• Non ci sono risultati.

Individuato dunque come intendere il concetto di beffa, rimane un ultimo scotto da pagare alla critica che si è espressa nei confronti de I Beffeggiatori, parlando di «vecchia maniera» per intendere la matrice goldoniana che strutturerebbe la vicenda sentimentale107.

Giovanni Cappello, a tal proposito, ha scritto alcune righe che sono esemplificative di un giudizio critico ampiamente condiviso:

Nel gruppo dei testi goldoniani le cose sembrano migliorare [in opposizione ai drammi giovanili].

104 Ivi, p. 30.

105 I. NIEVO, Scritti giornalistici, cit.

106 M. CROUZET, Les héros fourbes chez Stendhal, Paris, Sedes, 1985, pp. 50-51.

107 D. MANTOVANI, Ippolito Nievo. Poeta soldato, Milano, Treves, 1900, p. 43; U. GALLO, Nievo con inediti e un ritratto,

Anche se i personaggi sono sostanzialmente molto più superficiali, e non mostrano convinzioni precise, tuttavia ricalcano da vicino i clichés della commedia tradizionale, di cui il veneto Nievo doveva essersi nutrito. Ma un imitatore, se non innova, resta sempre al di sotto dei modelli, e certo scarso è il contributo che viene alla fama dell’autore dalla lettura di questi testi. Le scene d’insieme, la conversazione da salotto, tanto vivacemente descritte perfino nell’Angelo di bontà, lasciano apparire il discrimine tra le due forme di cui Nievo dispone e di cui non sa servirsi nella stessa misura. Quando la funzione narrativa è portante, Nievo è a suo agio, quando invece è il dialogo a esserlo, allora si rifugia nel cliché108.

La posizione di Nievo oscillerebbe, quindi, tra la volontà esplicita di citare la tradizionale commedia veneta - che secondo i clichés ottocenteschi è rappresentata dal corpus teatrale goldoniano – e l'incapacità di innovarla o almeno cercare di emularla. Per indagare, dunque, il rapporto tra Nievo e Goldoni in modo più asettico, si può rimarcare un dato evidente, le modalità di accesso alle commedie goldoniane e alla tradizione teatrale veneziana.

Scorrendo l’elenco dei 177 volumi che Nievo ricevette dal nonno Alessandro nel 1843, e oggi conservati in parte presso l’Archivio di Stato di Mantova e in parte presso la Fondazione Ippolito Nievo di Roma109, si osserva, oltre all’ovvia presenza di scrittori latini, settecenteschi (Bettinelli e Metastasio) e di numerosi autori ottocenteschi come Schiller e Byron, anche l’edizione Zatta del teatro goldoniano110. Dunque si suppone che Nievo potesse accedere senza difficoltà alcuna all'intera produzione drammaturgica del commediografo settecentesco, anche perchè, come si è visto, nel momento in cui Nievo si avvicina alla drammaturgia, il teatro goldoniano rappresenta l’unica fonte certa per il genere comico. Questa supposizione trova una conferma scorrendo le lettere nieviane da cui emerge che conoscesse – perchè le aveva lette e viste rappresentate - Le

baruffe chiozzotte, L’avventuriere onorato, l’Avaro fastoso, La famiglia dell’antiquario, Le Femmine puntigliose, e Arlecchino servitore di due padroni.

La novità rispetto all'interpretazione comune del teatro goldoniano non riguarda, però, quali testi Nievo potesse aver letto, ma come si servisse di questi materiali. Per esempio, nelle lettere dedicate al suo soggiorno chioggiotto, cita le Baruffe per descrivere un diverbio a cui assistette, così come, durante il primo viaggio a Palermo, ricorda le commedie goldoniane ambientate in questa città come testimonianza di un modo di vivere che, a suo giudizio, era rimasto inalterato111.

Si capisce così che Nievo non offre

un goldonismo, dunque, come adesione (fuori tempo) a una bonaria descrizione della società. E Nievo risulterebbe così pigro e goldonista, in quanto appoggiato a modalità di rappresentazione stereotipe e, conseguentemente, carente di strumenti per connotare nel loro spazio, nel loro tempo e nel loro ambiente sociale i suoi conversatori112.

108 G. CAPPELLO, Invito alla lettura di Ippolito Nievo, Milano Mursia, 1988, p. 49.

109 F. SAMARITANI, P. ZAMBON, Nota nieviana: la biblioteca di casa Nievo, «Archivi del nuovo», n. 10-11 (2002), pp. 55-

68.

110 S. BETTINELLI, Tragedie, Bassano, Remondini, 1777; C. GOLDONI, Commedie e tragedie, Venezia, Zatta, 1788-95; P.

METASTASIO, Opere, Venezia, Palese, 1781; J. BYRON, Poemi, Torino, Pomba, 1827; F. SCHILLER, La sposa di Messina,

Milano, Fontana, 1827,

111 M. GORRA, Ritratto di Ippolito Nievo, Firenze, La Nuova Italia, 1991; I. NIEVO, Lettere, cit. 112 P. VESCOVO, Introduzione, a I. NIEVO, Commedie, Venezia, Marsilio, 2004, p. 38.

