• Non ci sono risultati.

3. 2. 1. L’istituto dell’esilio: considerazioni generali

La situazione dell’esule, che riguardò così larga parte dell’esistenza di Scalvini, esige un approfondimento, pur non costituendo il presupposto univoco e contestualizzante dei testi presentati in questo lavoro di ricerca. Il manoscritto «Scalvini. Abbozzi di romanzi. II» è infatti sicuramente anteriore all’esilio, ma alcuni «Pensieri» paiono invece rivelare nei toni, pur in assenza di date certe, una saggezza sicuramente frutto di una più matura esperienza.134 L’esperienza dell’esule è poi sicuramente presente nelle Memorie che coprono un arco temporale in tal senso significativo, del quale abbiamo testimonianza all’interno della partizione stessa che ne propone il Tommaseo: “Parte prima… ecc.” e, appunto, “Parte Seconda. L’esilio fino al 1838”. Infine, nel ms 249 se ne potrebbe inferire l’influsso anche dal fatto che alcuni dei testi citati all’interno del taccuino vengono pubblicati negli anni successivi alla fuga dall’Italia.

Studi storico-letterari recenti hanno messo bene in luce molti aspetti di questa particolare condizione insorta in ambito risorgimentale, l’esilio, analizzandone le diverse modalità attraverso cui prese corpo e le conseguenze politico-culturali che implicò nel tempo.

Indagando le origini del fenomeno, Patrizia Audenino, per esempio, ricorda che «una tradizione storiografica inaugurata da Carlo Cattaneo indica l’esordio dell’esilio risorgimentale nella fuga di Ugo Foscolo all’indomani della restaurazione»,135 anche se storici successivi indicano come precursori sia Filippo Buonarroti, sia i superstiti della repubblica napoletana (1793). In ogni caso, facendo riferimento agli studi di Agostino Bistarelli136 e di

134

Cfr. [cc. : 63, 252, 388].

135 Patrizia Audenino, Esuli risorgimentali: esploratori della libertà o naufraghi della rivoluzione? In A.S.E.I.

(Archivio Storico della Emigrazione Italiana), 30 luglio, 2014. L’autrice si riferisce a: C. Cattaneo, Ugo Foscolo

e l’Italia, estratto dai fascicoli LII-LIII del Politecnico, ottobre-dicembre 1860, Milano, Editori del Politecnico,

1861, p. 34. Cfr. anche Risorgimento ed emigrazione, a cura di E. Franzina e M. Sanfilippo, A. S. E. I., Viterbo, Edizioni Sette Città, 2014, pp. 23-40, cfr. p.23.

136 Agostino Bistarelli, Cittadini del mondo? Gli esuli italiani del 1820-21, «Archivio storico dell’emigrazione

42

Maurizio Isabella,137 la Audenino riporta che «un contingente di circa 800 persone venne espulso nel biennio 1820-21 e più complessivamente sono stati calcolati in 3.000 esuli fra il 1815 e il 1830»138 venendo così a includere, secondo le indicazioni di Bistarelli,139 l’intersezione di più generazioni. Di questi giovani e giovanissimi la studiosa ci fornisce anche le coordinate geografiche relative agli spostamenti, avvertendo che è importante, per comprenderle, avere a mente le speranze e le aspirazioni di questi fuggitivi, ma anche le politiche di accoglienza che essi potevano ricevere dai vari stati:

Nel corso dei primi decenni dell’Ottocento tutti gli stati europei dovettero affrontare il problema degli esuli politici. La risposta che essi diedero risultò decisiva nell’indirizzare percorsi e destinazioni e, nel lungo periodo, l’adozione di modelli politici che avrebbero nutrito più di una generazione risorgimentale nell’ammirazione di quel sogno liberale che era negato in patria. La Spagna rivoluzionaria, la Francia repubblicana, la Gran Bretagna, il Belgio e la Svizzera furono i paesi che più attrassero gli esuli e alla base di tale predilezione stavano le politiche adottate in tema di accoglienza. 140

