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Il San Michele in Bosco nel sistema penitenziario dell’Impero

Legislazione penale e istituti di reclusione tra fine Settecento ed Età francese

4. Il San Michele in Bosco nel sistema penitenziario dell’Impero

Negli anni del Regno, i maggiori sforzi governativi si orientarono in due direzioni parallele e complementari. Da un lato, si emanò una legislazione volta a una più efficace supervisione degli spazi d’internamento, dall’altro si tentò di compiere una razionale organizzazione delle attività lavorative dei reclusi, per ottenere reali profitti.

Rispondeva a queste necessità la messa a punto di una più coesa organizzazione gerarchica delle cariche preposte all’amministrazione dei luoghi, che avvenne agli inizi del 1808.

Un decreto governativo impose infatti ai direttori dei luoghi di condanna l’invio ai prefetti di quotidiani rapporti informativi sullo stato delle case, e stabilì - nel seno del ministero dell’Interno - la nuova figura dell’Ispettore generale delle carceri, carica assegnata a Benedetto Broglio, già funzionario governativo ai tempi della Lombardia austriaca139. All’Ispettore generale fu lasciato il compito di perlustrare gli stabilimenti penali, esaminare i mali esistenti e trovare i rimedi140.

Intanto, nel luglio del 1807, si era già stabilito l’obbligo dell’attività produttiva all’interno degli istituti di pena, di qualunque natura questi fossero, e in base a ciò si era effettuata una parziale modifica dell’ordine delle pene. Ogni casa di condanna dovette al contempo essere casa di lavoro, perché i reclusi, col proprio impiego, dovevano coprire i costi del loro stesso sostentamento.

I condannati ai ferri e al pubblico lavoro erano impiegati a intero profitto dello Stato. Ai condannati alla reclusione veniva invece concessa una quota del salario utile al miglioramento del vitto durante lo sconto della pena, mentre un terzo dei

139 Per la carriera di Benedetto Broglio cfr. C. Mozzarelli, Modelli amministrativi e struttura

sociale: prospettive di ricerca sulla burocrazia milanese, in «Quaderni storici», n. 37, XIII, 1978, pp. 165-195, nota 81, p. 193.

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Istituisce la carica di Ispettore alle casa di forza e carceri il decreto 8 settembre 1807, contenuto in ASB, BPL, Tomo XXX. Per i compiti a questi assegnati, si vedano invece le «Istruzioni per l’Ispettore sulle Case di Forza e sulle Carceri», in allegato alla circolare del ministero dell’Interno ai prefetti del Regno in data 10 ottobre 1807, in ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1808, b. 23.

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proventi avrebbe costituito il cosiddetto deposito, ossia una somma utilizzabile al momento dell’uscita dall’istituto141.

Avvisi e circolari ministeriali dichiararono inammissibile che delinquenti e criminali dovessero essere a carico della nazione, e stabilì la possibilità di impiantare una sola tipologia di impiego all’interno di ciascuna casa142. Si trattava di una misura che - almeno nelle intenzioni del governo - avrebbe anche risolto i gravi inconvenienti connessi all’organizzazione dei lavori negli istituti del Regno. Al San Michele in Bosco, infatti, sino ad allora si erano raggiunti scarsi profitti dalle attività svolte dagli internati e, anzi, il sistema messo a punto dalla prefettura del Reno aveva dato luogo a evidenti problemi.

Le materie prime fornite dai negozianti della città spesso si rivelavano di scarsa quantità, e molte erano le mancate retribuzioni da parte sia dei privati, sia della municipalità per i quali la casa di forza confezionava diversi prodotti143.

Così, per garantire il pagamento della committenza, prefettura e direzione avevano più volte costretto i reclusi dell’istituto a lavorare materiali tessili per conto dei loro stessi parenti144.

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Decreto 7 luglio 1807, in ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1807, b. 13, Sezione X «Casa di lavoro».

