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beni relazionali, capitale sociale e risorse social

2.1 Beni relazional

L’interesse delle scienze sociali rispetto al ruolo delle relazioni nella società moderna non è affatto recente. Ciò che è stato a lungo sottovalutato è, invece, il ruolo delle relazioni sociali nella produzione di benessere, sia a livello individuale che collettivo (Donati, Solci 2011). I beni relazionali, che si intende qui presentare, si inseriscono esattamente in questo ambito di riflessione, ovvero quello che attiene non solo l’esistenza in quanto tale delle relazioni in una data società ma la loro capacità di produrre, o quantomeno stimolare, la produzione di benessere sociale. La difficoltà dell’approcciarsi al bene relazionale è evidenziata dalla sua stessa composizione linguistica ovvero dalla combinazione del concetto di “bene”, tradizionalmente inteso nella sua natura materiale, e il concetto di “relazione” che è tradizionalmente ricollegato ad una sfera emotiva ed astratta della vita sociale (Donati, Solci 2011). È proprio da questa peculiare combinazione che deriva lo sviluppo di approcci teorici afferenti ad ambiti disciplinari affini ma al tempo stesso diversi come la filosofia, la psicologia sociale, la sociologia e l’economia (Nussbaum 1986, Donati 1986, Gui 1987, Uhlaner 1989, Bruni, Naimzada, Randon 2006).

27 Tali concetti sono strettamente interconnessi, per cui non è possibile distinguere in maniera netta tra i vari

contributi, teorici ed empirici, elaborati nel corso dei decenni nei diversi ambiti delle scienze sociali. A titolo esemplificativo, si farà riferimento in modo trasversale agli approcci di Martha Nussbaum, Pierpaolo Donati, Benedetto Gui, Luigino Bruni, Salvatore Zamagni, Carole Uhlaner, Mark Granovetter; Alexis de Tocqueville, Paul Bourdieu, James S. Coleman, Alessandro Pizzorno, Robert Putnam, Talcott Parsons, Niklas Luhmann, Diego Gambetta, Barbara Misztal, Wolfgang Streeck, Piotr Sztompka.

La frammentazione che caratterizza il dibattito riguardante i beni relazionali è naturalmente legata anche ai mutamenti sociali propri della modernità. Con il passaggio all’era moderna, il benessere di una società è stato spesso identificato con la possibilità di avere accesso ad un numero sempre maggiore di risorse materiali, soprattutto nel contesto occidentale (Pinton, Tessarolo 2011). Tale sovrapposizione ha, però, mostrato la sua precarietà in quanto non tiene conto né dei prodotti indiretti della modernità né dei vantaggi o dei limiti che questi pongono ad un vero miglioramento della qualità della vita degli individui (Donati 1986, Secondulfo 2011). Se le conoscenze scientifiche e tecnologiche hanno registrato un continuo progresso, non può dirsi altrettanto del benessere psicologico degli individui che, al contrario, ha subìto l’avvento dell’anonimato caratteristico ormai dell’odierna “società del rischio” (Beck 2000; Pinton, Tessarolo 2011). In questo senso, gli stessi beni relazionali possono essere considerati come prodotto indiretto della modernità in quanto, a prescindere dalle specifiche interpretazioni, risultano fortemente condizionati dai moderni processi di desertificazione della sfera sociale e dalla rottura dell’equilibrio pubblico-privato. Ciò che rende i beni relazionali di particolare interesse in questo mutato momento storico-sociale è il loro essere sia prodotto di un cortocircuito sociale sia elemento chiave per il suo superamento. Infatti, se da un lato l’era moderna ha determinato la netta separazione tra sfera pubblica e sfera privata della vita – con il conseguente abbandono da parte degli individui di una delle due sfere e il contestuale snaturamento dell’altra (Augé 1993, Parsi, Tacchi 2003; Ginsborg 2006) – al contempo, i beni relazionali prodotti in tale contesto consentono di superare la stessa distinzione tra pubblico e privato nel tentativo di ricongiungere le due sfere vitali. I beni relazionali si configurano, infatti, come una terza categoria di beni in quanto non possono appartenere né ad un singolo individuo né alla collettività in quanto tale. Ed è proprio il loro porsi tra la sfera privata e quella pubblica che li rende fondamentali per l’esistenza stessa della società (Donati 2011).

