854-1880, in M. Perrot, L’impossible prison. Recherches sur le système pénitentiaire au XIXe siècle, cit., pp. 236-276 ; M. Perrot, Les enfants de la Petite Roquette, in M. Perrot, Les ombres de l’histoire. Crime et châtiment au XIX siècle, cit., pp. 337-350.

64 Il tema fu trattato nella quarta sessione del Congresso di Bruxelles del 25 settembre 1847. Cfr.

Débats du Congrès Pénitentiaire de Bruxelles, Session de 1847, Séances des 20, 21, 22 et 23 septembre, Bruxelles, Imprimerie de Deltombre, 1847, pp. 152-179.

65 A sottolineare i rischi per le minoranze religiose furono M. Bach, giurista londinese, e G. de

Beaumont, membro dell’Istituto e della Camera dei deputati di Francia. Fu invece Auguste- Édouard Cerfberr de Médelsheim a porre l’attenzione sul rapporto tra autorità civile ed ecclesiastica nell’organizzazione della sorveglianza carceraria. Cfr. ivi, pag. 170 e pag. 175.

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je comprends l’intervention des membres des corporations religieuses dans les hôpitaux, dans les infirmeries au chevet du lit des maladies; je la comprends même pour les enfants, je la comprends pour les femmes, pour donner des soins aux, uns des consolations aux autres, à tous des espérances. Mais lorsqu’il s’agit de criminels endurcis, la surveillance des corporations religieuses peut-elle encore remplir le but que nous nous proposons? Peut-elle encore avoir pour effet de moraliser ceux sur lesquels doit pèserai instant le bras séculier? (…) Sans le secours d’une surveillance active, intimidante, repressive dans l’intérieur des prisons, la réforme sera totalement compromise67.

L’opinione secondo la quale le congregazioni potessero fare ben poco verso individui dalla «nature rebelle à tou espèce d’amendament» era condivisa da molti partecipanti, i quali sottolinearono anche come non si potesse trasformare la figura di un frate in quella di controllore. In Francia questo esperimento era stato tentato: in alcune case centrali si erano introdotti i Fratelli della Dottrina Cristiana e i risultati ottenuti erano stati pessimi, perché i religiosi erano stati ammazzati o vessati dai condannati68.

In quell’occasione non era presente alcun rappresentante dello Stato Pontificio: l’unico italiano a partecipare al dibattito fu il toscano Ubaldino Peruzzi, che illustrò la situazione delle prigioni esistenti nella penisola. E il Congresso di Bruxelles affrontava il tema del personale carcerario alla luce di un sistema apertamente contestato dal papato, quello cioè dell’isolamento temperato o della «buona compagnia»69.

Eppure, pareri non molto diversi erano stati espressi qualche tempo prima dal cardinale Carlo Luigi Morichini, più volte portavoce della politica reclusiva romana il quale, già nel 1842, aveva sottolineato l’inopportunità di instaurare in tutte le carceri pontificie un regime disciplinare fondato sulla «soverchia dolcezza», poiché l’intimidazione del colpevole e l’esemplarità dei castighi rimanevano sempre «canoni fondamentali della scienza penitenziaria», di

67

Ivi, pag. 159.

68 Ivi, pp. 164-165

69 Il sistema della buona compagnia consisteva infatti nella reclusione in cella individuale,

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importanza pari ai principi di separazione della popolazione reclusa secondo il genere e l’età70.

Alla luce di quanto detto, sembra dunque comprensibile il perché, anche nello Stato della Chiesa, non si pensasse ad adottare il modello congregazionista nelle prigioni popolate da uomini adulti. Qui, i discorsi sul riordino del personale di sorveglianza maschile si svilupparono sullo sfondo di una certa sfiducia nella possibilità di recuperare soggetti considerati ormai dediti al crimine. E questo accadde anche a Bologna, ove ormai doveva trovarsi urgentemente una soluzione per i problemi creati dai secondini.

Nella città, infatti, le autorità locali avevano più volte invocato, senza successo, l’intervento di Gregorio XIII per risolvere il problema dei molti carcerieri corrotti71. Tuttavia, l’avvento del nuovo pontefice aveva presto alimentato le comuni aspettative. Agli inizi del 1848, la Sacra Consulta aveva annunciato una complessiva riorganizzazione del ramo, e a questo fine aveva ordinato a tutti i rappresentanti pontifici l’invio di liste e di dettagliati elenchi degli impiegati nella custodia delle prigioni72.

La ricognizione del personale fu un’operazione lenta e difficoltosa. In un primo momento, in vista di soluzioni definitive, a Bologna si era provveduto a installare nelle prigioni alcuni militari appartenenti al corpo dei volontari pontifici, a istituire un ispettore delle prigioni cittadine e a compilare un regolamento contenente dure sanzioni disciplinari per le guardie73. Ma il costante rinvio di

70 Morichini giustificò quanto detto a proposito della disciplina carceraria, sottolineando che «s’è

cattivo un rigore che giunge alla inumanità è ancor peggio una dolcezza che giunge alla follia». Il cardinale espresse anche un forte disaccordo con le teorie di Pierre-Simon Ballanche, il quale aveva immaginato che il recluso potesse emendarsi in una ville des expiations ove potersi interamente dedicare alla contemplazione. Cfr. L. Morichini, Degli Istituti di pubblica carità ed istruzione primaria e delle prigioni in Roma, Libro III, cit., in particolare alle pp. 288-289.

71 Cfr. ASR, MNI, r. 95, b. 1514 (1846-1848), fasc. «Bologna», lettera del rappresentante

pontificio Luigi Vannicelli Casoni in data 9 marzo 1846. Nel documento il rappresentante pontificio informa che la corruzione dei carcerieri era arrivata a vanificare anche quanto previsto da un nuovo regolamento penitenziario locale. Questo era stato emanato nello stesso anno nell’intenzione di inasprire la disciplina dei luoghi, visto che i reclusi consideravano spesso la pena detentiva come «quasi indifferente e forse anche di riposo».

72 Cfr. ivi, Rapporto della Sacra Consulta in data 10 aprile 1848. La richiesta fu formalizzata poi

tramite circolare del 22 marzo 1850, e una copia si trova in ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1850.

73 L’installazione dei volontari pontifici nelle carceri quale misure straordinaria e provvisoria per

Bologna fu ordinata da Pio IX in seguito a un’udienza dove giudicò la situazione della provincia estremamente grave. Cfr. ASR, MNI, r. 95, b. 1514 (1846-1848), fasc. «Bologna», Risoluzione sovrana recante data 28 agosto 1846. Il regolamento in questione si trova invece in ASB, LEG, tit. XII, R. 11, 1849, Regolamento per le carceri. Il Commissario Straordinario Pontificio G. Bedini,

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misure decisive portò presto a un clima di forte tensione. Roma ignorò tutti i rapporti provenienti dalla città e rifiutò per ragioni di economia anche alcuni piani proposti che prevedevano una progressiva sostituzione del personale già esistente con soldati addestrati74.

Fu Pio IX a valutare contestualmente, caso per caso, le istanze di licenziamento di molte guardie bolognesi, dietro le forti pressioni esercitate dalla città.

Nel frattempo, la Legazione pose in provvisoria quiescenza un buon numero di secondini dalla dubbia reputazione, mentre la Sacra Consulta - che aveva negato l’elargizione di un fondo per il forzato pensionamento di molti inservienti - provvide a neutralizzare gli elementi più scomodi, inviandoli nelle carceri alla periferia dello Stato, per evitare anche i possibili problemi legati a uno stato di disoccupazione75.