142 Il contenuto dei diversi decreti emanati sulla regolamentazione del lavoro coatto è ben riassunto

in una circolare inviata dal vice re Eugenio di Beauharnais a tutti i prefetti del Regno in data 9 luglio 1808, contenuta ivi, 1808, b. 38, Sezione X, «Casa di lavoro».

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In una visita prefettizia del dicembre 1804, erroneamente contenuta in ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1810, Sezione X, Casa di Lavoro, così si esprime il direttore della casa di forza di Bologna a riguardo della tenuità degli impieghi dei condannati: «Sembra pur strano, ed è contraddetto dalla Sperienza di tutti i Paesi, che una Casa di lavoro Forzato debba essere passiva, e pure questa lo è». Cfr., inoltre, ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1804, Sezione V «Spese Ordinarie», e specialmente lo «Stato di quanto va creditrice la Cassa delle Case di condanna in causa dei lavori eseguiti dalli forzati. 1802-1804» nel quale si elencano dettagliatamente i debiti di privati e municipalità per il mancato pagamento dei lavori effettuati dai reclusi. Tra i committenti dei lavori di manifattura a San Michele in Bosco si ritrovano Angelo Monti, importante negoziante di cordami cittadino al quale le autorità bolognesi guarderanno per l’organizzazione delle attività nelle case di condanna negli anni della Restaurazione, e Innocenzo Lanzoni, ex membro della cessata Congregazione degli artisti di Bologna, confraternita religiosa che, in antico regime, tutelava in campo lavorativo e devozionale gli artigiani cittadini. Per quest’ultimo, cfr. M. Fanti, Confraternite e città a Bologna nel Medioevo e nell’età moderna, Roma, Herder, 2001, pag. 510.

144 La scelta di accettare di preferenza la committenza dei parenti degli internati dell’istituto è più

volte ripetuta nei carteggi tra la prefettura del Reno e la direzione del San Michele in Bosco, e la questione è presente sino alla fine del 1807. Questo è ulteriormente confermato dall’analisi delle tabelle riguardanti i rendiconti di cassa nei quali si nota come buona parte dei committenti è costituita da parenti dei condannati. Vedi ad esempio il «Rendiconto di cassa della Casa di Condanna del dipartimento del Reno di febbraio 1807», nel quale su quattordici soggetti, ben sei proprietari del materiale filato dagli internati sono registrati come parenti di questi ultimi. Cfr. ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1807, b. 34, Sezione II, Rapporti settimanali, 12 marzo 1807, in allegato alla documentazione fornita al prefetto del Reno Francesco Mosca dalla direzione del San Michele in Bosco.

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Le nuove direttive dimostrarono l’indissolubile legame tra pena e impiego coatto. Quest’ultimo serviva non solo ad «animare i condannati coll’aspetto del guadagno loro particolare», ma anche e soprattutto a «procurare al Regio Erario un sollievo alle spese che sostiene per il loro mantenimento» e a «far prosperare le manifatture più utili e di maggiore bisogno»145.

Si ordinò che, ovunque, le manifatture fossero «portate alla massima estensione». Gli internati di tutto il Regno furono obbligati a lavorare indefessamente anche nei giorni festivi, e si dispose l’impianto di registri di contabilità in ciascun istituto, utili all’elaborazione di un registro generale dimostrante le attività e i prodotti più redditizi146.

L’obiettivo di mettere a punto un sistema facilmente sorvegliabile dal centro e diretto da autorità che godevano di piena fiducia governativa, fu perseguito sia nelle opere di installazione dei nuovi luoghi di pena, sia nell’organizzazione dell’intera popolazione carceraria, non solo a Bologna ma in tutti i territori del Regno.

Nei confidenziali rapporti ministeriali sin dal 1802, si fornivano precise indicazioni da seguire nell’impianto delle carceri. Per garantire un’efficace supervisione dovevano crearsi «stabilimenti di numero limitato, di estesa e grandiosa capacità»147.

