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Back to the page: migrazioni e mutazioni dell’eroina shakespeariana

Trasfigurata in altri mezzi espressivi, come il teatro e le arti visive, Ofelia migra in una nuova “pagina”. Nella transizione dal testo alla scena e dalla scena alla tela, il personaggio ha subìto un’inevitabile mutazione: ha trovato nuove fertilizzazioni in altri ipotesti - quello pittorico preraffaellita, ad esempio, che ha contribuito a decontestualizzarlo dal testo dell’Amleto e a dargli un volto e una corporeità che, di volta in volta, ne hanno ridefinito e risignificato la figura. Ofelia, tuttavia, non ha mai abbandonato del tutto l’ipotesto testuale di origine, perché le sue migrazioni pittoriche e teatrali sono da considerarsi come un fenomeno sincronico e parallelo alle molteplici evoluzioni del testo stesso. L’interazione tra il testo, le sue performance, e altri codici espressivi è un proficuo e reciproco scambio, perché la permanenza del testo è un “tutt’uno con la sua “storicità”, scrive Del Sapio Garbero, “con gli usi e le funzioni in cui si è andato di volta in volta proponendo e realizzando il suo significato”1 in una cultura altra.

Il testo, dunque, evolve nella misura in cui cambiano sensibilità e approcci critici, gli influssi, i processi di ricezione e canonizzazione2 e le traduzioni. La riscrittura del testo passa attraverso un primo processo “traduttivo”, dove per traduzione, sia essa di natura intralinguistica, interlinguistica o intersemiotica, si intende il transito (trans-ducere, condurre al di là) che il testo compie in altri contesti e geografie. Essa comporta una costante negoziazione culturale3 da cui scaturisce l’identità del soggetto stesso.

Le necessità, da parte di chi riscrive, di tradurre o di ri-adattare il testo sono da rintracciare nell’esigenza di riempire i “vuoti” e le ambiguità

1 M. Del Sapio Garbero, La traduzione di Amleto nella cultura europea, Marsilio, Venezia,

2002, p. 9.

2 Si veda A. Marzola (a cura di), L’altro Shakespeare. Critica. Storia. Ideologia, Milano,

Guerini, 1992.

3 C. Dente “All my best is dressing old words new” in C. Dente, S. Soncini (ed. by),

Crossing Time and Space. Shakespeare translations in present-day Europe, Pisa University

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presenti, e di interrogare il testo stesso per rendere giustizia a personaggi ingiustamente messi in ombra o relegati ai margini perché rappresentano l’Altro ossia, come nel caso di Ofelia, una soggettività femminile tutta da risignificare. Il nuovo approdo alla pagina scritta presenta, come ovvio, un personaggio con mutate sembianze, perché questa migrazione, che dagli interstizi del testo shakespeariano colloca Ofelia in una posizione centrale all’interno delle riscritture, implica una negoziazione dell’identità del personaggio. Spostando in altri contesti culturali l’oggetto di cui si appropria, la traduzione trasferisce l’oggetto stesso in uno spazio culturale ibrido, ponendolo in una condizione di “in-between” che come scrive Bhabha, “dramatizes the activity of culture’s untranslatability; and in doing so, it moves the question of culture’s appropriation (…) towards an encounter with the ambivalent process of splitting and hybridity that marks the identification with culture’s difference” 4.

Spaccatura, duplicità e ibridismo sono le caratteristiche che ritroviamo nelle Ofelie proposte da tre scrittrici ottocentesche. I tre esempi di riscritture femminili5 inglesi e francesi vengono qui esaminati con un approccio critico di genere che vede nelle appropriazioni, oltre che un mero atto di “sopravvivenza”6, anche uno strumento creativo e innovativo per “sfidare” l’autorità culturale del Bardo.

L’alterità della “nuova” eroina che appare su una “nuova” pagina segnala la ripresa e, allo stesso tempo, la rottura con la versione originale

4 Cfr. H. Bhabha, The Location of Culture, Routledge, London and New York, 1994, p. 224. 5 Sul concetto di appropriazione da una prospettiva femminile e femminista si vedano M.

