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Interconnessione tra la valutazione dell’azienda e la valutazione

Nel documento La valutazione dell'avviamento (pagine 42-46)

Come riprendono i principi contabili nazionali e internazionali, il valore dell’avviamento è dato dalla differenza tra il valore dell’impresa nel suo complesso e il valore complessivo dei singoli beni che compongono l’impresa.

La valutazione dell’avviamento è allora una grandezza che deriva in via indiretta dal valore che assume l’intera azienda e non da un valore identificabile ex ante definito avviamento.

La valutazione dell’avviamento sembrerebbe quasi secondaria alla valutazione dell’azienda, se per valutare l’avviamento si deve in primis valutare l’azienda nel suo complesso, che importanza può avere l’avviamento essendo una diretta conseguenza della valutazione d’azienda?

Tuttavia l’avviamento, per quanto detto nel capitolo precedente, è una voce che racchiude in se una moltitudine di significati, ha un valore variabile nel tempo e tanto maggiore è il suo valore tanto si presume buona la posizione dell’azienda nel mercato e la capacità di conseguire sopraredditi nel tempo.

Infatti, se si considerano due aziende, Alfa e Beta, che hanno lo stesso valore economico ma, a ceteris paribus, Alfa ha un valore di avviamento maggiore rispetto a Beta, si potrebbe quasi affermare che Alfa è migliore di Beta.

Si vedrà in seguito che l’affermazione suddetta non è propriamente vera, ma di certo si può affermare che l’avviamento, essendo un tutt’uno con l’azienda, potrà assumere un determinato valore solo in base alle caratteristiche stesse che ha l’azienda, come a dimostrare che il valore dell’avviamento derivi dal valore dell’azienda.

Allora bisogna indagare i metodi di valutazione dell’azienda per trovare quale esprime meglio il valore dell’avviamento, quale metodo cioè riesce a rappresentare più correttamente l’avviamento.

Esistono vari metodi per valutare un’azienda, in base ai fattori cui si vuole dare maggiore importanza (il reddito, gli assets presenti o i flussi finanziari futuri), tuttavia, questi metodi scontano la soggettività di chi opera la valutazione e la contingenza del momento storico in cui si valuta l’azienda, per non parlare della forza contrattuale che possono avere le parti interessate.

Inoltre è da ricordare che l’avviamento, per chi non applica i principi internazionali, può essere iscritto solo quando è acquisito a titolo oneroso, ciò comporta che l’avviamento andrà valutato sempre insieme all’intera azienda e andrà iscritto come una parte degli assets presenti in essa.

Potrebbe essere proprio per questo che non si dà un forte credito alla valutazione autonoma dell’avviamento, o meglio a un metodo di valutazione dell’azienda che comprenda in se una metodologia per calcolare l’avviamento.

Sembra riduttivo che il valore dell’avviamento si scorpori dal valore dell’azienda, quale mera differenza tra il valore complessivo dell’azienda e la somma dei valori dei beni attivi e passivi che la compongono.

Di recente si è tornati a discutere sull’esigenza di far emergere in alcuni bilanci aziendali il valore dell’avviamento intrinseco1, cioè quello costituito internamente e che non è rappresentato in bilancio, proprio per meglio valutare l’azienda e compararla con altre realtà a livello globale.

Dar evidenza dell’avviamento interno, anche se potrebbe portare a una valutazione aziendale complessiva anche in momenti diversi da quelli cui si è abituati normalmente, dovrà far riflettere sull’esigenza di poter valutare in via autonoma l’avviamento, cioè come un vero e proprio asset che ha un suo valore ben determinabile.

La maggior difficoltà che s’incontra è quella che non esiste la possibilità di dividere l’avviamento dall’azienda e non esiste nemmeno un mercato di riferimento su cui poter confrontare i valori assegnati.

Sarebbe pertanto come cercare una formula che possa determinare un valore ma senza aver una prova che il valore trovato sia corretto, in quanto, non vi è alcun mercato in cui può essere confrontato.