145 Circolare del Ministero dell’Interno Ludovico di Breme in data 6 Gennaio 1808, in ASB, PDR,

tit. XII, R. 5, 1808.

146 L’estensione a oltranza delle attività al San Michele in Bosco in vista di profitti per il

governativo è esplicitamente ordinata dall’Ispettore alle carceri e case di condanna Benedetto Broglio, in un dispaccio riservato inviato alla prefettura del Reno in data 13 gennaio 1808. Cfr. ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1808, b. 37, Sezione III «Visite Mensili». L’obbligo di lavoro per tutti i condannati del Regno anche nei giorni festivi fu imposto da un’ordinanza ministeriale in data 15 ottobre 1808. Vedi in proposito, ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1808, b. 36. In particolare, nel 1810 si decretò tale sistema per i soli condannati insubordinati. Cfr. Ivi, PDR, tit. XII, R. 5, 1810, b. 40, Sezione X «Casa di lavoro», fasc. «Institore nella Casa di Forza. marzo e aprile 1810», Decreto 27 aprile 1810. L’impianto del Registro generale di contabilità, e dunque la formazione di registri particolari presso ogni singola casa di pena, fu invece disposto da un‘ordinanza ministeriale, e prevedeva più generalmente la suddivisione dell’assetto organizzativo dei luoghi di condanna in due rami amministrativi dei quali uno specificamente deputato alla sorveglianza e alla programmazione dei lavori. Cfr. in proposito, ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1810, b. 40, Sezione X «Casa di Lavoro», Ordinanza del ministero dell’Interno Luigi Vaccari, 3 gennaio 1810. Cfr. anche ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1811, Dispaccio del Ministero dell’Interno sulla migliore organizzazione amministrativa delle case di forza, 31 dicembre 1810. In questo si specificano i ruoli di I e II assistente, rispettivamente deputati alla compilazione di registri per l’amministrazione della casa e per l’ispezione dei lavori.

147 Francesco Melzi d’Eril duca di Lodi, Memorie, documenti e lettere inedite di Napoleone I e

Beauharnais, raccolte e ordinate per cura di Giovanni Melzi, Volume II, Milano, per Gaetano Brignola libraio, 1865, pag. 492.

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La fondazione di poche e capienti case di condanna avrebbe inoltre permesso «semplicità di custodia» ed «economia degli impiegati», e su questo principio fu gestito anche il San Michele in Bosco148.

Tuttavia, la sistemazione di luoghi di reclusione a funzione specializzata, capaci di ospitare soggetti provenienti da una molteplicità di dipartimenti, si rivelò un’operazione piuttosto fallimentare per più motivazioni.

I nuovi provvedimenti che, di anno in anno, comportavano la costante ridefinizione delle classi dei condannati e delle gerarchie istituzionali, impedirono una razionale ripartizione dei reclusi sulla base dei principi di territorialità e di una corretta espiazione della condanna.

A Bologna, come si è visto, in meno di un decennio le diverse disposizioni ministeriali avevano portato a una continua variabilità della popolazione carceraria, e una situazione di instabilità generale era stata provocata dall’assiduo rifluire di diverse tipologie di condannati.

Il San Michele in Bosco, sorto nel 1801 come provvisoria casa per condannati ai ferri e al pubblico lavoro, si ritrovò in un primo momento ad essere luogo di condanna dipartimentale. Avviata la sistemazione su scala nazionale degli istituti di pena, il luogo non solo venne formalmente adibito a casa di forza e di correzione, ma iniziò anche ad accogliere condannati provenienti da un numero di dipartimenti sempre maggiore. Dai 304 reclusi del 1807, l’istituto si ritrovò così ad ospitare un numero di internati in costante incremento: 673 nel 1809, 727 nel 1810, sino al picco di 1.022 detenuti nel 1811149.

148 ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1806. Lettera prefettizia all’ingegnere dipartimentale Giovan Battista

Martinetti in data 7 luglio 1806 nella quale si parla dei criteri da adottare per la realizzazione della casa di forza di San Michele in Bosco.

