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Dialoghi tra Ofelia e il suo ‘divided self’: is her speech nothing?

Capitolo 2. From page to stage: censura verbale e dismisura gestuale

2.3 Dialoghi tra Ofelia e il suo ‘divided self’: is her speech nothing?

La follia reale di Ofelia contrasta con l’atteggiamento lunatico recitato da Amleto e meditato con un “method” di cui si accorge il pedante Polonio. Prima ancora di essere rappresentata in scena, la pazzia della fanciulla è annunciata dalle parole del gentleman (nel Q2), mentre nell’ in-folio è Orazio a raccontare il suo incontro con una fanciulla ormai “importunate - indeed, distract” (4, 5, 2). Questa descrizione offre rilevanti stage directions utili alle interpreti del ruolo di Ofelia per mettere in scena la follia:

Gentleman: She speaks much of her father, says she hears

There’s trick i’ th’ world, and hems and beats her heart Spurns enviously at straws. speaks things in doubt, That carry but half sense. Her speech is nothing, Yet the unshaped use of it doth move

The hearers to collection; they aim at it,

And botch the words up fit to their own thoughts; Which, as her winks and nods and gestures yield them, Indeed would make one think there might be thought, Though nothing sure, yet much unhappily129.

Prima ancora di entrare in scena mostrando i tipici atteggiamenti di una persona “lunatic”, Ofelia viene quindi evocata dai discorsi allarmati del gentleman/Orazio con quella medesima modalità ecfrastica con cui la regina racconterà l’annegamento della giovane.

Il sentore che vi fosse qualcosa nel comportamento della giovane tale da destare preoccupazioni si avverte già nel drastico rifiuto da parte di Gertrude di parlare con Ofelia (“I will not speak with her”; 4,

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5, 1). Questa durezza non sembra essere motivata, tanto più perché Gertrude ha assistito alla morte di Polonio e dovrebbe pertanto comprendere, come sostiene anche il gentleman, che “[Ophelia’s] mood will needs be pitied” (4, 5, 3). É a causa della perdita del padre che Ofelia, secondo il gentleman/Orazio, avrebbe perso il senno; il disturbo mentale da cui la giovane sarebbe affetta riguarda sia la sfera verbale (“Her speech is nothing”) sia il piano fisico (“…and hems and beats her heart”). I discorsi sconclusionati130, ma non privi di un recondito significato in quanto inducono “the hearers to collections”, sono accompagnati da una gestualità folle (“winks and nods and gestures”) che anticipa l’entrata scomposta dell’eroina sulla scena. La drammaticità dei discorsi insensati di Ofelia appare tanto più evidente nella frase che pronuncia Orazio prima che la giovane entri in scena (“for she may strew/ Dangerous conjectures in ill-breeding minds”). Significativamente, scrive Del Sapio Garbero, è Orazio ad assumersi la responsabilità di rintracciare una verità raccogliendo insieme (“to botch up”) quei significati, legati al femminile, che Ofelia dissemina (“strew”) come fiori131.

L’ingresso di Ofelia sul palcoscenico si differenzia nelle tre versioni del testo di Amleto: nel Q2 l’eroina semplicemente “enters the stage”; nel Q1 “Enter Ophelia playing on a Lute and her haire downe singing”; nella versione in-folio, infine, le direzioni di scena fornite indicano solo “enter Ophelia distracted”. Dall’epoca elisabettiana in poi, le convezioni associate alla follia di Ofelia prevedevano che l’eroina comparisse sulla scena con una veste bianca, “fantastically dressed with flowers and loosed hair”, cantando frammenti di ballate

130 Maurice e Hanna Charney sottolineano come “her syntax is broken; her discourse

is organized by lyrical free association, with many veiled innuendos and pointed allusions to the state of affairs in Denmark”. M. Charney, H. Charney, “The language of the Madwoman in Shakespeare and His Fellow Dramatists”, Signs, 3, No. 2 (Winter, 1977), p. 456.

131 “The verb ‘to strew’ used by Horatio might well serve to capture the disseminative

functioning of meaning of the whole play (or even of language in general, for that matter), were it not negatively connoted here to refer to a culturally targeted female excess, something unshaped, and yet dangerous, something to embank and put under control”. M. Del Sapio Garbero, “Translating Hamlet/Botching up Ophelia’s Half

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sull’amore perduto. Come scrive Elaine Showalter, gli elisabettiani vedevano nella follia di Ofelia i classici sintomi del “love melancholy”132.

