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Bastano anche solo questi personaggi schizzati negli appunti del Don Giovanni per

D ON G IOVANNI OVVERO LE JEU DE LA VANITÉ

3. Bastano anche solo questi personaggi schizzati negli appunti del Don Giovanni per

comprendere che la commedia nieviana si può rapportare come gli altri testi dello stesso periodo, con quell'Antiafrodisiaco che si intreccia costantemente nella produzione degli anni '50 e che per tanti testi costituisce la prefazione teorica.

Fin troppo facile collegare i temi sviluppati nel Don Giovanni a quelli trattati nell'Antiafrodisiaco. Il signor Augusto che si professa platonico nell'amore non è un proto Don Giovanni nel pensare – e si osservi la solita dissacrante risata nieviana che scalza i miti:

Ma in fin de' conti cosa aveva fatto di male? Nulla, e poi nulla poverino! Son peccatucci perdonabili

420 Si fa riferimento all'insieme di appunti, lettere e prime redazioni che vengono pubblicate nel 1853. Ora sono

integrate in tutte le edizioni di Stendhal cfr. STENDHAL, De l'amour, par V. DEL LITTO, Paris, Gallimard, 1980, pp. 246-

317. Sui legami molt profondi tra La physiologie du mariage di Balzac e il De l'amour: cfr. H. BALZAC, Physiologie

codesti, e puniti abbastanza da quella specie di paralisia che lo assaliva quando si trovava in mezzo alle due rivali. Sentiva una vecchia simpatia per l'una, e si ricordava chiaramente di aver baciata quell'altra! Assolutamente la sua era una parte imbarazzante! O dar ascolto alle simpatie per l'una, e non baciar più l'altra, o baciar l'altra, e scacciar la simpatia per la prima. E se gli fosse saltato il grillo di dividere le simpatie pel giusto mezzo, e baciarle tutte e due? Che bestemmia! Che credete? Che Augusto sia un eretico? Vi dico che egli amava puramente; non sapeva quale, ma torno a dire, qualunque ella fosse, l'amava puramente; e sapete bene che il sostenere d'amarne puramente due, è posizione da scomunica. Ne hanno scomunicati anche per meno!421

E non è dongiovannesco nel senso della pura facciata del corteggiamento amoroso il passaggio in cui Ottavio scrive:

E' poco il vederti! E' poco il parlarti per me! Già è vero che il baciarti è qualche cosa ma non però abbastanza. Voglio anche scriverti per dedicarti anche i momenti in cui ti sono lontano. Io ti amo, come so amare; e ti amerò sempre, e poi sempre! Ti amo quando dormo, quando mi sveglio, quando faccio colazione, quando sono a pranzo, quando ceno, quando mi cavo gli stivali per saltar in letto! E tu, cara la mia Ottavia! Mi ami tu come sai amare? Mi ami sempre e poi sempre? Quando sei a pranzo, quando ceni, quando fai colazione, quando ti metti la camicia da notte per saltar nel letto, quando dormi e quando ti svegli?422

Seduce con la parola e la cantilena di promesse d'amore “ti amo quando dormo...” non ha nulla di romantico concludendosi con quel “mi cavo gli stivali per saltar in letto”, ma ripete lo schema della seduzione fine a se stessa, privata da qualsivoglia afflato poetico.

Ugualmente le riflessioni finto moralistiche del Signor Incognito, che racconta e commenta la storia dell'anonimo protagonista, definiscono un quadro di vanità sentimentale assolutamente dongiovannesca-stendhaliana:

Credete a quelle che vi baciano, e non credete a quelle che aspettano d'essere baciate; soprattutto aborrite le donne che voglio parer disinvolte!

[...]

Imparate, amici miei […] imparate, quando avete un'amante, a segregarla con tre muraglie ben grosse dalla vostra immaginazione; e a pensarla macchinalmente con quella bilancia verace, e sincera, che ha nome ragione!

[…]

Vi sono amanti che stanno sull'uscio e vi sono amanti che stanno in casa. […] Per i primi potete farvi garante che la cosa andrà avanti uno o due anni, e che la faccenda non andrà fuori di regola. Circa i secondi, se vi sembra che il loro amore si raffreddi dopo due settimane, concepir potete una gran opinione della virtù, o della astutezza della lor corteggiata, se osservate invece che l'amor dopo le due settimane tocchi un crescendo e duri più d'un mese, cantate un epitalamio in onore dei matrimoni segreti; e se dopo due mesi l'amante si ritira, non esitate a chiamare quella ritirata un vero divorzio423.

