Una comune alternativa, oltre il pubblico e il privato
2. L'evoluzione del pensiero filosofico sui commons da Locke a Mar
Nel periodo pre-moderno il proprietario di un bene vantava un diritto limitato su di esso perché gli era attribuito un ruolo (dovere) nei confronti della collettività. Come scrisse Tommaso D'Aquino nella “Summa Theologiae”, fra il 1265 e il 1274, “la proprietà delle ricchezze può essere privata ma l'uso che se ne fa deve essere collettivo, e questo perché secondo il diritto naturale tutto è comune e la
35Con il termine enclosures ci si riferisce alla recinzione dei terreni comuni a favore dei proprietari terrieri avvenuta in Inghilterra tra il 1700 ed il 1800. Gli Enclosure acts danneggiarono principalmente i contadini, che non potevano più usufruire dei benefici ricavati dai terreni, a favore dei grandi proprietari: per le recinzioni era necessario sostenere spese di tipo privato ma anche legali, che scoraggiavano i piccoli proprietari. Alla fine del '700, tale sistema aveva portato alla concentrazione della proprietà terriera nelle mani dell'aristocrazia inglese; inoltre, aveva creato una massa di lavoratori disoccupati, la manodopera a basso costo che sarà quindi impiegata nel nuovo ciclo produttivo industriale.
proprietà privata è incompatibile con tale comunanza”. In seguito, nella seconda metà del Cinquecento, la proprietà tese a diventare uno ius utendi et abutendi, il diritto di escludere chiunque dal godimento di un bene e di disporre di esso a pieno titolo, nei limiti della legge civile.
Si deve a John Locke, filosofo del Seicento, considerato il padre del liberismo economico, la trattazione più sistematica a favore della proprietà privata. Egli, nell'opera “Secondo trattato del Governo” (1690), riconosce che ab origine esista una situazione di originaria proprietà comune dei beni37. Il passaggio
dall'originaria situazione di appartenenza comune a quella di proprietà privata è legittimato, secondo l'autore, dal lavoro che permette all'uomo di appropriarsi dei frutti del suo operato che altrimenti sarebbero di tutti. Egli sostiene che ciascuno ha la proprietà della sua persona e attraverso “il lavoro del suo corpo e l'opera delle sue mani” compie un trasferimento di proprietà dal soggetto all'oggetto appropriandosi e “togliendo quell’oggetto dalla condizione comune in cui la natura lo ha posto, escludendo il comune diritto degli altri uomini”. Sopra queste righe il lavoro e la proprietà persero la loro funzione sociale che associava ai possedimenti degli obblighi verso la comunità38. Si stesero allora le basi per
sostenere che la proprietà è il luogo di eccellenza dell'efficienza mentre il comune è sinonimo di improduttivo, abbandonato, incolto.
Nel panorama europeo, tuttavia, s'incontrarono correnti differenti da quella appena
37 Scrive infatti nella sezione dedicata al Potere politico e stato di natura: “È questo anche uno stato di eguaglianza, in cui potere e autorità sono reciproci poiché nessuno ne ha più degli altri. Nulla invero è più evidente del fatto che creature della stessa specie e grado, indifferenziatamente nate per godere degli stessi doni della natura e usare le stesse facoltà, debbano essere fra loro eguali, senza alcuna subordinazione o soggezione, se il Signore e Padrone di esse tutte non ha manifestamente dichiarato la sua volontà di preporne una alle altre conferendole con un’evidente e chiara designazione, un indubbio diritto al dominio e alla sovranità”.(Secondo Trattato del Governo, LOCKE, 1690)
38 Non v’è di ciò dimostrazione più chiara di quella offerta da diversi popoli d’America, ricchi di terra e poveri di tutti i beni della sussistenza. La natura ha donato loro non meno generosamente che ad altri popoli la materia prima della ricchezza, cioè un suolo fertile, capace di produrre in abbondanza tutto ciò che può servire per il cibo, il vestiario e il piacere; ma, in quella terra, non essendo messa a frutto dal lavoro, essi non hanno la centesima parte dei beni di cui noi godiamo; e il sovrano d’un ampio e fertile territorio mangia, alloggia e veste peggio d’un bracciante inglese. 44. Da ciò è evidente che, per quanto le cose della natura fossero concesse in comune, l’uomo, essendo padrone di se stesso e proprietario della propria persona e delle azioni e del lavoro di essa, recava già in sé il grande fondamento della proprietà, e ciò che costituiva la maggior parte di quanto egli usò per la propria sussistenza e il proprio benessere, una volta che l’invenzione e le arti ebbero migliorato i mezzi del vivere, era assolutamente suo e non apparteneva in comune ad altri. (Secondo Trattato del Governo, LOCKE, 1690).