149 I registri dell’istituto di San Michele in Bosco non permettono un esatto studio quantitativo, per

questo i dati sono stati raccolti da carteggi e dagli stati annuali della popolazione carceraria di Bologna. Per il 1807, cfr. ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1807, 21 aprile 1808, dispaccio del ministero dell’Interno, «Richiesta di un elenco di tutte le case di condanna, di deposito e custodia del Dipartimento del Reno». Per il 1809, cfr. invece ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1809, «Tabella mensile del febbraio 1809. Casa di San Michele in Bosco». Per il 1810 cfr. ASB, PDR, tit. XII, R. 5, 1811, 13 maggio 1811, Ordinanza del ministero dell’Interno Vaccari, «Inchiesta ministeriale sulla popolazione dei luoghi di pena» e precisamente la tabella allegata dal Regio direttore Giovan Battista Gamberini dal titolo «Stato dei condannati nella casa di Correzione di Bologna il giorno sedici maggio 1810». Per i 1.022 reclusi a San Michele nel 1811 cfr. ivi, fasc. «Risposta del Prefetto del Reno alle richieste ministeriali» in data 8 giugno 1811.

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Il vertiginoso aumento dei condannati nella casa cittadina non dipese, tuttavia, dalla sola nuova ripartizione territoriale prevista per tutti gli spazi di condanna del Regno.

Il problema del sovraffollamento affliggeva molte prigioni della penisola e fu favorito anche dal progressivo instaurarsi di una politica criminale che stava lentamente abbandonando il consueto uso di altre misure repressive, a favore della soluzione reclusiva150.

Provvedimenti quali la legge organica del 25 febbraio 1804 - che decretò formalmente la comminazione di pene detentive per il castigo di qualsiasi reato - e lo smistamento in vari luoghi di pena dei condannati precedentemente reclutati in battaglioni coloniali, determinarono una situazione tale da richiedere ulteriori ampliamenti degli spazi repressivi151.

La questione preoccupò molto le autorità di Milano, che disposero l’installazione di nuove carceri a Pallanza, Rubiera e Padova. Ma ciò non bastò a far fronte all’ulteriore crescita della popolazione carceraria provocata, poco dopo, dall’attivazione del Codice penale nel Regno d’Italia, avvenuta nel gennaio del 1811152.

A Milano, infatti, si constatò presto come, a causa della nuova legislazione, il numero complessivo di prigionieri e di condannati italiani fosse salito «oltre tutti i

150 Per i cronici problemi di sovraffollamento degli istituti di pena e delle carceri milanesi in età

napoleonica, vedi G. Liva, Gli istituti di pena a Milano nell’età rivoluzionaria e napoleonica: Casa di correzione, Carceri del Capitano di Giustizia, Casa di forza e Casa di lavoro volontario (detta poi d’industria), in Ricerche di storia in onore di Franco della Peruta, Economia e società, vol. II, Milano, Angeli, 1996, pp. 406-457, in particolare alle pp. 440-442. Per le carceri genovesi cfr. invece P. Palumbo, Carceri in Liguria durante il periodo napoleonico (1805-1814), in Carceri, carcerieri, carcerati. Dall’antico regime all’Ottocento, cit., pp. 235-252.

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La legge cui si fa riferimento è la «Legge sugli omicidj, le ferite, e li furti, sulle prove, e sull’applicazione delle pene tanto ne’delitti suddetti, quanto in tutti gli altri delitti». Si tratta dell’unico provvedimento organico antecedente al Codice penale che, oltre a stabilire pene detentive, prescrive anche una sostanziale norma processuale e direttive in materia di raccolta di prove e indizi. Per questa, cfr. ASB, BPL, Tomo LVII. Il decreto d’istituzione della Legione Italiana emanato dalla Consulta di Stato il 26 maggio 1803 si trova in ASB, BPL, Tomo LIII. Per l’arruolamento forzoso nel Regno d’Italia cfr. F. della Peruta, Esercito e società nell’Italia napoleonica. Dalla Cisalpina al Regno d’Italia, Milano, Angeli, 1988., pp. 36-40.

152 Sull’attivazione delle nuove case di Venezia, Pallanza e Venezia, cfr. ASM, SSA, FIN, cart. 91,

f. n. 43, «Ministero dell’Interno. Bilancio presuntivo delle spese occorse per oggetti affidati alla sovrintendenza generale delle Fabbriche Nazionali dipendenti dal Min. Interno, Unitamente ad un rapporto analogo diretto al V. Presidente della Repubblica Italiana», 6 settembre 1805. Sul vertiginoso aumento dei condannati del Regno in seguito all’attivazione del codice penale, vedi anche A. Zanolini, Antonio Aldini e i suoi tempi. Narrazione storica con eventi inediti o poco noti pubblicati da Antonio Zanolini Deputato del Parlamento italiano, vol. II, Firenze, Le Monnier, 1867, pag. 145.

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calcoli sui quali era stata misurata la domanda del Ministero» per l’ampliamento dei locali di custodia e di pena153.

L’adozione del nuovo codice, che segnava un passo decisivo nel processo di progressiva severità penale perseguito dal governo, aveva comportato un forte inasprimento delle pene detentive rispetto alle disposizioni precedenti154. E per la prima volta, nei territori facenti parte del Regno d’Italia, una codificazione legislativa aveva fatto del carcere il luogo privilegiato nel quale scontare la condanna.

Progressivamente, grazie all’opera di riorganizzazione dei vecchi spazi reclusivi e all’emanazione di normative criminali riguardanti la repressione di specifici reati, il governo napoleonico aveva compiuto un importante passo verso l’affermazione della prigione penale.

La nuova rete carceraria, come visto, era stata posta in breve sotto uno stretto controllo statale, nell’intento di installare pochi grandi istituti, ciascuno capace di accogliere un gran numero di internati condannati a specifiche pene. Ma, una volta messo in pratica, questo ambizioso progetto non riuscì a tradursi in concreta realtà, per impossibilità e incapacità di gestire una rete di istituti di pena e di custodia, che potesse visibilmente riprodurre quanto previsto da una scala penale estremamente diversificata.

L’imponente opera di codificazione non venne dunque accompagnata da una vera svolta nella politica carceraria. Anzi, gli istituti impiantati nel quindicennio francese furono a volte soluzioni elaborate ad hoc per fronteggiare situazioni di

153 ASM, SSA, FIN, cart. 103, Rapporto n. 1502 del ministero dell’Interno ad Antonio Aldini in

data 3 ottobre 1812. Tirando le somme sulle cifre a disposizione, Vaccari lamenta la più stretta economia che si è costretti a seguire nell’amministrazione delle carceri e dei luoghi pena poiché, a causa del Codice penale, «và sempre crescendo il numero dei detenuti sotto processo e dei condannati».

154 Per il codice penale del Regno d’Italia cfr. E. Pessina, Il diritto penale in Italia da Cesare

Beccaria sino alla promulgazione del codice penale vigente (1761-1890), in Enciclopedia del diritto penale italiano, Volume secondo, Milano, Società editrice libraria, 1906, in particolare alle pp. 574-576. Cfr. anche U. Levra, Introduzione. Dal corpo all’anima: pene e criminali alla fine dell’ancien régime, in La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell’Ottocento, a cura di U. Levra, Milano, Electa, 1985 pp. 101-116. Cfr. anche G. Neppi Modona, Dal corpo all’anima. Il codice napoleonico del 1810, ivi, pag. 145. M. da Passano, Emendare o intimidire? La codificazione del diritto penale in Francia e in Italia durante la Rivoluzione e l’Impero, Torino, Giappichelli editore, 2000. La più esaustiva trattazione del codice penale napoleonico e la sua applicazione nel Regno d’Italia è costituita da Codice dei delitti e delle pene pel Regno d’Italia (1811), Ristampa anastatica, a cura di Sergio Vinciguerra, Casi, fonti e studi per il diritto penale, Serie II, Le fonti, n. 19, Padova, Cedam, 2002, in particolare i saggi di A. Cavanna, M. A. Cattaneo e S. Vinciguerra.