Il Don Giovanni nieviano, come quello stendhaliano, è, dunque, il ritratto di un uomo che cerca di proseguire la propria “carriera” di parvenu, sfruttando l'immagine di seduttore che gli viene attribuita. Si tratta però solamente di un comportamento esteriore che è spogliato da qualsiasi altro riferimento ed implicazione morale, diventando un semplice atto che colloca Don Giovanni e le donne implicate nel corteggiamento in una dimensione di reciproco jeu de la vanité.

La differenza tra il mito e la reinvenzione del personaggio si ha proprio nel momento in cui si

421 I. NIEVO, L'Antiafrodisiaco … , cit., pp. 37-38. 422 Ivi, p. 37.

spoglia il primo dell'afflato irrealistico e moralistico e lo si colloca nella società contemporanea in cui, come la letteratura francese mostra abbondantemente e poi il vaudeville ridicolizzerà, il Seduttore è caratterizzato da un insieme di modi ed espressioni con i quali il genere maschile e quello femminile, modernamente sullo stesso livello di uguaglianza sessuale, si pongono in un rapporto di confronto fondato sulla vanità del singolo. Il nuovo Don Giovanni seduce per arrivare ad uno scopo, ma soprattutto seduce per trovare una propria sicurezza. Il nuovo Don Giovanni è un borghese – con tratti quasi pantofolai -, di quella categoria che il vaudeville metterà di lì a qualche anno in scena. Nel Don Juan de Montmartre, vaudeville en un acte di George Rose fils del primo Novecento, l’azione si svolge in un interno borghese in cui una moglie e marito si tradiscono liberamente solamente per fuggire alla routine. Ma, invece di cadere nella decadenza del peccato, in un gioco di mascheramenti e di finzioni, alla fine il marito riesce a riconquistare la moglie. La morale, anzi l'amore che chiude il vaudeville recita chiaramente che Don Juan è ormai un comportamento sociale integrato nella società (I, 23):

ANGELE: Vous demandez, mademoiselle, le Don Juan de Montmartre? Ne cherchez pas! Tous les hommes sont de Don Juan ou tout au moins veulent-ils le faire croire

DUPONT: Poupoule

SOPHIE: Il n’y a pas de poupoule DUPONT: Pourtant?

SOPHIE: Nous verrons à la Sainte Sophie prochaine DUPONT: Dans un ans?

SOPHIE: Oui, monsieur, dans un ans, ça vous apprendra oublier votre devoir.

DUPONT: Pendant un ans je… (a part). Chouette! J’irai voir Chichinette… Don Juan n’es pas mort424.

Don Giovanni non è morto perchè è uscito dalla monodimensione letteraria e si è trasformato in un uomo qualunque. Il curioso e poco noto pamphlet Don Juan ou Comme qui le mauvais sujet sont

les ennemis de tout le monde autant que d’eux-mêmes, scritto dall’Abbé Ravaille nel 1876 ,

presenta un’analisi storica e psicologica della figura di Don Giovanni. Con acume e piglio quasi antropologico l'Abate nota che il personaggio non è un soggetto lontano dalla storia, ma una tipologia ben diffusa. Non si tratta, però, di una caratteristica di jeunes débauchés che abbracciano la filosofia del dandy, come aveva già notato Stendhal, ma l’effetto della vita cittadina, e in generale borghese, fondata sul culto “de l’argent et du plaisir”425.

L' argent si lega evidentemente con la propria posizione sociale, il proprio essere agli occhi degli altri ed è uno tra i motivi – insieme al potere – di competizione e dunque del sistema che innesca il sistema del desiderio. Il plaisir – in tutte le sue forme – è l'altra faccia del pouvoir/argent nella costruzione dell'autorappresentazione di sé: in una società fondata sui rapporti di mera vanità, la conquista sentimentale ed erotica è una forma di potere e di imposizione sugli altri, come la

424 Scritto e pubblicato per il Théâtre de Monte-Carlo, Paris, Joubert Editeur, 1913. 425 ABBÉ RAVAILLE, Don Juan ou Comme …., Paris, Dillet, 1876, p. 21.

scalata sociale. Anzi, come spiegano chiaramente Stendhal e Nievo, diventa una maschera perfettamente architettata – in fondo si basa su un gioco relazionale e convenzionale piuttosto elementare – che permette di facilitare i legami interpersonali e di facilitare di conseguenza la risalita all'interno del micromondo della corte o di una piccola città di provincia.

