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Ms. «Pensieri, morali, letterari e civili»

Nella riproduzione del testo, che si presenta d’aspetto simile al ms. «Scalvini. Abbozzi di romanzi. II», ci si è avvalsi dei medesimi criteri adottati in quella sede.

Per quanto riguarda la numerazione delle carte ci si è attenuti alla numerazione apposta dal bibliotecario, accompagnata dalla specificazione recto e verso [r/v] della carta, subito seguita dal numero del frammento presente in cifre arabe nell’originale.

Alla fine del manoscritto, per maggior completezza, sono stati riportati i due «Pensieri», che non risultano nel manoscritto, pubblicati dal Tommaseo sullo «Spettatore», unitamente ai «Pensieri civili» e al «Discorso alla Gioventù», apparsi sull’«Opinione Nazionale: giornale politico quotidiano».

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Capitolo 5. 1

Mss 455

Scalvini, Giovita, «Scritti letterari II» «Pensieri, morali, letterari e civili» 354 schede (Scritti Pensieri vari: 8318-8757)

Faldone D Ugo Da Como (Lonato)

[c. 1r]: 1 Amor di sé. [c. 1v]: Indulgenza 5 [c. 2r]: Opinione 2 [c. 2v]: Amore [c. 3r]: 4

I traviamenti358 non sono sempre funesti all’uomo. Chi cammina sul retto sentiero, va spesso

lentamente, certo di non sbagliare la via che conduce al luogo dove gli giova arrivare; ma chi travia, va sempre con passi frettolosi per quegli obliqui pensieri, incerto del

quando *troverà* il retto; e non lo trova appena, che per rifarsi del tempo perduto, il discorre rapidissimamente;. eE però chi ha traviato giunge spesso talvolta alla meta, prima di chi ci va rettamente, col compiacimento di aver fatto assai più di cammino. – La provvidenza nel condurre gli uomini, usa spesso come i mandati del capitano cogli ambasciatori della parte nemica nei giorni di battaglia, che sono condotti [c. 3v] al luogo ordinato cogli occhi bendati e per mille avvolgimenti.

[c. 4r]: 2

Penso che le donne amino gli uomini più per sentimento della loro debolezza di quel che sia per le belle qualità che si trovano negli uomini. qQuindi una tenera fanciulla, quanto più sarà debole, tanto più avrà il cuore atto ad amare; e ne di qui viene che le donne si

358 «Lo Spettatore», Rassegna letteraria artistica, scientifica e industriale, a.1, n. XI, p.152. La parte cancellata

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procureacceranno sempre più l’amore di quegli uomini che mostrano un carattere forte, risoluto, e lineamenti robusti.

[c. 5r]: 3

Veramente potrebbe riuscire a qualche utilità il raccogliersi ogni sera in se stessi, e chiamare ad esame quanto si avesse nella giornata operato, e rendere a sé un rigido conto del come si avesse disperso il proprio tempo, facendo memoria delle buone opere, perché ne allettassero a rinnovarle alla occasione; e notando eziandio lae tristai con tutti i loro pessimi effetti, perché imparassimo a cansarle in avvenire, e ad emendare in tal guisa la nostra vita. – E parmi che questa sia la via migliore per giugnere alla cognizione di noi stessi; e può condurci anche a fare un certo stile e semplice [c. 5v] e schietto, il quale non si può conseguire che con una lunga usanza.

[c. 6r]: 10

Cinque sensi non bastano a conoscere le infinite esistenze onde l’universo s’informa. Noi siamo troppo presuntuosi quando su la porta dei pochi nostri sensi crediamo aver le ragioni dell’immenso tutto; oppure v’ ci è pur forza attenersi ad essi soltanto. Ma essi certo non se ce ne fanno conoscere che una *infinitesima* parte; ed esisteranno degli altri universi che non si potrebbono comprendere che con altri sensi diversi dai nostri. I nostri non riguardano che brevissimo spazio, e tempo brevissimo, che pure l’uno e l’altro sono infiniti. Dopo questa vita chiuso il mio spirito in un’altra esistenza, che avrà la coscienza di se stessa per mezzo di altri sensi, io conoscerò un mondo diverso da quello [c. 6v] che conosco ora, che pure sarà una parte del gran tutto [.?] Forse la grande Unità, la concomitanza di tutte queste parti dell’universo, che diventano per se stesse tanti universi per i sensi propri a conoscerle, e la quale concomitanza, onde conoscerla, abbisognerebbe un numero sterminato di sensi, Dio, mena gli spiriti a conoscere se stesso e il gran tutto, traducendoli di vita in vita.