Rimarrebbe pertanto un puro esercizio di stile che trova ragione solo se confrontato con il valore dell’intera azienda e dei suoi singoli beni, come a dire che alla fin fine l’unico confronto possibile per valutare l’avviamento è di valutare il valore dell’intera azienda e confrontare solo quest’ultimo con quelle che sono le indicazioni del mercato.

1

M. BINI, “Misurare gli intangibili formati internamente per migliorare l’impairment test

Allora se per indagare il valore dell’avviamento dobbiamo trovare il complessivo valore dell’azienda, che senso avrebbe distinguere i due valori, cioè perché parlare di valutazione dell’avviamento se in primis si valuta l’azienda?

Semplicemente perché l’avviamento è una parte dell’azienda, solo che questo non potendo essere diviso dalla stessa azienda e non avendo un suo mercato autonomo di riferimento, non può essere valutato singolarmente ex ante dal valore dell’azienda.

Che errore enorme farebbe chi trovandosi a valutare un’azienda non valuta anche il suo avviamento, o non prenda in considerazione il valore che potrebbe avere, certo ci può essere sempre un avviamento nullo o addirittura negativo, ma ciò comunque vorrebbe dire aver considerato e calcolato il valore che assume l’avviamento.

Ecco allora che valutare un’azienda implica anche valorizzare l’avviamento della stessa, stando molto attendi ad attribuire il corretto valore anche ai beni che la compongono, poiché sarebbe semplicistico affermare che un’azienda assume un alto valore solo perché detiene dei beni tecnologicamente avanzati, se poi la stessa non trova il modo di sfruttare questi beni sul mercato facendoli diventare delle fonti di reddito o ricavandone dei flussi finanziari.

Nella pratica la valutazione dell’azienda (W) può essere idealmente calcolata2: 1. come un processo di capitalizzazione di redditi attesi, o di attualizzazione di

flussi di cassa (metodo reddituale o metodo finanziario);

2. come la valutazione a prezzi correnti dei vari elementi attivi che compongono il capitale, al netto delle passività, e con una maggiorazione a titolo di goodwill (metodo misto patrimoniale/reddituale);

3. una versione ulteriore del secondo procedimento considera, in aggiunta ai tradizionali elementi che compongono il capitale, i beni immateriali.

Nel primo caso si ha un valore unico dell’azienda, non suddiviso nelle sue componenti (grafico 2.1); nel secondo caso si ha un valore composto, formato sia da valori attribuiti alle attività sia dal valore del goodwill; nel terzo caso oltre agli elementi delle attività si aggiungono i valori calcolati per i beni immateriali.

2

L. GUATRI, Valore e “intangibles” nella misura della performance aziendale, EGEA Spa,

GRAFICO 2.1 Valore unico e valori scomposti in presenza di aziende redditizie.

GRAFICO 2.2 Valore unico e valori scomposti in caso di aziende non redditizie.

Nell’ipotesi di aziende poco redditizie o in perdita, nelle quali il badwill sostituisce il goodwill, la situazione che si presenta è indicata nel grafico 2.2; il valore W attribuito all’impresa risulta nel caso (b), che esprime solo i beni materiali, ridotto dal badwill che assorbe parte del valore di tali beni; mentre nel caso (c) il badwill assorbe sia la parte dei beni materiali come nel caso prima sia il valore intero dei beni immateriali.

I casi (2) e (3) differiscono per l’opportunità di evidenziare in modo separato il valore dei beni immateriali, anche se questi rientrano tra la nozione di avviamento, si ha così un avviamento pieno e uno ridotto, poiché il primo incorpora il valore dei beni

immateriali; discorso simile si potrebbe fare nelle aziende in perdita, con la nozione di badwill pieno (caso c) e di badwill ridotto (caso b).

Anche se preferibile la scelta di evidenziare i beni immateriali presenti in azienda, e quindi evidenziare l’avviamento ridotto, a volte nella pratica si fa fatica a definire chiaramente i beni immateriali, per cui si tende a privilegiare l’avviamento pieno soprattutto nelle imprese industriali.

Nel documento La valutazione dell'avviamento (pagine 42-46)