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seria emergenza. La cronica mancanza di risorse economiche e di disponibilità di locali permise poi solo la mera redistribuzione dei condannati negli istituti ove vi fosse ancora posto, a tutto scapito degli iniziali propositi di classificazione e di separazione155.

Purtroppo, non sono state ritrovate informazioni sullo stato generale delle carceri successivo all’introduzione del Codice penale. Ma il quadro generale delle prigioni presenti nel Regno d’Italia tra 1807 e 1808, ricavato dall’incrocio di diversi dati ministeriali, sembra confermare quanto detto.

Si tennero in effettiva attività solo otto luoghi a funzione specializzata - due ergastoli e sei case di forza - che ospitarono in totale circa 2.910 condannati. A questi dovettero aggiungersi i detenuti di polizia, sui quali però persiste ovunque un significativo silenzio156. Il resto della popolazione carceraria - consistente in 4.735 individui senza distinzione tra condannati e non - fu ripartita in ben 1.652 piccole prigioni. Di queste, 1.567 furono formalmente destinate a sola custodia, 20 erano luoghi periferici per soli condannati e 65 spazi servirono promiscuamente come case di condanna e di giustizia157.

Tali risultati sono attribuibili a una forte discrepanza tra le tappe che avevano speditamente scandito l’andamento della legislazione repressiva imperniata sulla detenzione, e le difficoltà inerenti all’organizzazione generale dei luoghi di contenimento della criminalità, che fu propria non solo del Regno d’Italia.

Nel 1813, infatti, in tutto l’Impero francese si contavano ancora solo undici centrali, riservate a condannati con pena superiore a un anno. Gran parte dei reclusi, compresi quelli ai quali erano state comminate severe pene, si ritrovò a

155 Le difficoltà relative alla mancanza di luoghi da destinare a case di forza ed ergastoli è espressa

in una relazione ministeriale riguardanti le case di forza di Padova e Venezia, per la quale cfr. ASM, SSA, FIN, cart. 97, «Stato delle grandi opere ordinate da Sua Maestà Imperiale, e delle somme erogate intorno alle medesime», s. d., ma successiva al 1807. Dei moltissimi individui «sparsi nelle carceri» a causa del sovraffollamento nelle case di Venezia e di Pallanza si parla ivi, f. 6, «Case di forza, con circolare sulle case di lavoro volontario. Memorie sulle case di forza», s. d..

156 ASM, SSA, FIN, cart. 103, «Budget 1813 e precedenti», in allegato al Rapporto n. 1502 del

Ministero dell’Interno ad Antonio Aldini in data 3 ottobre 1812. La tabella, dal titolo «Riassunto delle notizie sulle Case di Forza» è però datata 1 ottobre 1807. Tali dati sono parzialmente riprodotti ivi, nella tabella «Indicazione del numero di condannati esistenti nelle sotto descritte Case di Forza colla distinta delle spese giornaliere verosimilmente occorrenti per cadauno dei medesimi», s. d..

157 Cfr. ASM, SSA, FIN, cart. 97, allegato al «Budget, 1807-1808», tabella dal titolo «Riassunto

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scontare indebitamente la condanna nelle 400 piccole prigioni dipartimentali, tutte caratterizzate da un internamento più o meno massivo e indifferenziato, lontano dagli schemi di distribuzione ideale susseguitisi nell’arco di un quindicennio circa158.

Molti degli istituti di pena si svilupparono in modi del tutto diversi dalla logica penale e dal codice di riferimento. Se la casa di forza di Gand diventò presto una