Come anticipato, il bene relazionale è un concetto di difficile analisi ed è stato spesso interpretato secondo le singole dimensioni che lo compongono, dando così adito alla elaborazione di molteplici proposte definitorie (Colozzi 2011).

In ambito sociologico, il concetto di bene relazionale può essere primariamente inteso come entità immateriale che consiste:

nelle relazioni sociali che emergono da agenti/attori riflessivamente orientati a produrre e fruire assieme di un bene che essi non potrebbero ottenere altrimenti (Donati 2011: 8).

Ai beni relazionali viene così attribuita la capacità di ri-collegare le due sfere della vita umana, quella privata e quella pubblica, superando la dicotomia determinatasi con il passaggio all’era della modernità, cui si è fatto riferimento. Il nodo fondamentale è che i concetti di bene pubblico e di bene privato non implicano di per sé l’esistenza di una relazione tra le persone; ciò che li distingue riguarda infatti il modo in cui il consumo da parte di un individuo influenza il consumo che può averne un altro, in base ai concetti di rivalità ed escludibilità (Bruni, Naimzada, Randon 2006), ragionamento non applicabile ai beni relazionali intesi come beni emergenti. Attribuire ai beni relazionali una natura emergente implica il considerarli come il risultato dell’interazione e della relazione di reciprocità esistente tra due o più soggetti, al punto che l’apporto dell’individuo risulta necessario ma non sufficiente affinché questi siano prodotti. Si tratta di beni concreti ma non di merci; non sono soggetti alle leggi del mercato (Donati 2011) – in quanto non possono essere scambiati o sostituiti – e, di fatto, non appartengono a nessuno – in quanto sono il prodotto di una libera scelta dei soggetti coinvolti e rispondono a fondamentali bisogni primari della persona umana e dei gruppi sociali (Archer 2006; Donati, Solci 2011). La loro natura relazionale implica infatti che possano essere goduti solo all’interno di una relazione, intrinsecamente gratuita - e quindi non strumentale - (Nussbaum 1986; Pinton, Tessarolo 2011) e solo da chi ha partecipato alla loro produzione (Pinton, Tessarolo 2011; Donati 2011). In questo senso, il contenuto etico dei beni relazionali dipende direttamente dalla funzione sociale che viene attribuita alle relazioni in un dato contesto ed è la natura della relazione a determinare il contenuto stesso dei beni che questa produce. Il legame tra forma e contenuto è rintracciabile, ad esempio, nella distinzione tra beni relazionali primari e beni relazionali secondari: i primi, atterrebbero a relazioni “faccia-a-faccia”, caratterizzati dalla presenza di un consumatore sovrano e un consumo

non competitivo; al contrario, i secondi, atterrebbero a relazioni associative – non impersonali –, caratterizzati dalla mancanza di un consumatore sovrano e dalla presenza di un consumo competitivo (Donati 2011).

La natura emergente e reciproca dei beni relazionali è condivisa28, seppure non in

modo universale, anche in ambito economico (Gui, Sugden, 2005; Bruni 2006, Porta 2006; Bruni, Naimzada, Randon 2006; Donati 2011). In questo caso, tradizionali capisaldi propri delle discipline economiche – la piena razionalità degli agenti economici, l’auto-interesse, l’ininfluenza del contesto sociale – sono messi in discussione, introducendo il concetto della razionalità limitata degli agenti e della molteplicità di orientamenti motivazionali che ne determinano il comportamento (Sacco, Zamagni 2006). Questa implica che la tradizionale definizione di agente economico – basata sui concetti di preferenze, aspettative e vincoli – debba essere riconsiderata (Manski 2000), includendo l’influenza che le azioni dell’uno hanno su quelle dell’altro. Nell’ottica di chi sostiene tale approccio, le preferenze della persona – non più intesa solo come individuo – possono e devono essere ricondotte a quelle collettive, al fine di renderne possibile la partecipazione sociale. In un’ottica più astratta, si tratta di reinserire nel discorso economico il concetto di ragionevolezza – che attiene alla dimensione valoriale - coniugandolo con quello classico di razionalità – che attiene, invece, alla dimensione della correttezza formale (Rawls 1994, Sacco, Zamagni 2006):

La razionalità, contrariamente alla ragionevolezza, ha a che fare, in primo luogo, con la correttezza formale del ragionamento, con l’efficacia dei mezzi per raggiungere un fine, con la conferma e il controllo delle opinioni…I giudizi di ragionevolezza, dal canto loro, sono orientati verso il valore…Essi vertono sul modo di vivere rettamente, su ciò che si ritiene buono o cattivo per l’uomo. Ciò che è ragionevole è senza dubbio anche razionale, ma ciò che è meramente razionale non è sempre ragionevole (von Wright 1987: 27, cit. in Sacco, Zamagni 2006: 15).

