• Non ci sono risultati.

Babsi Jones: autrice, narratrice, personaggio

L’ultimo personaggio da affrontare è la protagonista, la reporter Babsi Jones, nella cui figura si uniscono due funzioni: il personaggio che agisce e il personaggio che scrive, che va a coincidere con il narratore.

Babsi Jones è una figura che agisce poco, come è stato notato, ed è anzi connotata da una mancanza di azione. Le sue caratteristiche emergono principalmente in funzione degli altri personaggi o in base alla reazione agli eventi che accadono: la donna assume tratti materni nei confronti di Talita, di assistenza verso la Straniera e provocatori, e talvolta educativi, con Umanitaria. Dall’incontro con Lajos emerge invece una donna insicura, che cerca risposte e teme il risultato delle proprie azioni, come quando non vuole sapere a chi o cosa ha sparato.

Sono tratti che non si assemblano in un’immagine a tutto tondo e non descrivono le diverse sfaccettature di un unico personaggio: Babsi Jones agisce in modo liquido, adattandosi alle persone e alle situazioni, si plasma sugli eventi. Non è un personaggio che vive, bensì un personaggio che scrive.89

La sua figura acquista quindi spessore nel momento in cui il personaggio che parla e (non) agisce, si unisce al personaggio che scrive e che indaga, unione che emerge in particolar modo nel legame con il Direttore, l’unico a interagire con entrambe le facce della protagonista: in questo rapporto si esprime sì una richiesta di attenzione a tratti adolescenziale, ma anche una provocazione tesa a rompere la sensazione di appartenere a un mondo inascoltato.

La distanza tra i due aspetti del personaggio è marcata anche linguisticamente e stilisticamente: si è notato per esempio come i dialoghi con Umanitaria siano connotati da elementi di evidente finzionalità, risultando talvolta fasulli ed esagerati; allo stesso modo le situazioni in cui Babsi Jones si muove all’esterno del condominio, come l’incontro con la Straniera o la spedizione all’ospedale che si conclude con l’omicidio di un operatore umanitario, sono narrate attraverso evidenti espedienti letterari, per esempio la “descrizione filmica” degli eventi. In modo simile, l’incontro iniziale con il Professore è raccontato attraverso stilemi fortemente letterari, che tornano specularmente nel capitolo su Lajos, così come il rogo dei libri assume forte valenza simbolica.

Questi aspetti si contrappongono allo stile dei capitoli non narrativi: le pagine destinate a riflessioni, sogni e allucinazioni della donna, o alle ricostruzioni storiche,

93 spesso scaturite dalla sovrapposizione di eventi passati e presenti, sono infatti caratterizzate da una lingua potente, che non teme l’accusa di “illetterarietà”90, e da uno stile immediato e non filtrato in cui si fondono i tratti della confessione e dell’invettiva, pur affrontando tematiche talvolta saggistiche.

Tutto ciò fa sì che emerga con forza il doppio binario su cui si muove l’opera, rendendo evidente come, nelle sezioni narrative, alla descrizione apparentemente cronachistica degli eventi si sostituisca la finzione del romanzo, e dall’altro rivela la presenza di una funzione autore che non coincide con il narratore.

L’autrice rende palese attraverso la forbice stilistica il fatto che le vicende riguardanti la protagonista non sono realmente accadute, ma l’unione di una narrazione esplicitamente “finta” a passi di riflessione sugli stessi eventi, connotati invece da una forte realtà linguistica e da uno stile vivo, fa sì che gli eventi raccontati, pur non essendo veri, si rivelino efficaci per esprimere la realtà, per fornire una trama da cui si dipanino l’inchiesta, la riflessione e la ricostruzione storica e che assume il valore di simbolo di tutte gli eventi realmente accaduti nei Balcani.

Ma la narratrice, colei che indaga e ricostruisce, non coincide con l’autrice: chi scrive è il personaggio della reporter Babsi Jones che si trova a Mitrovica nel 2004, situazione in cui l’autrice Babsi Jones non si è realmente trovata. L’autrice le dà il proprio nome, allo stesso modo con cui la protagonista nomina i personaggi da lei incontrati, un nome che in realtà è uno pseudonimo, cioè inventato dall’autrice come quelli di tutte le altre figure.

Si giunge quindi al nucleo della riflessione: se si possa cioè annoverare Sappiano le mie parole di sangue fra i romanzi di autofinzione, o se non sia più facile definirlo una narrazione al cui centro sta l’alter ego dell’autrice.