[c. 7r]: 11

L’umanità bisogna considerarla come un individuo che si viene sviluppando. Appartiene a un nuovo ordine di cose, a una nuova specie di esseri di cui non abbiamo altri esempi nel nostro globo. In questi noi non veggiamo che individui svilupparsi, un animale, una pianta. Ma la famiglia de’ bruti, come quelle delle piante, si rimane per sempre la stessa. Ivi la vita dà principio a un individuo e lo svolge, e lo rinnova sempre il medesimo, ma non isvolge una aggregazione d’individui. La famiglia degli umani per l’opposto è un nuovo essere nel quale la vita si sviluppa bensì negl’individui, ma l’intelligenza, la ragione, che è ciò che intimamente costituisce [c. 7v] la natura umana, si sviluppa nell’intera famiglia; l’intelligenza assume veste esterna nel linguaggio, nella civiltà, nella religione, nell’arte, nella scienza. Ciò

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che impedisce la nostra cognizione nello studio dell’umanità; si è che di siffatti […?] esseri a un tempo359 [?] e più ve n’ha un solo sul nostro globo, e manchiamo quindi di termini di confronto. Non vi è mai stato regresso in questo essere; ma nascita e svolgimento attuale, il termine è ignoto.

[c. 8r]: 8

L’uomo presuntuoso si sdegna anche contro a la natura che gli fa resistenza. Lancia dardi contro il Nilo, batte il mare e scrive al monte Atos di rispettarlo. [c. 9r]:

Il primo compiacimento dell’uomo è il sentimento della propria fortezza, che l’uomo cerca persino nella colpa, mentre spesso avviene che le persecuzioni e la volontà di deprimere l’altrui fortuna non è che per attestare a noi medesimi quel che possiamo.

[c. 10r]: 10

Giudicherò sempre triste quell’ figlio *uomo* che sa procurarsi le altrui cortesie incutendo

timore. [c. 11r]:

9

Vuoi conoscere propriamente che bestia sia l’uomo, e di qual indole? Cerca di studiarlo quando non è da verun timore contenuto. Guarda che sono, uno per uno, i soldati, quando attruppati alloggiano in un villaggio. Ascolta i discorsi del povero intorno al ricco; e cerca la cagione che move le lagrime sparse sul cadavere di chi è morto.

[c. 12r]: 8

Pur ch’ei si ritiri da un lato, da dove non vegga l’aspetto del dolore, ei *l’uomo* s’abbandona alla gioja. In mezzo agli affanni della vita, non è giorno che il sorriso non gli venga sul labbro. Il dì che Roma cadeva, dopo aver dominato il mondo, certo certo v’ erano che de’

suoi cittadini che si lasciavano andare a cantici e a danze, spensierati del presente e dell’avvenire.

[c. 13r, ripiegato]: 8

Poi può cessare dalle sue follie di voler diventare qualche gran cosa. Quando un uomo non ha forze né qualità naturali che lo elevino, egli è indarno che ne cerca di fittizie. Chi sta ad

alto per propria virtù, non rischia di mostrarsi talvolta sul suolo, certo di lasciarlo quando a lui piaccia. Ma chi si sente per proprio peso gravato ognora nel fango, fa pure ogni sforzo per tenersi sempre ad alto; ma vola come Simon Mago. Tenta di supplire coll’arte al difetto della natura, ma gli avviene, come a que’ [l…?] [*ciechi*?] che per voler vedere meglio, si armano

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di tanti ti vetri, che alla fine perdono gli occhi. E colui diventerà ridevole e schifoso, perché l’asino sino a che non ha a schifo di mostrarsi tal quale lo ha fatto natura, ognuno commenda la sua pazienza, la sua parsimonia, e la sua attezza al lavoro; e trova chi lo nutre e lo stregghia;, ma se se vuol mettersi indosso una pelle più gaja che non è la sua, ognuno che lo incontra per via, gli ride in faccia. – Non ho mai veduto uomo alcuno cercare tante arti per *pur dare* a credere a sé, e a gli altri di essere il più fermo, il più magnanimo, il più savio degli uomini; né ho mai udito alcuno rimenarsi tanto per bocca numerosi precetti di saviezza, ma nelle opere la sua indole gretta [c. 13v] e piccina schizzava fuor da ogni banda; perché se a chi ha il guasto nel sangue giugne pure il chirurgo a disseccargli il tumore della coscia, tosto il tumore riapparirà nel *fianco, e guariscono*, il fianco, *e* quello gli rimangerà il petto, finché lo abbia strutto.

[c. 14r]: 2

Così parla la fortuna – Indarno gli uomini si lagnano di me; perché, non v’ha giorno ch’io *loro*non isciolga se quasi tutti dispero i miei capegli d’oro. Di se stessi e del loro timore infingardo si lagnino, che li fa restii in afferrarnmela. Quand’io passo loro dinanzi, sono essi ciechi di a non vedermi. E se il sono la loro cecità ne incolpino. Se nol sono Aspettano forse il mio venir di domani? Ma per essi non vi è che il domani. Perché sono i pochissimi che oggi

m’arrestino, e perciò discorro il mondo. Vi sono stati alcuni cui io passava di discosto perché

la loro temerità mi metteva spavento, ed essi audacissimi m’hanno inseguito tanto che presami, diventai loro [c. 14v] mancipio. Mi sono persino fermata dinanzi a certuni, e gli sorrisi in volto; e ho veduto ch’essi mi vedevano e mi desiavano, ma non osavano mover passo, e alzavano incontro a me timida la mano. Io mi sono sdegnata, perché diva impaziente, e li ho fuggiti, ed essi poiché videro la mia fuga, si mossero e stesero le braccia, ma io fuggiva più che quelli non *inseguisser*, e mi veniva intanto su l’aure un lamento perch’essi mi chiamavano avversa e ingiustissima.

[c. 15r]: 7

Egli è nostro destino che i piaceri ai quali aspiriamo ci abbiano a costare qualche dolore, e conviene averci meritate con qualche sacrificio le nostre gioie quantunque oneste *anche oneste*, onde goderne senza rimorso. Io son risoluto *fermo* nell’opinione che nessun uomo

porti seco nascendo di tali prave inclinazioni che lo abbiano quando che sia a spingere irresistibilmente a danni del suo prossimo.

[c. 16r]:

E’ contro gentilezza usare malignità verso chi v’è paruta degna di partecipare ai beni ed ai mali della nostra povera vita.

193 [c. 17r]:

4

Io ho desiderato; ebbi ciò che desiderava; ma quell’oggetto non [va?]rrebbe dramma al mio

ben essere: godiamo nel momento della dolce sensazione: svanisce la novità, e siamo qual prima. Le cose che ci portano affanno, sono sempre relative alle cose che ci danno piacere;

quindi avviene che ognuno avrà i suoi *dolori* adattati ai suoi piaceri [.] sSe taluno avrà molti piaceri la mancanza del piacere sarà per lui un forte dolore, e così verrà equilibrato. Chi gode pochi piaceri, ha *pocao* doglia *dolore* alla perdita di quellai.

[c. 18r]:

18 5

Noi conosciamo il disordine per l’idea dell’ordine, ed il piacere per quella del dolore. [c. 19r]:

6

Il [?] *mendico* ha dei momenti che *non*gli cederebbe ad un regnante. E il regnante passa dei giorni sì infelici che scambierebbe volentieri la sua esistenza con quella del più povero della terra, tutto è in equilibrio.

[c. 20r]: 13

Chi dimentica le prime lezioni, merita che gli sian date le seconde e le terze. Talvolta

abbiamo un così gran bisogno che non sia vero quello che è vero, che non vogliamo in nessun modo cedere; e andiamo trovando mille ragioni per continuar ad ingannare noi stessi.

Misero conforto: perché non facciamo che provocare vie più le prove di ciò che temiamo.

(1)360 Bisognerebbe sempre rassegnarsi alle prime apparizioni del vero, ammutire e dissimulare. Vi è un natura di dolore che fu sempre e sarà sempre impotente ed inutile dinanzi gl’indifferenti e gl’increduli, e chi non lo contiene nel suo petto, diviene, oltre al tutto resto, meschino in faccia a se stesso.

[c. 21r]:361 7

Del mortale *L’uomo è* ardito sempre a dominare colla immaginazione il futuro, e fingersi il

signore degli eventi, e a sovrastare alla fortuna immemore sempre della sue debolezza, che le sue passioni lo gravano al suolo, e che lo stesso sforzo che farà per lanciarsi, gli torrà vigore a più oltre proseguire, anzi lo condurrà a recedere lasciandolo svigorito anche delle forze che dianzi si sentiva avere. L’anima ch’è incorruttibile, veloce, sterminata nelle sue forze, naturalmente non sostiene di creare immagini che non sentano della di lei natura,. mMa frali e soggette a consumazione sono le forze dell’uomo, colle quali è pur necessità dare effetto all’idea. Quindi chi ha meno sperimentate le forze del suo corpo, non fidandosi che a quelle

360 Nel margine dx corrispondente si trova scritto con grafia diversa: «variante».

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dell’anima, nulla crede essere impossibile; e un fanciullo non è restio a crederlo se tu gli racconti che un uomo della terra è volato nella luna.

