1 Umanisti digital
1.3 Biblioteche e archivi digital
Per permettere la sopravvivenza nel lungo periodo della conoscenza non è sufficiente trasportarla in ambiente digitale, occorre formulare, anche per quest’ultimo, sistemi di catalogazione e archiviazione destinati a un ampio e libero utilizzo, affinché essa possa essere continuamente aggiornata. Le biblioteche e gli archivi sono i luoghi dedicati al mantenimento della conoscenza e, proprio per tale responsabilità, richiedono una riconfigurazione degli spazi e delle offerte disponibili.
Il percorso che ha portato alla formazione delle cosiddette biblioteche digitali prende avvio da una lenta ma progressiva modificazione di quelle tradizionali; uno dei primi passaggi fu la creazione di sistemi di consultazione automatizzata grazie ai quali la biblioteca diventò un luogo virtuale ed elettronico.
Oggi la consuetudine è quella di biblioteche ibride, nelle quali convivono servizi digitali e testi cartacei. L’idea di luogo digitale tuttavia si differenzia in quanto prevede che in esso siano conservati e catalogati esclusivamente oggetti digitali o digitalizzati.
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ALESSANDRO ZINNA, Le interfacce degli oggetti di scrittura. Teoria del linguaggio e ipertesti, Roma, Meltemi, 2004, p.119 cit. in DOMENICO FIORMONTE, Scrivere e produrre, in Ivi, p.92.
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L’accesso a queste risorse può avvenire in modalità sia offline sia online: gli utenti infatti possono consultare il materiale, o interrogare l’archivio, grazie a computer posizionati fisicamente nella biblioteca o da qualsiasi supporto che si colleghi a Internet.
La biblioteca digitale tende oggi a una rapida diffusione con progetti, anche internazionali, volti alla creazione di sistemi di controllo bibliografico di ampio respiro, nei quali confluiscano un numero ingente di testi. Spesso queste realizzazioni sono frutto della collaborazione tra diversi enti o istituzioni che hanno fatto propria la missione di garantire l’accesso alla conoscenza. Queste infrastrutture virtuali hanno quindi assimilato le modificazioni cui è andato incontro il testo, sposandole con una logica di condivisione e conservazione su larga scala, legata indissolubilmente alle peculiarità del Web.
La differenza tra archivi e biblioteche digitali non è netta dal punto di vista informatico; in generale l’archivio aperto si configura come spazio virtuale sul quale è possibile depositare l’oggetto digitale completo di metadati -o solo quest’ultimi- rendendoli facilmente rintracciabili dalla collettività.
Le biblioteche digitali affiancano a questo metodo altre peculiarità; in particolare:
- i materiali prodotti, conservati, descritti e resi accessibili all’utente in una biblioteca digitale possono essere testi, immagini, audio o video;
- i formati di salvataggio dei file (testi, immagini, audio e video) devono essere standard, sia per i documenti born digital sia per quelli digitalizzati; - ogni materiale deve essere corredato da opportuni metadati ai diversi livelli di rappresentazione;
- deve esistere un Opac; il catalogo della biblioteca digitale, che consenta di interrogare il repository;
- i materiali devono essere in rete e accessibili da un’interfaccia web;
- e soprattutto devono essere adottate opportune strategie che permettano alle biblioteche di dialogare fra loro (concetto di interoperabilità) e che
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consentano di conservare l’informazione sulla lunga durata (concetto di preservazione).26
Ciò che viene comunque conservato è il testo, e/o i metadati inerenti.
Si è già trattato di linguaggi di markup e della loro utilità in riferimento alla rappresentazione digitale delle caratteristiche di un documento; si riprendano questi concetti in quanto la marcatura fa parte di quelle strategie di mantenimento della conoscenza, oggi, e sempre più nel futuro, necessarie. Il markup infatti da una parte permette l’espressione visiva informatica di un testo dall’altro costituisce un insieme di annotazioni che identificano la risorsa e permettono la sua portabilità, cioè i metadati.
I metadati, in quanto etichette descrittive di un documento e quindi fondamentali per la catalogazione dello stesso, hanno bisogno di un lessico unico che diriga a livello internazionale le procedure. A oggi si è imposto il Dublin Core, una sorta di vocabolario che avvicina la descrizione di una risorsa elettronica a una scheda catalografica di una qualsiasi risorsa tradizionale.27
Le categorie facenti parte di questo linguaggio sono quindici:
1. Titolo (Title): nome dato alla risorsa
2. Autore o creatore (creator): il responsabile della realizzazione del contenuto della risorsa
3. Soggetto e parole chiave (subject): argomento della risorsa 4. Descrizione (description): spiegazione del contenuto della risorsa 5. Editore (publisher): il responsabile della produzione della risorsa
6. Autore di contributo subordinato (contributor): il responsabile della produzione di un contributo al contenuto della risorsa
7. Data (date): data associata alla creazione o alla disponibilità della risorsa 8. Tipo di risorsa (type): natura o genere del contenuto della risorsa
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Ivi, p.159.