In fin dei conti la società era agli occhi di Nievo fondata completamente sull'esteriorità: E' una gran cosa la società: essa contrasta all'ozio la paternità di tutti i vizi! Dico la società, intendendo di quelle unioni che si formano per conversare, per ridere, per ballare; di quelle unioni in cui le donne si lasciano conquistare da chi ha il solino più alla moda, e la barba meglio appuntata426.

Il processo di demitizzazione che subisce Don Giovanni agli occhi dello stendhaliano Nievo non è diverso da quell'immagine che chiude Angelo di Bontà (1855-1856) in cui Don Chirichillo, il personaggio buffo che «ha sempre vissuto nell'ombra del suo padrone senza chiedere nulla per sé e obbedendo anzi a tutti i suoi desideri [del padrone, Valiner]» e che è fermamente convinto che esista la reincarnazione, si convince che la sua prossima vita sarà nei panni di Napoleone. In questo caso il personaggio storico viene ridotto ad un carattere comico, la cui unica grandezza è quella di credere nelle vite passate e future come riscatto dalla propria condizione da servitore alla Leporello, per rimanere in un contesto dongiovannesco. Si tratta di un principio di rimpicciolimento razionale e realistico che diventa una spia di analisi sociale seguendo l'idea che «Il poeta fra gli eroi della Grecia diventa Pindaro, fra i burattini si fa Pulcinella!427». Non esistono più eroi né la società greca – come diceva Stendhal analizzando il mito di Don Giovanni – e anche i poeti, gli scrittori, i politici, gli aristocratici, e i mille Don Giovanni, diventano personaggi comici, che incarnano un modo di vivere fondato sull'ipocrisia e sulla vanità come strumenti di autoaffermazione sociale.

426 I. NIEVO, L'Antiafrodisiaco, cit., p. 87.

LETTURAEINTERPRETAZIONEDEL TEATRODI IPPOLITO NIEVO: «I BEFFEGGIATORI» EIFRAMMENTIDRAMMATICI

CONCLUSIONE

Prospettive future e vecchi stereotipi: e se Nievo non fosse stato solo un garibaldino?

Engagé à quoi? Demandera-t-on. Défendre la liberté, c'est vite dit. S'agit-il de se faire le gardien des valeurs idéales, comme le clerc de Benda avant la trahison, ou bien est-ce la liberté concrète et quotidienne qu'il faut protéger, en prenant parti dans les luttes politiques et sociales? La question est liée à une autre, fort simple en apparence, mais qu'on ne se pose jamais: «Pour qui écrit-on? » J. P. SARTRE, Qu'est-ce que la littérature?

Nel 2011 ricorreranno i 150 anni dall'Unità d'Italia e dalla morte di Nievo: «nacqui Veneziano e morrò per la grazia di Dio italiano», come scrive nel celeberrimo incipit delle

Confessioni di un italiano.

Con una facile retorica, come sempre in questi casi, si sentirà dire che, nell'anno in cui Nievo muore in circostanze ancora misteriose, quell'Italia che aveva tanto desiderato e per la quale aveva combattuto, trova finalmente l'unità. Ma si tratta, per l'appunto, di una facile retorica.

E attendendo il 2011 e le celebrazioni nieviane che seguiranno, ci si augura che vengano tracciate nuove vie e rimossi gli stereotipi che pesano sulla produzione di Ippolito Nievo.

Purtroppo molti luoghi comuni della critica nieviana - “Nievo poeta garbaldino”, “Nievo poeta della patria da fare”, “Nievo scrittore politico” e “Nievo scrittore delle occasioni perse” - restano ancora invalsi negli ultimi lavori interpretativi, segno che quella “lunga notte della critica nieviana” , felice espressione coniata da Marcella Gorra in un articolo dedicato al dibattito critico del primo Novecento428, non si è ancora del tutto spenta. Ovviamente non si tratta più, come poteva essere per le numerose biografie di inizio Novecento e dei primi trent'anni del secolo, di stereotipi basati su una parziale conoscenza dello scrittore oppure creati da una faciloneria critica che riportava dati e giudizi senza verificarne l'attendibilità. La persistenza di alcuni stereotipi nella critica del secondo Novecento si spiega, più che altro, come una scelta di comodo: l'etichetta di “Nievo scrittore delle occasioni perse”, per esempio, permette di astenersi da giudizi ed indagini sull'incompiutezza di alcuni scritti, liquidando la problematica con la considerazione che Nievo fosse una autore che scriveva molto e in poco tempo, non prestando la medesima attenzione verso tutte le sue