Questa immagine che Faccioli riprendeva da Mantovani113 viene smentita pensando che: il goldonismo nieviano non sia confondibile, viceversa, né con la continuità ininterrotta della tradizione goldoniana nel teatro a mezzo Ottocento né con altri, personali, richiami alla sua lezione. […] Ippolito ci ricorda non solo di essere un lettore di Goldoni […], ma di aver meditato attentamente sui meccanismi di opere goldoniane ritenute di secondo piano dal punto di vista dei valori teatrali acquisiti, alla ricerca non di un facile repertorio mimetico, ma di una comicità allusiva114.

Nievo oppone, dunque, lo studio e la meditazione sui testi rispetto ad un’imitazione stantia di caratteri, ambienti e modalità drammatiche. Letto con un approccio critico al testo, Goldoni diventa, agli occhi di Nievo, uno specchio dei tempi, che non fu mai quel bonario osservatore di scenette di genere descritto da molti suoi imitatori ottocenteschi, ma un attento e critico fotografo di una società che cambiava.

E quindi Nievo può scrivere a Matilde Ferrari che

È passato il tempo delle commedie del Goldoni, in cui le cameriere origliavano agli usci delle padrone: ora è costume fare le cose alla scoperta: è la posteriorità, che vogliamo sperare e supporre migliore assai dei contemporanei di Goldoni e di noi, a suo tempo giudicherà fra le due usanza quale sia da preferirsi115.

Da questo passo appare chiaro come Nievo considerasse le commedie goldoniane al pari di una pagina di vita vissuta, che verrà sottoposta al giudizio del tempo.

Un altro aspetto, poi, su cui Nievo si dimostra libero da pregiudizi critici invalsi e, anzi, sembra quasi avere una posizione avanguardista rispetto ai contemporanei, riguarda la concezione della riforma teatrale settecentesca: in Cronaca di Milano, riflettendo sulla rinascita del teatro dell’arte, invoca il «povero Goldoni» che ha fatto tanto per portare il gusto del pubblico dalla burattinata alla farsa fino alla commedia116. La commedia va intesa in questo passaggio come l'apice di un processo che ha visto la tradizione teatrale affrancarsi sempre di più dalle proprie origini – la commedia dell'arte -, ormai logore, e spostarsi verso un genere comico inteso in senso moderno, come un teatro costruito su trame complesse e sulla descrizione di personaggi verisimili.

Ne I Beffeggiatori rimane una traccia del ‘povero Goldoni’ in quello che si può chiamare, ‘livello goldoniano’ della trama. Ma, anche in questo caso, si tratta di una somiglianza dettata da un ben preciso scopo e non certo di un'imitazione.

Apparentemente, infatti, non vi è nulla di più alla ‘vecchia maniera’ dell’opposizione tra due giovani e un vecchio che osteggia il loro amore. Attorno a loro, un crogiuolo di maligni che, con l'usurato strumento della maldicenza, creano situazioni ambigue, dalle quali i due innamorati ne escono a fatica, pur riuscendo, alla fine, a coronare il loro sogno d’amore.

Entrando nei singoli aspetti e nei singoli personaggi della commedia, emergono alcuni dati interessanti. Il primo è quasi ovvio: Nievo non guarda ad una commedia in particolare, ma mescola

113 E. FACCIOLI, Introduzione, in I. NIEVO, Teatro, cit., pp. XLVIII-XLIX. 114 P. VESCOVO, Introduzione, in I. NIEVO, Commedie, cit., pp. 39 - 40. 115 I. NIEVO, Lettere, cit. p. 105.

i personaggi e le situazioni, dimostrando di padroneggiare con sicurezza i diversi volti della produzione goldoniana. Per esempio Donna Rosalia è molto simile a Giacinta nel convincimento di essere l’unica a poter disporre della propria vita (e l’indipendenza femminile è un tema caro a Nievo117), Don Cirillo e il Conte sono eredi di Don Marzio anche se il primo caratterizza la tendenza alla beffa, il secondo i tratti più oscuri di una cattiveria intima; Donna Giulia è una Donna Felice che governa il marito inetto e il Barone appare un Sior Todero un po’ meno brontolone, e un po’ più politicamente schierato.

Per I Beffeggiatori si può parlare di un effetto goldoniano, intendendo con il termine un processo trasfigurativo del teatro goldoniano che riguarda tanto elementi molto circoscritti, quanto aspetti più generali che toccano la trama e il rapporto tra i personaggi. Per esempio si notano alcuni riecheggiamenti fonetico-formali nei nomi dei personaggi: «Rosalia» è foneticamente simile a «Rosaura», così come il Conte di Santelmo potrebbe rimandare al celebre castello napoletano, ma anche essere un anagramma modificato di Anselmo, protagonista della Famiglia dell’Antiquario.