[c. 22r]: 1

Non *Più d’uno non* conosce il male su in cui si trova, perché non fa riflesso *pensa* ai beni

che ha goduto, anzi non se ne ricorda neppure. [c. 23r]:

Mali e beni 6.

[c. 24r]: 6

Qualche volta avviene di aprire ed espor male le proprie idee *per voler* essendosi fissati di dir sempre de’ motti.

[c. 25r]: 5

Spesso parla d’inezie, chi è più atto a pensare cose alte e difficili, ma queste sa che non si possono meditare, né dar a intendere in una conversazione. [c. 26r]:

4

*Certe menzogne son dette per coprire una menzogna contraria e maggiore* [c. 27r]:

2

Ma Non già che non vi n’avrei avere buone ragioni, e tutti lo sanno - e forse per ciò appunto

ho taciuto.

L’uomo talvolta per avere buone ragioni di parlare, o perché vede che tutti le sanno, però tace. [c. 28r]:

3

Chi confida il suo secreto, si crea de’ superiori; mentre chi non lo confida a nessuno, nessuno ha che gli sovrasti.

[c. 29r]: 2

L’uomo la ripone *la felicità* sempre fuori di ciò che possiede. Ora qual è l’uomo che arriverà a sentire a un tempo lo il suo stato attuale e quello che ha perduto, e che travede nell’avvenire? E quando questo avvenire si farà presente o il passato si rinnovellerà; fuori di essi, per quella legge eterna che lo corregge, porrà il suo bene. Perciò si può dire anche, amando essere bizzarro nel proprio discorso, che la felicità non esiste quaggiù per l’uomo,

sebben lunge da lui, che allorquando non è contento del presente, e conseguentemente che

esiste sempre. [c. 30r]: 3

195

Chi più s’è illuso in gioventù, tanto più dolorosamente uscirà de’ suoi inganni. Chi più *ha goduto* di spaziarsi per un mondo di amabili fantasie e di errori, tanto più, quando gli avverrà di avvedersi che non ha steso le sue braccia che verso delle ombre le quali si sono dissipate dinanzi il suo desiderio, tanto più maledirà quei fantasmi, e li scaccerà dinanzi a sé e li sperderà; misero!, per non trovarsi finalmente, che vcinto da sterili ruine, e da desolazione. [c. 31r]:

4

La sensibilità conosce, ossia immagina, de’ piaceri ai quali non potrà mai arrivare. [c. 32r]:

1

Il cuore dimanda un ristoro al gravame dei presenti mali, e l’uomo si volge a contemplare il passato del quale non rimanendo che una ignuda larva, egli la veste, come più gli piace. [c. 33r]:

5

Sono assai più gli affanni che gli uomini recano a se stessi cercando di star meglio, di quelli

che a ciascun uomo naturalmente creano le sue sorti. [c. 34r]:

10 9.

Se l’uomo non arriva a travedere *intravedere* le mire della Provvidenza nel farci suscettibili dei sogni, io per me nonostante credo che ne avesse di degne dell’eterna sapienza, ed anzi dalla nostra ignoranza ne desumo la profondità. Chi sa studiare in essi, non può fare a meno di trarne dottrina o conforto. MaNon già che ne ci aprano l’avvenire, ma l’uomo che piange in tempo di veglia può trovare nelle illusioni del suo sonno una consolazione che si diffonde su tutto il giorno seguente.

[c. 35r]: 8

Non v’ha sulla terra essere più infelice di quell’uomo che conosce di operar male, ma che si

trova soggetto *crede costretto* a così operare che e [stia…ato?] dalle abitudini

tiranne. [c. 36r]: 9

Vi è sempre nelle cose che immaginiamo di fare nell’avvenire, qualche cosa di ideale, che vi

mette l’anima; vi è l’abbellimento non [nell’?]immaginazione di godere come se fossimo impassibili, onnipotenti, lieti; quella è la felicità che si crea l’anima, di sua svennatura, lieta

ed immortale; ed infonde della sua natura anche nelle azioni. [c. 37r]:

11

Il falso, veduto sempre aggiunto al vero, acquista aspetto di verosimile nella sua mente che tale il *desidera*.

196 [c. 38r]: Fantasia 5 [c. 39r]: 12

*L’ostinazione* rende ciechi, e fa dimenticare le cose che sono al momento successe poc’anzi seguite perché giova il dimenticarle.

[c. 40r]: 11

Le Memorabili le commozioni della sua fanciullezza, di quella età in cui le fibre della

sensazione non ancora vessate logore,reagiscono di rispondono con armonia ad ogni menoma

impressione. Cogli anni perdiamo quella prima delicatezza, gli usi sociali s’innestano alla nostra natura; diventiamo incapaci di sentire, siccome sentivamo prima naturalmente; e abbiamo per nostra indole ciocché non è di *che* fit[t]izio; né più sappiamo trarre dal nostro ingegno quella verità e schiettezza luminose e semplici nelle quali l’animo gentile, che si è serbato più degli altri intatto, trova se stesso, ma che non sono neppure intese dai più. Strofinandoci noi lungamente cogli usi sociali, quelle punte che da essi sporgono e che prima ne ferivano, s’improntano a poco a poco in noi, sicché [c. 40v] noi accostandoloi poi, invece di esserne lacerati, non si sentiamo neppure che le loro aguzze parti si celano nella impronta che hanno in noi fatta, e essi a noi, e noi ad essi si *ci* connettiamo. Non vi ha uomo che a trent’anni, anche quelli, cui meno la società ha travestito, non riguardi come puerili metà delle delicatezze che avea a quindici;: eppure a 15 quindici più che a 30 trenta egli sentiva propriamente parlando da uomo, benché questae mutazionei s’intitolino pomposamente far senno; e far senno non è altro che cammuffare le primitive naturali inclinazioni; snaturarsi. [c. 41r]:

15

Se ti vedi dalle genti sfuggito, pensa che questo esser possa per due motivi. O perché sei uno sciocco; o perché avvanzi di troppo gli altri per ingegno o per pulitezza, o per coltura ec. . Nessuno ama sentirsi ad altrui inferiore.362 Molti poi amano dominare, e perciò l’amicizia che spesso il maggiore mostra all’inferiore, è sospetta di tirannia.

[c. 42r]:363 3

Gli uomini ci fanno pur troppo gravi mali per farci del bene. Tutti ci stanno *intorno* per giovarci come se e’ sapessero *meglio di* che noi quello che ci abbisogna.

[c. 43r]: Parole 4 [c. 44r]:

362 Corretto in: «inferiore ad altrui».

197 1

Se non ami, tu non puoi sapere che parole bisogna dire a chi t’ama; tu puoi credere di consolarmi, e trafiggermi.

[c. 45r]: 14

Se vedi alcuno che nel mondo fa mostra di *altezza*rezza d’ingegno, dì o che è imbecille, o

che ha di che soddisfare le sue brame. [c. 46r]:

13

Le scienze fanno gli uomini o incuriosi o temerarii; chi misura il cielo, ha per meschinità quanto avviene quaggiù in terra. Il medico governa la vita dell’uomo, come l’artefice l’orologio ch’egli ha costrutto.

[c. 47r]: 6

Taluno, domandato, non risponde; e scosso, ritorna come da un rapimento. Egli avea gli occhi

su di un cavallo che correva la strada. Questi crede che l’astrazione denoti ingegno, ed

un animo facile ad essere dagli oggetti penetrato e assorbito – E molti il credono, ma io penso

che la facilità di lasciarsi astrarre dalle cose, sia anzi indizio di povertà di mente, in modo che volendo anche leggermente attendere ad una cosa, bisogna porvi tutta la scarsa forza del proprio ingegno – Chi dell’ingegno è ricco, attende anche severamente ad un oggetto, ma non vi occupando tutte le forze ampie del proprio ingegno, sente ancora quel *che* si fa intorno di lui, e rapidamente dall’una passa all’ [c. 47v] all’altra cosa. Questo si accosta più alla divinità, che ad un tempo attende a tutto – Riflettasi ch’io parlo solamente di quelli che all’aspetto di ogni menoma cosa sembrano assorti. So che le forti passioni csi rapiscono tutta la mente più degli uomini d’alto ingegno, che de’ cervellini. Vi è l’esempio d.

[c. 48r]: 7

Le illusioni dell’amor proprio rapporto *rispetto* all’ingegno che ciascuno dubita di

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