produzioni. Inevitabilmente, come si può osservare scorrendo la dettagliatissima bibliografia raccolta da Simone Casini in apertura delle Confessioni da lui curate per Guanda, questo genere di miopia critica ha portato ad una sovra-produzione di materiali interpretativi relativi alle

Confessioni, e ben inteso, non tutti di valore, e ad un silenzio sulla restante produzione per cui, ad

eccezione di Angelo di bontà e di qualche studio sulla produzione campagnola, rimaneva valida la bibliografia primo novecentesca, con i limiti di cui si è già detto.

Come ricorda anche Marcella Gorra è singolare che i critici del primo Novecento siano quelli che, per assurdo, hanno portato alla formazione dei principali stereotipi sulla produzione nieviana. Assurdo perchè per molti scrittori è stato possibile vedere manoscritti ora perduti, avere rapporti diretti con gli eredi di Nievo e, per una vicinanza storica, poter verificare con maggior facilità quale fosse il clima culturale in cui si muoveva lo scrittore. Al contrario, forse a causa della morte inattesa e forse per una leggerezza da parte dei biografi, si è sottolineato sempre il dato prettamente biografico e il riflesso di questo sulle Confessioni, paragonate inevitabilmente ai Promessi sposi.

Questo ordine di lettura ha portato al formarsi di alcune griglie valutative dell'opera nieviana, molte delle quali sono giunte fino ad oggi.

Più che di stereotipi si potrebbe parlare di necessità interpretative. Se il dato prevalente nella scrittura di Nievo era la vicinanza tra vita – intesa come impegno politico – e produzione letteraria, allora dimostrare la veridicità di etichette come “poeta impegnato” (poeta nell'accezione più vasta del termine) e, ancor peggio, quella di “scrittore garibaldino” diventava lo scopo finale di tanti studi interpretativi. Di conseguenza, attribuendo un giudizio di superiorità alle Confessioni e alla produzione “garibaldina” (si ricordano le Lettere garibaldine, il Diario della spedizione dal 5 al 28

maggio, il Resoconto amministrativo della prima spedizione in Sicilia, Venezia e la libertà d'Italia e Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale), si istituiva la presenza di un “prima” e di un “dopo”

nei trent'anni di vita nieviana e una gerarchia di importanza tra le sue opere.

Stabilire un prima e un dopo in una carriera che si esaurisce in poco più di un decennio è un'impresa piuttosto temeraria, soprattutto se si arriva a dire, semplificando, che tutto o, quasi, quello che precede la “stagione dell'impegno politico”, segna una sperimentazione senza esiti compiuti. In realtà, a ben vedere anche nell'Antiafrodisiaco per l'amor platonico – testo, per l'appunto della cosiddetta prima fase nieviana – si parla di politica e, forse, se ne parla di più e con maggior piglio ironico che nelle Confessioni, ma pochi hanno saputo portare in luce questi aspetti. Vittima designata, si potrebbe dire, di questa visione miope è stata la produzione teatrale non solo perchè non fu mai battezzata sulla scena, ma anche perché, almeno all'apparenza, difficilmente ascrivibile alla letteratura impegnata.

Sorprende, per esempio, che anche Emilio Faccioli, pur avendo avuto numerose intuizioni innovative sul teatro di Nievo, si sforzi di incasellarlo a difficoltà nella “drammaturgia popolare”,

attribuendoli una presunta funzione didascalica ed educatrice per il popolo italiano. Se le tragedie

Spartaco e I Capuani hanno avuto un minimo interesse editoriale nel Novecento si deve proprio alla

maggior ed evidente presenza del tema storico-politico e, anche, ad una più facile identificazione all'interno di un genere – la tragedia storica – che nell'Italia Risorgimentale aveva avuto largo seguito.