Novy, (ed. by), Transforming Shakespeare, St. Martin Press, New York, 1999. Dello stesso autore si veda anche Women's re-visions of Shakespeare: on the responses of Dickinson,

Woolf, Rich, H.D., George Eliot, and others, University of Illinois Press, Urbana and

Chicago, 1990. J. Sanders (ed. by), Novel Shakespeare, Manchester University Press, Manchester, 2001. la riscrittura, intesa come revisione, implica l’atto di osservare il testo con un nuovo sguardo rivolto alla storia dell’oppressione femminile che consenta una forma di sopravvivenza testuale.

6 Adrienne Rich introduce l’idea di una “re-vision” non soltanto intesa come “the act of

looking back, of seeing with fresh eyes, of entering an old text from a new critical direction”, ma come “an act of survival” che, in particular modo per le scrittrici, ha il fine di conoscere “the writing of the past, and know it differently than we have ever known it; not to pass on a tradition but to break its hold over us”. La riscrittura, intesa come revisione, implica l’atto di osservare il testo con un nuovo sguardo rivolto alla storia dell’oppressione femminile, e consentirebbe una forma di sopravvivenza testuale. Cfr. A. Rich, “When We Dead Awaken: Writing as Re-vision”, in On Lies, Secrets, and Silence:

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shakespeariana, quasi a voler sottolineare una differenziazione di genere letterario – perché, come vedremo, si tratta di riscritture che spostano l’Amleto dal genere teatrale al romanzo e alla poesia - e una riconfigurazione del senso. In questa sede ci occupiamo di un primo transito dell’eroina shakespeariana che avviene dal mezzo teatrale a quello letterario e che interessa la stessa area geografica, quella inglese, ma un momento storico diverso dal periodo early modern shakespeariano. È il caso di The Mill on the Floss in cui George Eliot rilegge la storia di Ofelia con l’intento di criticare i “gender roles” che la società vittoriana imponeva. La duplicità di Maggie Tulliver, che racchiude in sé tratti di Ofelia e di Amleto, rivela la complessa relazione che intercorre tra la scrittrice e il Bardo.

Le migrazioni di Ofelia di cui si parla in questo capitolo non sono soltanto di natura intersemiotica, ma implicano anche la transizione geografica e linguistica verso il contesto francese dell’Ottocento. Me ne occuperò attraverso due esempi di riscrittura. Il primo, che si colloca negli anni trenta dell’Ottocento, è il romanzo di George Sand dal titolo Indiana. Attraverso molteplici mise en abyme, l’autrice ripete la storia dell’eroina shakespeariana con esiti differenti. Lo sdoppiamento di Ofelia sembrerebbe configurare quello stesso rapporto agonistico tra Sand e Shakespeare: rappresenterebbe le modalità con cui la scrittrice si emancipa dal patriarcato letterario e dalla fonte shakespeariana.

L’altro esempio di riscrittura si trova nell’opera poetica di una scrittrice anglo-francese di fin de siècle, René Vivien. Le sue Ofelie sono figure che si allontanano dall’ideale di purezza individuato da gran parte della critica ottocentesca come caratteristica principale del personaggio, per incarnare un’immagine di perversione e decadenza. Vivien fa emergere l’immagine duplice di un’Ofelia che sfugge a ogni categorizzazione e sfuma in quell’indefinitezza che è prerogativa del suo “sproporzionato” fascino.

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Shakespeare sometimes seemed the Victorian’s utterance, a language for expressing and explaining themselves and their worlds, for talking to each other. But what of their own voices? If not a god, Shakespeare was the most powerful of ghosts, and ghosts tend to inhabit at least as much they inspire and liberate7.

Così scrive Adrian Poole nel definire la presenza spettrale di Shakespeare nella cultura vittoriana. Si tratta, scrive lo studioso, di un vero e proprio dialogo che scrittori, attori, artisti e spettatori vittoriani intrattennero con il Bardo. Le appropriazioni vittoriane di Shakespeare avvennero sotto forma di “borrowing, stealing, inheriting, assimilating, or influence, inspiration, dependency, haunt, possession, or homage, mimicry, travesty, echo, allusion and intertextuality”8. Il contributo congiunto di arti visive, teatro e letteratura in epoca vittoriana contribuì alla riscoperta di Shakespeare, un autore che non era mai effettivamente scomparso dalle “scene” inglesi dalla Restaurazione in poi, ma la cui reputazione, come sottolinea Gary Taylor, “peaked in the reign of Queen Victoria (…) and has passed its peak of expansion and began to decline”9, tant’è che proprio in questo periodo storico il Bardo raggiunse il culmine di un processo di canonizzazione letteraria che lo vedeva coinvolto come modello esemplare di Englishness. Mai come durante l’età vittoriana l’Inghilterra affidò al suo massimo esponente letterario, Shakespeare, la costruzione della propria identità culturale10.