Tali indicazioni ci permettono di seguire con maggior consapevolezza il tragitto compiuto da Scalvini all’indomani della fuga. Molte delle terre citate, che optavano per la scelta dell’accoglienza rispondendo ai propri ideali di libertà, saranno infatti meta degli spostamenti di Scalvini, e risulta allora utile conoscere anche le regole applicate dalle varie nazioni che lo ospitarono. Apprendiamo ad esempio che la Svizzera, prima tappa sulla strada dell’esilio, pur essendo neutrale e tradizionalmente accogliente, era comunque piena di agenti segreti che giungevano dai paesi confinanti e faticava a garantire la salvezza a tutti i richiedenti protezione. Ciò nonostante il paese dimostrò sempre benevolenza nei loro confronti; ricordiamo inoltre che Lugano, proprio per la prossimità con l’Italia, poté dar voce e diffondere, attraverso il lavoro delle sue tipografie, molti libri di fuoriusciti italiani.

La Francia, seconda e quarta tappa, non fece mai entrare in vigore il diritto d’asilo contemplato dalla costituzione del 1793, in compenso gli esuli potevano contare sull’aiuto delle singole persone, quando non della municipalità; tra le città è sicuramente Parigi a rivestire il ruolo più importante per l’esilio italiano almeno fino ai primi anni trenta dell’800.

In Gran Bretagna, terza tappa, non esistevano norme al proposito, pertanto fu concesso il diritto d’asilo a chi lo domandava; anche in questo caso non si può sottovalutare la grande importanza della capitale, Londra, pari quasi a quella parigina anche per la qualità dei suoi prodotti editoriali.

137

Maurizio Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma-Bari, Laterza, 2011.

138 P. Audenino, Esuli risorgimentali, cit., p. 24.

139 Ci si riferisce alle indicazioni riportate in A. Bistarelli, Gli esuli del Risorgimento, Bologna, Il Mulino, 2011,

pp. 83-84, secondo il campione elaborato da Clara M. Lovett, The Democratic Movement in Italy, Cambridge, MA, Harvard University Press, 1982.

43

Giungiamo infine in Belgio, quinta tappa, dove Paolo Arconati Visconti offre la sua accoglienza già dal 1821 al nipote Giuseppe, a sua volta in esilio, nel castello di Gaesbeck, vicino a Bruxelles, castello che, come vedremo, diventerà un centro di vitale importanza per molti esuli che lì vennero ospitati, finendo col suscitare l’attenzione dei servizi segreti sabaudi impegnati per numerosi anni a effettuare accurati controlli nel piccolo stato resosi indipendente dal 1830.

Le partenze, che si configurassero come fuga, è il caso di Scalvini, o come espulsione, ponevano in ogni caso il problema del sostentamento, in quanto prevedevano nella maggior parte dei casi l’abbandono di un impiego:

Nonostante il carattere non volontario delle loro partenze, gli esuli si trovarono infatti a condividere molti aspetti esistenziali degli emigranti non politici […] a entrare in relazione tanto con le società di accoglienza quanto con gli altri connazionali, con modalità differenti da un paese all’altro. […] L’allontanamento, nelle speranze e nelle aspettative dei fuggitivi e degli espulsi, avrebbe voluto essere limitato nel tempo, anche se questi migranti […] si trovarono sovente nella condizione di trasformare una partenza temporanea in una definitiva.141

Questo, ricordiamolo, è ancora il caso di Scalvini che, presa la via della fuga nel 1822, rientrerà in Italia, ma solo nel 1839.

Maria Silvia Tatti, affrontando anch’essa il tema dell’esilio risorgimentale, riprende una definizione del piemontese Giacomo Durando, che nel volume Della nazionalità italiana, dato alle stampe a Losanna nel 1846, aveva connotato per la prima volta gli esuli degli anni Venti come una «patria errante». Dunque, osserva la studiosa, se si recepisce l’esilio come un’«esperienza militante attiva di portata europea», esso può contribuire a fornirci lo scenario nel cui ambito inserire, nel periodo risorgimentale, anche la cultura italiana:

[…] l’insieme cioè di testi letterari, edizioni di classici, pubblicazioni, giornali, articoli, frutto del lavoro degli italiani fuori d’Italia […]. La cultura e la tradizione sono state indubbiamente un fattore identitario unitario fondamentale […] è un dato condiviso che la letteratura e la lingua hanno avuto una funzione aggregante e fornito un piano di confronto comune […].142

È indubbio che l’esilio, sovvertendo tutte le consuetudini, finisca con l’attivare dinamiche diverse; la cultura subisce trasformazioni anche nelle pratiche organizzative sia a livello editoriale sia giornalistico: «La scelta di dedicarsi a edizioni di classici, traduzioni,

141 P. Audenino, Esuli risorgimentali, cit., p. 28.

142

Maria Silvia Tatti, Esuli e letterati per una storia culturale dell’esilio risorgimentale in Quinto Marini, Giuseppe Sertoli, Stefano Verdino, Lidia Cavaglieri, L’officina letteraria e culturale dell’età mazziniana (1815- 1870), Novi Ligure, Città del Silenzio, 2013, p. 89-100, cfr. p. 91. Cfr. anche S. Tatti, Il Risorgimento dei

44

lavori eruditi o pedagogici risponde in certi casi (si veda ad esempio il caso di Foscolo) alla necessità di trovare una collocazione professionale nei paesi stranieri».143

Nell’esilio, in ogni caso, l’aspetto culturale viene ad assumere anche quello di piano di confronto con i paesi europei ospitanti. In tal senso basta fare riferimento, come dice la Tatti, alle questioni del primato e alle sempre sottese querelles letterarie. La relazione persistente con l’estero ingenera dunque la sprovincializzazione della cultura italiana, si aprono decisivi confronti nell’ambito letterario e critico europeo, grazie anche agli incontri con gli intellettuali più rilevanti del tempo. Ma esiste anche un atteggiamento opposto da parte di alcuni, per i quali il confronto con l’esterno porta a rivendicare una superiorità italiana e a una strenua difesa della tradizione. Atteggiamenti oscillanti che si sono manifestati in tutto il periodo risorgimentale, dal chiuso misogallismo dell’Alfieri all’opposta apertura del «Conciliatore» nei confronti delle letterature: «al dialogo con la critica europea (basti pensare al lavoro di traduttore di Berchet anche in esilio, alle riflessioni sul Faust di Scalvini) […] alle chiusure di figure come Tommaseo, Gioberti che ritornano su posizioni di difesa del primato, di contrapposizione della tradizione italiana alle suggestioni straniere».144

Si può comunque parlare di un generale e progressivo ampliamento degli interessi culturali dei nostri esuli e in particolare di un importante sviluppo del pensiero critico. Foscolo si dedica più attivamente agli studi critici proprio durante l’esilio, e anche se quest’attività risponde in parte all’esigenza di una sua collocazione professionale, è comunque un dato che lo apparenta a molti altri esuli che, lontani dalla patria, avvertono l’esigenza di fermarsi a riflettere sulla tradizione e sul presente:

Salfi, Scalvini, Ugoni, Mazzini, Gioberti, Tommaseo diventano tutti in esilio, se già non lo erano, critici e storici della letteratura; l’indagine storiografica ha lo scopo militante di definire la cultura della nazione in chiave unitaria, attraverso la ricerca delle radici della nazione italiana e l’indagine sul rapporto tra letteratura e politica nel passato e nel presente.145

Il letterato, proprio in virtù dell’impegno culturale che trasfonde nel paese che lo ospita, può sentirsi riconosciuto nel suo ruolo, può rivestire una funzione sociale, dotandosi in definitiva di un profilo pubblico. La studiosa, ricordando gli intellettuali che appartenevano alla rete latamente milanese-piemontese degli esuli che si riconoscevano nel «Conciliatore», dice che ne facevano parte: Federico Confalonieri, Giovanni Arrivabene, i fratelli Camillo e Filippo Ugoni, Giovita Scalvini, Giovanni Berchet e Giuseppe Pecchio. Osserva anche che continuarono a frequentarsi durante l’esilio costituendo un gruppo importante e li considera

