La scienza giuridica italiana per i beni comun
4. Contro i beni comun
Le proposte della Commissione Rodotà, secondo Settis, sono “l'esito più avanzato della discussione di questi anni in Italia”82, ma rimangono per ora inascoltate a
livello politico-decisionale. Anche fra coloro che maggiormente hanno contribuito a dar voce al tema dei beni comuni coesistono punti di vista discordanti che talvolta, si scostano dalle scelte operate dalla Commissione creando una notevole frammentazione teorica.
“Contro i beni comuni” è il titolo chiaramente provocatorio di un recente saggio di E.Vitale in cui viene proposta una “critica illuminista” alla particolarizzazione che caratterizza il tema dei beni comuni. Una rassegna di analisi dei vari contributi risulta importante per posare la teoria dei beni comuni su basi più solide, al fine di rendere la discussione su questo tema il più possibile lucida ed obiettiva.
La riflessione inizia esaminando “Un manifesto” di Ugo Mattei, per cui Vitale scrive “esprimo un radicale dissenso non perché non condivida le intenzioni di fondo del manifesto - ripensare la deriva che fa del mercato l'unico dio a cui erigere templi e fare sacrifici - ma perché ritengo generica, infondata e mistificatrice la proposta che tale manifesto avanza. Infatti, sotto l'aspetto di una proposta rivoluzionaria, si nasconde o meglio riaffiora, una visione del mondo premoderna, una regressione romantica al medioevo, visto letteralmente come luogo di una vita comunitaria felice ed ecologicamente equilibrata”83. Una visione
olistica dei beni comuni, infatti, rischia di diventare il peggior nemico interno di un costituzionalismo di diritto privato che sappia porre limiti alla pura logica del profitto. Anche Settis, in “Azione Popolare”, afferma: “la categoria dei beni comuni (..) viene ad allargarsi indefinitamente. Essa diventa in tal modo assai meno operativa, proprio perché viene contrapposta allo Stato”. Lo Stato che
81 Teatro Valle Occupato. “Prendiamo atto di una realtà, e vogliamo valorizzarla” – commenta Rodotà – “centinaia di migliaia di persone contribuiscono ad elaborare il concetto di bene comune.” http://amisnet.org
sembrerebbe essere il più pericoloso dei proprietari privati e quindi necessariamente nemico dei beni comuni. Tuttavia, sostiene Settis, per affrontare efficacemente l'intricata materia dei beni comuni è indispensabile muovere dal continuum che corre tra beni pubblici e beni comuni, tra la concezione di Stato-
persona e Stato-comunità. La diffusa sfiducia nello Stato, identificato come il
governo pro-tempore, non deve confondere le intenzioni dei difensori dei beni comuni che, in questa opera, devono basarsi sulla carta costitutiva della Repubblica, la nostra Costituzione.
Anche l'opera “Comune” di Hardt e Negri propone una definizione di bene comune che può essere sottoposta alle stesse critiche di Settis: “Per comune si deve intendere (..) tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale e che è necessario per l'interazione sociale e per la prosecuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, l'informazione,gli affetti e così via”. “Comune è ciò che gli uomini socialmente producono. La produzione sociale si auto- organizza” 84. Secondo queste righe, sembrerebbe difficile escludere qualcosa dalla
classificazione di bene comune in quanto generato dalla produzione sociale e la nozione quindi si allarga indefinitamente risultando alla fine scarsamente operativa.