Tuttavia la problematica più difficile da sciogliere riguarda il rapporto tra vita e arte in Nievo. Detto così sembrerebbe di voler dare troppa importanza ad un fatto di per sé ovvio – che uno scrittore parli del proprio vissuto non è un fatto nuovo – tanto più che, come si è detto, è inevitabile riconoscere l'impegno politico di Nievo.

Fiumi di inchiostro sono stati spesi per far coincidere esattamente tutti gli episodi della biografia nieviana con un corrispettivo letterario, mentre raramente ci si è chiesti quale fosse la sua vera volontà. Nievo voleva creare una propria mitografia? Era consapevole che la sua vita potesse diventare uno strumento ermeneutico per la lettura delle sue opere? Cosa voleva ottenere, a conti fatti, quando, per esempio, racconta le proprie disavventure sentimentali nelle lettere, testi troppo perfettamente costruiti per essere considerati come letteratura privata?

Si è parlato di esemplarità della vita nieviana, come di uno strumento narrativo consapevole che portava lo scrittore a volere che il proprio vissuto diventasse una forma di riflessione su un Macro Sistema - come quello storico - che interessava tutti coloro che erano vissuti tra il 1830 e l'Unità d'Italia. Ma si tratta veramente di esemplarità? È evidente, e lo si è ricordato più volte in questo studio, che il vissuto nieviano è deciso per comprendere alcune sue opere e giustificare alcune scelte tematiche e stilistiche. Senza addentrarsi nel caso della produzione romanzesca, peraltro già ampiamente studiata a questo proposito, ci si potrebbe porre una domanda di ambito critico interpretativo a partire proprio dal teatro e dagli scritti giornalistici: quando si parla di biografia nieviana, ci si riferisce alla vita di Nievo o alla vita che Nievo vuole ritrarre? La domanda non è così sofistica, a ben guardare.

Se Nievo dichiara che «Il parlare à sé, il parlare di sé, è la più inutile e la meno generosa delle occupazioni» - riferendosi alla letteratura romantica – e che «parlate adunque … parlate molto e forte, ma parlate utilmente»429 è chiaro che si è in presenza di un autore che non aveva intenzione di creare un mito della propria biografia.

È evidente, dunque, che il problema che si pone è un altro: premesso che l'elemento biografico si confronta sempre con la società e la vita politica di quel periodo senza però sovrastarle, in che termini e con che modalità Nievo descrive la realtà?

Si richiama così un elemento fondamentale per questo studio, ovvero la presenza di quell'ironie

tragique che diventa una maschera e uno schermo attraverso la quale parlare della realtà. 429 I. NIEVO, Lettere, cit., p. 286 e Id., Scritti vari, a cura di F. PORTINARi, Milano, Mursia, 1967, p. 904.

E tramite l'ironie tragique si realizza il comico nieviano che nasce dal «jeu de la vanité», cioè dalla centralità che viene data alla funzione e al concetto di «rôle» sociale.

Come emerge chiaramente dall'analisi de I Beffeggiatori e in modo ancora più netto, data l'essenzialità del testo, nel Don Giovanni, l'effetto comico deriva dalla comparazione di quello che un personaggio o una situazione è e quello che sembra dover essere agli occhi degli altri.

Don Giovanni appare un cavaliere ricco e intellettuale, mentre in realtà è attaccato al denaro e si serve della sua fama di conquistatore per arrivare al suo vero scopo, il raggiungimento della carica di podestà. I personaggi de I Beffeggiatori sono tutti diversi dall'immagine che viene loro attribuita. Per dirla con le parole di Pirandello se “l'arte” compone e l'umorismo decompone, allora la scrittura ironica

non riconosce gli eroi; o meglio, lascia che li rappresentino gli altri, gli eroi; egli, per conto suo, sa che cosa è la leggenda e come si forma, che cosa è la storia e come si forma: composizioni tutte, più o meno ideali, e tanto più ideali forse, quanto più mostran pretesa di realtà; composizioni ch'egli si diverte a scomporre430.

Gli eroi, appunto, appartengono al mondo ideale – dice Pirandello – mentre la realtà è altra cosa: Nievo, mostrando lo stridore nell'apparire e nell'essere, abbatte proprio gli eroi.

Ma in questa visione la mimesi è:

La vita nuda, la natura senz'ordine almeno apparente, irta di contraddizioni, pare all'umorista lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche, in cui tutti gli elementi,