143 M. S. Tatti, Esuli e letterati per una storia culturale dell’esilio risorgimentale, cit., ibidem.

144 Ivi, p. 93. 145 Ibidem.

45

«tra le figure più significative di quest’ondata di patrioti grazie ai quali l’esilio, nonostante la dispersione, comincia a diventare un laboratorio determinante di pensiero critico che elabora, lontano dalla censura, le problematiche emergenti di questa fase della cultura italiana».146 Ricorda anche che seppero aprirsi a generi letterari diversi: poesie, scritti vari, traduzioni e saggi di critica anche sulle letterature straniere: «Scalvini, ad esempio scrive su Goethe [Foscolo, Manzoni, Goethe] e traduce il Faust […].»;147 parla di Giovanni Berchet e dice che per la sua attività letteraria fu fondamentale la conoscenza con Claude Fauriel il quale: «svolse un ruolo fondamentale nei rapporti tra Italia e Francia nei primi decenni dell’Ottocento, non solo come confidente e guida di Manzoni, ma anche come punto di riferimento per tutti gli italiani che transitavano per Parigi»,148 tra i quali dobbiamo ricordare lo stesso Scalvini. Infine, rileva che si è reso possibile: «ad opera di Berchet, Scalvini e degli intellettuali esuli dal 1820-21, delineare un’identità aperta alle letterature straniere che ha svolto un’indubbia funzione di stimolo e di confronto, e di superamento di un certo modo troppo interno al mondo umanistico di considerare la cultura unitaria italiana».149

Laura Fournier-Finocchiaro asserisce a sua volta che durante il Risorgimento buona parte del pensiero politico e letterario ebbe modo di svilupparsi fuori dall’Italia perché i testi degli esuli poterono essere pubblicati senza censura; questo dato concorrerebbe non solo a dare importanza alla letteratura italiana dell’esilio, ma a inserirla anche in un più vasto dibattito, europeo, su tematiche riguardanti la libertà, la nazione e la democrazia. Gli esuli italiani vennero a costituire un nucleo identitario all’interno del quale l’esilio si configurò come una vera «istituzione» e se l’Ottocento può essere definito il secolo del mito dell’esule, si può allora: «individuare una linea di scrittori (tra cui Foscolo, Berchet, Giannone, Mazzini, Scalvini, e Tommaseo) per i quali la vicenda dell’esule, colma di echi ideologico-affettivi, forma una componente incisiva della produzione letteraria».150 Il tema dell’esilio, e della conseguente perdita della patria, viene sempre più a conquistare, come dice la studiosa, riferendosi allo storico Maurizio Isabella: «un posto centrale nel discorso nazional-patriottico e tra i miti fondatori del Risorgimento italiano». Tale tema è dunque utile alla costruzione del «sentimento di italianità quando viene accettato come scuola di patriottismo. Il discorso nazional-patriottico legato al tema dell’esilio caratterizza in particolare l’opera di Giovita Scalvini e Niccolò Tommaseo».151

146

M. S. Tatti, Esuli e letterati per una storia culturale dell’esilio risorgimentale, cit., p. 96.

147 Ibidem

148 Ivi, p. 97. 149 Ivi, p. 100. 150

L. Fournier-Finocchiaro, La nazione degli esuli del Risorgimento, in Già troppe volte esuli. Letteratura di

frontiera e di esilio, N. di Nunzio, F. Ragni (dir.), Tomo I, Università degli studi di Perugia, 2014, p. 163.

Sull’argomento, cfr. anche M. Isabella, Risorgimento in esilio, cit. 151 Ivi, p. 170.

46

Il nome di Scalvini, insomma, ricorre molto spesso negli studi riguardanti l’esilio risorgimentale, sempre assunto all’interno di una dimensione europeizzante rivolta verso il nuovo; d’altra parte, durante il suo lungo soggiorno all’estero egli aveva avuto modo di entrare in contatto con intellettuali stranieri di tutte le nazionalità, con cui aveva potuto attivare proficui e intensi scambi culturali.

3. 2. 2. L’esilio di Giovita

È giunto ora il momento di ripercorrere le vicende essenziali dell’esilio, a partire dalla fuga dei tre amici: Scalvini, Giovanni Arrivabene, Camillo Ugoni.

Inizialmente, dopo aver percorso la Val Trompia, la Val Camonica e la Valtellina in direzione della frontiera dei Grigioni, valicate le Alpi, si diressero in Svizzera,152 dove passarono alcuni mesi, sostando a Zurigo. Lì Scalvini poté conoscere il filologo Orelli (1787- 1849), già noto in tutta Europa per i suoi commenti ai classici latini, al quale Filippo Ugoni, nel 1836, affiderà una copia del Faust scalviniano perché ne potesse rivedere la traduzione. Sostarono in altre cittadine tra le quali, come ricorda Filippo Ugoni nei suoi «Cenni biografici»:153 Friburgo, Yverdun, Monnard, Losanna, e Ginevra, città cosmopolita, in cui trovarono nuovi amici tra i quali Sismonde de Sismondi, l’autore dell’Histoire des

Républiques italiennes (1809), che con la moglie prese a cuore con generosità la loro

situazione di esuli.

Dopo un trimestre trascorso in Svizzera, Scalvini e Arrivabene si separarono da Camillo Ugoni che si spostò a Zurigo, mentre loro proseguirono per Parigi. Dovendo però constatare che la situazione per i fuorusciti italiani nella capitale francese non era tranquilla, cercarono rifugio in Inghilterra, dove approdarono a Dover.

Trasferitisi a Londra, poterono riabbracciare Filippo Ugoni, già in esilio insieme ad altri comuni amici come Giuseppe Pecchio, e incontrarono Giovanni Berchet (Milano, 1783- Torino 1851). Stabilitosi a Londra dal dicembre del 1822, Scalvini perfezionò l’inglese che già conosceva e ritrovò Foscolo,154 a sua volta esule nella capitale inglese dal 1816, col quale riprese le frequentazioni e condivise esperienze letterarie, coltivando sentimenti di amicizia

152 Il periodo dell’esilio è stato accuratamente ripercorso da Giuseppe Cerri in: Giovita Scalvini, fuoruscito in

Europa (da Botticino a Gaesbeck, e ritorno), in Giovita Scalvini un bresciano d’Europa, cit., pp. 335-364. Utili

anche le pagine presenti nei cenni biografici di Filippo Ugoni, pubblicati dal Pecoraro, La Biografia dello

Scalvini scritta da Filippo Ugoni, cit.

153 In M. Pecoraro, La biografia dello Scalvini, cit.

154 Alcuni riferimenti all’amicizia relativa al periodo londinese si trovano anche nelle Memorie cit., [p.150] e

47

fino alla morte del poeta. Per un periodo alloggiò al Green Cottage, di proprietà del Foscolo, con l’Arrivabene e Filippo Ugoni, il quale riferisce che:

Ugo e Giovita stavano assai bene insieme, avevano ambedue qualità e difetti della stessa natura. Critici ambedue eminenti, ma troppo satirici, tutti e due vogliosi di fare, ma pigri nell’eseguire; sdegnosi della mediocrità, e perciò guardinghi nel pubblicare le loro opere; spregiatori dei ricchi ma schivi dei poveri.[…] Concepirono insieme alcuni progetti letterari che dalla parte del povero Giovita abortirono per una gravissima malattia di fegato […]. L’amico gli provò in quella occasione di amarlo veramente […].155

Nel 1824 Scalvini incontrò Santorre di Santarosa, già capo dei Carbonari del Piemonte (Savigliano/Cuneo, 1783 - Sfacteria 1825), che con altri rifugiati, compreso Giovanni Berchet, progettava di fondare un nuovo giornale politico e letterario; ma il Santarosa perse la vita combattendo per l’indipendenza della Grecia e Scalvini scrisse in sua memoria i versi dell’Esule, poemetto che medita sulle sorti dell’Italia e sugli emigrati politici.156

Dopo un breve soggiorno, dovuto a ragioni di salute sull’isola di Wight nella Manica, nel 1826157 Scalvini abbandonerà definitivamente l’Inghilterra con l’Arrivabene per tornare a Parigi, dove il clima politico era nel frattempo divenuto più mite nei confronti dei profughi italiani e dove verranno raggiunti anche da Camillo Ugoni.