28 I beni relazionali sono ad esempio considerati beni pubblici nella prospettiva dell’olismo metodologico di

Brunetta-Tronti che: «presuppone una struttura sociale o culturale, contenente il bene relazionale, come per esempio un dato tessuto sociale o una cultura civica esistente su un territorio, [dalla quale] deriva il comportamento degli individui» (Donati, Solci 2011: 27). O ancora, nella definizione economista proposta da Carole Uhlaner secondo la quale i beni relazionali sono il frutto della combinazione tra azioni, non arbitrarie, poste in essere da più persone e che possono per questo “essere posseduti solo attraverso intese reciproche che vengono in essere dopo appropriate azioni congiunte” (Uhlaner 1989: 254). In questo senso, si tratterebbe quindi di beni pubblici in quanto co-prodotti e co- consumati (Bruni, Naimzada, Randon 2006). Richiamandosi in parte alla teoria della scelta razionale, l’autrice ritiene infatti che i beni relazionali siano prodotti intenzionalmente da individui razionali al fine di massimizzare la propria utilità; la natura di tali beni sarebbe, quindi, politica e “finalizzata al buon funzionamento di uno Stato” (Donati 2011).

L’apertura delle scienze economiche ai concetti sociologici è dovuta all’aver riconosciuto come sia l’approccio olistico che quello individualistico abbiano, erroneamente, marginalizzato la relazionalità come fattore esplicativo della scienza economica stessa (Zamagni 2006). Entrambi gli approcci menzionati sono infatti basati sulle interazioni sociali che, a differenza delle relazioni sociali, sono impersonali e anonime29. Le interazioni anonime proprie dell’economia sono quindi ripensate entro una

dimensione intersoggettiva e l’azione economica non è considerata solo in termini di strumentalità e massimizzazione dell’utilità (Donati 2011). Questo conduce ad una rivalutazione delle conseguenze pro-sociali determinate dalle scelte economiche fatte dal singolo, al punto che

l’oggetto della politica economica non è più semplicemente quello di predisporre incentivi che spingano degli agenti auto-interessati a scegliere in modo coerente con gli obiettivi fissati dal

policy maker, ma diviene anche quello di creare le condizioni per una crescita e un irrobustimento

della base di pro-socialità e per un suo uso intelligente nel perseguimento del benessere sociale (Sacco, Zamagni 2006: 10)

Nell’assumere che il comportamento economico è orientato ad uno scopo, e non da un valore (Zamagni 2011), la teoria della scelta razionale mostra la sua debolezza nell’adottare un approccio dicotomico, basato sulla netta distinzione tra gli elementi oggettivi – che nell’ottica economicista determinano la scelta economica – e gli elementi soggettivi che possono motivare la stessa scelta. Per superare tale debolezza, la libertà di scelta dell’individuo dovrebbe essere armonizzata con la dimensione relazionale che lo lega al proprio contesto (Zamagni 2006) – e che non può essere inteso come mero prodotto delle interazioni individuali. A tal fine, Zamagni propone di ridefinire la dimensione economica del mercato reintroducendovi il principio di reciprocità in sostituzione del mero scambio di equivalenti. In questo senso, le transazioni di mercato non sono più considerate come distinte dai rapporti umani che le hanno determinate (Zamagni 2006). È proprio questo nuovo approccio al mercato a dover essere finalizzato

29 Nell’ottica economista di Benedetto Gui - tra i principali protagonisti di questo orientamento “filo-sociologico”

– i beni relazionali sono il prodotto intangibile delle interazioni, intese come specifici processi produttivi, che si differenziano da quelli tradizionalmente contemplati in ambito economico quali la fornitura di un servizio o l’effettuazione di una transazione in quanto tale (Bruni, Naimzada, Randon 2006, Porta 2006, Donati 2011).

all’avvio di un processo virtuoso che stimoli la produzione di beni relazionali, invertendo la rotta dell’attuale processo vizioso che rischia di portare al deperimento del patrimonio relazionale di una data comunità.

