• Non ci sono risultati.

beni comuni a rischio e sostenibilità

di Anna Facchini*

* Presidente Commissione Cultura e Biblioteca SAT (Società degli Alpinisti Tridentini)

arrivando oltre i limiti ecologici: questo significa che è impossibile fornire a li-vello planetario risorse a ciclo continuo e con quantità crescente e assorbire l’inquinamento prodotti dalle nostre società.

L’insostenibile sfruttamento dei beni comuni (acqua, aria, biodiversità, terra…) è anche un pericoloso campanello d’allarme per la qualità della vita e delle re-lazioni tra le persone1.

Ciò è grave per due motivi: il primo, perché la qualità della vita dipende dalla disponibilità e dall’accesso di beni ambientali primari: acqua, aria, energia, terra; il secondo, perché questi beni naturali comuni sono l’insieme delle risor-se naturali che gli ecosistemi forniscono al genere umano per esrisor-sere adoperati dalle comunità, a livello locale come a livello globale.

Ci sono pesanti conseguenze per le persone e per le comunità di un uso dissen-nato e insostenibile del territorio e delle sue risorse; ma non dobbiamo dimen-ticare anche gli effetti indiretti e cumulativi derivanti dall’inquinamento delle acque, del suolo, dell’aria e dell’ambiente in generale, come conseguenza gene-rali delle nostre attività quotidiane, dall’agricoltura ai servizi all’industria, dalla produzione di rifiuti ai trasporti.

Si intuisce allora come la ricerca stessa del bene comune cresce e si concretizza attraverso la saggia politica di utilizzo dei beni comuni e che la questione am-bientale si interseca con la riflessione legata alla ricerca di una rinnovata etica civile.

Le nostre società, i nostri amministratori, i decisori pubblici o privati, de-vono ripensare in profondità il modello di sviluppo economico e sociale oggi do-minante. Di conseguenza, la questione della sostenibilità deve diventare quindi la bussola per orientare politiche, azioni, comportamenti.

Pensiamo per un attimo al momento attuale: la crisi come grande opportunità per ripensare a come orientare la ricerca del bene comune.

In conclusione sottolineo alcune parole chiave, che sono il lievito per ridare significato a princìpi e valori che sono già parte del nostro bagaglio culturale;

sono parole o concetti a volte abusati, ma di cui dobbiamo riappropriarci:

• Principio di responsabilità: per un ampliamento di orizzonte allargato an-che alle generazioni future;

• Questione di giustizia tra le persone: per una ridistribuzione delle risorse ambientali;

• Principio di partecipazione: per ritrovare l’intreccio di fili i cui nodi si chia-mano sussidiarietà e cooperazione.

In due sole parole etica civile. Una rinnovata etica civile presuppone, a livello politico istituzionale, economico-imprenditoriale, sociale, una direzione verso una riduzione del consumo di natura.

Le buone pratiche, piccole o grandi azioni, mettono al centro del loro agire l’at-tenzione all’ambiente, all’economia solidale, all’accoglienza e alla inclusione so-ciale: dagli interventi per il risparmio energetico all’introduzione di tecnologie per l’utilizzo di energie rinnovabili, dai processi partecipativi ai percorsi educati-vi. Le buone azioni si possono promuovere in alcuni ambiti:

• Un primo ambito è rappresentato dalle politiche pubbliche (es.: politiche urbanistiche per un uso responsabile del territorio)2.

• Un secondo ambito riguarda il mondo della produzione di beni e di servizi (=strumenti di certificazione di processo, emas, iso….).

• Il terzo ambito fa riferimento agli stili di vita e ai comportamenti individuali e collettivi (= il cittadino può influenzare i comportamenti di imprese)3. Si sono quindi avviati i percorsi, perché c’è una parte attiva della società che cerca con coraggio, intelligenza e fantasia modalità di intervento innovative, orientate a creare un valore aggiunto come combinazione di nuovo valore eco-nomico, rinnovata coesione sociale, riduzione del consumo di natura e di inqui-namento.

Etica civile quindi come atto di riconoscimento e di difesa per una buona eredità da lasciare alle generazioni future.

1) L’Earth Overshoot Day è un indicatore (e come tale va letto e interpretato) che segnala il giorno in cui viene raggiunto il limite delle risorse per la Terra; esso indica l’insostenibilità dell’attuale sviluppo economico e sociale, che anno dopo anno consuma con sempre maggior anticipo ’gli interessi’, cioè i beni che la natura mette a disposizione in modo diret-to e indiretdiret-to, con la conseguenza che stiamo impoverendo il capitale.

2) La natura non è monetizzabile: CIPRA International: recente lettera indirizzata al segretario di Stato tedesco R. Bomba alla Conferenza sulla pianificazione territoriale a Murnau. Il documento sostiene gli sforzi degli Stati alpini per l’impo-stazione integrata e intersettoriale, … Solo questa impol’impo-stazione può impedire che interessi particolari siano anteposti al bene comune. Spesso tuttavia “nel processo di pianificazione territoriale viene dato maggior peso a interessi politici o economici rispetto a valori non misurabili in termini monetari, come la qualità della vita, il paesaggio, la biodiversità o la connettività ecologica”, prosegue il testo della lettera. La contrazione di biodiversità, di aree libere da infrastrutture e corridoi ecologici ne sono la prova. “Non si presta sufficiente attenzione al fatto che la natura non è solo uno tra i molti fattori che influenzano la nostra vita, ma fonte, ispirazione e presupposto di ogni vita”.

3) V. espressione ’voto con il portafoglio’ che sta a indicare il potere e la responsabilità in mano ai consumatori.

La montagna italiana vive nel limbo del mondo politico. È priva di voce, le è stata tolta specificità, è luogo dimenticato e utilizzato solo per essere sfrut-tato, generalmente privandolo di ogni ritorno sociale. Escluse le tre realtà am-ministrative totalmente montane, Aosta, Trento e Bolzano in Italia la montagna viene letta dalle capitali regionali come periferia ed in quanto tale è trattata.

Cioè dimenticata.

La nostra attenzione non può essere rivolta a qualche isola felice dal pun-to di vista della sola sostenibilità economica: le provincie di Aosta, Trenpun-to e Bol-zano. Si deve invece portare attenzione alle molteplici realtà presenti nelle Alpi e in Appennino, o nell’Italia insulare, che sono prive di ogni minima autonomia decisionale, che sono state o abbandonate, o depredate delle risorse (acqua, beni comuni, beni energetici), o umiliate con la privazione di servizi essenziali indispensabili per il vivere con dignità e parità di diritti con quanto avviene nel-le realtà urbane: diritto allo studio, alla formazione, al lavoro, alla cura e pre-venzione della salute, all’assistenza, alla cultura, alla mobilità. È comprensibile che nelle vallate delle periferie non sia possibile diffondere servizi di eccelsa specializzazione sui temi della salute o della formazione scolastica, ma non è concepibile quanto è avvenuto in questi decenni nel nostro paese: