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L’avviamento e il contesto italiano

Nel documento La valutazione dell'avviamento (pagine 95-98)

Il D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, ha stabilito che a far data dal 1 gennaio 2005 le società quotate, le società con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, le banche

11 International Valuation Standards 2011, IVS 300 “Value in use in specific to the entity a sit

reflects the cash flows that the entity expects to obtain form continuing use of the asset over its anticipated useful life, including any proceeds from its ultimate disposal”.

12 Secondo lo IAS 36 la stima del valore recuperabile utilizzando il fair value è sempre consentita,

italiane, gli altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia, le imprese di assicurazione, sono obbligate alla redazione del bilancio consolidato con i principi contabili internazionali IAS-IFRS emessi dallo IASB.

Per tutte le altre imprese, salvo quelle tenute alla redazione del bilancio in forma abbreviata alle quali è fatto divieto di applicare gli IAS-IFRS, è prevista la facoltà di adozione dei principi contabili internazionali in luogo di quelli nazionali.

A differenza di altri paesi, in Italia sono poche le società di grandi dimensioni che applicano i principi contabili internazionali sia al bilancio d’esercizio che a quello consolidato; la maggioranza delle società continua ad applicare i principi nazionali e le disposizioni del Codice Civile.

In questo contesto lo IAS 36 si applica anzitutto a quelle imprese italiane che, come sopra detto, redigono dal 2005 il bilancio contabile d’esercizio e consolidato con i principi contabili internazionali.

Questo assunto però non è del tutto vero, in quanto lo IAS 36 può essere applicato, nelle sue linee generali, anche a quelle imprese italiane che redigono i propri bilanci con i principi contabili nazionali.

L’art. 2427 co. 3-bis c.c., stabilisce che “la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateriali, facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante, al loro valore di mercato”, in sostanza le perdite di valore devono essere determinate in base ai flussi finanziari che le immobilizzazioni immateriali, nel nostro caso l’avviamento, possono generare e al fair value.

La normativa italiana disciplina le perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni all’art. 2426 c.c., questo, infatti, dopo aver precisato che il criterio di valutazione delle immobilizzazioni è il costo storico, stabilisce che devono essere calcolate le perdite durevoli di valore.

I principi contabili nazionali sono intervenuti per regolare la rilevazione di tali perdite, in particolare è necessario che il valore recuperabile sia inferiore al valore contabile e che la perdita sia durevole, ovvero non transitoria e non reversibile.

Per le immobilizzazioni immateriali il valore recuperabile è stato individuato nel maggiore fra il valore d’uso, pari al valore attuale dei flussi di cassa derivanti dall’utilizzo del cespite e dal suo smobilizzo finale, e il valore di vendita.

La questione di non poca rilevanza è il calcolo delle perdite durevoli di valore dell’avviamento, che lo IAS 36 disciplina con l’introduzione dell’impairment test.

Il fatto è che l’impresa media italiana non possiede una struttura organizzativa tale da permettere formulazioni di previsioni economico-finanziarie al fine del controllo di gestione, di piani finanziari, del budget e piani pluriennali attendibili come invece è possibile riscontrare per aziende di grandi dimensioni.

Nella situazione attuale di crisi economica, è obbligatorio adottare l’impairment test per il calcolo della perdita durevole di valore dell’avviamento, ma ciò che ripercussioni ha sul bilancio d’esercizio?

Come detto nel primo capitolo, i principi contabili nazionali stabiliscono che l’avviamento debba essere ammortizzato in un periodo massimo di cinque anni, lo IAS 38 invece riconosce vita utile indefinita all’avviamento e quindi prevede che esso non debba essere ammortizzato ma assoggettato a verifica di valore, cioè a impairment test.

Questo comporta una maggiore volatilità e soggettività dei valori soggetti a impairment test rispetto a quelli valutati con il criterio del costo.

Nonostante i pregi dell’impairment test, tra i quali premiare le imprese che investono in intangibles prodotti internamente e valorizzati nell’avviamento nelle operazioni di acquisizione aziendale, esso presenta dei limiti quando si verifica un periodo di crisi prolungato, poiché è difficile prevedere dei flussi finanziari positivi su cui basare l’impairment test, tanto più dei sopraredditi.

Perciò parte della dottrina13 ritiene che il criterio del costo sia più adeguato rispetto all’impairment poiché questo, proprio nei periodi di crisi, sarebbe meno soggetto a svalutazioni che aggravano il bilancio delle aziende.

Tuttavia in periodi di crescita economica, è l’ammortamento a incidere sul bilancio aziendale imputando un costo che per lo più non sussiste poiché si possono ipotizzare facilmente dei sopraredditi per gli esercizi futuri.

13 M. FIORENTINO, “L’impairment test sull’avviamento: nuovo obiettivo della guerra alla crisi”,

Analizzando quindi il contesto societario italiano, le imprese che applicano i principi contabili nazionali si trovano in questo contesto di crisi “tutelate” dal procedimento adottato, in quanto si troveranno più facilmente nella condizione di non dover svalutare l’avviamento anche se è cambiato lo scenario futuro.

Viceversa le imprese che applicano i principi contabili internazionali, non avendo ammortizzato la voce avviamento si troveranno nella situazione in cui, applicando l’impairment test, dovranno svalutare tale voce in modo sostanzioso, appesantendo un bilancio d’esercizio, che già difficilmente evidenzia degli utili, dal sorgere di un costo che è espressione del mutato scenario internazionale.

Da ciò si può constatare come le due differenti strade contabili, impairment e ammortamento, comportino a due scenari completamente differenti al sopraggiungere di un periodo di crisi.

Infatti, applicando l’impairment test non si attribuisce alcun costo ai bilanci “precrisi”, non ipotizzando la stessa, la quale comporta una forte svalutazione della voce avviamento al suo verificarsi, avendo pertanto l’accentuazione della crisi, probabilmente, in un unico bilancio d’esercizio.

Al contrario, procedendo con l’ammortamento della voce avviamento fin dal momento in cui è iscritta in bilancio, si dividerà il costo di una presumibile crisi economica su tutti i bilanci d’esercizio, come a spalmare quello che è l’effetto di una forte svalutazione.

Nel documento La valutazione dell'avviamento (pagine 95-98)