La prima attrice a vestire i panni di Ofelia sui palcoscenici inglesi sembrerebbe essere stata Mary Saunderson (ribattezzata Mrs Betterton dopo il matrimonio con il celebre attore) che debuttò nella parte il 24 Agosto 1661. Stando a quanto testimoniato da Thomas Davies, lo stile recitativo di Mrs Betterton fu inevitabilmente influenzato dai boy actors della tradizione elisabettiana e dall’eredità dei copioni rivisti e censurati da William Davenant e dalla Blackfriars Company133. Dello stile interpretativo che l’attrice adottò per la parte di Ofelia si conosce ben poco, ma si presuppone che abbia seguito le tendenze in voga all’epoca fondate sul malinconico abbandono femminile alle pene d’amor perduto.

L’avvento delle donne a teatro avrebbe dovuto amplificare la connotazione di genere sessuale dei personaggi femminili che prima della Restaurazione erano stati interpretati da boy actors, ma ciò non si verificò poiché i personaggi femminili shakespeariani, tra cui anche Ofelia, venivano sistematicamente privati di ogni battuta a sfondo licenzioso che invece offriva loro il testo shakespeariano; di conseguenza, apparivano come versioni scialbe, personaggi di second’ordine rispetto alle complessità dei protagonisti maschili dei drammi shakespeariani.

Gli studiosi hanno dimostrato che dalla Restaurazione fino ai primi decenni del ventesimo secolo sui palcoscenici inglesi le battute licenziose della follia di Ofelia furono costantemente elise. I versi che abitualmente vennero tagliati erano i seguenti:

Ophelia: Then up he rose and donned his cloche

And dupped the chamber door- Let in the maid that out a maid

132 E. Showalter, The Female Malady, Virago Press, New York, 1987, p. 11.

133 T. Davies, Dramatic Miscellanies: Consisting of Critical Observations on Several

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Never departed more (Hamlet, 4, 5, 52-55) (…)

By Gis and by Saint Charity, Alack and fie for shame,

Young men will do’t if they come to’t: By Cock they are to blame

Quoth she, ‘Before you tumbled me You promised me to wed.’

He answers: ‘So would I ha’ done by yonder sun And thou hadst not come to my bed.’ (Ibid., 58-66)

Espunta dal testo ogni allusione licenziosa, l’eroina appariva come un essere completamente asessuato. Privata della potenziale forza di un linguaggio trasgressivo, l’Ofelia che apparve sulle scene dalla Restaurazione in poi divenne una “proper lady-like heroine”, un semplice “innocent object of Hamlet’s wordplay”134. Proprio perché non rappresentata nella complessità delle sue pulsioni femminili ma come incarnazione di castità e passività, l’eroina shakespeariana, finì per apparire, in scena, come personaggio ancora più ambiguo e passivo di quanto Shakespeare stesso avesse inteso. Ma se per Elaine Showalter l’interpretazione settecentesca di Ofelia era né più né meno che una “sentimentalized version which minimized the force of female sensuality”135, secondo Mary Floyd-Wilson, invece, fu proprio la negazione della femminilità dell’eroina dovuta alla censura registica a metterne in risalto la sessualità repressa: “by simultaneously stressing and denying the sexual aspects of Ophelia’s character (…) the eighteenth-century theater charged the role with a latent or repressed sexuality intensified by its secrecy”136. L’elisione dei richiami di natura sessuale che compaiono nei frammenti delle vecchie ballate cantate dall’eroina contribuì a esacerbare, invece che ad anestetizzare, l’interpretazione della follia. Floyd-Wilson ha ragione nel riconoscere

134 M. Floyd-Wilson, “Ophelia and Femininity in the Eighteenth Century: ‘Dangerous

conjectures in ill-breeding minds’ ”, in Women’s studies, 21, 1992, p. 401.

135 E. Showalter, “Representing Ophelia”, P. Parker, G. Hartman (ed. by), Shakespeare

and the Question of Theory, Methuen, N. Y., London, 1985, p. 82.

136 M. Floyd-Wilson, “Ophelia and Femininity in the Eighteenth Century: ‘Dangerous

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questo doppio livello interpretativo. Si potrebbe aggiungere che questa doppiezza sia in realtà il risultato della profonda e insanabile discrepanza, almeno fino al ventesimo secolo, tra l’Ofelia “on page” e l’Ofelia “on stage”.