Il teatro veniva visto come una vera e propria attività sociale ed era pertanto considerato come una sorta di “microcosm of English society”11. Il culto del Bardo, che aveva trovato la sua prima espressione tra Settecento e Ottocento, continuò ad accrescere anche per merito del

7 A. Poole, Shakespeare and the Victorians, The Arden Shakespeare, London, 2009, p. 3. 8 Ivi, p. 2.

9 G. Taylor, “Afterward: The incredible Shrinking Bard”, in C. Desmet and R. Sawyer (ed.

by), Shakespeare and Appropriation, London, Routledge, 1999, p. 197.

10 Una costruzione culturale che vede agire contemporaneamente, su più livelli, il teatro,

le arti visive e la letteratura in senso ampio, come dimostra J. Bate in Shakespeare’s

Constitutions. Cfr. J. Bate, Shakespeare’s Constitutions: Politics, Theatre, Criticism 1730- 1830, Clarendon Press, Oxford, 1989.

11 R. Sawyer, Victorian Appropriation of Shakespeare, Madison, Teaneck, London

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sinergico contributo della critica letteraria e teatrale, e l’influsso delle arti visive (il “pictorialism” di cui si faceva cenno nel capitolo precedente).

Hamlet fu il dramma cui la critica, dall’epoca romantica in poi, cominciò a interessarsi maggiormente con un’ottica rivolta alla natura dei personaggi e al trattamento che Shakespeare riservava alle loro emozioni umane. Il concetto di “sympathy” che cominciava ad affacciarsi nel panorama critico e filosofico a partire da Edmund Burke (A Philosophical Enquiry into the origin of our ideas of the Sublime and Beautiful, 1757) venne successivamente ripreso e applicato allo studio dei caratteri dei personaggi da William Richardson nel suo Philosophical Analysis and Illustration of some of Shakespeare’s remarkable Characters (1774) e da William Hazlitt in Characters of Shakespeare’s Plays (1817). Quest’ultimo aveva ammirato del Bardo soprattutto il carattere simpatetico dei suoi personaggi12: per Hazlitt “by an art like that of the ventriloquist (…) [Shakespeare] throws his imagination out of himself, and makes every word appear to proceed from the mouth of the person in whose name it is given”13. Allo stesso modo Coleridge amava definire il Bardo come un “Proteus” in grado di trasformarsi in tutte le forme dell’intelletto umano e delle sue passioni14, e sulla medesima linea Keats lo aveva definito un “camelion poet” il cui io “is everything and nothing”15.

Nel panorama critico e letterario del primo Ottocento inglese cominciò a trovare spazio anche un tipo di appropriazione “femminile” dei testi shakespeariani che tendeva proprio alla messa a fuoco dei caratteri. A inaugurare una tradizione di riscrittura e riconsiderazione critica dei personaggi furono i Tales from Shakespear: Designed for the Use of Young Persons, scritti a quattro mani e pubblicati nel 1807 da Mary Lamb e dal fratello Charles. Si tratta di un primo esempio di trasposizione narrativa dei drammi shakespeariani destinata a un pubblico giovanile, a cui fecero seguito il già citato The Family Shakespeare di Henrietta Bowdler e

12 J. Bate, The Romantics on Shakespeare, 1992, p. 7. 13 W. Hazlitt citato in Ivi, p. 180-188.

14 S. T. Coleridge, Biographia Literaria, cap. 15 citato in R.A. Foakes (ed. by), Coleridge’s

Criticism of Shakespeare, Detroit, Wayne State University Press, 1989, p. 30.

15 J. Keats, Letters, 2 voll., H. Rollins (ed. by), Harvard University Press, Cambridge