Indicative furono ad esempio le decisioni relative a Claudio Aspramonti, secondino al San Giovanni in Monte, inviato «ad altra estremità dello Stato ove non fosse conosciuto» e di altre guardie bolognesi, tutte spedite in prigioni di lontani luoghi nei quali avrebbero potuto intraprendere «un nuovo sistema di vita»76.

Certo, Roma continuò a promettere una generale riforma del personale di custodia ma, almeno sino al 1859, anno nel quale Bologna insorse contro il dominio papale, l’impegno rimase tale.

In questo modo si chiudeva un capitolo particolarmente tormentato della storia carceraria dello Stato Pontificio, di certo non ignorato da coloro che si ritrovarono a gestire l’assetto reclusivo lasciato da Pio IX.

Bologna, 25 settembre 1849, Bologna, Tipi Governativi alla Volpe, 1849, 14 pp.. Informazioni sul nuovo ispettore delle carceri bolognesi, installato nel 1849 in seguito a un nuovo regolamento di polizia della legazione, si trovano invece in ASB, Ispettore Politico del Reclusorio dei Discoli, poi Ispettore Politico alle Carceri. Inventario, a cura di M. L. Xerri, febbraio 1988.

74 Cfr. ASR, MNI, b. 1517 (1849-1850), fasc. «1850. Miscellanea», lettera del Commissario

Provvisorio Straordinario Gaetano Bedini in data 21 febbraio 1850. Precisamente, il progetto era quello di inserire nel servizio militare l’attività di custodia carceraria e, contemporaneamente, di sottoporre i secondini appartenenti alla «classe proletaria e abietta della società» a regolari rotazioni in tutte le carceri dello Stato. Un’altra missiva dal contenuto analogo, scritta in data 7 settembre 1850, si trova invece in ASB, LEG, tit. XII, R. 2, 1850.

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La questione della mancata elargizione del denaro occorrente a formare un fondo per i pensionamenti forzati è ivi. Per il forzato pensionamento di alcuni inservienti, cfr. ASR, MNI, b. 1519 (1850-1851), fasc. «Legazioni. 1850».

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Le drammatiche condizioni dei secondini delle prigioni dello Stato furono ricordate dal bolognese Gioacchino Napoleone Pepoli, nelle vesti di ministro della Giunta provvisoria della città prima, e di Commissario generale delle Province dell’Umbria poi77. E solo a Unità avvenuta, furono promossi interventi più incisivi, significativamente in linea con le soluzioni che si erano tentate o attuate precedentemente.

Tra 1860 e 1862, infatti, cinque regolamenti carcerari facevano riferimento ad altrettante tipologie di organico, e nell’ottobre del 1861 veniva impiantata la nuova Direzione generale delle carceri. Nel decennio successivo, un gran numero di provvedimenti si proponeva l’obiettivo di modificare sostanzialmente il quadro degli impiegati nell’organizzazione penitenziaria78. Ma solo tra giugno e luglio del 1873 venne specificamente affrontato il problema del personale di sorveglianza maschile, e il risultato fu un compromesso tra due esigenze di diversa natura, relativa l’una all’ordine, alla sicurezza dei luoghi e alla pronta repressione dei disordini, l’altra alla preparazione degli impiegati.

