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Governare montagne e valli, paesi e città

Nuovi sguardi sul territorio montano

5. Governare montagne e valli, paesi e città

La montagna offre da sempre una varietà di benefici ad ampi territori, la cui piena valutazione - non necessariamente mediante indicatori economici o monetari – consentirebbe di porre entro relazioni meno diseguali il rapporto tra città e montagna. Cosa ottiene, la montagna, in cambio dei servizi ecosistemici offerti alle aree urbane? La qualità della vita e la stessa competitività di molte città sono caratterizzate proprio dalla disponibilità di un ambiente circostante in grado di assicurare buona qualità dell’aria e dell’acqua, prossimità ad aree verdi,

un bel paesaggio, ecc.

Un problema peculiare è costituito dalle aree di frangia urbana, relative sia ai centri maggiori sia ai molti paesi che si sono espansi in forma incontrolla-ta. In questi casi la diffusione insediativa ha frammentato il territorio agricolo creando delle fratture ecologiche o interponendo delle barriere che impedisco-no le connessioni tra i diversi siti e lo scambio di materia vivente e moltiplicaimpedisco-no i lembi di suolo apparentemente privi di funzioni. La considerazione dei servizi ecosistemici di questi tasselli “inutili” richiede un approccio diverso alla piani-ficazione territoriale e urbanistica, che non riduca - ancora una volta - la com-plessità della valutazione al dualismo concentrazione/diffusione, assegnando valori positivi alla prima e negativi alla seconda. La valorizzazione non edilizia dei “vuoti urbani” deve mirare sia al ripristino del loro uso agricolo (“campagne urbane”, “orti urbani”) sia al riconoscimento del loro ruolo quali aree verdi o corridoi ecologici - che bene si combinano con i percorsi pedonali e ciclabili -.

Tali usi rafforzano la qualità insediativa e il senso di appartenenza degli abitanti, in particolare se si prevede il loro coinvolgimento nella cura degli spazi riquali-ficati.

A questo proposito va colta la fase attuale delle dinamiche insediative, segnata dall’arresto della crescita demografica e dalla conclusione della lunga stagione dello sviluppo edilizio. Questo non significa peraltro arresto dell’ero-sione dei suoli agricoli, in quanto la gestione del territorio si è basata a lungo sulle facili operazioni di riconoscimento dell’edificabilità di aree esterne ai cen-tri abitati, lasciando al loro interno estese zone derelitte. È necessario pertanto attivare modalità nuove – più complesse di quelle consolidate in quanto richie-dono elevate capacità tecniche ed amministrative unite a leadership politica – finalizzate a impedire ulteriore consumo di suolo mediante il recupero degli edifici in disuso e la riqualificazione delle aree dismesse.

Questa prospettiva richiede una grande attenzione alla specificità dei modelli insediativi locali, abbandonando la pretesa di risolvere la complessità dell’abitare i diversi luoghi con soluzioni orientate a una presunta qualità urba-na ridotta alla regolarità della forma e alla densità edilizia elevata. Il secondo dopoguerra è segnato da numerosi fallimenti di quartieri e interi centri urbani disegnati in modo impeccabile e divenuti esempi di criticità sociale. Del resto, anche le difficoltà del quartiere “Le Albere” a Trento non derivano solo dal diffi-cile momento del mercato immobiliare, scontando le semplificazioni di un pro-getto urbano che, prima di essere un disegno spaziale, avrebbe dovuto essere un progetto condiviso dalla società locale.

Sostenibilità significa, infatti, capacità di elaborare progetti solidi e

condi-visi, che assicurino la vitalità e la qualità delle attività economiche e perseguano condizioni di vita appropriate alle diverse condizioni locali. Per quanto riguarda le aree di montagna, le caratteristiche peculiari dei singoli contesti non consen-tono di riproporre pedissequamente quanto si è rivelato di successo altrove.

È necessario comprendere limiti e criticità delle località coinvolte, cogliendo i valori del patrimonio naturale e del sistema insediativo tradizionale unitamente alle opportunità offerte dall’economia post-industriale e da un mondo sempre più integrato. Considerando la piccola dimensione degli ambiti montani, anche attività di modesto livello, produzioni di nicchia, nuove offerte turistiche specia-lizzate, possono produrre esiti importanti.

La qualità della vita delle comunità locali dipende certamente dalla pos-sibilità di accesso a servizi di livello elevato e a opportunità “urbane”. Tuttavia è evidente come non sia possibile diffondere quanto funzionalmente può opera-re solo in modo concentrato e selettivo, com’è il caso di molte delle attopera-rezzatuopera-re pubbliche e delle funzioni di livello sovralocale. Bisogna però sapere distinguere tra i limiti organizzativi e tecnologici che impediscono nuove soluzioni e le no-stre difficoltà a elaborare e attuare modalità innovative. Dobbiamo inoltre supe-rare lo strabismo che ci fa accettare come ineluttabili processi contraddittori di diffusione e di concentrazione dei luoghi del commercio e dei servizi. In questa prospettiva, a poco servono le retoriche della difesa delle modalità tradizionali

Diga e Lago di Malga Bissina e cima Carè Alto sullo sfondo

di governo di tali settori. L’esperienza dimostra che la debolezza del pubblico, da un lato, e la forza del mercato (o le scelte del consumatore-utente), dall’altro, tendono a vanificare i vincoli. Ancora una volta, è necessario assumere un at-teggiamento progettuale (non solo tecnico, ma anche socio-economico), al fine di trovare soluzioni innovative alle nuove esigenze di servizi e di attrezzature di livello superiore, bilanciando le aspettative di una qualità sempre più elevata delle prestazioni con una accettabile mobilità delle persone, sostenuta da una informazione adeguata.

Alcuni passi in questa direzione possono essere fatti impiegando in modo appropriato le nuove tecnologie, migliorando l’efficacia delle reti del trasporto collettivo (sfruttando a pieno le potenzialità dei nuovi strumenti di informazio-ne), garantendo l’accesso ai servizi e alle opportunità mediante l’accompagna-mento dei soggetti deboli. Non possiamo naturalmente scaricare tutto sul set-tore pubblico, ma le reti sociali che caratterizzano i nostri territori possono fare la differenza.

6. In conclusione: per governare il cambiamento si deve decidere “per