La virtù, essendo un atto buono ripetuto tante volte, e il cui valore aumenta con l’uso, come insegnava Aristotele, dipende dalle abitudini acquisite da un individuo. Ne deriva che una società nella quale vengono privilegiate istituzioni, economiche e politiche, che tendono ad economizzare l’uso delle virtù da parte dei cittadini, è una società che non solo vedrà decumularsi il suo patrimonio di virtù, ma troverà difficile ricostituirlo. Ciò in quanto le virtù, al pari dei muscoli, si atrofizzano con il disuso (Zamagni 2006: 43)

Come nell’approccio sociologico, il rischio di deperimento del patrimonio relazionale è dato non dall’esistenza in sé del mercato ma dal tipo di mercato esistente: il deperimento delle virtù è determinato dall’esistenza di un mercato basato esclusivamente sullo scambio di equivalenti. In altre parole, è necessario promuovere un mercato, “civile”, che sia basato appunto sul principio di reciprocità30, mentre l’attuale mercato, “incivile”,

rappresenta un rischio per la collettività, sia in termini di sviluppo sia in termini di rapporti tra consociati (Zamagni 2006). Queste riflessioni sono particolarmente pertinenti con il lavoro di ricerca qui presentato considerando il modo in cui il ruolo degli operatori economici si lega con la diffusione di virtù civiche in una data comunità:

Se gli agenti economici non accolgono già nella loro struttura di preferenze quei valori che si vuole vengano affermati nella società non ci sarà molto da fare. Per l’etica della virtù, infatti, l’esecutorietà delle norme dipende, in primo luogo, dalla costituzione morale delle persone; cioè dalla loro struttura motivazionale interna, prima ancora che da sistemi di enforcement esogeno, come possono essere gli schemi di incentivo o le norme di legge (Zamagni 2006: 46).

L’attività economica è così reinserita in una dimensione etica che non può che basarsi sulle relazioni che legano gli individui tra loro e gli stessi al contesto sociale più ampiamente inteso. In quest’ottica, i luoghi in cui è più scarsa la presenza di beni

30 La reciprocità si configura come un fattore di interesse inter-disciplinario, dalla sociologia all’antropologia, dalla

biologia alla psicologia e caratterizzato, secondo alcuni autori, da una molteplicità di forme e dimensioni (Bruni 2006). Si pensi, tra gli altri, ai contributi dello psicologo sociale Robert Cialdini (2001), che lega la riflessione sulla reciprocità a quella sul conformismo.

relazionali sono quelli caratterizzati da: tessuto sociale povero di relazioni intersoggettive; preferenze individuali orientate verso beni durevoli; attività di tempo libero individuale e non condiviso (Bruni, Naimzada, Randon 2006). E sono proprio queste le condizioni che possono portare la società moderna economicamente avanzata a trovarsi sempre più invischiata in quella che Bruni definisce la “trappola della povertà relazionale”:

se i soggetti possono comprare dei beni sostitutivi a quelli liberi, reagiranno al deterioramento del loro ben-essere (non avere più il mare pulito) accrescendo il consumo dei beni acquistati sul mercato; dovrà quindi aumentare la produzione e l’offerta di questi beni, provocando un’ulteriore diminuzione dei beni liberi (fabbricare piscine richiede energia, e quindi inquinamento). Lo stesso ragionamento vale per i beni, o assets, relazionali: questi beni tendono ad aumentare il loro valore con l’uso: la loro ‘utilità marginale’ è infatti crescente, a differenza dei beni standard per i quali è normalmente decrescente (Bruni 2004: 192)

Il brano sopra riportato, sottolinea ancora una volta la virtuosità del processo di produzione di beni relazionali e, al contempo, avverte in merito ai maggiori investimenti – in termini di tempo e di risorse, economiche e non-economiche – necessari per la loro effettiva produzione. La valorizzazione dei beni relazionali e la diffusione di una maggiore consapevolezza tra i consociati passa in primo luogo, ma non solo, attraverso un investimento di tipo culturale (Bartolini 2004)

fintantoché gli agenti attribuiscono maggiore importanza al tempo libero non condiviso socialmente, il sistema tenderà sempre a convergere verso la trappola [della povertà relazionale], qualsiasi sia la dinamica della singola relazione intersoggettiva (Donati, Solci 2011: 66).