Dare al protagonista il nome e il cognome dell’autore stesso, non è una scelta puramente formale: Daniele Giglioli – come si è visto – parla di una forma di garanzia, poiché “siglare” il protagonista con il nome di chi scrive equivarrebbe ad una dichiarazione di autenticità, anche se la narrazione non è “vera”.

90

“[…] se tu potessi leggerlo, questo reportage, con la sua patetica ricerca di sinonimi (perché il Lettore, oh Dio, il Lettore, non si annoi e non sbadigli: ma come trovare lemmi alternativi a guerra,

pogrom, bombe, morti?), con il suo prosaico tentativo di chiarezza e bello stile (perché il Critico, oh Dio, il

Critico, non avverta quello stimolante pizzicorino che potrebbe spingerlo a dichiarare in pubblico – “Che nesso ha dunque questo con la letteratura?”, indi potrebbe spingerlo a recensirmi sfavorevolmente sulle pagine di un onesto quotidiano), se tu potessi leggere quello che io scrivo, Direttore, penseresti: ‘Ma non è mica un libro, questo qui’”. S.P., p. 88.

94 Lo stesso patto ingiunge all’autore di fornire ampie garanzie di

referenzialità: non solo e non tanto della materia di cui parla, ma più ancora della sua relazione con essa. Dica o meno la verità non ha importanza: l’importante è che dica Io, che ci metta la faccia. […] Fosse anche tutto falso, è il mio falso che vi sto sottoponendo, e in quanto mio è comunque autentico.91

Quanto sintetizzato da Giglioli accade anche in quest’opera: la reporter Babsi Jones narra una storia che non è reale, ma reali sono le sue implicazioni e i simboli da essa evocati e proprio perché non vera può esprimere al meglio la realtà degli eventi, lasciando spazio a una riflessione che la semplice cronaca non permetterebbe. Ma affinché il lettore si confronti con la realtà contenuta nel romanzo, non relegandolo quindi nella sfera della finzione, è necessario che l’autrice ponga la propria immagine a garanzia della narrazione, entrando nella storia: come se la reale Babsi Jones, inserendosi nel romanzo, aprisse un varco attraverso cui i simboli possano fuoriuscire dalla finzione e acquistare significato nella sfera del Reale.

Questa scelta ha ulteriori implicazioni: palesare la diversità di livelli tra autore, narratore e personaggio pone il lettore davanti a una nuova responsabilità. Il romanzo non si presenta come un’opera di pura finzione, perciò è necessario considerare reali tutte le implicazioni storiche e simboliche; ma d’altro canto il carattere finzionale del narratore stesso mette in guardia il lettore: non è possibile considerare tutto vero, la narratrice è un personaggio dotato di un punto di vista parziale, caratterizzato da tratti borderline, che fa uso di droghe e farmaci e che decide di rimanere in mezzo a una guerra per soddisfare una ricerca esistenziale più che giornalistica.

Il lettore viene messo quindi in guardia dall’autrice nei confronti della narratrice: nella fattispecie Babsi Jones è faziosa, porta i segni evidenti della retorica e della propaganda serba e la sua ricostruzione dei fatti è dichiaratamente parziale. Al lettore non viene quindi offerta un’interpretazione affidabile, né un’inchiesta conclusa, bensì un’ulteriore provocazione: oltre ad essergli mostrata la realtà dal punto di vista dei colpevoli, ormai diventati vinti, lo si pone nella condizione di dover ulteriormente bilanciare il punto di vista propostogli.

È uno sforzo critico ad essere ora richiesto, una presa di responsabilità del lettore che risponda a quella dell’autore; le provocazioni contenute nel romanzo non mirano semplicemente a scuotere, ma a far riflettere ulteriormente, affinché il destinatario vagli e

95 interagisca con il testo. Due scelte si aprono a chi legge: l’immedesimazione completa con un personaggio che però dichiara a ogni pagina di non essere credibile o l’assunzione di un punto di vista straniato92, non completamente partecipe, dubbioso e critico.

In questo sta la specificità dell’autofinzione, in questo romanzo: non una richiesta di fiducia, ma un’esortazione alla responsabilità della lettura, che si attua attraverso la provocazione da parte di un personaggio-autore ibrido e ambiguo che richiede di essere a sua volta interpretato.