Per colmare la distanza tra l’universo testuale e quello teatrale, si cominciò, proprio nel Settecento, ad apportare al personaggio di Ofelia innovazioni interpretative che trovarono riscontro nella mutata percezione critica nei riguardi dei personaggi shakespeariani. Accanto a versioni settecentesche scialbe dell’eroina, nei teatri inglesi cominciarono ad andare in scena versioni drammaturgiche in cui le manifestazioni della follia di Ofelia venivano esplicitamente ricondotte all’accentuata femminilità del personaggio. Miss Cibber, ad esempio, insieme ad alcune attrici settecentesche come Jane Lessingham, Dorothy Jordan, Kitty Clive, Peg Woffington, Mrs Baddeley, e altre di minor successo che ricoprirono il ruolo di Ofelia137, fu una delle più notevoli interpreti dell’eroina shakespeariana al fianco di David Garrick. Sostenitrice della naturalezza performativa promossa da Garrick138 e di un tipo di “sentimental theatre” che riflettesse gli ideali di virtù e sensibility di cui era intrisa la temperie culturale del Settecento, Miss Cibber fu considerata come “the creator of the feminine ideal of the part”139. Thomas Davies sostenne addirittura che “Till the sweet character of Ophelia was personated by Mrs Cibber, it was not well understood, at least for these last sixty years”140. Agli occhi del critico, Mrs Cibber avrebbe quindi rivoluzionato le modalità

137 Per un’analisi di altre interpreti “minori” di Ofelia nel Settecento si veda:

“Anecdotes and Theatrical Character of Mrs. Woffington”, Town and Country Magazine, or, Universal Repository of Knowledge, Instruction, and Entertainment, 16 (1784:June) p. 297; “The Memoirs of Mrs. Sophia Baddeley, late of Drury Lane Theatre”, English

Review, or, An abstract of English and foreign literature, 9 (1787:June) p. 443; “An

Irish Actress- Margaret Woffington”, Dublin University Magazine, 64:380 (1864:Aug.) p.180; Gertrude Carr Davison, "Ophelia.", Theatre (London, 1877), 4:22 (1881:Oct.) pp. 212-214.

138 L. Wood, Garrick claims the stage: acting as social emblem in eighteenth-century

England, Greenwood Press, Westport (Conn.), 1984, p. 31.

139 C. Wingate, Shakespeare’s Heroines on stage, T.Y. Crowell & Co, New York, Boston,

1895, p. 288.

140 Secondo Davies, soltantoMrs Baddeley sembrerebbe essere paragonabile a Mrs

Cibber in termini di “pleasing sensibility, melodious voices and correspondent action”. T. Davies, cit., vol. 3, p. 131.

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interpretative del personaggio di Ofelia, grazie all’accento posto proprio sulla “sensibility deranged, and deserted by the reason” dell’eroina. Tuttavia, la pazzia di Ofelia, che Davies forse troppo semplicisticamente definì “beautiful dramatic incident”141, fu percepita esclusivamente come eccesso di sensibilità della protagonista, e non come malattia del femminile. L’attrice avrebbe mostrato la sensibilità smisurata di Ofelia esclusivamente affidandosi a una gestualità enfatica (“troubles eyes”, “desperate sights”142), dal momento che, come detto, molte delle battute di Ofelia furono eliminate. Inoltre, Mrs Cibber sembrerebbe essere stata la prima attrice a rappresentare l’eroina secondo le stage directions introdotte da Nicholas Rowe, quindi “fantastically dressed with Straws and flowers”. L’attrice appariva nella madscene con i capelli sciolti ricoperti da filamenti di paglia143, e questa innovazione di costumi, scrive Sprague, che aveva l’obiettivo di aumentare il pathos della scena, “belongs to theatrical history for many years to come”144.

Verso la fine del diciottesimo secolo si cominciò a dare maggior rilievo alla performance canora delle attrici che interpretavano Ofelia. Mrs Siddons, che debuttò in questo ruolo accanto al fratello John Philip Kemble il 15 Maggio 1786, interpretò la follia della sua eroina alla luce della fragilità emotiva dovuta al lutto appena subito, oltre che alla perdita dell’amato. Il trasporto elegiaco della scena fu reso attraverso lunghe pause tra una battuta e l’altra che aumentavano il senso di sospensione e ambiguità della scena145. Raccontando un aneddoto sull’interpretazione di Ofelia, il biografo Thomas Campbell

141 Ibid.

142 Ibid.

143 M. Floyd-Wilson, cit. p. 403.

144 Sprague cita una poesia di Lloyd raccolta in un volume del 1760 dal titolo Actor: In

vain Ophelia gives her flowerets round,/And with her straws fantastic strews the ground;/In vain now sings, now heaves the desp’rate sigh,/If Phrenzy sit not in the troubled “Eye”./In Cibber’s Look commanding Sorrow speak…” . A. C. Sprague, cit., p. 171.