In definitiva, è possibile assumere che delle proposte sinora esaminate quella di Rodotà raccolga in modo più equilibrato ed esaustivo i diversi contributi riguardo i beni comuni, traducendoli in una definizione ampiamente condivisa. Per citare alcuni tra gli studiosi che fanno propria questa sintesi: Mauro Renna, Salvatore Settis, Paolo Maddalena, Ermanno Vitale, Antonello Ciervo, Gregorio Arena, Ugo Mattei, Alberto Lucarelli. Essi, seppur con qualche distinguo, in linea di massima sostengono il pensiero di Rodotà, ben espresso nel saggio Beni comuni: una
strategia contro lo human devide. Uno dei grandi meriti del giurista è la lucidità
lontana dall'ideologia che gli permette di affrontare il dibattito sull'attuale modello proprietario e sui beni comuni in modo equilibrato. Non rifiuta la modernità e sostiene che l'analisi sui comuni non deve indurre ad un “equivoco che consiste nel ritenere che la dimensione propria di tali beni sia quella comunitaria. Qui continua a giocare un ruolo la storica suggestione del rapporto tra la piccola
comunità e quei beni che consentivano a tutti gli appartenenti ad un gruppo di esercitare liberamente il diritto di pascolo, di legnatico, di attingere acqua. Nella fase che stiamo vivendo, invece, un tratto caratteristico dei beni comuni consiste nel movimento ascensionale che li ha portati dalla periferia al centro del sistema, rendendo quasi sempre improponibili le suggestioni tratte dai modelli del passato”.
I beni comuni trovano una collocazione giuridica e vengono definiti precisamente in una categoria perché collegati alla soddisfazione dei diritti fondamentali della persona, espressi nella Costituzione.
A tal proposito, merita rilievo l'analisi di Luigi Ferrajoli; nei suoi principia iuris egli sottolinea l'importanza di concepire dei limiti interni, cui corrispondono “garanzie del mercato”, e dei limiti esterni, cui corrispondono “garanzie dal mercato”. Fra questi limiti esterni si trova la garanzia della sottrazione al mercato dei beni fondamentali in quanto “indisponibili”. Egli distingue i beni patrimoniali, singolari e disponibili e i beni fondamentali, universali e indisponibili all'interno dei quali individua tre tipologie85:
1. beni personalissimi (i diritti di libertà a partire dal proprio corpo);
2. beni sociali (gli alimenti essenziali alla sopravvivenza e i farmaci salva- vita);
3. beni comuni , come “quei beni che sono oggetto di libertà-facoltà nel diritto di tutti di accedere al loro uso e godimento: vi rientrano tutti quei beni come l'aria, l'ambiente e il futuro del pianeta, la cui tutela corrisponde a un interesse comune o generale e la cui lesione solleva problemi non meno vitali e drammatici dell'ecologia”86.
Ferrajoli chiarisce il carattere universale dei beni: i personalissimi, sono universali nel senso che tutti ne sono ugualmente titolari e tuttavia appartengono a ciascuno con totale esclusività dagli altri; i comuni, lo sono all'opposto, appartengono a tutti
pro indivisio.
La definizione dei diritti fondamentali si lega alla capacità del diritto di regolare il
85 POMARICI U., Atlante di filosofia del diritto, Torino, 2012.
mercato e perciò al grado di sviluppo della civiltà giuridica. L'emersione di sempre nuovi beni fondamentali è stata determinata dalla loro intervenuta scarsità e vulnerabilità: “con lo sviluppo delle possibilità tecnologiche di alterazione e distruzione dell’ambiente, stanno rivelandosi come fondamentali, per la sopravvivenza del genere umano, beni della natura come l’acqua, l’aria e i loro equilibri ecologici. Taluni, ritengono che i beni comuni si sarebbero ridotti per il crescente processo di privatizzazione: prima la terra, poi l’acqua, poi l’aria (in Giappone esistono luoghi in cui è possibile comprare qualche ora di aria pura). Insomma, soprattutto oggi, assistiamo ad una crescente trasformazione delle cose in merci”87.
Il contributo di questa argomentazione, che colloca i beni comuni all'interno di una riflessione strutturata sui diritti fondamentali della persona e del cittadino, si rivela molto utile rispetto alla pericolosa indeterminatezza di alcune altre prospettive.
Si può affermare che nei contributi di Rodotà e Ferrajoli si annuncia soprattutto un cambio di paradigma. La riscoperta di una potenzialità inespressa: i beni comuni che si definiscono in rapporto ai diritti fondamentali della persona come garanzia immediata e concreta al di fuori della logica mercantile e proprietaria.