descritta. Ad esempio, Thomas Moore in Città Reale (primo volume dell'opera “Utopia”, 1516) descriveva la situazione politica ed economica dell'Inghilterra ritenendo assurda ed illegittima la sanzione di pena capitale per il furto, reato aumentato con l'introduzione del sistema delle enclosures. Egli riteneva che la proprietà privata fosse da abolire e che fosse possibile ripartire i beni in maniera eguale, come accade in Città Perfetta (secondo volume dell'opera) dove descrive l'utopia. Infatti, nell'isola immaginata da Moore, la proprietà privata è vietata per legge e la terra deve essere coltivata a turno da ciascun cittadino. Anche il filosofo anarchico Pierre-Joseph Proudhon nel 1840 provocatoriamente s'interrogava sulla natura del capitalismo scrivendo: Cos'è la proprietà? E' un furto. Egli sosteneva che l'appropriazione privata era nata dalla violenza giustificata da un primitivo elemento di illiceità. Ancora brillantemente Marx nel 1867 con “Il Capitale” criticava il pensiero capitalistico dominante e nel primo capitolo L'accumulazione
originaria indagò sulle determinanti che permisero il passaggio da un'economia
rurale ad un'economia industriale-capitalista. Dissenziente verso la posizione degli economisti liberisti, che vedevano l'accumulazione primitiva come frutto del lavoro e del risparmio degli imprenditori, ritenne invece che essa derivasse dalla separazione dei produttori diretti, trasformati in operai salariati, dai mezzi di produzione che, concentrati nelle mani dei grandi proprietari, si trasformavano in capitale. Il processo di accumulazione primitiva che ebbe inizio in Inghilterra con l'appropriazione dei commons39 crebbe notevolmente con l'instaurazione di un
regime parlamentare che interpretava meglio le esigenze della borghesia. Infatti attraverso gli Enclosures Acts, approvati tra il 1660 e il 1830, ai poveri delle campagne venne negato l'accesso ai campi comuni (common lands) e ai campi aperti (open filds), di proprietà privata nel periodo di semina e raccolta e lasciati ai poveri durante i restanti periodi dell'anno. La formazione di grandi aziende agricole sostituì il sistema di produzione locale diversificato, costituito da produzioni di sussidiarietà, con un sistema di monocultura che provocò l'impoverimento di una rilevante quantità di contadini non proprietari abitanti
39 In Inghilterra prima della rivoluzione industriale i “commons” erano i terreni comuni a prevalente uso agricolo. Ogni nucleo familiare aveva il suo appezzamento, ma i diritti su di esso erano stabiliti dalla consuetudine più che dai titoli legali e lo stesso valeva per l'accesso ai territori su cui cacciare, fare provviste di foraggio e pascolare gli animali. Nell'esperienza inglese si è parlato di open filds mentre nell'esperienza storica italiana queste proprietà furono definite “usi civici”.
nelle terre comuni e di piccoli proprietari incapaci di competere con le grandi unità produttive. Questa massa di popolazione povera andò a soddisfare la crescente domanda di manodopera salariata delle stesse aziende agrarie capitalistiche e, a partire dal tardo Settecento, della nascente industria tessile di lavorazione della lana.
Una storia simile si compì durante l'età moderna nelle campagne di altri paesi europei e in Italia dove il processo di privatizzazione aveva spossessato dalle terre molti contadini favorendo l'accumulazione privata del capitale da parte dei più ricchi. Ciononostante, alcune forme di collettivismo nell'uso dei beni comuni come la terra, i pascoli, le sorgenti d'acqua, i fiumi e le lagune sono ancora molto radicate soprattutto nei Paesi del Sud del mondo lasciando trovando qualche applicazione in Europa dove esempi del genere vengono denominati usi civici. In tutta Italia tuttora persistono alcune forme di proprietà collettive come le
partecipanze, vive dal Medioevo ad oggi in Emilia e nel Polesine, le comunanze agrarie in Umbria e nelle Marche e, nell'arco alpino, le consorterie valdostane, le magnifiche comunità, come quella di Fiemme, e tante altre. Come scrisse P.
Grossi, se molti usi civici sono ancora “restati intatti fino a noi malgrado l'accanita persecuzione subita dal Settecento in poi, è perché, con altrettanto accanimento, sono stati sempre difesi dalle popolazioni come parte integrante e profonda del loro costume di vita, strettamente legata alla fisionomia della stessa comunità”40.