145 F. Burwick, “The ideal shatters: Sarah Siddons, Madness and the dynamic of

gestures”, in Notorious Muses, R. Asleson (ed. by), Yale University Press, New Haven, London, 2003, p. 141.

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scrisse che la madscene recitata da Mrs Siddons fu così toccante che “the fellow-actress playing the queen was so electrified by Siddons’s looks that when she seized her arm, she hesitated and forgot the part”146. Tuttavia, prosegue il biografo, le sue doti erano limitate per il fatto che l’attrice non possedeva particolari qualità canore; e dato che era solo una “passable vocalist”147, secondo Campbell, riusciva con difficoltà a interpretare la dolcezza dei canti malinconici dell’eroina.

La bravura delle interpreti di Ofelia di fine Settecento e inizio Ottocento veniva, dunque, attribuita o negata esclusivamente sulla base delle qualità canore dimostrate dalle attrici nel manifestare la dolcezza elegiaca del personaggio. E, infatti, come scrive Showalter, “whereas the romantic Hamlet, in Coleridge’s dictum, thinks too much (…), Ophelia is a girl who feels too much, who drowns in feeling”148. Scomparse le allusioni a una sessualità latente nella protagonista, non rimaneva che elogiare l’eroina per il suo struggimento lirico “romantico”. Sostanziale è la posizione ricoperta dalla critica nel cercare di mettere a fuoco un personaggio così inafferrabile e sfuggente, e nel sottolinearne gli elementi ideali di cui il femminile deve essere caratterizzato. In epoca romantica “the young, the beautiful, the harmless, and the pious Ophelia”149, come l’aveva descritta Samuel Johnson, assunse i tratti della natura pura, incontaminata e sottomessa. Per rimarcare la simbiosi tra Ofelia e gli elementi naturali, Coleridge definì l’eroina

a little projection of land into a lake or stream, covered with spray-flowers quietly reflected in the quiet waters, but at length is undermined or loosened, and becomes a faery isle, and after a brief vagrancy sinks almost without an eddy!150.

146 T. Campbell, Life of Mrs Siddons, London, Edward Moxon, Dover Street, 1834, p.

212.

147 Ibid.

148 E. Showalter, “Representing Ophelia”, cit., p. 83.

149 S. Johnson, On Shakespeare, ed. By H.R. Woudhuysen, Penguin, 1989, p. 244. 150 S. Taylor Coleridge, Lectures and notes on Shakespear, (collected by T. Ashe)

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La purezza “naturale” di Ofelia la sua peculiare “absence of character”, scrive Coleridge, costituisce “its marks and out-juttings”151, ovvero i tratti distintivi del suo carattere. Il poeta romantico inglese fu tra i primi ad attribuire alla “freedom of character” di Ofelia l’ambiguo fascino dell’assenza. Ciò che Coleridge definì “absence of character” agli occhi di Byron assunse il profilo di una vera e propria inconsistenza. Come gran parte della critica romantica, Byron era certamente più attratto dalla complessità di Amleto che dalla passività di una creatura come Ofelia che egli definiva “as inconsistent and as false a character as her faithless lover”152. Ma a differenza di Coleridge, Byron pose l’attenzione su un altro elemento non trascurabile di Ofelia, ovvero il suo linguaggio, che egli non si limita a definire volgare (“gross”). Proprio nelle ballate sconce dell’eroina il poeta riconosce l’ambiguità dei suoi pensieri, e vi scorge una schizofrenica doppiezza che nelle prime battute porta la fanciulla ad essere “graceful and gentle”, e poi a divenire “an insane gypsy, singing no very delicate songs”153. Le canzoni non proprio delicate di cui parla Byron continuarono a essere censurate nei palcoscenici del diciannovesimo secolo e il divario tra testo scritto e testo rappresentato seguitò a rimanere incolmabile fino ai primi decenni del Novecento. Le performance di Ofelia, nel mettere in risalto principalmente abilità espressive canore e gestualità enfatizzata, continuarono a proporre una versione edulcorata, inconsistente e passiva dell’eroina shakespeariana.

Alcune interpreti di fine Ottocento, però, come Ellen Terry e Julia Marlowe, invertirono le tendenze teatrali convenzionali e introdussero elementi innovativi frutto delle loro analisi critiche al personaggio e dei cambiamenti culturali che stavano avvenendo nell’Europa fin de siècle,

151 Ivi, p. 362.

152 Lord Byron and Percy Shelley from ‘Byron and Shelley on the Character of Hamlet’,

unsigned dialogue in New Monthly magazine, 29, n°2 (1830), pp. 327-336, citato in J. Bate, The Romantics on Shakespeare, Penguin, London, 1992, p. 338.

