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Strumenti attuali per la tutela dei beni comun

La scienza giuridica italiana per i beni comun

2. Strumenti attuali per la tutela dei beni comun

Il codice civile del 1942 disciplina tre categorie di beni pubblici:

beni demaniali;

beni del patrimonio indisponibile;beni del patrimonio disponibile.

I primi sono beni che appartengono allo Stato (art 822 c.c.) possono appartenere anche a Provincie e Comuni, costituendo demanio pubblico (art 824). Sono beni intrinsecamente idonei a conseguire finalità pubbliche direttamente mediante il loro utilizzo. Per loro è prevista l'inalienabilità.

natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell’intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che – per tale loro destinazione, appunto, alla realizzazione dello Stato sociale – devono ritenersi “comuni”, prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l’aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività.

I secondi, i beni patrimoniali, appartengono allo Stato, alle Provincie e ai Comuni (art. 826 c.c.). Si dividono in indisponibili e disponibili. Sono caratterizzati da una funzione strumentale, posto che il pubblico interesse viene a soddisfarsi attraverso l'utilità che deriva dal servizio pubblico a cui sono destinati. I beni che appartengono al patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, ad un pubblico servizio (art. 828 c.c.), e sono espressamente individuati dalla norma di legge. Infine, costituiscono il patrimonio disponibile quelle categorie residuali di beni che non sono compresi né tra quelli del demanio, né tra quelli del patrimonio indisponibile. Questi beni possono essere alienati e sono soggetti al regime privatistico; l'eventuale sfruttamento economico di questi beni è destinato a finalità di perseguimento del pubblico interesse.

Non si può ignorare che la nozione di bene pubblico deriva dalla Costituzione, “la proprietà è pubblica o privata”, e “i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati” (art. 42). Essa sancisce la legittimità sul piano costituzionale della normazione circa la sussistenza e l'articolazione positiva di “una proprietà pubblica” accanto alla “proprietà” di diritto comune74.

Attorno ai beni pubblici e comuni la dottrina s'interroga sulla possibilità di trovare nell'ordinamento degli efficaci strumenti che ne garantiscano un'effettiva tutela. Alcuni autori sostengono che attraverso dei percorsi interpretativi sia possibile rintracciare questa possibilità, mentre altri stanno compiendo dei tentativi di rinnovamento codicistico.

Secondo l'argomentazione di M. Olivi75, è possibile analizzare il problema della

gestione dei beni comuni distinguendo tra regime di appartenenza e regime degli usi. Egli si distacca dalla posizione di altri autori, che ritengono necessario un rinnovamento codicistico, sostenendo che gli strumenti di protezione e tutela dei beni pubblici sono già rintracciabili nell'attuale ordinamento. In sostanza, afferma che il problema non sta nelle lacune normative, ma nella interpretazione delle

74 L'espressione dottrinale “Beni pubblici (..) è l'insieme delle cose (in senso giuridico) mobili e immobili, appartenenti allo Stato o ad altro ente pubblico, ovvero ad una comunità di abitanti (..), ovvero perché destinate concretamente ad una funzione o servizio pubblico”. V. CERULLI IRELLI, “Beni Pubblici”, Torino, 1987, p. 273.

75 OLIVI M., Intervento al convegno “PER UN DIRITTO DEI BENI COMUNI”, Venezia, 21 febbraio 2013.

normative esistenti e nella gestione delle amministrazioni.

I termini della questione potrebbero così riassumersi. La disciplina codicistica si rifà alla matrice dottrinaria della proprietà pubblica, che esprime la titolarità dei poteri sulla cosa in termini di proprietà dell'ente territoriale. A garanzia della proprietà dell'ente pubblico è sancito il carattere di inalienabilità, in riferimento ai soli beni demaniali, mentre un vincolo di destinazione grava sul patrimonio indisponibile76. A seguito delle privatizzazioni la dottrina maggioritaria77 ritiene

che la proprietà pubblica si regga fondamentalmente su due pilastri: la riserva - l'esclusione della possibilità di un soggetto diverso dall'ente territoriale di divenire proprietario - e la destinazione - l'inerenza del bene alla funzione o al servizio pubblico.

L'associazione del meccanismo della riserva e della destinazione, vincola i poteri del proprietario, assicurando al bene demaniale collettivo una tutela elevata. La separazione delle due regole può essere una buona soluzione per certi beni pubblici che rientrano tra i beni a destinazione aziendale o tra quelli a destinazione nazionale, ma non sembra adatta nel caso dei beni comuni. Ipotizzare il venir meno della riserva, ammettendo che il bene possa appartenere ad un soggetto diverso dall'ente pubblico, farebbe recuperare il “valore di scambio” del bene, e lo sottoporrebbe a logiche di mercato, se divenisse di proprietà privata.

“Questo modello non sembra utile per affrontare il tema della privatizzazione dei beni ad uso collettivo, dove la situazione di appartenenza è più simile ad una situazione di non appartenenza che ad un diritto di proprietà individuale, dove quindi la riserva non vale a garantire la titolarità di un diritto di proprietà individuale, ma a garantire che nessuno sia escluso dal godimento del bene. La riserva impedisce a chiunque di appropriarsi del bene e la destinazione impone che neppure l'ente pubblico se ne appropri a titolo di proprietà individuale”78.

76 E' generalmente accolta l'opinione secondo la quale la distinzione tra demanio e patrimonio indisponibile ha carattere formale, ma è priva di fondamento sostanziale. “La classificazione dei beni nei due gruppi del demanio e del patrimonio indisponibile si spiega come il tentativo di risolvere problemi legati all'applicazione del codice previgente, a si è rivelata di scarso valore sia a fini sistematici sia a fini pratici. E' pur vero che il codice prevede solo con riguardo ai beni demaniali l'inalienabilità e l'autotutela amministrativa (art. 823 c.c.), mentre solo per i beni del patrimonio indisponibile statuisce che non possono essere sottratti alla loro destinazione (art 828)”. M. OLIVI, Beni pubblici, Sole 24 ore.

Attraverso questa lettura ci si può avvicinare al concetto di bene comune.

Tuttavia, il successo di questo modello richiede un importante ruolo dell'autorità amministrativa. Infatti, è l'amministrazione la titolare della funzione o del servizio che individua i beni e ne determina l'inerenza con la destinazione. Ad essa spettano la valutazione dell'ammissibilità delle proposte con la compatibilità dell'uso comune e la preoccupazione di effettuare gli interventi manutentivi sul bene.

L'autorità amministrativa, per fare questo, dovrebbe disporre di strumenti come:

 una forte competenza tecnica ed una struttura idonea alla ricerca dei dati

reali in modo da garantire indipendenza di valutazione evitando la “cattura della regolazione” da parte degli operatori economici;

 una capacità di programmazione e gli strumenti anche economici per

attuarla, ma allo stesso tempo un alto grado di discrezionalità, con la possibilità di un rapido adattamento delle decisioni al mutare delle situazioni;

 trasparenza delle scelte e coinvolgimento della collettività, non escludendo

le proposte e le iniziative dei cittadini.

Inoltre, la sopravvivenza dei beni comuni, dipende molto da un adeguato atteggiamento culturale, diffuso e interiorizzato soprattutto dalla pubblica amministrazione, che detiene i concreti poteri decisionali.