Il letterato bresciano nella capitale francese frequentava i numerosi esuli italiani, tra questi il marchese Giuseppe Arconati Visconti e la consorte Costanza Trotti Arconati; i coniugi, in particolare Costanza,158 erano un saldo punto di riferimento per i fuoriusciti sia nella loro residenza parigina, sia nel castello di proprietà a Gaesbeck in Belgio, dove diedero generosa ospitalità a molti patrioti. Gli Arconati erano dunque protagonisti nell’ambito dell’emigrazione politica, ma anche dell’emergente società intellettuale nel contesto romantico culturale e sociale europeo in cui confluivano esuli politici di varie nazionalità.159

155

M. Pecoraro, La Biografia dello Scalvini scritta da Filippo Ugoni, cit, p. 830; per ulteriori approfondimenti si veda anche R. Zanasi, Giovita Scalvini e il Romanticismo europeo, cit., pp. 20-22.

156 L’opera venne riprodotta con questo titolo negli Scritti ordinati dal Tommaseo, mentre nell’edizione critica

del poemetto (1961), appare col titolo Il Fuoruscito secondo la descrizione del manoscritto fatta da R. O. J. Van Nuffel, cfr. in proposito G. Cerri, ivi, p. 341-342. Si vedano anche: Ettore Caccia, “L’exilé” de Giovita Scalvini, «Les Lettres Romanes», XXI, 1, 1967; e E. Caccia, Tragico esilio: Scalvini in Tecniche e valori, dal Manzoni al

Verga, Firenze, Olschki, 1969, pp. 109-122; G. Colombini, Storia di un uomo. Giovita Scalvini e l’ «Esule»,

Brescia, Tipografia Squassina, 1969; L. Fournier-Finocchiaro, La nazione degli esuli del Risorgimento, cit., p. 170-171.

157 Per quanto riguarda l’anno dello spostamento, per lo più segnalato come 1824, si è invece indicato il 1826

suggerito dallo Heubeck come più plausibile in base all’unica testimonianza ritenuta attendibile, quella dell’Arrivabene, Memorie della mia vita, cit, pp. 157-160.

158

Il perdurare di una bella amicizia tra Giovita e Costanza si può ripercorrere in: Costanza ArconatiVisconti,

Lettere a Giovita Scalvini durante l’esilio, a cura di R. O. J . Van Nuffel, cit., Brescia, Tipografia Geroldi, 1965;

cfr. anche E. Caccia, Il romanticismo «lombardo» di Costanza Arconati Visconti, in Tecniche e valori, dal

Manzoni al Verga, cit., pp. 124-131.

159 Per questi aspetti in generale, cfr. i seguenti testi: G. Cerri, Giovita Scalvini, fuoruscito in Europa (da

Botticino a Gaesbeck,e ritorno), in Giovita Scalvini un bresciano d’Europa, cit., pp. 335-368; M. S.Tatti, Esuli

e letterati, cit.; M. S. Tatti, Il Risorgimento dei letterati, Edizioni di storia e letteratura, 2011; M. S. Tatti, Italia e Italie: immagini tra Rivoluzione e restaurazione, Atti del Convegno di studi, Roma, 7-9 novembre 1996 (a cura

48

Costanza, che aveva inoltre la possibilità di viaggiare spesso e di tornare anche in Italia non essendo soggetta alle restrizioni del marito, nei suoi soggiorni milanesi frequentava assiduamente casa Manzoni; era infatti amica di Enrichetta Blondel e di Giulia Beccaria.160 I fatti accaduti nel Ventuno avevano allentato i legami tra gli amici che si raccoglievano intorno al Manzoni, ma resisteva ancora un piccolo circolo di cui Costanza, quando si recava a Milano, faceva parte,161 tenendo così gli amici esuli aggiornati sul progresso del romanzo intorno al quale si era creata una forte attesa, testimoniata anche da una lettera del 16 dicembre del 1825 inviata dal Berchet, a sua volta esule, a Costanza: «Se Alessandro pubblica il suo romanzo, lo voglio aver subito, e insieme anche una copia delle altre cose. Non ho che l’Adelchi».162

Gli Arconati trascorsero l’inverno 1826-27 a Parigi, il filosofo Victor Cousin era uno dei frequentatori più assidui della loro casa insieme al Fauriel e ad altri intellettuali francesi,

Documenti correlati