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Già comandante della guardia civica cittadina e protagonista dell’insurrezione romagnola contro il dominio papale, Gioacchino Napoleone Pepoli, nel novembre del 1859, in un rapporto al ministro delle Finanze parlò di impiegati nella custodia delle carceri bolognesi «così poveramente retribuiti» che, spinti dal bisogno, usualmente scendevano a patti con gli inquisiti stessi. Cfr. E. Bollati, Fasti legislativi e parlamentari delle rivoluzioni italiane nel secolo XIX raccolti per cura dell’Avv. Emanuele Bollati, Volume II, 1859-1861, Parte I, Lombardia-Emilia, Milano, Stabilimento Giuseppe Civelli, 1865, pag. 801. L’anno successivo, Gioacchino Napoleone Pepoli disegnò un quadro ancor più inquietante delle prigioni umbre, da lui stesso visitate. Opinioni non molto diverse erano state espresse dal maresciallo austriaco Thurn già nel 1849. Questi infatti aveva parlato dei problemi generati dai sorveglianti carcerari all’interno di un «Progetto di nuova organizzazione amministrativo-politico per gli Stati Pontifici» ove puntualizzava che le prevaricazioni dei custodi e dei secondini bolognesi, «non capaci di poter vivere coi loro salari», dovevano essere assolutamente fronteggiate tramite una più ampia riforma della polizia. Cfr. A. Gennarelli, Il Governo Pontificio e lo Stato Romano. Documenti preceduti da una esposizione storica e raccolti per decreto del Governo delle Romagne Dal Cav. Achille Gennarelli Avvocato nella Sacra Rota, già Residente di Collegio della Pontificia Accademia Archeologica, decorato della grande medaglia d’oro del merito Da S.M. il Re Di Prussia, Membro del Collegio Filosofico e Filologico e professore di Diplomatica e Paleografia nella Regia Università Di Bologna, Parte Prima, Prato, Tipografia Alberghetti & co, 1860, pag. 44.

78 Con Regio Decreto 29 novembre 1866 si sancì il passaggio dei bagni penali dal Ministero della

Marina a quello dell’Interno, e di conseguenza venne soppresso il corpo degli ufficiali militari preposti alla direzione e all’amministrazione di tali istituti, sostituito con personale civile la cui condizione veniva parificata a quella degli impiegati operanti nelle altre case di pena. Cfr. D. Fozzi, La sopravvivenza di una pena d’antico regime: i lavori forzati nell’Italia dell’Ottocento, in Carceri, carcerieri, carcerati. Dall’antico regime all’Ottocento, cit., pp. 253-258. Per i regolamenti citati, si rimanda invece a A. Borzacchiello, La grande riforma. Breve storia dell’irrisolta questione carceraria, in «Rassegna penitenziaria e criminologica», n.2-3/2005, pp. 83-147, in particolare alle pp. 116-117.

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Da un lato, cioè, al nuovo corpo delle guardie carcerarie vennero conferiti status militare e organizzazione fondata su una rigida disciplina. Dall’altro, fu istituita la prima scuola per gli allievi, allo scopo di formare figure «istruite, intelligenti, attive» e consce «dell’obbligo che hanno verso la Società di cooperare all’emendamento del condannato». L’istituto entrò in funzione nel luglio del 1875, in largo anticipo rispetto alla fondazione di analoghe strutture negli altri Stati europei, ed ebbe sede a Roma, nell’ex monastero di Regina Coeli, destinato di lì a poco a diventare carcere. A partire dal 1890, poi, in coincidenza della nascita del «corpo degli agenti di custodia» del Regno, vennero installate altre scuole per l’istruzione teorico-pratica degli arruolati79.

Così, il modello di custodia per i detenuti veniva teoricamente improntato sulla preparazione e sulla professionalità degli addetti.

I criteri di selezione e le condizioni di lavoro previsti non erano però cambiati di molto rispetto a quelli utilizzati precedentemente, e si continuò a reclutare personale dalle fila delle basse classi sociali80. Come sottolineò Martino Beltrani Scalia, all’epoca Ispettore generale delle prigioni del Regno, nel 1891 l’ufficio di guardia carceraria poteva ancora considerarsi «oltre ogni dire penoso», oggetto di numerose critiche da parte degli organi di stampa e screditato agli occhi dell’opinione pubblica81.

Negli spazi detentivi femminili, invece, il governo italiano confermò e formalizzò la presenza delle religiose, sebbene nel quadro di una politica di

79 Il nuovo corpo delle Guardie carcerarie nacque con la legge 23 giugno 1873 n. 1404 (serie 2). A