Uno dei motivi più vicini al teatro goldoniano sembra essere la scelta di un'ambientazione trasposta. In realtà l'operazione nieviana si arricchisce di significati aggiuntivi: infatti, se Goldoni dislocava altrove per non incappare nelle limitazioni imposte dalla censura e il testo non veniva condizionato dall’ambiente, Nievo punta sull'ambiguità della localizzazione siciliana, confondendo i limiti entro i quali intenderla. Si avrà modo di tornare su questo argomento, ma basti ricordare che, se è pur vero che Palermo potrebbe essere lo specchio di Venezia, i riferimenti storici inseriti nel testo – l'attesa di un'amnistia, il bando d'esilio e le sommosse popolari – si potevano adattare perfettamente al complesso contesto storico della dominazione borbonica in Sicilia dopo il'48. Quindi sicuramente c'è la volontà di mascherare un riferimento ben definito – Venezia o l'Italia, come si vedrà – , ma la contestualizzazione è talmente accurata da insinuare il dubbio che, in realtà, Nievo si fosse interessato alle vicende sicule, ben prima della spedizione dei Mille.

Inoltre la dislocazione palermitana, così la presenza di un livello sentimentale della trama, mascherano una vicenda che ha ben poco di comico, cogliendo appieno un momento di crisi politica e sociale dell'età risorgimentale. La satira sociale nieviana è, infatti, piuttosto graffiante nel mostrare l’inetto Don Palmiro, che ha ereditato una posizione in vista tra gli aristocratici, si avvia alla carriera politica di stampo conservatore opposto al liberalismo del Barone. Donna Giulia, a sua volta, ha sposato Don Palmiro per ragioni sociali e non per amore, con la speranza di poter assumere un ruolo di rilievo nella società, come moglie di un governatore. Nievo, attraverso le battute sagaci di Don Cirillo e le malizie del Conte, dipinge un affresco di una realtà degradata in cui l’appartenenza politica non è una convinzione profonda, ma piuttosto un fatto di moda e i governanti, attirati dall’apparire e non dall’essere, sperperano le entrate statali in feste che provino

la loro importanza.

Tra giovani che mal controllano i propri sentimenti, donne che governano i mariti, e vecchi passatisti, l’unico personaggio positivo è il Dottore, come si è detto, che risolve i problemi domestici (e in questo ricorda il Pantalone de La famiglia dell’antiquario, anche questa d’ambientazione palermitana) e incarna il nuovo futuro politico dell’Italia.

L'effetto goldoniano si coglie maggiormente proprio in questa analisi realistica dei rapporti sociali e umani: ogni personaggio e ogni vicenda, che negli altri ‘goldonisti’ rimangono come echi della produzione del Commediografo settecentesco privati di quell'aspetto realistico che li connotava – sembrano maschere comiche senza alcuno spessore umano - , nelle commedie nieviane diventano uno strumento al servizio dell'ironie realistique.

Così come Goldoni non era mai stato buonista e aveva ritratto i vizi e le virtù dei suoi contemporanei, descrivendone la decadenza economica e morale, così Nievo si dimostra una volta di più un disincantato narratore del reale118. Cogliendo in Goldoni lo strumento di analisi della realtà, può paragonare la fine di Manin ad un incidente da commedia119, servirsi della satira come strumento di indagine sociale, e soprannominarsi Todero per firmare articoli di stretto realismo contemporaneo in cui dichiara la morte della letteratura:

Ecco la vita! Direte voi – Ecco la morte! Dirò io; ecco evocati i fantasmi di una spenta generazione. Meneghino, Pulcinella, Stenterello, Pasquino – fogge, dialetti, costumi, con cui tramandiamo a' venturi meschine albagie ed egoistiche tradizioni di campanile; lazzi traducenti un rancore; proverbi che compendiano un'epoca e ricordano molti torti120.

Il gioco d'identità e di maschere serve, una volta in più, per mettere in pratica il complesso sistema ironico che si articola lungo tutta la commedia perché:

Quando Dio ci dava l'anima non dimenticava la maschera; e, disgiungendo l'essere dal parere, ce ne fe'schermo (della maschera) contro gli insulti della natura esterna, contro gli sguardi benevolmente scrutatori de'nostri amici, contro … i coriandoli. E chi non ha la maschera tenga l'uscio sprangato, e non vada gironi in quell'eterna settimana grassa, che, a dispetto del nome, si compone di trecento sessantacinque giorni all'anno121.

5. I Beffeggiatori verso il melodramma? Fonte o suggestione? Conclusione stendhaliana.