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uno su tutti la rivoluzione psicanalitica, e in particolare gli studi sull’isteria femminile condotti da Freud e Breuer. Per le attrici l’interpretazione di Ofelia non poteva più soltanto evidenziare il candore e la malinconia di un’eroina sedotta e abbandonata, ma doveva cogliere il complesso travaglio interiore del personaggio.

Ellen Terry lavorò sull’interpretazione della follia di Ofelia conducendo personalmente studi di carattere medico154. Nelle Four Lectures on Shakespeare Terry nota come, già dall’inizio del dramma, “Ophelia suffers from an incipient insanity: there is something queer about her, something which explains her wits going astray later on”155. Per preparare la parte, l’attrice si sarebbe esercitata visitando un manicomio, dove ebbe l’occasione di osservare con i propri occhi la follia femminile: “I was disheartened at first. There was no beauty, no nature, no pity in most of the lunatics. Strange as it may sound, they were too theatrical to teach me anything”156. Il primo impatto con una giovane folle sembrerebbe essersi rivelato inutile per l’attrice. Ma poi, come lei stessa conferma, è l’incontro con una “young girl gazing at the wall” a incuriosirla:

It [Her face] was quite vacant, but the body expresses that she was waiting, waiting. Suddenly she threw up her hands and sped across the room like a swallow (…). She was very thin, very pathetic, and the movement was as poignant as it was beautiful. I saw another woman laugh with a face that had no gleam of mirth anywhere – a face of pathetic and resigned grief157.

Da questa esperienza Terry non solo capì come doveva interpretare Ofelia, ma dedusse anche che il lavoro immaginativo, per un’attrice,

154 Cfr. J. Wechsler, “Performing Ophelia. The Iconography of Madness”, Theatre

Survey, 43, n°2 (Novembre 2002), pp. 201-221.

155 E. Terry, Four Lectures on Shakespeare, Christopher St. John (a cura di), Martin

Hopkins LDT, London, 1932, p. 100.

156 E. Terry, Memoirs, E. Craig, C. St John (ed. by), G.P. Putnam's Sons, New York,

1932, p. 122. Cfr. anche N. Auerbach, Ellen Terry, Player Of Her Time, Phoenix House, J.M. Dent and Sons, London e Melbourne, 1987.

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doveva precedere l’osservazione della realtà cui il comportamento del personaggio era riconducibile, in questo caso la pazzia: “an actor must imagine first and observe afterwards”, sostiene Terry, sottolineando che “it is no good observing life and bringing the result to the stage without selection, without a definite idea. The idea must come first, the realism afterwards”158. Nel preparare il ruolo, l’attrice rivela anche di essere sorpresa159 di quanto la scena della follia di Ofelia fosse impegnativa:

Ophelia only pervades the scene in which she is concerned until the mad scene (…). I have been told that Ophelia had ‘nothing to do’ at first. I found so much to do! Little bits of business which, slightly in themselves, contributed to a definite result, and kept me always in the picture”160.

Ha ragione Terry nell’affermare che nella “madscene” Ofelia pervade la scena ed è sempre “in the picture”161, ovvero al centro dell’attenzione. Per la prima volta in tutto il dramma, dopo essere stata ammonita dal fratello, rimproverata e manovrata dal padre, e ingiuriata da Amleto, Ofelia riesce a concentrare l’interesse degli astanti sui suoi discorsi sconclusionati per ben due volte, ricorrendo all’imperativo “Pray mark”. In altre parole, invita lo spettatore e il lettore ad ascoltare le sue canzoni e a prestare attenzione al significato recondito che esse sottintendono.

La presenza scenica di Ellen Terry contribuì, inoltre, a inaugurare quello che i critici teatrali definiscono “pictorial theatre”, ossia un tipo di teatro di fine dell’Ottocento in cui non solo l’uso “pittorico” della scena, ma anche lo stile recitativo con cui venivano rappresentati i caratteri e le passioni dei personaggi contribuivano al fascino del

158 Ibid.

159 Stando a quanto riporta Nina Auerbach, "she did not like, in which she did not like

herself”. Nina Auerbach, Romantic Imprisonment, Columbia University Press, New York, 1985, p. 282.

160 E. Terry, Memoirs, cit., p. 122. 161 Ibid.

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dramma. Secondo Michael Booth162 Ellen Terry diede un rilevante impulso al gusto teatrale “pittorico” sia per l’uso di gestualità stilizzate, espressioni corporee e facciali riconducibili ad ambiti “visivi”, sia per la sua notevole presenza scenica, grazie alla quale “she appealed the eye