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Cfr. FRANCESCA TOMASI, Rappresentare e conservare, in TERESA NUMERICO, DOMENICO FIORMONTE, FRANCESCA TOMASI, op. cit., p. 146.
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9. Formato (format): manifestazione fisica o digitale della risorsa (supporto o dimensioni)
10. Identificatore (identifier): riferimento univoco alla risorsa (come l’Url o l’Uri)
11. Fonte (source): riferimento a una risorsa da cui è derivata quella in oggetto
12. Lingua (language): tramite un codice identificativo 13. Relazione (relation): riferimento a una risorsa correlata
14. Copertura (coverage): localizzazione spaziale, periodo temporale, giurisdizione
15. Gestione dei diritti (rights): diritti esercitati sulla risorsa28
Utilizzando questi parametri universalmente, la fruizione delle risorse sarebbe più ordinata e completa da un punto di vista sovranazionale. Ovviamente anche quanto costituisce l’oggetto di queste etichette deve essere presentato secondo modelli prestabiliti; l’arbitrarietà in ambito catalografico infatti potenzia la dispersione delle conoscenza.
In sintesi sarebbe dunque necessario:
- associare sempre metadati a una risorsa;
- usare Xml a livello di sintassi come strumento per la creazione dei file; - usare Rdf come modello espressivo;
- usare il Dublin Core come possibile vocabolario per le proprietà dei metadati;
- impiegare vocabolari controllati per i valori delle proprietà.29
La situazione italiana delle biblioteche non è uniforme tuttavia le proposte per la digitalizzazione delle risorse sono sempre più numerose e l’idea condivisa è che una biblioteca digitale non sia una semplice «raccolta di oggetti digitali [...] deve cioè consentire la creazione, la conservazione, la
28 Ivi, pp. 147-148. 29
165 descrizione e l’accesso ai materiali in formato digitale».30
A dirigere verso questo fine le attività delle biblioteche, a livello nazionale, si erge l’ICCU (Istituto Centrale per il catalogo unico) che
ha tra i propri compiti quello della definizione e diffusione di standard relativi a: normative catalografiche, standard descrittivi, catalogazione semantica e metadati per il recupero, l’accesso e la gestione delle risorse digitali. Svolge attività di studio, ricerca e coordinamento nel settore della catalogazione per autori e nella catalogazione semantica. Coordina le attività di catalogazione in SBN fornendo ai poli indicazioni operative di intervento sui dati del catalogo cooperativo. Nell’ambito di tale attività traduce e diffonde standard internazionali e redige normative e linee guida su tutte le tipologie di materiali.31
Esso coordina la BDI (Biblioteca digitale italiana) che, creata nel 2000, ha come finalità non solo la realizzazione di una Digital Library italiana -definendo parametri e indicazioni standard specifici per ogni tipologia di oggetto digitale- ma anche l’aggiornamento e la formazione di bibliotecari tecnologicamente alfabetizzati, al fine di convertire le biblioteche da luoghi di informazione a luoghi di offerta di servizi. Altro nodo fondamentale espresso nel programma è il rapporto con le scuole e le università; il fine della collaborazione tra questi enti è la nascita di studenti informati e in grado, nelle fasce più alte dell’istruzione, di formulare progetti innovativi.
La BDI intende proporsi come guida nella digitalizzazione delle risorse; esse prima di essere proposte al pubblico in formato digitale, sono vagliate da un gruppo di professionisti preposti al riconoscimento del valore delle stesse; in questo modo è operata anche una selezione nel materiale digitale esistente.
Il cammino è dunque verso una più libera circolazione delle risorse derivante dalla digitalizzazione delle stesse; un simile progetto è condotto sia sul territorio nazionale sia in tutto il
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Ivi, p. 158.
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mondo ed è proprio tale diffusione che invita a riflettere sull’importanza della formazione di utenti tecnologicamente alfabetizzati e di modelli di conservazione -e consultazione- universali. Tali percorsi paralleli saranno fondamentali nel futuro per una società volta, da una parte, alla conservazione della conoscenza e, dall’altra, a un suo utilizzo critico.
Lo sviluppo delle biblioteche digitali sarà legato all’evoluzione del modello del Web; entrambi ruotano intorno al ruolo -sempre più decisivo- sostenuto dall’utente. Il modello auspicato è il seguente:
Web 2.0: produzione collaborativa di documenti digitali tramite nuovi
ambienti come wiki e blog e l’impiego di sistema di annotazione partecipata (social tagging).
Web 3.0: semantic web che significa adozione di tecnologie come Unicode
+ Uri + Xml + Schema + Rdf/Topic Maps + Ontologie.
Web x.0: ambiente a base semantica per la costruzione di network distribuiti
collaborativi.32
Gli strumenti di catalogazione, come i testi in generale, si dirigono sempre più verso l’indicazione semantica dei contenuti – gli hashtag di twitter sono in questo senso paradigmatici – e verso un’attenzione mirata ad ampliare le potenzialità dell’interazione uomo-macchina. Se ogni contenuto è infatti già in origine indicizzato attraverso etichette universali, le interrogazioni e le ricerche non possono che affinarsi producendo risposte e prodotti digitali migliori.
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